Aggiornamenti diagnostica generale tiroide
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Patogenesi del gozzo
°Marco Attard, *Massimo Torlontano, °Carolina Adele Maniglia e °Girolamo D’Azzò
°U.O. di Endocrinologia, A.O. Villa Sofia Cervello – Palermo
*U.O. Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – San Giovanni Rotondo
Il gozzo è il risultato di complesse interazioni tra fattori di rischio ambientali e predisposizione genetica; la patologia si manifesta come il risultato di alterazioni dei meccanismi deputati al controllo della crescita cellulare (1-4). Gli eventi patogenetici che conducono a queste alterazioni sono ancora oggetto di studio e nel complesso restano ampiamente sconosciuti (5-7).
Negli ultimi decenni nei paesi occidentali la patomorfosi clinica del gozzo è stata comunque eclatante: la patologia, pur restando molto frequente, è certamente cambiata. I voluminosi gozzi che hanno caratterizzato l’aspetto della popolazione di alcune aree geografiche del mondo sono praticamente scomparsi. Questi eclatanti cambiamenti dimostrano di fatto il ruolo predominante della carenza iodica nella patogenesi del gozzo; la profilassi iodica più o meno consapevole (per anni un ruolo profilattico e persino terapeutico ha avuto la c.d. profilassi silente, dovuta all’introduzione involontaria di iodio addizionato agli alimenti come conservante, colorante, …), più o meno controllata - regolata - monitorata, è attiva oramai da oltre un ventennio.
Nella patogenesi del gozzo il principale fattore causale è certamente la carenza dell’apporto iodico con l’alimentazione (8-12); lo iodio è il costituente più importante degli ormoni tiroidei e il suo giusto apporto con l’alimentazione è essenziale per l’ormonogenesi sin dall’età fetale (tabella, da Manuale AME per la valutazione e l'inquadramento delle patologie della Tiroide, cap 4, pag 39).
Fabbisogno giornaliero di iodio (µg/die) | ||
Età | Raccomandato | Massimo |
0-7 anni | 90 | 200 |
8 - 12 anni | 120 | 600 |
Adulti | 150 | 600 |
Gravidanza - Allattamento | 250 | 600 |
Il meccanismo preciso tramite il quale la ridotta disponibilità di iodio determina l’iperplasia della ghiandola non è completamente noto; secondo le ipotesi più accreditate, il deficit di apporto iodico promuove l’incremento volumetrico della tiroide attraverso meccanismi di compenso, che includono sia l’aumento dei livelli sierici di TSH, dovuto alla ridotta sintesi degli ormoni, sia l’intervento di meccanismi auto-regolatori intra-tiroidei. Il gozzo endemico (legato alla carenza iodica) è quindi una malattia da adattamento (adaptative disease): può essere considerato il risultato del tentativo di adeguamento dell’organismo all’insufficiente apporto iodico (13).
Alla ridotta disponibilità di iodio l’organismo risponde riducendo l’escrezione renale dell’elemento e aumentando l’uptake dello stesso da parte della tiroide; fra i due parametri esiste una correlazione inversa molto netta, dimostrata nelle aree di endemia gozzigena.
La tiroide, sotto l’effetto del TSH, per mantenere una produzione ormonale sufficiente non solo aumenta la capacità di iodo-captazione dal torrente circolatorio, ma indirizza la produzione ormonale verso la T3, ormone metabolicamente attivo che contiene una quantità inferiore dell’oligoelemento.
Questi meccanismi, che realizzano una maggiore utilizzazione dello iodio disponibile e un suo maggiore risparmio, sono spesso sufficienti per mantenere l’omeostasi ormonale, senza comportare modificazioni morfologiche della ghiandola. Quando la richiesta di adattamento supera i limiti funzionali del sistema, per evitare una riduzione della produzione ormonale, si avvia un processo di iperplasia dell’epitelio ghiandolare, che sfocia nel quadro clinico del gozzo. Il TSH rappresenta infatti uno stimolo trofico per la tiroide, favorendo la replicazione e la crescita delle cellule follicolari tiroidee; la crescita ghiandolare richiede anche l’incremento della vascolarizzazione. I vasi neoformati sono spesso incapaci di irrorare adeguatamente il tessuto neoformato; venendo meno il supporto trofico, si possono formare zone di necrosi emorragica, che poi possono evolvere in pseudocisti emorragiche, cisti colloidee, zone di fibrosi e aree calcificate.
Nella quasi totalità dei pazienti con gozzo i valori di TSH sono comunque normali; questo dato rende più complessi e meno facilmente interpretabili i meccanismi patogenetici della malattia da carenza iodica (14). Le spiegazioni più accettate del problema ipotizzano:
- che l’aumento dei valori di TSH possa verificarsi soltanto nelle fasi iniziali della malattia e non sia poi necessario per il mantenimento della spinta iperplastica;
- che valori di TSH ai limiti massimi del range, ma pur sempre normali, siano in grado di favorire l’insorgenza e il mantenimento del gozzo;
- una maggiore sensibilità dell’epitelio follicolare a concentrazioni normali di TSH.
L’incremento della massa ghiandolare tiroidea è in larga parte correlabile a un’aumentata capacità di replicazione dei tireociti; oltre al TSH, che come detto riveste un ruolo cruciale nella patogenesi del gozzo da carenza iodica, altri fattori stimolanti sono coinvolti nella genesi in specie del gozzo sporadico. Alcuni studi hanno dimostrato, sia in vitro che in vivo, che l’IGF-1 (insulin-like growth factor-1), l’EGF (epidermal growth factor) e il FGF (fibroblast growth factor) hanno un ruolo nella crescita del gozzo nodulare (15,16); verosimilmente anche il VEGF (vascular endothelial growth factor) è coinvolto nella comparsa del gozzo sporadico, mentre il TGF (transforming growth factor) sembra avere un’azione opposta, ostacolando la crescita del gozzo (17). Anche alterazioni dei meccanismi intracellulari coinvolti nella proliferazione (aumentata espressione del proto-oncogene ras) sono stati chiamati in causa nella patogenesi del gozzo.
La ricerca dei fattori eziopatogenetici del gozzo sporadico e di quelli responsabili della selezione dei soggetti d’area endemica nei quali il fenomeno si manifesta, continua; di volta in volta sono stati chiamati in causa fattori genetici e di genere (il gozzo è certamente più frequente nelle donne), sostanze gozzigene (tioglucosidi, tiocianati, …) contenute negli alimenti, in alcuni farmaci e nel fumo di sigaretta, il peso corporeo e il BMI.
Nell’eterogeneità funzionale dei tireociti che costituiscono i follicoli ghiandolari è la spiegazione dell’evoluzione e della diversità funzionale dei noduli che compaiono nei voluminosi gozzi di vecchia data (18). E’ ben noto che i tireociti che costituiscono i follicoli hanno capacità funzionali diverse: l’espressione di NIS (Na+/I symporter) e la iodocaptazione, la sintesi della tireoglobulina, la produzione ormonale sono diverse nelle cellule che compongono i singoli follicoli della ghiandola. L’agente iniziale della malattia (carenza iodica o altro fattore gozzigeno) agirebbe sui diversi tireociti; la conseguente formazione di nuovi follicoli (neogenesi follicolare) sarebbe diversificata e caratterizzata dal grado di funzione della cellula progenitrice. In tal modo si formerebbero follicoli (e successivamente noduli per proliferazione di cellule con singole mutazioni) a diverso grado di funzionalità (non funzionanti, funzionanti, iperfunzionanti). L’aumentato tasso replicativo (forse per l’aumento dell’H2O2 e dei radicali liberi) comporterebbe un danneggiamento del DNA genomico e quindi vere e proprie mutazioni somatiche, che poi sarebbero alla base del mantenimento del gozzo e della sua evoluzione verso forme iperfunzionanti, “autonome” (figura).
Figura 1. Patogenesi dei noduli tiroidei (modificata da Krohn K, Führer D, Bayer Y, et al. Molecular pathogenesis of euthyroid and toxic multinodular goiter. Endocr Rev 2005, 26: 504-24).
In conclusione, pur essendo lontani dalla comprensione completa dell’etiopatogenesi della patologia, è possibile affermare che il gozzo è una malattia:
- della nutrizione, perché riconosce nel deficiente apporto alimentare di iodio la causa più rilevante
- dell’ambiente, perché ritrova in alcune condizioni ambientali l’elemento fondamentale per la sua insorgenza e per la sua diffusione endemica
- genetica, visto che il fenomeno è certamente più presente in alcuni gruppi familiari, sia nelle aree iodocarenti che in quelle a sufficiente apporto iodico.
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Clinica, storia naturale, diagnosi e terapia del gozzo
°Marco Attard, *Massimo Torlontano, °Carolina Adele Maniglia e °Girolamo D’Azzò
°U.O. di Endocrinologia, A.O. Villa Sofia Cervello – Palermo
*U.O. Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – San Giovanni Rotondo (FG)
Con il termine di gozzo si indica l’aumento volumetrico della tiroide, indipendentemente dalle cause che lo provocano; vengono esclusi gli incrementi volumetrici della ghiandola dovuti a patologia infiammatoria o neoplastica.
Il gozzo è una delle patologie più diffuse al mondo: circa il 5% della popolazione mondiale ne è affetta.
Il gozzo è per definizione normofunzionante: l’assetto ormonale è infatti entro il range di norma e non c’è evidenza di sintomi e/o segni da alterata funzione della ghiandola.
La diagnosi di gozzo è clinica (1): l’ispezione e la palpazione del collo consentono una valutazione abbastanza precisa delle dimensioni della ghiandola, della consistenza del parenchima e dell’eventuale presenza di formazioni nodulari. L’esame clinico è quindi abbastanza semplice e, in mani esperte, fornisce in tempo reale elementi diagnostici; è ovvio che in alcune condizione (colli tozzi, pannicolo adiposo molto rappresentato, masse muscolari ipertrofiche, …) l’esame clinico può essere ostacolato e quindi risultare non dirimente. In ogni caso, la valutazione dell’entità del gozzo con metodo palpatorio fornisce un'indicazione grossolana, non sempre corrispondente al reale grado di iperplasia ed eccessivamente dipendente dalla manualità e dall’esperienza del singolo operatore.
Nei pazienti portatori di gozzo è importante raccogliere i dati anamnestici (provenienza del soggetto da aree iodocarenti, familiarità per la malattia, pregressa esposizione a radiazioni, assunzione di farmaci, …) e informazioni circa la presenza di sintomi locali e/o generali; questi ultimi sono sempre assenti nel gozzo normofunzionante. Anche i disturbi locoregionali sono rari, perchè la crescita del gozzo è molto lenta ed insidiosa; la sintomatologia da occupazione di spazio e da compressione (disfagia, disfonia, turgore delle vene del collo, …) è poco frequente ed è appannaggio delle forme più voluminose ed inveterate. I sintomi associati a compressione e/o deviazione tracheale sono caratterizzati da tosse stizzosa, senso di soffocamento, stridore inspiratorio (tirage) e sensazione di costrizione cervicale; sono più frequenti nei gozzi ad estrinsecazione intra-toracica. In questi casi può essere anche presente una dilatazione delle vene del collo e del torace superiore, fino alla comparsa di pletora facciale. La sintomatologia disfagica, correlata a compressione – dislocazione dell’esofago, è ancora più rara; del tutto eccezionale è la sintomatologia dipendente da stiramento o compressione di nervi (enoftalmo, miosi e ptosi palpebrale - sindrome di Claude Bernard Horner - per interessamento del simpatico cervicale, singhiozzo per coinvolgimento del frenico).
Secondo le indicazioni dell’O.M.S. il gozzo viene classificato in tre stadi:
- grado 0 = tiroide non palpabile
- grado 1 = tiroide palpabile e visibile solo durante la deglutizione o con il collo iperesteso oppure quando siano presenti noduli
- grado 2 = tiroide visibile anche nella normale posizione del collo
La diffusione dell'ecografia, utilizzata adesso anche nelle inchieste epidemiologiche, ha dimostrato i limiti clinici di questa classificazione. Essa appare poco accurata; l'apprezzamento delle dimensioni della ghiandola, oltre ad essere operatore-dipendente, è infatti strettamente correlata alla conformazione anatomica del collo del soggetto esaminato: nei pazienti con masse muscolari ipertrofiche ed in quelli con gozzo ad estrinsecazione retro-sternale è facile avere falsi negativi.
Sempre secondo le indicazioni dell’O.M.S., il gozzo si definisce endemico quando la frequenza della malattia nei bambini di età compresa fra 6 e 12 anni di una popolazione è maggiore del 5%; nelle altre condizioni il gozzo si classifica come sporadico.
La storia naturale del gozzo è caratterizzata dal graduale e lento accrescimento volumetrico della ghiandola, dalla successiva formazione di noduli e infine dallo sviluppo di aree nodulari autonomamente funzionanti con un corrispettivo clinico modesto (tireotossicosi subclinica) o, più raramente, manifesto (tireotossicosi che sono comunque spesso paucisintomatiche e a prevalente espressività cardiovascolare) (2). Al gozzo semplice e a quello nodulare può anche sovrapporsi una flogosi autoimmune, che a sua volta può essere causa e premessa di un'alterazione funzionale tiroidea (ipo ed ipertiroidismo); nella stessa maniera le formazioni nodulari possono presentare una evoluzione neoplastica. Il gozzo non può comunque essere considerato una condizione predisponente al tumore tiroideo (3); circa il 5% dei noduli tiroidei sono neoplastici anche se l'incidenza dei microcarcinomi è nettamente più elevata (si tratta però, nella maggioranza dei casi, di piccoli carcinomi privi di "ricadute cliniche" significative).
L’approccio clinico e, successivamente, di diagnostica strumentale e di laboratorio al paziente con gozzo deve quindi essere principalmente indirizzato alla diagnosi differenziale tra gozzo semplice e gozzo nodulare; deve però essere esclusa la presenza di patologia autoimmune ed ancor di più di “degenerazione” neoplastica (1,4-7).
Infine, va ricordato che il riconoscimento diagnostico della malattia è cambiato in maniera significativa negli ultimi decenni; prima era sempre tardivo, a tal punto che molti pazienti d’area iodocarente consideravano la tumefazione del collo una “variante normale”, oggi il riconoscimento di una modesta iperplasia tiroidea semplice o associata al rilevamento di nodularità di minime dimensioni è spesso occasionale, quasi sempre a seguito di esami strumentali (ecocolor-Doppler) effettuati per altre ragioni.
DIAGNOSI
L’ecografia è lo strumento diagnostico che meglio completa l’esame clinico del paziente con tireopatia nota o presunta; per tale ragione nell’approccio diagnostico delle tireopatie deve precedere ogni altra valutazione strumentale e di laboratorio (1,4).
Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati da notevoli miglioramenti qualitativi degli strumenti ecografici; l’evoluzione delle caratteristiche tecniche di queste macchine ha magnificato le possibilità diagnostiche. Oggi l’ecografia del collo, effettuata con strumenti di ultima generazione dotati di trasduttori adatti ed affidata a Operatori esperti, fornisce in tempo reale informazioni volumetriche, strutturali e anche funzionali in grado di “orientare” il Clinico e suggerire il successivo iter diagnostico.
L’ecografia fornisce indicazioni precise e ripetibili per la valutazione del volume della ghiandola e dei singoli noduli; questo strumento ha di fatto sostituito l’esame clinico negli studi epidemiologici.
Il calcolo del volume dell’organo è abbastanza semplice e si ottiene applicando la formula dell’ellissoide a ciascuno dei due lobi (e cioè moltiplicando, per ogni lobo, diametro antero-posteriore x diametro longitudinale x diametro trasverso x 0.52). Con lo stesso sistema è possibile calcolare il volume di ogni nodulo; gli ecografi di ultima generazione permettono peraltro il calcolo dei volumi in modo automatico. La diagnosi accurata del gozzo è quindi ecografica: lo strumento permette di indicare con precisione le dimensioni e il volume della ghiandola. Tale possibilità deve essere anche utilizzata nel follow-up del paziente e per verificare l’efficacia delle terapie messe in atto.
Lo studio ecografico della tiroide sarà ovviamente esteso all’identificazione di eventuali noduli; le caratteristiche ecostrutturali delle singole lesioni focali daranno indicazioni sulla natura delle stesse. L’individuazione di noduli sospetti (tabella) suggerirà la necessità di effettuare l’agoaspirato per esame citologico (FNAC); questa procedura dovrebbe essere effettuata sempre con la guida ecografica (il controllo della posizione dell’ago durante l’aspirazione garantisce migliori risultati in termini di adeguatezza del materiale ottenuto). Lo studio ecografico va esteso a tutto il collo e quindi completato dalla valutazione delle stazioni linfonodali; l’eventuale identificazione di linfoadenomegalie con caratteristiche metastatiche comporta una rivalutazione di noduli tiroidei anche di dimensioni minime ed il completamento dello studio con l’agoaspirazione del linfonodo sia per esame citomorfologico che per dosare la tireoglobulina nel liquido di lavaggio della siringa.
Identikit ecografico del nodulo sospetto | |
Aspetto ipoecogeno Margini irregolari, indistinti, sfumati Presenza di microcalcificazioni Forma "taller than wide" Vascolarizzazione ricca e caotica Crescita extra-capsulare Adenomegalie cervicali sospette |
La scintigrafia della tiroide aveva nei decenni passati il ruolo che adesso appartiene a pieno diritto all’ecografia; non è corretto utilizzare questo strumento per avere indicazioni sulla morfologia ed il volume della ghiandola.
Le indicazioni all’effettuazione dell’esame (che dovrebbe essere effettuato utilizzando il Tecnezio -99mTc- oppure lo 123I o lo 131I) sono in realtà estremamente ridotte: in pratica il ricorso alla scintigrafia dovrebbe essere limitato all’individuazione dei pazienti con noduli “caldi”, autonomamente funzionanti (1,4,8). Come già detto, nella storia naturale del gozzo da carenza iodica è appunto prevista l’evoluzione da iperplasia semplice a gozzo nodulare ed infine a quello multi-etero-nodulare caratterizzato appunto dalla contemporanea presenza di aree di autonomia funzionale e di noduli “freddi”, non funzionanti. L’individuazione tempestiva di questa evoluzione del gozzo endemico è abbastanza importante, perché questo quadro patologico può restare misconosciuto pur essendo fonte di rilevanti problemi (in particolar modo di tachiaritmie) nel soggetto anziano. Il ricorso alla scintigrafia è obbligatorio nei pazienti con gozzo nodulare e quadro bioumorale di ipertiroidismo (spesso di T3-tossicosi), ma secondo alcuni Autori è opportuno in tutti i pazienti con gozzo multinodulare, anche se normofunzionante, allo scopo di individuare tempestivamente i noduli autonomamente funzionanti in fase preclinica (c.d. noduli “tiepidi”), che andranno monitorati con maggiore attenzione e mai trattati con iodio e/o ormoni tiroidei (1,4).
Soltanto in casi selezionati vi è necessità di completare lo studio del paziente con altri esami strumentali; nei gozzi molto voluminosi e in quelli ad estrinsecazione retro-sternale l’ecografia non può fornire indicazioni complete circa dimensioni della ghiandola e rapporti con le altre strutture del collo, in particolar modo con le prime vie aeree (laringe e trachea), con l’esofago e con i grossi vasi del collo e del mediastino. In queste circostanze si può far ricorso alla TC (meno utile la RM), che consente di definire in maniera più accurata, per l’approccio multiplanare consentito dall’esame, i rapporti tra gli organi e fornisce informazioni precise sul calibro delle vie aeree e su eventuali dislocazioni e compressioni.
La valutazione del paziente affetto da gozzo può essere completata da una valutazione fibroscopica delle prime vie aeree: in tal modo si avranno indicazioni precise sullo stato dell’asse laringo-tracheale e sulla motilità delle corde vocali. Tale completamento diagnostico è necessario nei pazienti con gozzo voluminoso.
Lo studio della funzione ghiandolare è importante nella valutazione complessiva del paziente con gozzo; anche se per definizione il gozzo è normofunzionante, si è già detto in precedenza che può essere premessa di evoluzione verso forme disfunzionali, infiammatorie ed anche neoplastiche.
Nessuna rilevanza ha il dosaggio della ioduria nel singolo soggetto; l’appellativo endemico fa riferimento alla provenienza del paziente e non alla dimostrata carenza iodica nel singolo soggetto. I valori di ioduria variano giornalmente in maniera significativa e quindi questa determinazione non ha alcun significato pratico.
Nel paziente portatore di gozzo la valutazione dell’assetto ormonale è di ausilio (dosaggio di FT3, FT4 e TSH). Nelle raccomandazioni delle Linee Guida più recenti (1,4), in un’ottica di risparmio, si tende comunque a limitare il numero delle determinazioni di laboratorio; una scelta condivisibile prevede una valutazione in due tempi: dosaggio del TSH come esame di I livello e successivo ricorso al dosaggio di FT3 ed FT4 nei casi di TSH “soppresso”, con l’obiettivo di individuare tempestivamente gli ipertiroidismi subclinici (e le T3-tossicosi delle aree di iodocarenza).
Nella valutazione complessiva del paziente con gozzo trova spazio anche la determinazione degli autoanticorpi (anti-Tg ed anti-TPO); questa dovrebbe essere effettuata al momento della diagnosi e poi successivamente ripetuta solo se le caratteristiche ecografiche del gozzo lascino ipotizzare una sovrapposizione flogistica autoimmune.
E’ opportuno peraltro soffermarsi sull’inutilità del dosaggio della tireoglobulina nel paziente con gozzo; non solo non è di alcuna utilità, ma spesso il risultato patologico (valori elevati si ritrovano nella maggioranza dei soggetti gozzuti e particolarmente elevati nei pazienti con pseudocisti emorragiche) può essere causa d’allarme per il Paziente e per il Medico poco esperto. Una considerazione a parte riguarda invece l’utilità di dosare la calcitonina nei pazienti con gozzo nodulare (1,4); a tal riguardo non c’è un accordo condiviso: se da una parte si sottolinea l’elevato PPV (100%) di valori particolarmente elevati di calcitonina (>100 pg/mL), d’all'altra si pone l’accento sui costi e sulla numerosità di esami da effettuare per individuare i pochi casi patologici. Il suggerimento più saggio prevede la necessità di ricorrere a questa determinazione in tutti i soggetti con sospetto ecografico e/o citologico di neoplasia.
TERAPIA
L’unico rimedio terapeutico radicale del gozzo è l’intervento di tiroidectomia totale; è ovvio che il ricorso a questa soluzione va riservato ai gozzi particolarmente voluminosi complicati da disturbi compressivi locali ed a quelli evoluti in alterazioni funzionali e/o in trasformazione neoplastica.
Per numerosi anni la terapia farmacologica del gozzo si è avvalsa della somministrazione prolungata di L-tiroxina; nell’ultimo decennio il rapporto costo/beneficio di queste cure è stata messa in dubbio a tal punto che adesso è del tutto sconsigliata in talune condizioni (donne in menopausa, pazienti anziani, gozzi voluminosi, …). La somministrazione di L-tiroxina a posologia semi-soppressiva sembra più efficace nei gozzi da carenza iodica, di piccoli dimensioni e di recente insorgenza. In tutte le altre condizioni (e quindi nella maggioranza dei casi) la migliore scelta è quella di astenersi da ogni trattamento farmacologico limitandosi al monitoraggio: un attento follow-up, basato sull’effettuazione di periodiche ecografie e valutazioni dell’assetto ormonale consentirà di individuare tempestivamente variazioni del volume, della struttura e dell’atteggiamento funzionale del gozzo (1,4).
Le altre opzioni terapeutiche "di nicchia" saranno comunque più ampiamente discusse nei capitoli dedicati (terapia radiometabolica con 131I, laser-termo ablazioni).
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Gozzo congenito e acquisito in età pediatrica
Piernicola Garofalo
UOC Endocrinologia, AOR Villa Sofia - V. Cervello, Palermo
Il gozzo è un disturbo caratterizzato da un aumento di volume della tiroide, che può interessare l'intera ghiandola o essere limitato a lesioni focali (formazione di uno o più noduli).
La prevalenza del gozzo varia in rapporto a diversi fattori, quali l'area geografica, l'età e il periodo di tempo preso in considerazione.
Classificazione del gozzo | |||
In base alla diffusione | diffuso | ||
uninodulare | |||
plurinodulare | |||
In base alla funzione | eutiroideo | ||
ipotiroideo | |||
ipertiroideo | |||
In base alle modalità di comparsa | endemico | > 5% della popolazione adulta di una determinata area geografica > 10% della popolazione in età scolare |
|
sporadico | occasionale riscontro | ||
familiare | presente in più membri della stessa famiglia | ||
In base all'eziologia | diffuso | sporadico |
tiroidite di Hashimoto |
endemico | deficit di iodio sostanze gozzigene esposizione a radiazioni |
||
nodulare | multinodulare | ||
uninodulare |
GOZZO NEONATALE
L'evidenza di gozzo neonatale è una condizione poco frequente. Gozzi di elevate dimensioni possono essere responsabili di comparsa di distress respiratorio neonatale per problemi di tipo compressivo. Le cause possono essere rappresentate da:
- patologia tiroidea autoimmune materna (morbo di Basedow o molto raramente tiroidite)
- assunzione materna di farmaci anti-tiroidei
- difetti dell'ormonogenesi
- eccessiva assunzione di iodio (farmaci materni)
- deficit di iodio
Gozzo neonatale da patologia autoimmune materna
La patologia tiroidea in gravidanza, pur rappresentando un tema strettamente specialistico e settoriale, rappresenta un importante problema clinico per la sua discreta diffusione nel sesso femminile, il suo frequente mancato riconoscimento, i potenziali effetti sul feto e sul neonato e una certa tendenza all’over- o under-treatment.
Si calcola che la prevalenza delle disfunzioni tiroidee in gravidanza possa variare dallo 0.2% dell’ipertiroidismo (con complicazioni feto-neonatali anche gravi e frequenti), al 2.5% dell’ipotiroidismo, al 4-5% per i noduli tiroidei.
La premessa fondamentale è che tutti i farmaci anti-tiroidei attraversano la placenta e possono interferire con la funzione tiroidea del feto e del neonato e a dosi elevate possono bloccare per lungo tempo il funzionamento della tiroide del feto e del neonato con conseguente gozzo e ipotiroidismo fetale-neonatale.
Gozzo neonatale da deficit di iodio
La carenza alimentare di iodio durante la gravidanza compromette la funzione tiroidea del bambino e si traduce in quadri morbosi che variano a seconda del periodo della vita interessato da questo deficit. La quantità di iodio nel neonato raccomandata dalla World Health Organization (WHO) e dall’United Nations Children’s fund (UNICEF) è di 40 µg/die. La particolare sensibilità del neonato alla carenza nutrizionale di iodio è dovuta al basso contenuto tiroideo di questo micronutriente, a fronte di un elevato turn-over intra-tiroideo.
Il deficit funzionale tiroideo si traduce in un aumento del TSH neonatale, rilevabile allo screening, e nella presenza di gozzo neonatale.
Disormonogenesi
La disormonogenesi tiroidea è una forma di ipotiroidismo primitivo congenito, presente dunque alla nascita, dovuto a difetti genetici della sintesi dell'ormone tiroideo. La disormonogenesi è dovuta ai difetti ereditari nelle tappe della sintesi e della secrezione dell'ormone tiroideo, la maggior parte dei quali è trasmessa con modalità autosomica recessiva.
La disormonogenesi tiroidea rappresenta il 10-15% dei casi di ipotiroidismo permanente congenito. Oltre ai segni dell'ipotiroidismo, i pazienti con disormonogenesi possono presentare il gozzo.
GOZZO IN ETÁ PEDIATRICA
Le tiroiditi rappresentano al momento attuale, nel nostro paese, la causa più frequente di gozzo in età pediatrica, mentre il deficit di iodio mantiene la sua importanza in aree limitate del nostro paese.
La diagnosi differenziale di un gozzo deve essere inizialmente fatta tra forme diffuse e forme nodulari. In generale, un aumento diffuso della ghiandola è espressione di uno stimolo “in toto” della tiroide a opera del TSH o di immunoglobuline specifiche, più raramente di un infiltrato diffuso; talvolta un aumento diffuso della ghiandola è dovuto alla presenza di numerose strutture nodulari stipate (gozzo multinodulare). Le forme nodulari possono coesistere con ectopia tiroidea, agenesia unilaterale, presenza del dotto tireoglosso, igroma cistico, cisti dermoide. La diagnosi differenziale, nelle forme nodulari, va effettuata con le neoplasie benigne (adenoma) o maligne (carcinoma midollare, carcinoma follicolare, carcinoma anaplastico)(vedi nodulo in età pediatrica).
Forme diffuse
La tiroidite cronica autoimmune è una patologia che colpisce fino al 10% della popolazione giovanile, con una predilezione per il sesso femminile e picco in periodo puberale. E’ una malattia autoimmune della tiroide, caratterizzata cioè da una reazione immunitaria dell’organismo contro un proprio costituente, che si manifesta con l’infiltrazione linfocitaria della tiroide e con la comparsa di autoanticorpi diretti contro antigeni tiroidei (anticorpi anti-tireoperossidasi, ab-TPO, anticorpi anti-tireoglobulina, ab-Tg). La tiroidite cronica autoimmune può presentarsi con gozzo, tiroide di volume normale o più raramente atrofica.
Tra le cause più frequenti di gozzo diffuso ricordiamo la ridotta sintesi di ormoni tiroidei dovuta alla carenza di iodio, che determina iperstimolazione della ghiandola da parte del TSH, con conseguente aumento di volume del tessuto ghiandolare.
La malattia di Graves è una malattia autoimmune responsabile di circa il 95% dei casi di ipertiroidismo in età pediatrica, e può essere causa di gozzo. E’ per fortuna rara in età pediatrica, con prevalenza di 0.8 casi per 1.000.000 di abitanti tra 0 e 15 anni. Le forme che compaiono in età prepubere sono in genere più aggressive e più difficili da trattare rispetto a quelle che si manifestano nell’adolescenza. L’ipertiroidismo nella malattia di Graves è dovuto alla presenza in circolo di anticorpi particolari, detti anticorpi anti-recettore per il TSH (TRAb)(vedi overview sull’ipertiroidismo).
DIAGNOSI DI GOZZO
L'inquadramento clinico del gozzo è il passo più importante: nelle zone iodo-carenti, si penserà in prima istanza al deficit di iodio; in una zona non iodo-carente, in un soggetto di sesso femminile, in età adolescenziale si penserà ad una forma autoimmune.
Valutazione strumentale
In epoca pre-ecografica, la diagnosi di gozzo si basava unicamente sull'ispezione e sulla palpazione. In base a questi criteri, la Pan American Health Organization suggeriva di parlare di gozzo quando il volume dei lobi tiroidei fosse superiore a quello della falange distale del pollice del soggetto in esame e di classificarlo in 5 gradi.
Classificazione della gravità del gozzo | |
Grado | Caratteristiche |
0 | assente |
1A | palpabile, ma non visibile |
1B | visibile solo con il capo in posizione estesa |
2 | visibile con il capo in posizione normale |
3 | visibile a distanza |
Questa classificazione, riportata esclusivamente per il valore storico, non è ormai utilizzata, sostituita dalla valutazione ecografica che permette una diagnosi esatta del volume e della morfologia della ghiandola.
Particolare attenzione, in età pediatrica, va posta alle dimensioni di riferimento da considerare: studi su popolazione normale hanno mostrato come i limiti di normalità non siano sempre sovrapponibili. Tale disomogeneità dipende non solo dall'età del paziente, ma anche dal differente apporto di iodio con la dieta che si riflette sul volume ghiandolare. È opportuno che l'ecografia, in età pediatrica venga effettuata solo da personale esperto, che ogni paese elabori ed utilizzi i propri valori di normalità in ragione delle varie fasi di sviluppo puberale e uniformando i limiti massimi di volume della ghiandola da considerare.
Valutazione ecografica (volume della tiroide in mL per età e sesso: 50° e 97° centile) | ||||
Maschi | Femmine | |||
Età | P50 | P97 | P50 | P97 |
6 | 1.6 | 2.91 | 1.57 | 2.84 |
7 | 1.8 | 3.29 | 1.81 | 3.26 |
8 | 2.03 | 3.71 | 2.08 | 3.76 |
9 | 2.3 | 4.19 | 2.4 | 4.32 |
10 | 2.59 | 4.73 | 2.76 | 4.98 |
11 | 2.92 | 5.34 | 3.17 | 5.73 |
12 | 3.3 | 6.03 | 3.65 | 6.59 |
TERAPIA
L'atteggiamento terapeutico dipende da una serie di variabili che comprendono la valutazione clinica, ormonale, funzionale e dall'apporto iodico ambientale. L'approccio medico farmacologico dipende dalla patogenesi dell'iperplasia ghiandolare.
- In caso di deficit iodico severo, supplementazione iodica secondo i parametri stabilita dall'OMS.
- In caso di voluminoso gozzi da disormonogenesi non responsiva alla terapia medica è indicata la terapia chirurgica.
- Per quanto concerne il gozzo tossico diffuso e la tiroidite cronica autoimmune si rimanda ai relativi capitoli.
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Terapia chirurgica tradizionale per la patologia tiroidea benigna
Corrado Pedroni, Verter Barbieri
Divisione ORL, Arcispedale S. Maria Nuova Reggio Emilia
La patologia benigna della tiroide suscettibile di trattamento chirurgico può essere diffusa o nodulare. La patologia diffusa comprende il gozzo multinodulare o diffuso, la malattia di Graves-Basedow, le tiroiditi autoimmuni.
In presenza di gozzo diffuso o multinodulare, le indicazioni chirurgiche sono rappresentate da disturbi compressivi, alterazioni funzionali o sospetta neoplasia.
La malattia di Graves-Basedow ha in prima istanza indicazione al trattamento medico o, in alternativa, radiometabolico con radioiodio. L’intervento chirurgico trova indicazione solo nelle forme con gozzo esteso, in quelle resistenti alla terapia medica o qualora il paziente rifiuti la terapia con radioiodio.
Le tiroiditi autoimmuni non hanno in genere indicazione chirurgica, che viene presa in considerazione solo quando si associa a voluminoso gozzo o si pone la diagnosi differenziale con il linfoma tiroideo o con altre neoplasie.
Gli interventi chirurgici previsiti per la patologia diffusa o multinodulare della tiroide sono:
- la tiroidectomia subtotale, in cui si lascia una striscia di tessuto tiroideo di 2-4 g nella porzione supero-laterale del lobo tiroideo, per evitare di dissecare il nervo ricorrente a livello del legamento di Berry e di devascolarizzare la paratiroide superiore;
- la tiroidectomia quasi-totale (near-total thyroidectomy), in cui si lascia meno di 1 g di tessuto tiroideo sulla faccia posteriore del lobo tiroideo, sempre a ridosso del legamento di Berry; questa tecnica offre qualche protezione al ricorrente ma i benefici in termini di preservazione vascolare della paratiroide superiore sono minimi;
- la tiroidectomia totale, in cui si deve fare ogni sforzo per asportare tutto il tessuto tiroideo senza residui grossolani o macroscopici, anche se in alcuni casi la dissezione accurata del nervo profondamente al legamento di Berry può risultare estremamente complicata, rendendo spesso impossibile la realizzazione di una vera tiroidectomia totale. Quindi, talora, la distinzione tra tiroidectomia totale e quasi-totale non dipende solo dall’intenzione del chirurgo ma anche e soprattutto dalla particolare situazione anatomica della tiroide di quel dato paziente.
L’indicazione alla tiroidectomia totale, già controversa nel carcinoma differenziato della tiroide, lo è ancor di più nella patologia tiroidea benigna (12,19,23-25). Se la tiroidectomia totale è unanimente considerata l’indicazione elettiva nella malattia di Graves-Basedow complicata da oftalmopatia progressiva (4,14,25), per il rischio concreto di un'ipertrofia secondaria del residuo, tale da riproporre nel tempo i problemi funzionali precedenti l‘intervento, la maggior parte dei chirurghi (2,3,11,12,15,19) non la considera un trattamento necessario nella restante patologia tiroidea benigna (gozzo multinodulare e diffuso, tiroiditi), e preferisce utilizzare tiroidectomia subtotale anche se deve lasciare un residuo macroscopico di tessuto tiroideo patologico. Altri (1,5,7,16,22), sono invece favorevoli all’indicazione alla tiroidectomia totale nel gozzo diffuso o multinodulare, perchè consente di prevenire il rischio di recidiva che un residuo di parenchima tiroideo patologico può comportare, anche in considerazione del fatto che una eventuale terapia ormonale soppressiva con L-tiroxina dopo tiroidectomia parziale spesso risulta inefficace nella prevenzione della recidiva (19,24) e, soprattutto, del fatto che un re-intervento aumenterebbe significativamente il rischio di danno paratiroideo e ricorrenziale.
Prima dell’intervento chirurgico tutti i pazienti devono essere sottoposti ad indagine ecografica e agoaspirazione ecoguidata dei noduli ecograficamente più sospetti. Nei gozzi voluminosi ad estensione mediastinica, in cui l’ecografia è spesso inadeguata per la valutazione del volume e dei rapporti del gozzo con le strutture circostanti, si deve utilizzare anche la TC o, meno spesso, la RMN. Il gozzo mediastinico può essere classificato sulla base delle immagini tomodensimetriche tridimensionali, graduando l’estensione del gozzo:
- in senso cranio-caudale:
- grado 1: sopra la convessità aortica
- grado 2: compreso tra convessità e concavità aortica
- grado 3: al di sotto della concavità aortica
- in senso antero-posteriore:
- tipo A: prevascolare
- tipo B: retro-vascolare e para-tracheale
- tipo C: retro-tracheale.
La probabilità di un approccio chirurgico extra-cervicale risulterà maggiore nel grado 3 e nel tipo C, sia mono (M) che bilaterale (B) (figura 1-6).
Figura 1. Sezione assiale di un caso di gozzo cervico-mediastinico grado 3 tipo C monolaterale
Figura 2. Gozzo cervico-mediastinico grado 3 tipo C (lo struma si estende al di sotto della concavità aortica e in sede retro-tracheale)
Figura 3. Dettaglio di un caso di gozzo cervico-mediastinico grado 3 tipo C monolaterale
Figura 4. Sezione coronale e assiale di un caso di gozzo cervico-mediastinico grado 2 (compreso tra convessità e concavità aortica), tipo B (retro-vascolare e para-tracheale) monolaterale
Figura 5. Sezione assiale di un gozzo cervico-mediastinico grado 2 tipo C monolaterale
Figura 6. Sezione coronale di un caso di gozzo cervico-mediastinico grado 2 tipo A (prevascolare) monolaterale
I criteri di selezione dei pazienti da candidare alll’intervento chirurgico sono:
- gozzo multinodulare con presenza di sintomi di compressione della via aero-digestiva e/o problemi cosmetici
- gozzo affondato in mediastino
- ipertiroidismo non ulteriormente trattabile con mezzi non chirurgici (farmaci anti-tiroidei, radio-iodio)
Tecnica chirurgica
L'incisione della cute e del platisma, trasversa, leggermente arcuata, viene condotta 3-4 cm sopra il giugulo. I lembi cutanei vengono sollevati dalla fascia cervicale comune, in alto sino alla cartilagine tiroide ed in basso sino al giugulo (figura 7). I muscoli retti anteriori (sternojoideo e sternotiroideo) vengono separati sulla linea mediana e dissecati dal parenchima tiroideo (figura 8). La retrazione laterale selettiva dei muscoli retti è generalmente sufficiente a garantire una buona esposizione. Si ricorre alla loro sezione trasversale in caso di struma particolarmente voluminoso, di sviluppo posteriore di uno o di entrambi i lobi o, in generale, di condizioni anatomiche sfavorevoli.
Figura 7. Tecnica chirurgica: incisione e sollevamento dei lembi cutanei
Figura 8. Tecnica chirurgica: dissezione dei muscoli retti anteriori (sterno-joideo e sterno-tiroideo) con evidenza dell’ansa discendente del nervo ipoglosso lateralmente al muscolo sterno-tiroideo.
Il clivaggio nello spazio chirurgico peri-tiroideo, all'interno della fascia peri-tiroidea (figura 9), conduce alla vena tiroidea media (figura 10) e, dopo la sua legatura, è possibile lussare medialmente il lobo e valutare preliminarmente il decorso e i rapporti dell’arteria tiroidea inferiore con l’ilo ghiandolare, il nervo ricorrente e le ghiandole paratiroidi.
Figura 9. Tecnica chirurgica: dissezione dello spazio cellulare peri-tiroideo
Figura 10. Tecnica chirurgica: identificazione della vena tiroidea media e delle vene tiroidee inferiori
Si procede poi alla divisione del peduncolo vascolare superiore, realizzata legando individualmente i singoli rami arteriosi e venosi del peduncolo a ridosso del polo ghiandolare, per evitare l’allacciatura accidentale del ramo esterno del nervo laringeo superiore (figura 11). In tal modo, la ricerca sistematica di questo nervo può essere superflua.
Figura 11. Tecnica chirurgica: legatura del peduncolo vascolare superiore, previa identificazione del ramo esterno del nervo laringeo superiore
Il nervo ricorrente viene generalmente identificato nel triangolo di Loré, delimitato da carotide, trachea e lobo tiroideo, appena sopra lo stretto toracico superiore e seguito per tutto il suo decorso cervicale sino al suo ingresso nella laringe (figura 12). L’arteria tiroidea inferiore, per la sua grande variabilità di rapporti, non rappresenta un punto di repere sempre affidabile per l’identificazione del nervo (figura 13). Il nervo ricorrente viene poi a sua volta utilizzato come repere per l’identificazione delle ghiandole paratiroidi (figura 14).
Figura 12. Tecnica chirurgica: identificazione e dissezione del nervo laringeo inferiore (ricorrente) sino al suo ingresso nella laringe
Figura 13. Tecnica chirurgica: rapporti dell’arteria tiroidea inferiore con il nervo laringeo inferiore
Figura 14. Tecnica chirurgica: rapporti delle ghiandole paratiroidi con il nervo laringeo inferiore.
Nella grande maggioranza dei casi, la paratiroide inferiore si trova in un'area anteriore e quella superiore in un'area posteriore rispetto al nervo. La paratiroide inferiore è generalmente separata dalla capsula tiroidea, talvolta inglobata nel residuo del timo. Per tale motivo non è sempre necessario identificarla, ma solo porre attenzione a non comprenderla nella lobectomia. La paratiroide superiore si trova più frequentemente adagiata sulla capsula tiroidea al confine posteriore del lobo e viene quasi sempre identificata dopo la legatura del peduncolo vascolare superiore. Quando la dissezione delle paratiroidi risulta problematica e la loro vascolarizzazione risulta compromessa o quando si verifica il distacco accidentale completo di una o più paratiroidi, si deve procedere all’espianto e all’immediato reimpianto delle paratiroidi in una tasca del muscolo sterno-cleido-mastoideo, previa sezione accurata del parenchima ghiandolare in piccoli frammenti per renderne più facile l’attecchimento (18) (figura 15).
Figura 15. Tecnica chirurgica: reimpianto di frammenti di paratiroide espianta in una tasca del muscolo sterno-cleido-mastoideo
Si procede poi alla legatura e alla divisione delle vene tiroidee inferiori e dei rami terminali dell’arteria tiroidea inferiore a ridosso del parenchima ghiandolare, possibilmente dopo aver separato le paratiroidi con il loro peduncolo vascolare. La sezione del legamento sospensore posteriore di Berry, che rappresenta la ‘zona aderente’ della superficie mediale del lobo con l’asse laringo-tracheale, viene eseguita con il nervo ricorrente sotto costante controllo e rispettando tutti i suoi eventuali rami di divisione (figura 16). In questo tempo, poniamo particolare attenzione all’allacciatura dell’arteria laringea inferiore, che compare medialmente e tende a retrarsi sotto il nervo. Preferiamo eseguire la dissezione del legamento sospensore posteriore di Berry in senso latero-mediale, lussando medialmente il lobo ghiandolare e mantenendo il nervo ricorrente sotto costante controllo diretto. La dissezione del lobo piramidale e la sezione dell’istmo al confine con il lobo controlaterale concludono l’intervento di lobectomia tiroidea. Nella tiroidectomia totale eseguiamo l’intervento controlaterale con la medesima tecnica.
Figura 16. Tecnica chirurgica: sezione del legamento sospensore posteriore di Berry
Per l’asportazione dei gozzi cervico-mediastinici abbiamo generalmente utilizzato la via d’accesso cervicale sopra-sternale. In alcuni casi, tale accesso è stato allargato agevolmente e senza reliquati iatrogeni attraverso la sezione e disarticolazione del terzo mediale della clavicola dal lato più critico (figura 17). Raramente, in casi particolarmente affondati nel mediastino anteriore, siamo dovuti ricorrere alla sternotomia mediana più o meno completa (figura 18).
Figura 17. Tecnica chirurgica: accesso al mediastino antero-superiore attraverso sezione e disarticolazione del 1/3 mediale della clavicola
Figura 18. Tecnica chirurgica: accesso al mediastino anteriore attraverso sternotomia mediana
Complicanze
La tecnica chirurgica negli interventi sulla ghiandola tiroide grazie sia a protocolli chirurgici standardizzati, frutto dell’evoluzione di precedenti esperienze, sia all’utilizzo di nuovi strumenti operativi, ed in particolare del microscopio e delle loupes operatorie con ingrandimento, ha raggiunto oggigiorno una sofisticazione tale che le complicanze sono da considerarsi percentualmente molto ridotte rispetto a quelle di qualche decennio addietro. Tenendo ben presenti quelli che sono i principi basilari di questa chirurgia, ossia risoluzione della patologia e salvaguardia delle strutture “nobili” della loggia tiroidea (nervi laringei e ghiandole paratiroidi), è pur vero che il chirurgo spesso si trova di fronte a condizioni anatomiche profondamente sovvertite rispetto alle sue aspettative (sovvertimento dei rapporti topografici tra la ghiandola e le strutture da ricercare ad opera di gozzi voluminosi o per gli esiti di precedenti interventi chirurgici parziali), per cui, oltre ad un adeguato bagaglio tecnico e di esperienza, deve necessariamente conoscere le possibili complicanze dell’atto che sta compiendo e la loro incidenza statistica.
Le complicanze principali sono la paralisi del nervo laringeo ricorrente, transitoria e permanente, e l’ipoparatiroidismo, transitorio e permanente.
La paralisi del nervo laringeo ricorrente può verificarsi per una iatrogenicità peroperatoria o può insorgere dopo l’intervento. Durante l’intervento il nervo laringeo inferiore deve essere sempre identificato per tutto il suo decorso cervicale sino al punto di ingresso nella laringe. Le cause principali che possono ledere il tronco nervoso sono la sezione accidentale, la sua causticazione per mancato riconoscimento, l’eccessiva trazione durante la lussazione della ghiandola e il suo schiacciamento strumentale. L’isolamento del nervo deve essere condotto per via smussa e l’emostasi dei numerosi vasi perinervosi deve essere assicurata, vaso per vaso, con lacci riassorbibili di piccolo calibro, evitando accuratamente l’uso dell’elettro-coagulatore. Anche se si è certi dell’integrità del nervo, il deficit funzionale può manifestarsi lo stesso con paralisi della corda vocale o con una sua ridotta motilità. Tali eventi, generalmente temporanei, possono riconoscere la causa eziologica nello stiramento del nervo o in un indiretto schiacciamento con conseguente edema. Altre rare volte può succedere una paralisi o paresi cordale tardiva, probabilmente da imputarsi ad un piccolo ematoma comprimente il nervo, oppure al decubito di un drenaggio malposizionato; anche queste evenienze sono fortunatamente sempre temporanee.
In letteratura l’incidenza di paralisi ricorrenziale permanente, per interventi di tiroidectomia effettuati su casi non neoplastici, varia dallo 0% al 5.9% (1,6,8,9,13,17,20,21,24). In casi di reintervento, tale incidenza può raggiungere il 20% (19). Nella nostra casistica abbiamo osservato una paralisi ricorrenziale temporanea nell’1.7% dei nervi esposti a rischio e una paralisi ricorrenziale permanente nello 0.6%. Non si è verificato nessun caso di paralisi ricorrenziale bilaterale transitoria o permanente (tabella 1).
Tabella 1 Prevalenza del deficit del nervo laringeo ricorrente dopo chirurgia tiroidea |
|||
Autore | N° complessivo di nervi ricorrenti isolati | Deficit (%) | |
temporaneo | permanente | ||
Herran–Gonzales (13) | 513 | 2.1 | 2.3 |
Debry (6) | 835 | 1.9 | 0.3 |
De Roy (8) | 489 | 3 | |
Moulton-Barrett (20) | 334 | 2.1 | |
Osmolsky (21) | 847 | 7.8 | 5.9 |
Ku (17) | 98 | 2.6 | 0 |
Duclos (9) | 134 | 2.2 | |
Vaiman (25) | 7668 | 2.8 | 1.4 |
Bellantone (1) | 1052 | 1.4 | 0.4 |
ORL ASMN RE | 3541 | 1.7 | 0.6 |
L'ipoparatiroidismo permanente è una delle complicanze clinicamente più rilevanti della tiroidectomia totale. L’incidenza, in letteratura, varia dallo 0% al 24.2% (1,6,8,9,13,19,20,14,24). E’ sicuramente meno grave l’ipoparatiroidismo temporaneo, la cui incidenza, secondo diverse casistiche, può arrivare tuttavia fino al 45% (14). Nella nostra casistica abbiamo riscontrato un ipoparatiroidismo temporaneo nel 14.8% e permanente nel 4.2% dei pazienti sottoposti a tiroidectomia totale (tabella 2).
Tabella 2 Prevalenza dell'ipoparatiroidismo dopo tiroidectomia totale |
|||
Autore | N° complessivo di casi | Ipoparatiroidismo (%) | |
temporaneo | permanente | ||
Herran–Gonzales (13) | 185 | 10 | 8 |
Debry (6) | 247 | 14 | 3.2 |
De Roy (8) | 341 | 6 | |
Robert (24) | 94 | 45 | 24.2 |
Liu (19) | 106 | 8.5 | 0 |
Moulton-Barrett (20) | 34 | 3.2 | |
Duclos (9) | 134 | 7.4 | |
Vaiman (25) | 3834 | 24.2 | 3.5 |
Bellantone (1) | 526 | 7.8 | 3.4 |
ORL ASMN RE | 1001 | 14.8 | 4.2 |
Il più delle volte, il danno permanente è secondario alla mancata conservazione dei peduncoli vascolari delle paratiroidi o alla loro asportazione accidentale. Per prevenire questa complicanza, clinicamente caratterizzata da crisi tetaniche particolarmente dolorose e spiacevoli per i pazienti, è fondamentale la ricerca sistematica di tutte e quattro le paratiroidi e l’accurata legatura dei loro peduncoli vascolari in prossimità del parenchima tiroideo per ridurre al minimo il danno ischemico. Anche se alcuni autori (2,11,12,15,19,23) riportano una maggiore incidenza di ipoparatiroidismo e di paralisi ricorrenziale nella tiroidectomia totale rispetto alla tiroidectomia subtotale, negli anni più recenti sono sempre più gli autori (1,6,7,14,16,22,26) che preferiscono la tiroidectomia totale alla subtotale nel trattamento della patologia tiroidea benigna, per il fatto che l’incidenza di complicanze nelle due metodiche ultimamente si equivale mentre la percentuale di recidive di gozzo o di ipertiroidismo dopo tiroidectomia subtotale è mediamente del 15-30%, ma può raggiungere il 60% (19). Di conseguenza, la relativamente alta percentuale di tiroidectomia di completamento, che comporta un alto tasso di complicanze, rappresenta un ulteriore argomento a favore della tiroidectomia totale primaria. Anche l’emostasi viene realizzata meglio nella tiroidectomia totale, dove tutti i vasi sono identificati e legati, che nella tiroidectomia subtotale che lascia un residuo di tessuto tiroideo vascolarizzato.
Vaiman e coll. (24) hanno fatto una revisione della letteratura analizzando più di 3000 articoli e monografie che confrontano gli intervento di tiroidectomia totale, subtotale e quasi totale con particolare attenzione all’incidenza di complicanze. Essi concludono, anche da una revisione della loro casistica, che non vi sono differenze statisticamente significative tra i tre tipi di intervento nell’incidenza di complicanze e che la tiroidectomia totale rappresenta l’intervento più appropriato per il gozzo multinodulare per l’assenza di recidive di malattia.
Conclusioni
A nostro avviso, la tiroidectomia totale rappresenta il trattamento di scelta nel gozzo multinodulare e diffuso e nella malattia di Graves-Basedow perché, non lasciando tessuto tiroideo in sede, non espone al rischio di recidiva di gozzo o di ipertiroidismo e, di conseguenza, al rischio di reintervento che, dopo una tiroidectomia subtotale o quasi-totale, è gravato da un’incidenza di complicanze significativamente più alta della tiroidectomia totale primaria (25). Inoltre, il tasso di complicanze è sostanzialmente uguale a quello delle tiroidectomie subtotale e quasi totale quando è eseguita da chirurghi esperti, con una corretta tecnica operatoria che prevede l’individuazione del nervo ricorrente per tutto il suo decorso cervicale e la conservazione accurata della vascolarizzazione delle paratiroidi.
Come sostiene Flynn (10), “virtually all experienced surgeons should be able to perform total thyroidectomies with less than 1% recurrent nerve injuries, with the long-term risk of hypoparathyroidism of 2% to 9%.”.
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Terapia citoriduttiva medico-nucleare del gozzo nodulare normofunzionante
Marco Chianelli
UOC Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale, Roma
Il gozzo multinodulare normofunzionante è una condizione frequente dell’età avanzata, che può determinare segni e sintomi compressivi cervicali con vario grado di disfagia e/o dispnea, anche severi. La terapia di elezione in questa patologia è la tiroidectomia, che consente la risoluzione immediata della compressione, in modo definitivo, e anche la diagnosi di eventuali focolai di carcinoma tiroideo. A causa delle dimensioni aumentate e del prolungato tempo operatorio, tuttavia, l’intervento può essere gravato da una maggiore frequenza di complicanze locali. I pazienti portatori di questa patologia, inoltre, sono frequentemente affetti da comorbilità, che sconsigliano o controindicano l’intervento chirurgico.
Una possibile alternativa è la terapia medico-nucleare, basata sull’uso dello iodio-131 (131I). La terapia citoriduttiva medico-nucleare è molto ben tollerata, non determina effetti sistemici. È semplice ed economica e può essere effettuata in regime ambulatoriale, compatibilmente con i limiti imposti dalla normativa radioprotezionistica. Può essere ripetuta se necessario. Evita i possibili effetti collaterali della terapia chirurgica (1,2).
MODALITÀ STANDARD
Note metodologiche
Per questa indicazione lo 131I viene utilizzato a bassa attività/grammo di tessuto tiroideo (dose assorbita di radiazioni: 100 Gy), allo scopo di ridurre la possibilità di effetti collaterali locali, particolarmente importante in questo gruppo di pazienti in cui esistono già effetti compressivi (3).
Secondo la normativa vigente in Italia, la terapia può essere effettuata in regime ambulatoriale se l'attività da somministrare non supera i 600 MBq (16.2 mCi) (4).
I pazienti non necessitano di preparazione, tranne una dieta povera di iodio nei 10 giorni precedenti la terapia e l'evitare l'assunzione di farmaci contenenti iodio e mezzi di contrasto organo-iodato per un tempo idoneo, variabile in base al composto (vedi tutto sul radioiodio).
Risultati attesi
Nei pazienti con gozzo di medie dimensioni (fino a 100 cc), la terapia citoriduttiva con radioiodio determina una riduzione di volume della tiroide pari a circa il 25% dopo 3-6 mesi, per raggiungere il 50% dopo un anno e arrivare fino al 60% dopo 3-5 anni. Una seconda dose di 131I, se necessaria, determina un effetto aggiuntivo. Per gozzi di elevate dimensioni (> 100 cc), l’effetto citoriduttivo atteso è minore (circa 30-40% a un anno) e si riduce all’aumentare delle dimensioni iniziali. Nel gozzo semplice l’effetto citoriduttivo è maggiore rispetto a quello osservato nel gozzo nodulare. In oltre il 75% dei pazienti si ottiene un significativo miglioramento dei sintomi compressivi e della funzionalità respiratoria (5).
Effetti indesiderati
Raramente il paziente lamenta nausea, ma nei pazienti a rischio è indicata l’assunzione di gastro-protettori (ranitidina 150 1 cp x 2/die per una settimana, iniziando il giorno precedente la terapia con 131I).
Si può verificare ipertiroidismo transitorio da tiroidite attinica (nel 3-5% dei casi), a causa della immissione in circolo degli ormoni tiroidei preformati in seguito al danno cellulare; più raramente ipertiroidismo autoimmune (5%) di lunga durata.
Non è descritto in letteratura un significativo aumento del volume tiroideo conseguente alla terapia con 131I, molto temuto in questi pazienti: uno studio del 1995 ha riportato a 7 giorni dalla terapia un aumento di volume massimo pari al 4% (3,6).
Raramente può insorgere lieve dolenzia cervicale, tipicamente qualche giorno dopo il trattamento, responsiva ai comuni farmaci anti-infiammatori.
L'ipotiroidismo può insorgere dopo circa un anno nel 20% dei pazienti ed entro 6-8 anni nel 30-40% dei pazienti trattati (7).
Monitoraggio dopo la terapia
I pazienti dovranno essere monitorati per la verifica del successo terapeutico e per l’insorgenza di possibili effetti collaterali.
Nelle prime settimane dovrà essere monitorata la comparsa di effetti collaterali precoci (dolore ed ipertiroidismo).
Si consiglia una frequente valutazione dello stato funzionale tiroideo nei primi mesi (30 giorni dopo il trattamento e poi ogni 2-3 mesi in base ai risultati) e una volta all’anno dopo i primi 12 mesi, anche nei pazienti eutiroidei. Il monitoraggio della funzione tiroidea, almeno una volta l’anno, deve continuare indefinitamente per la possibile comparsa di ipotiroidismo anche molti anni dopo la terapia (8).
E’ opportuno eseguire una TC del collo di controllo dopo 6-12 mesi, per verificare l’effetto citoriduttivo e la decompressione locale, valutando il diametro traverso della trachea, ed eventualmente pianificare un successivo trattamento, consigliabile nel caso in cui non si verifichino riduzione clinicamente significativa del volume dopo 6 mesi.
Controindicazioni
Le uniche controindicazioni alla terapia con 131I sono la gravidanza e l’allattamento.
La presenza di noduli sospetti per malignità è una precisa indicazione alla tiroidectomia totale.
Limiti della terapia citoriduttiva medico-nucleare
Al momento della dimissione i pazienti avranno una residua attività circolante di 131I e dovranno seguire scrupolosamente istruzioni radioprotezionistiche per limitare l’esposizione a radiazioni ionizzanti al pubblico e ai familiari; ciò può comportare limitazioni dell'attività sociale e/o lavorativa. La terapia medico-nucleare non può essere eseguita in pazienti non in grado di seguire tali raccomandazioni (vedi tutto sul radioiodio).
Poichè gli effetti della terapia medico nucleare si ottengono dopo vari mesi, la terapia con 131I non è consigliabile nei pazienti con gravi effetti compressivi, in cui sia indicato un effetto decompressivo rapido.
L’efficacia di questo tipo di terapia, infine, è limitata dalla captazione del radioiodio: solo le aree tiroidee captanti subiscono gli effetti dell’irraggiamento; l’efficacia, pertanto, sarà minore nei gozzi disomogenei, con estese aree non captanti, e limitata alle sole aree captanti.
CON UTILIZZO DI rhTSH
Per superare i limiti della terapia citoriduttiva con 131I, è stato recentemente proposto l’impiego del rhTSH perchè la somministrazione del rhTSH aumenta la captazione del 131I, anche nelle aree scarsamente captanti.
A tutt’oggi l’uso del rhTSH per questa indicazione è off label e deve essere impiegato in studi sperimentali dopo autorizzazione del comitato etico, o nel singolo paziente, dopo consenso informato sotto la responsabilità del medico che effettua la somministrazione.
Vantaggi
L’impiego del rhTSH, consente il trattamento medico-nucleare in regime ambulatoriale anche di pazienti che, a causa della scarsa captazione avrebbero necessitato di ricovero protetto per le elevate dosi necessarie. Esempio: se un paziente ha una bassa captazione del 131I a 24 ore (20%) e la sua tiroide pesa 60 g, per ottenere una concentrazione di 131I pari a 100 µCi/g è necessario somministrare 30 mCi di 131I (il 20% di 30 mCi è pari a 6 mCi, dose captata dalla tiroide, che, per 60 g di tiroide corrispondono a 100 µCi/g). Per somministrare 30 mCi di 131I è necessario il ricovero ospedaliero in ambiente protetto. Se il paziente viene pre-trattato con rhTSH, si ottiene un aumento della captazione del 131I di circa il 100%; dopo stimolo, pertanto, la captazione del 131I sarà di circa il 40%; per ottenere la stessa concentrazione intra-tiroidea del radioiodio, pertanto, sarà possibile somministrare al paziente solo 15 mCi, compatibili con il trattamento ambulatoriale. La riduzione dell'attività somministrata, infine, determina una netta riduzione dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti, con riduzione del rischio e semplificazione delle norme radioprotezionistiche.
La riduzione di volume complessiva ottenuta dopo somministrazione di rhTSH, inoltre, è maggiore, in quanto rispondono al trattamento anche i noduli che, di base, sono scarsamente captanti. L’uso del rhTSH determina una riduzione di volume dal 35 al 56% maggiore rispetto all’uso del 131I senza stimolo con rhTSH. (3,9,10). In contrasto con quanto avviene con il solo 131I, l’effetto citoriduttivo dopo rhTSH aumenta all’aumentare delle dimensioni del gozzo.
Effetti collaterali
L’effetto collaterale più temuto è il transitorio aumento di volume tiroideo, che si può verificare 24-48 ore dopo la somministrazione di rhTSH in circa il 20% dei pazienti. Tale effetto è dose-dipendente: pari al 35% per 0.9 mg rhTSH, 24% per 0.3 mg rhTSH, e 10% for 0.1 mg rhTSH (9,11).
L'aumento di volume, dovuto a edema tiroideo, è sensibile alla somministrazione di cortisone, che può essere somministrato preventivamente nei pazienti a maggior rischio (betametasone 4 mg per via e.v. prima della terapia, da ripetere 24 e 48 ore dopo).
Un altro effetto che si verifica frequentemente è un transitorio ipertiroidismo, conseguente alla stimolazione della produzione di ormoni tiroidei indotta dal rhTSH. Inizia 4-8 ore dopo la somministrazione, raggiunge il massimo 24-48 ore dopo, per normalizzarsi entro 3 settimane. Dosi di rhTSH pari a 0.1 mg determinano un aumento della produzione di ormoni tiroidei contenuta entro i limiti della norma nella maggior parte dei pazienti (12), in assenza di significativi effetti cardiovascolari (13).
Note metodologiche
Nonostante non esista un protocollo riconosciuto e condiviso, sono stati ottenuti numerosi dati. Una dose di rhTSH tra 0.1 e 0.03 mg aumenta la captazione di circa il 100%; l’impiego di 0.1 mg sembra dare risultati maggiormente riproducibili. Dosi superiori, fino a 0.3 mg, sono state impiegate ma con scarso incremento della captazione tiroidea del 131I, a scapito di un significativo aumento degli effetti collaterali (14).
Il rhTSH somministrato 24-48 ore prima della dose terapeutica di 131I consente il massimo aumento della captazione. Il protocollo attualmente più consigliabile si basa sulla somministrazione di 0.1 mg di rhTSH seguito, 24 ore dopo, dalla somministrazione di una dose diagnostica di 131I per scintigrafia e captazione e, 48 ore dopo, dalla somministrazione di una dose terapeutica di 131I, tipicamente calcolata per ottenere una concentrazione di 100-120 µCi/g di tessuto tiroideo.
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Patologia nodulare della tiroide
Overview sulla formazione dei noduli
Overview su clinica e approccio diagnostico
Linee guida per la gestione clinica del nodulo tiroideo
Terapia chirurgica:
Overview sulla formazione dei noduli tiroidei
Carlo Cappelli
Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna, Spedali Civili di Brescia
Gozzo multinodulare
Il TSH è il principale, anche se non unico, fattore che regola la proliferazione e funzione delle cellule tiroidee. Nei paesi iodio-carenti il deficit di iodio rappresenta la principale causa predisponente allo sviluppo di gozzo multinodulare. Il meccanismo principale attraverso il quale la carenza iodica porta alla formazione del gozzo è legato ad una iniziale riduzione della sintesi degli ormoni tiroidei che causano una maggiore increzione di TSH. Il cronico stimolo tireotropinico indurrà ipertrofia e iperplasia dei follicoli.
Un complesso network di vie TSH-dipendenti ma anche indipendenti dirette sulla crescita e funzione delle cellule follicolari tiroidee svolge un ruolo nel processo di goitrogenesi, qualunque sia la causa della diminuita concentrazione di iodio intra-ghiandolare. In particolare, numerosi fattori di crescita, derivanti sia dal circolo sanguigno sia da secrezioni autocrine e paracrine, regolano la proliferazione e differenziazione delle cellule tiroidee (1). A questo proposito è stata dimostrata la presenza sulle cellule follicolari di recettori per fattori stimolanti la crescita, come l’epidermal growth factor (EGF), l’insulin-like growth factor (IGF-1 e IGF-2), o di fattori inibenti quale il transforming growth factor ß (TGF ß) (1). Mutazioni somatiche monoclonali di cellule ad elevata capacità di metabolizzare lo iodio daranno origine a formazioni funzionanti (noduli “caldi”), mentre l’espansione di cloni a bassa o nulla capacità daranno origine a noduli non funzionanti (noduli “freddi”) (2).
Mutazioni genetiche del recettore per TSH
Mutazioni somatiche per il recettore del TSH (TSH-R) si riscontrano nel 30-80% dei pazienti affetti da adenoma autonomo (M. di Plummer):
- mutazioni attivanti il gene del TSH-R causano una sua attivazione costitutiva con proliferazione clonale
- mutazioni del gene Gs-alfa causano una attivazione costitutiva dell’adenilato-ciclasi con conseguente proliferazione clonale.
Adenomi follicolari
Mutazioni puntiformi dei proto-oncogeni H-ras, K-ras e N-ras sono stati identificati sia negli adenomi che carcinomi follicolari (3-7).
La teoria del gozzo nodulare come patologia delle cellule staminali
Cellule staminali totipotenti sono state recentemente individuate nel tessuto tiroideo, indipendentemente dall’età del soggetto (8).
In vitro si è evidenziato come la loro potenziale proliferazione e sdifferenzazione sia sotto stretto controllo ed in equilibrio tra processi di apoptosi e fattori di crescita. L’aumento dei processi apoptotici o l’eccessivo stimolo proliferativo può alterare la fine regolazione di questo equilibrio, così da indurre proliferazione delle cellule staminali e trasformazione in cellule progenitrici differenziate, base per lo sviluppo di formazioni nodulari (9).
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Overview su clinica e approccio diagnostico del nodulo tiroideo
Carlo Cappelli
Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna, Spedali Civili di Brescia
Il riscontro di noduli tiroidei è piuttosto frequente nella pratica clinica, soprattutto in aree con deficit di iodio di grado lieve-moderato come l’Italia (1).
La presenza di uno o più noduli all’interno della ghiandola tiroide viene solitamente rivelata da:
- evidenza alla palpazione e/o all’ispezione di tumefazione nella regione anteriore del collo;
- riscontro nel corso di ecografia tiroidea eseguita come approfondimento diagnostico in un paziente affetto da ipotiroidismo o ipertiroidismo;
- riscontro occasionale nel corso di indagini eseguite per patologie non tiroidee (es. doppler TSA, ecografia del collo per linfoadenopatia latero-cervicale, Rx prime vie digestive con pasto baritato, ecc.).
La clinica dipenderà dalle dimensioni del nodulo e se lo stesso è causa di distiroidismo.
Un nodulo tiroideo di piccole dimensioni generalmente è asintomatico.
Uno o più noduli voluminosi possono causare dispnea e/o disfagia, tosse stizzosa e /o disfonia (figura).
Se il nodulo è iperfunzionante, il paziente avverte i sintomi classici dell'ipertiroidismo: nervosismo, tremori, iperidrosi, intolleranza al caldo, astenia, perdita di peso, aumento dell'appetito, tachicardia, ecc (2,3).
Bibliografia
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Scopo del percorso diagnostico è quello di identificare i noduli di interesse chirurgico (1). Il rilievo clinico e/o strumentale di un nodulo tiroideo dovrebbe essere seguito da un'accurata anamnesi e da un esame obiettivo completo.
NOTIZIE ANAMNESTICHE
Il sospetto di patologia neoplastica deve essere tenuto in considerazione nel caso di:
- esposizione a radiazioni ionizzanti (a scopo terapeutico o incidentale) a livello della testa e del collo durante l’infanzia e/o l’adolescenza, poiché rappresenta l’unico fattore eziologico ambientale certo predisponente allo sviluppo di neoplasia tiroidea maligna (2-6)
- storia familiare di carcinoma tiroideo o di cancro tiroideo sindromico (p.e. sindrome di Cowden, poliposi familiare, complesso di Carney, neoplasie endocrine multiple [MEN] tipo 2, sindrome di Werner) in un familiare di primo grado (7)
- qualora il nodulo venga riscontrato in soggetti di sesso maschile, in particolar modo di età > 60 anni e/o < 20 anni, o nel caso in cui il nodulo abbia una crescita rapida e/o si associ a sintomi da compressione quali dispnea, disfagia, tosse stizzosa, disfonia (5,7,8)
- riscontro di un nodulo tiroideo in età pediatrica ed adolescenziale, indipendentemente dal sesso (9).
ESAME OBIETTIVO
La palpazione del collo permette di accertare il carattere unico o multiplo, la localizzazione, le dimensioni, la fissità, la dolorabilità dei noduli tiroidei e, infine, l’eventuale coesistenza di linfoadenopatia satellite.
La tendenza al progressivo accrescimento, la consistenza duro-lignea, l’irregolarità della superficie del nodulo, la fissità alla trachea e/o alle strutture molli del collo sono parametri di sospetto per carcinoma tiroideo (10).
La rapida comparsa di una tumefazione ghiandolare (“dalla sera alla mattina”), il dolore acuto, la tensione e la dolorabilità alla palpazione suggeriscono invece una emorragia in un nodulo cistico o misto, o una lesione infiammatoria.
L’inizio subdolo del dolore e la sua persistenza indirizzano invece per una lesione infiammatoria acuta o subacuta (10).
La presenza di linfoadenopatia latero-cervicale e/o sovra-claveare è tra i segni obiettivi più indicativi di una patologia maligna e può essere, specie nei giovani, la manifestazione clinica iniziale di un carcinoma papillare della tiroide (10).
ESAMI DI LABORATORIO
Il dosaggio del TSH sierico è fondamentale nella valutazione iniziale di un paziente con noduli tiroidei. Se il TSH è inferiore ai limiti della norma, andrebbe eseguita una scintigrafia tiroidea. In presenza di nodulazioni ipocaptanti (noduli freddi) bisognerà procedere ad esame citologico.
I dosaggi della tireoglobulina e degli anticorpi anti-tiroide (AbTg, AbTPO, TRAb) non sono informativi nel distinguere la natura di un nodulo.
Alcuni dati suggeriscono come l’uso routinario del dosaggio della calcitonina sierica sia utile nell’individuare il carcinoma midollare della tiroide in uno stadio più precoce, aumentando la sopravvivenza globale per tale patologia (11-14).
TECNICHE DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
Scintigrafia tiroidea
Allo stato attuale l’indagine scintigrafica assume un ruolo diagnostico solo nel caso in cui il TSH risulti soppresso: si tratta quindi di un esame da prescrivere solamente in condizioni di tireotossicosi (7).
I noduli possono avere scarsa attività funzionale e quindi non captare o ipocaptare il radioisotopo (“noduli freddi”) o avere attività funzionale autonoma e iperconcentrare il tracciante (“noduli caldi”) (figure).
Nodulo Freddo lobo destro Nodulo caldo lobo sinistro
Circa l’85% delle formazioni nodulari appaiono alla scintigrafia tiroidea come “noduli freddi” e di questi circa il 10-15% risulta poi essere di natura maligna (15, 16). Viceversa i noduli caldi sono da sempre considerati a bassissimo rischio di malignità (17).
Ecografia del collo
L’ecografia tiroidea dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti con noduli tiroidei noti o sospetti.
Attraverso l’ecografia è possibile rilevare la presenza di formazioni nodulari non palpabili. L’ecografia del collo consente inoltre uno studio approfondito anche delle regioni extra-ghiandolari, valutando, in particolare, l’eventuale presenza di linfoadenopatia locoregionale e le possibili infiltrazioni di strutture vicine (10).
È l’indagine di prima scelta per una corretta valutazione del numero, dei margini e delle dimensioni delle lesioni nodulari: di queste ultime, la tecnica ad ultrasuoni consente di apprezzarne la natura (solida, cistica oppure mista), l’eventuale presenza di calcificazioni e di discriminare strutture nodulari di dimensioni anche inferiori al millimetro (7).
Integrando lo studio ecografico con la valutazione del flusso vascolare al Color-Doppler è possibile avere informazioni sulla vascolarizzazione della lesione nodulare.
In ambito ecografico l’identificazione di un nodulo sospetto si fonda sulla valutazione di aspetti predittivi di malignità. Non esistono parametri ecografici che ci consentono con certezza di classificare una lesione nodulare come benigna o maligna; tuttavia, alcune caratteristiche possono orientare verso un’ipotesi diagnostica (1): l’ipoecogenicità, la vascolarizzazione intra-nodale, i margini irregolari, la presenza di microcalcificazioni, l’assenza di alone periferico e la forma più alta che larga nella scansione trasversale sono stati associati ad una più elevata probabilità di malignità (18-23). Con l’eccezione della presenza di linfoadenopatie cervicali sospette, che costituisce una caratteristica altamente specifica ma poco sensibile, le altre caratteristiche ecografiche di sospetto, isolatamente o in combinazione, non costituiscono parametri adeguatamente sensibili e specifici per identificare con certezza tutti i noduli maligni, anche se alcune caratteristiche o associazioni hanno un elevato potere predittivo (22). Inoltre, i più comuni aspetti ecografici del carcinoma papillifero tiroideo (PTC) sono diversi da quelli del carcinoma follicolare tiroideo. Il PTC è generalmente solido o prevalentemente solido e ipoecogeno, spesso con margini irregolari e aumento della vascolarizzazione. La presenza di microcalcificazioni è altamente specifica per PTC ma possono essere difficili da distinguere rispetto a lacune di colloide. Al contrario, il carcinoma follicolare è più spesso iso- o iperecogeno, ha un alone spesso e irregolare e non presenta microcalcificazioni (24). Il nodulo cistico esprime solitamente una lesione benigna (25).
Un’attenta e accurata valutazione ecografica delle stazioni linfonodali del collo può indirizzare il clinico verso una diagnosi di malignità (26). Infatti, la concomitante presenza di linfoadenopatia loco-regionale, caratterizzata da linfonodi con rapporto diametro massimo/diametro minimo alterato, assenza di ilo germinativo e presenza di calcificazioni, avvalora il sospetto di lesione tiroidea di verosimile natura maligna, indipendentemente dalle caratteristiche ecografiche della lesione nodulare (26).
Caratteristiche ecografiche dirimenti delle linfadenopatie | ||
Carattere | LN reattivo | LN neoplastico |
Rapporto asse longitudinale/trasversale | > 2 | < 1.5 |
Profilo | fusiforme | tondeggiante |
Ilo | presente, centrale | assente |
Ecostruttura | omogenea | disomogenea |
Vascolarizzazione | assente o ilare | diffusa, anarchica |
Calcificazioni | assenti | presenti |
Elastografia
L’elastografia è una nuova tecnica ecografica, che permette di stimare la “durezza” del tessuto in esame, misurando il grado di distorsione sotto l’applicazione di una forza esterna. Si basa sul principio che sotto compressione le parti soffici del tessuto si deformano più facilmente delle parti dure, permettendo una determinazione oggettiva della consistenza del tessuto. Dati recenti evidenziano alta sensibilità e specificità nel predire la natura del nodulo, suggerendo una loro applicazione nel management del nodulo tiroideo (27).
Radiografia standard, TAC, RMN
In presenza di noduli di grandi dimensioni o di un gozzo multinodulare, può essere utile eseguire una radiografia della trachea per visualizzarne eventuali deviazioni o restringimenti di calibro (7).
L’impiego della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) è indicato nel valutare l’eventuale estensione della lesione ghiandolare nella regione mediastinica e nell’individuare l’eventuale coinvolgimento delle stazioni linfonodali toraco-mediastiniche o nel corso del follow-up delle eteroplasie.
L’utilizzo della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) è riservato esclusivamente a casi selezionati.
Ai fini della diagnosi differenziale dei noduli tiroidei la TAC e la RMN non forniscono alcun elemento diagnostico (7).
PET
Attualmente la tomografia a emissione di positroni con 2-desossi-2[18F]fluoro-D-glucosio (18F-FDG-PET) non trova impiego nella valutazione dei noduli tiroidei. Tuttavia, nell’1-2% dei pazienti sottoposti a tale metodica per motivi non tiroidei si evidenziano noduli. Poiché il rischio di malignità di queste lesioni è del 30-35% e questi tumori sono solitamente più aggressivi, tali formazioni devono essere sottoposte ad esame citologico (28-30).
ESAME CITOLOGICO MEDIANTE AGOASPIRATO (FNAC)
La FNAC è il metodo più accurato e cost-effective per la valutazione di noduli tiroidei (31,32), raggiungendo sensibilità e specificità del 95% (33,34).
L’esame eseguito con guida ecografica è scarsamente aggressivo, semplice da effettuare, ripetibile e le complicanze (emorragiche e/o infettive) sono rarissime (35,36).
In teoria tutti i noduli tiroidei potrebbero essere sottoposti a FNAC, ma la sua esecuzione, di regola sotto guida ecografica, è indicata nei pazienti con nodulo tiroideo che presentino elementi di rischio anamnestici e/o clinici e/o ecografici (37).
L’agoaspirazione di eventuali masse extra-tiroidee (linfonodali), specialmente se associata al dosaggio della tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’ago utilizzato, consente una diagnosi di certezza nel caso in cui la malattia si presenti solo con tumefazioni latero-cervicali o quando il coinvolgimento linfonodale sia clinicamente dubbio (38).
Oltre alla citologia convenzionale, sul materiale allestito su vetrino è possibile effettuare altre indagini al fine di avere ulteriori indicazioni diagnostiche e prognostiche:
- immunocitochimica, per il riconoscimento di marcatori tumorali
- videocitometria (image analysis): studio del contenuto di DNA cellulare
- ricerca di marcatori mediante tecniche di biologia molecolare (es: mutazioni gene RET, mutazioni p53)(39).
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Linee guida per la gestione clinica del nodulo tiroideo
Rinaldo Guglielmi & Enrico Papini
Divisione di Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
(aggiornato al 14 maggio 2019)
- Introduzione
- Costruzione delle linee guida
- Nodulo tiroideo
- Definizione
- Inquadramento
- Anamnesi (R 1 a-b)
- Esame obiettivo (R 2 a-b)
- Ecografia
- Indicazioni e ruolo (R 3 a-g)
- Sistemi di classificazione ecografica e refertazione (R 4 a-d)
- Indicazione all’agoaspirato tiroideo (R 5 a-l)
- Il significato delle tecniche di immagine “pesanti” (R 6 a-i)
- Il ruolo del laboratorio di analisi (R 7 a-l)
- Il ruolo dell’imaging radioisotopico nella valutazione iniziale (R 8 a-g)
- L’ago-aspirato tiroideo (R 9 a-c)
- La valutazione citologica (R 10 a-d)
- La gestione clinica del referto citologico (R 11 a-y)
- L’intervento chirurgico (R 12 a-e)
- La stadiazione pre-chirurgica (R 13 a-e)
- La “sorveglianza attiva” del micro-carcinoma (R 14 a-e)
- Intervento di completamento dopo iniziale lobo-istmectomia (R 15 a-c)
- La dissezione linfonodale dei compartimenti centrale e latero-cervicali (R 16 a-c)
- Gestione non chirurgica della patologia nodulare tiroidea
- Il referto istologico utilizzato per i tumori tiroidei
Bibliografia di riferimento
Abbreviazioni
La patologia nodulare della tiroide ha raggiunto dimensioni epidemiche negli ultimi decenni, a seguito dell’enorme diffusione dell’ecografia e della sua sensibilità. Questo ha portato al riscontro di noduli di piccole dimensioni, che sfuggono all’esame clinico palpatorio e il cui significato clinico è ancora incerto.
Mentre la prevalenza palpatoria dei noduli tiroidei nelle aree a sufficiente apporto iodico è di circa il 5% nelle donne e di circa l’1% negli uomini, l’impiego dell’ecografia ad alta risoluzione consente nelle stesse aree, a seconda delle varie casistiche, il riscontro di noduli tiroidei in una percentuale compresa tra il 19% e il 68%, con un aumento della prevalenza all’aumentare dell’età.
Il riscontro di malignità è incrementato parallelamente, come conseguenza della diffusione dell’esame citologico da ago-aspirato di tali noduli; non essendo immaginabile eseguire la valutazione citologica di tutti i noduli, nel corso degli anni sono stati individuati i caratteri ecografici che più frequentemente si associano al rischio di malignità e la cui presenza suggerisce l’approfondimento diagnostico citologico.
Il percorso clinico dovrebbe consentire di evidenziare i pazienti a reale rischio significativo di malignità clinica: in altri termini il work-up ha il compito di permettere la diagnosi di malattia in uno stadio precoce, quando tale diagnosi ha un impatto reale sulla gestione della malattia e sulla sua prognosi (possibili recidive e sopravvivenza).
2. COSTRUZIONE DELLA LINEE GUIDA
Le raccomandazioni contenute in questo capitolo devono essere applicate solo dopo un’adeguata valutazione del singolo soggetto, al fine di confermare l’adeguatezza delle raccomandazioni al contesto clinico specifico. È comunque necessaria un’approfondita discussione con il paziente, volta a valutare, oltre alle condizioni cliniche oggettivabili, anche le sue preferenze e valori.
La maggior parte delle presenti raccomandazioni deriva dalle linee guida (LG) AACE–ACE–AME e ATA, entrambe comparse nel 2016, e dal Joint Statement sulla Gestione della Patologia Neoplastica della Tiroide apparso nella primavera del 2018 e nato grazie alla collaborazione della Associazione Italiana della Tiroide, della Società Italiana di Endocrinologia, dell’Associazione Medici Endocrinologi, della Società Italiana di Medicina Nucleare, delle Società Italiana di Endocrino-Chirurgia e della Società dei Patologi Clinici.
3.1. Definizione
Un nodulo tiroideo è una lesione circoscritta nell’ambito ghiandolare, distinta e definita dal restante parenchima all’esame di immagini. La rilevazione può essere palpatoria o strumentale (ecografia tiroidea ad alta risoluzione).
Ai fini della condotta clinica è necessario ricordare che la maggior parte dei noduli tiroidei corrisponde a una lesione benigna e la percentuale di malignità è dell’ordine del 5%.
3.2. Inquadramento dei noduli tiroidei
In generale tutti i pazienti con riscontro palpatorio di formazioni nodulari della tiroide, isolate o nel contesto di un gozzo multi-nodulare, indipendentemente dal riscontro incidentale (nel corso di indagini eseguite per studio di patologie del collo non dirette alla tiroide) o non, necessitano di inquadramento clinico.
Anamnesi ed esame obiettivo (diretto alla ghiandola tiroidea e alle stazioni linfonodali del collo) sono utili strumenti per identificare i fattori di rischio per carcinoma e stratificare il rischio neoplastico del nodulo tiroideo.
Elementi clinici predittivi di possibile malignità di una lesione sono:
- esposizione a radiazioni ionizzanti in età pediatrica o adolescenziale;
- terapia radiante esterna total body eseguita prima del trapianto di midollo osseo;
- familiarità per carcinoma tiroideo o carcinoma tiroideo sindromico (sindrome di Cowden, sindrome di Gardner, complesso di Carney, MEN-2, poliposi adenomatosa familiare);
- sesso maschile, in particolare se età < 40 anni o > 60 anni;
- paese di origine (Hawaii specie nei maschi di origine cinese e donne filippine, Islanda, Filippine, Giappone e Israele);
- pregressa partecipazione a missioni militari;
- carcinoma midollare della tiroide (MTC) in un familiare di primo grado;
- rapida crescita del nodulo, consistenza dura e fissità rispetto ai tessuti circostanti;
- insorgenza di cambiamenti della tonalità della voce (voce roca), paralisi delle corde vocali;
- presenza di linfadenopatia cervicale persistente e con sintomatologia compressiva.
3.2.1. Anamnesi
R 1a. Valutare i seguenti dati: età, storia personale o familiare di malattia o carcinoma della tiroide, pregressa irradiazione di testa o collo, rapidità di crescita della lesione tiroidea, dolore in regione cervicale anteriore, disfonia, disfagia, sintomi di iper- o ipotiroidismo, assunzione di farmaci o supplementi contenenti iodio.
R 1b. Non basare l’esclusione della malignità sulla base della semplice assenza di sintomi.
3.2.2. Esame obiettivo
R 2a. Esaminare attentamente il collo, registrando: dimensioni e consistenza della tiroide, sede, consistenza, dimensione e numero dei noduli, dolorabilità o dolore cervicale, eventuale adenopatia cervicale di rilievo palpatorio.
R 2b. Valutare il rischio di tumore indipendentemente dalla presenza di un nodulo solitario o di un gozzo multi-nodulare.
4.1 Indicazioni e ruolo
L’ecografia della tiroide rappresenta il mezzo tecnico più utile per l’identificazione di lesioni nodulari tiroidee sospette per malignità, consentendo una selezione dei noduli da sottoporre ad agoaspirato. I reperti ecografici non sono spesso in grado di definire con sufficiente accuratezza la natura benigna o maligna di un nodulo tiroideo. Tuttavia, i singoli aspetti ecografici possono essere associati a un rischio di malignità basso, medio o elevato e la combinazione di più aspetti ecografici di rischio consente di predire con maggiore approssimazione la natura dei noduli.
Sono stati proposti numerosi sistemi di stratificazione del rischio ecografico di malignità ma, per la semplicità di uso, il Joint Statement Italiano ha adottato il sistema di stratificazione delle LG AACE/ACE/AME del 2016. Un recente contributo ha confermato che tale sistema di stratificazione è in grado di prevedere il rischio di neoplasia con accuratezza sovrapponibile ai sistemi più complessi, pur presentando il vantaggio di una maggiore semplicità d’uso.
Un’attenzione particolare va dedicata al referto dell’esame ecografico, che costituisce la principale interfaccia tra l’esaminatore e il destinatario dell’indagine (medico curante, specialista o altri). Poiché l’immagine ecografica statica allegata al referto ha un’utilità limitata, il referto deve assolvere ai compiti di informare il paziente e il medico inviante, rendere possibile il confronto con controlli precedenti o successivi e rendere possibile la costruzione di una casistica.
R 3a. L’ecografia tiroidea è raccomandata nei pazienti ad alto rischio di neoplasia, con noduli o gozzo palpabili o con adenopatia cervicale sospetta.
R 3b. L’ecografia tiroidea non è raccomandata come screening nella popolazione generale e nei pazienti con tiroide normale alla palpazione e/o a basso rischio clinico di tireopatia.
R 3c. Il referto ecografico deve essere focalizzato sul rischio di malignità, descrivendo posizione, dimensione, forma, margini, contenuto, ecogenicità e vascolarizzazione del nodulo. In caso di noduli multipli, descrivere in dettaglio il nodulo con caratteristiche a rischio di malignità e quindi più significativo (dominanza ecografica), piuttosto che il nodulo dimensionalmente più grande.
R 3d. Al referto ecografico dovrebbe essere aggiunta una classificazione che stratifichi il rischio di malignità della lesione, in modo da comunicare con chiarezza il rischio di neoplasia atteso per il nodulo in esame.
R 3e. Descrivere i linfonodi cervicali ingranditi solo se sospetti: in tal caso specificare compartimento, numero, forma, dimensione, margini, contenuto, ecogenicità, presenza o meno di ilo e vascolarizzazione.
R 3f. L’elastografia non può essere utilizzata in sostituzione dell’esame ecografico, ma solo a complemento nei noduli con reperti ecografici e/o citologici ambigui.
R 3g. Nell’inquadramento dei noduli tiroidei non è raccomandato l’uso di mezzi di contrasto ecografici. Si suggerisce il loro uso solo nel caso di individuazione dell’area di ablazione indotta dalle tecniche minimamente invasive.
4.2. Sistemi di classificazione ecografica e refertazione
R 4. Seguire la classificazione ecografica proposta dalle linee guida AACE-ACE-AME (figura 1).
R 4a. Classe 1: lesioni a basso rischio (rischio atteso di malignità circa 1%):
- cisti semplici;
- noduli in gran parte cistici (contenuto fluido > 80%) che presentino margini regolari, con artefatti da riverberazione (“comet tail”) e senza segni ecografici di sospetto;
- noduli pressoché interamente spongiformi, confluenti o con alone regolare.
Figura 1. Lesioni a basso rischio
R 4b. Classe 2: lesioni a rischio intermedio (rischio atteso di malignità circa 5-15%):
- noduli debolmente ipoecogeni (in confronto col tessuto tiroideo circostante);
- noduli isoecogeni di forma ovoidale o arrotondata e margini regolari o indefiniti.
Possono essere presenti e aumentano il rischio di malignità:
- vascolarizzazione intra-nodulare;
- elevata rigidità all’elastografia;
- macro-calcificazioni;
- spot iperecogeni di incerto significato (non definibili con certezza come micro-calcificazioni).
Figura 2. Lesioni a rischio intermedio
R 4c. Classe 3: lesioni ad alto rischio (rischio atteso di malignità circa 50-90%, in rapporto al numero di caratteri di sospetto). Sono presenti uno o più dei seguenti segni:
- marcata ipoecogenicità (rispetto ai muscoli pre-tiroidei);
- margini spiculati o lobulati (in almeno tre punti);
- micro-calcificazioni;
- forma “taller than wide”;
- crescita extra-tiroidea;
- adenopatia patologica.
Figura 3. Lesioni ad alto rischio
Tabella 1 Caratteristiche ecografiche dei noduli tiroidei benigni o maligni |
||
Suggestive di benignità | Cisti semplici (margini sottili e regolari) | |
Aspetto spongiforme (micro-cisti in un’area del nodulo > 50%) | ||
Noduli in gran parte cistici (> 80%), contenenti colloide (presenza di spot iperecogeni a “coda di cometa”) | ||
Calcificazione regolare a “guscio d’uovo” | ||
Suggestive di malignità | Carcinoma papillare | Nodulo solido marcatamente ipoecogeno (in confronto con i muscoli pre-tiroidei) |
Micro-calcificazioni prive di attenuazione posteriore | ||
Nodulo solido ipoecogeno con marcata vascolarizzazione intra-nodulare e senza alone periferico | ||
Nodulo “taller than wide” (diametro antero-posteriore > trasverso in scansione trasversale) | ||
Nodulo ipoecogeno con margini spiculati o lobulati | ||
Nodulo ipoecogeno con margini calcifici, interrotti da crescita di tessuto oltre il bordo calcificato | ||
Neoplasia follicolare (adenoma o carcinoma) | Nodulo isoecogeno o debolmente ipoecogeno, con vascolarizzazione intra-nodulare e alone periferico ben definito | |
Intermedie | Nodulo isoecogeno o iperecogeno con alone ipoecogeno periferico | |
Nodulo debolmente ipoecogeno (rispetto al parenchima circostante) con margini regolari | ||
Vascolarizzazione periferica | ||
Macro-calcificazione intra-nodulare |
R 4d. Il referto tiroideo deve contenere dettagli relativi a:
- sede della tiroide: descrizione di ectopie tiroidee o approfondimento mediastinico del gozzo;
- volume ghiandolare con descrizione di alterazioni: iperplasia/gozzo, atrofia o asimmetria dei lobi;
- eco-struttura ghiandolare e/o presenza di noduli.
In caso di noduli significativi (al massimo 2), specificare:
- dimensioni e morfologia;
- ecogenicità e omogeneità;
- presenza di eventuale componente cistica;
- caratteristiche dei margini;
- presenza e caratteristiche delle calcificazioni;
- vascolarizzazione nodulare (color-doppler e power-doppler).
Il referto deve segnalare in dettaglio solo linfadenopatie sospette del collo, indipendentemente dal fatto che siano riconducibili alla patologia tiroidea in esame.
Quando possibile eseguire elastografia e comunque al termine dell’esame deve essere riportata l’eventuale indicazione alla valutazione citologica da ago-aspirato.
4.3. Indicazione all’agoaspirato tiroideo (FNA)
R 5a. Nell’indicazione alla FNA bilanciare il rischio di ritardata diagnosi di malignità con quello di procedure diagnostiche o chirurgiche superflue e gestire uniformemente i noduli tiroidei, indipendentemente dal riscontro incidentale o non.
R 5b. La FNA non è raccomandata in noduli con diametro ≤ 5 mm, indipendentemente dai loro caratteri; in tali noduli è suggerita l’esecuzione dell’ecografia di controllo a 12-24 mesi.
R 5c. In noduli con diametro fra 5 e 10 mm con caratteri ecografici ad alto rischio è suggerita l’esecuzione di FNA o la semplice osservazione, a seconda del contesto clinico e della volontà del paziente. Si suggerisce comunque in tali noduli, se tecnicamente fattibile, la FNA nelle seguenti situazioni:
- lesioni sub-capsulari o para-tracheali;
- sospetto di crescita extra-tiroidea;
- presenza di linfonodi metastatici;
- storia personale o familiare di carcinoma midollare della tiroide o MEN;
- sospetto clinico di crescita invasiva (come disfonia persistente).
R 5d. La FNA è sempre raccomandata nelle lesioni tiroidee:
- con diametro ≥ 10 mm se ad alto rischio ecografico;
- con diametro ≥ 15 mm se a rischio ecografico intermedio;
- con diametro ≥ 20 mm se a rischio ecografico basso solo se i noduli sono in accrescimento significativo o sono associati a elementi clinici di sospetto.
R 5e. La FNA deve essere eseguita prima di procedere a chirurgia tiroidea o a terapia ablativa minimamente invasiva, indipendentemente dal tipo di ablazione.
R 5f. La FNA non deve essere eseguita routinariamente nei noduli iperfunzionanti (ipercaptazione alla scintigrafia), ad eccezione dei noduli in età pediatrica.
R 5g. Nelle tireopatie multi-nodulari eseguire la FNA in genere su non più di 2 noduli, sulla base dei criteri di sospetto per malignità.
R 5h. Campionare la componente solida delle lesioni complesse, preferibilmente se vascolarizzata, sottoponendo a esame citologico sia il materiale dell’FNA che il fluido drenato.
R 5i. La FNA è raccomandata nei noduli con rigidità all’elastografia.
R 5j. Eseguire la valutazione ecografica delle lesioni rilevate alla TC o alla RM prima di procedere alla FNA.
R 5k. Sottoporre a FNA eco-guidata le lesioni con captazione focale incidentale alla 18F-FDG-PET, dopo la loro conferma ecografica.
R 5l. In presenza di adenopatia cervicale sospetta, eseguire esame citologico mediante FNA sul linfonodo sospetto e il dosaggio della tireoglobulina (Tg) o della calcitonina (CT) sul liquido di lavaggio dell’ago (in base alle indicazioni cliniche).
5. IL SIGNIFICATO DELLE TECNICHE DI IMMAGINE “PESANTI”
Spesso i noduli tiroidei sono riscontrati nel corso di indagini effettuate per altri motivi clinici. Il riscontro di gozzo nodulare nel corso di eco-doppler dei vasi epi-aortici è una situazione frequente. In tale contesto può accadere che lo stesso operatore che sta eseguendo l’eco-doppler possa effettuare direttamente l’ecografia tiroidea o possa segnalare il riscontro sul referto in modo generico, indicando un esame ecografico specifico per la tiroide.
I noduli tiroidei possono essere riscontrati anche durante l’esecuzione di TC o di RM del collo/torace. I contributi in letteratura dimostrano che la capacità discriminante la natura dei noduli di queste tecniche è inferiore a quella dell’esame ecografico e tali indagini non devono essere utilizzate per definire il rischio di malignità. La TC e la RM, al contrario, hanno un ruolo non sostituibile nei casi di gozzo voluminoso che si approfonda al di sotto del giugulo, vista l’impossibilità dell’ecografia di valutare la porzione immersa della ghiandola e l’imprecisione della scintigrafia. In tali casi, le due indagini (TC e RM) sono in grado di fornire una valutazione sulle reali dimensioni della ghiandola e sui rapporti anatomici con le strutture vitali del collo (determinando in particolare il lume della trachea nel suo diametro più ristretto) e l’immersione nel mediastino, fornendo informazioni utili per decidere la necessità di un intervento chirurgico e la sua corretta pianificazione.
Un discorso a parte merita il riscontro di noduli nel corso di PET/TC con 18F-FDG: in quasi il 5% di tali esami (di solito eseguiti per follow-up di pazienti oncologici) viene segnalato un incidentaloma tiroideo, che corrisponde ad area focale ipercaptante. Qualora tale area ipercaptante corrisponda a un nodulo, soprattutto in presenza di TSH normale, la probabilità di malignità nei noduli solidi è abbastanza elevata: 20-45% (valore medio del 33%). Se il TSH è basso e/o soppresso, è necessario escludere un’iperfunzione mediante esecuzione di scintigrafia tiroidea.
In tutti i pazienti con riscontro di un incidentaloma tiroideo si impone la valutazione ecografica della tiroide e il dosaggio del TSH, poiché il valore del SUVmax (indice di captazione massimo della lesione normalizzato per la superficie corporea del paziente e per la dose di 18F-FDG somministrata) non è utile nel differenziare le lesioni maligne da quelle benigne. È riportato che i noduli con citologia indeterminata (TIR 3A e 3B) se ipercaptanti alla PET/CT con 18F-FDG sono ad alta probabilità di neoplasia. In considerazione dell’incostante captazione delle neoplasie tiroidee non aggressive (carcinomi follicolari e varianti follicolari del carcinoma papillare) e della prevalenza non elevata delle neoplasie maligne tra i noduli indeterminati (15 – 35%), non appare “cost-effective” completare l’inquadramento dei noduli indeterminati con l’esecuzione di routine della PET/CT con 18F-FDG.
R 6a. RM e TC non sono raccomandate per l’inquadramento di routine del nodulo tiroideo.
R 6b. Nel caso di riscontro di gozzo nodulare alla RM e/o alla TC, è opportuna l’esecuzione di un’ecografia specifica per stratificare il rischio di malignità dei noduli.
R 6c. Si suggerisce l’uso di RM e/o TC in gozzi nodulari di grandi dimensioni, al fine di escludere la compressione delle vie aeree, valutare l’estensione mediastinica del gozzo e i rapporti anatomici con le strutture cervicali o evidenziare la presenza di linfonodi patologici in regioni cervicali non esplorabili con l’ecografia.
R 6d. Nel caso di riscontro di ipercaptazione tiroidea alla PET/CT con 18F-FDG, è opportuna l’esecuzione di un’ecografia specifica per confermare la presenza di lesioni nodulari.
R 6e. I noduli tiroidei ipercaptanti alla PET/CT con 18F-FDG devono essere sottoposti a FNA se > 5 mm.
R 6f. Eseguire una scintigrafia tiroidea se l’ipercaptazione tiroidea alla PET/CT con 18F-FDG corrisponde ecograficamente a nodulo almeno > 8-10 mm e il TSH è basso o soppresso.
R 6g. Programmare un follow-up clinico-ecografico dei noduli positivi alla PET/CT con 18F-FDG anche se citologicamente benigni.
R 6h. La PET/CT con 18F-FDG non è raccomandata nei noduli tiroidei con citologia indeterminata.
R 6i. La PET/TC può essere utilizzata per la stadiazione pre-operatoria dei noduli maligni con caratteristiche citologiche o cliniche aggressive.
6. IL RUOLO DEL LABORATORIO DI ANALISI
Il TSH è il singolo dato di laboratorio che meglio definisce la funzione tiroidea e in alcune regioni rappresenta l’unico dato di laboratorio consentito nell’inquadramento iniziale. Con questo schema (definito TSH reflex), nel caso il valore del TSH sia basso (al di sotto di una soglia pre-determinata) o francamente soppresso, viene effettuato in automatico il dosaggio delle frazioni libere e degli anticorpi anti-recettore del TSH; nel caso di valore di TSH ai limiti alti o francamente al di sopra del limite massimo della norma, viene effettuato in automatico il dosaggio di FT4 e TPOAb.
La tireoglobulina (Tg) è un marcatore di recidiva di neoplasia differenziata tiroidea dopo l’intervento di tiroidectomia, soprattutto (ma non necessariamente) se questa è seguita dall’ablazione del residuo chirurgico con iodio radioattivo. In fase pre-operatoria i livelli sierici non mostrano valori elevati in presenza di malignità rispetto alla patologia nodulare benigna: la correlazione più significativa dei valori di Tg, infatti, è con le dimensioni del gozzo (pressoché “lineare”) piuttosto che con la natura dei noduli. La Tg non rappresenta pertanto un esame specifico per il carcinoma tiroideo. Il dosaggio può essere di aiuto se valutato sul liquido di lavaggio della siringa utilizzata per l’FNA nel caso sia stata campionata una lesione al di fuori del letto tiroideo suggestiva di tessuto tiroideo o un linfonodo con criteri ecografici sospetti per secondarietà.
La calcitonina (CT) è un marcatore sensibile e specifico per MTC. La sua importanza è legata al fatto che il MTC è un tumore non molto frequente (< 5% di tutti i tumori della tiroide) ma potenzialmente molto aggressivo e non responsivo alla terapia con radioiodio. Sfortunatamente il dosaggio della CT può presentare falsi positivi (CT elevata in assenza di MTC) ed elevati valori di CT sierica si possono riscontrare in numerose condizioni, patologiche e non: iperplasia cellule C para-follicolari, ipergastrinemia (gastrinomi, gastrite cronica atrofica), ipercalcemia (iperparatiroidismo primario), insufficienza renale cronica, NET (microcitoma polmonare, carcinoide polmonare, tumore delle isole pancreatiche, VIPoma, tumori prostatici, tutte situazioni in cui la CT non aumenta dopo stimolo con calcio), tumori differenziati della tiroide, tiroidite autoimmune, anticorpi eterofili anti-CT (macro-CT), gravidanza, attività fisica. Aumentati valori di CT possono essere farmaco-indotti: inibitori di pompa protonica, gluco-corticoidi, ß-bloccanti, glucagone, agonisti del GLP-1. È inoltre difficile stabilire un unico cut-off di CT, sia basale che stimolata, in grado di diagnosticare un MTC. La determinazione di CT nel siero ha un valore predittivo di MTC prossimo al 100% per valori > 100 pg/mL, mentre per valori compresi tra 50 e 100 pg/mL tale valore scende a circa il 25% e per valori tra 20 e 50 pg/mL a meno del 10% (tab 2).
Tabella 2 Rischio di MTC per i diversi valori di CT |
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Valore (pg/mL) | Rischio di MTC |
> 100 | Estremamente elevato (100%) |
50-100 | Moderato (25%) |
20-50 | Basso (8.3%) |
< 10 | Normale |
Nei casi con CT fra 20-100 pg/mL può essere effettuato il test di stimolo con calcio endovena. In alcune casistiche controllate, sono risultati altamente sospetti per MTC valori stimolati di CT > 90 pg/mL nelle donne e > 130 pg/mL negli uomini. Analogamente alla Tg, la CT può essere dosata sul liquido di lavaggio della siringa utilizzata per l’FNA tiroideo in caso il nodulo sia sospetto per CMT.
R 7a. Nell’inquadramento iniziale del nodulo tiroideo è consigliato il dosaggio del TSH reflex.
R 7b. Non è raccomandato il dosaggio routinario delle frazioni libere degli ormoni tiroidei e degli anticorpi anti-tiroide.
R 7c. Dosare FT4 ed FT3 in caso di TSH basso ed FT4 e TPOAb in caso di TSH elevato.
R 7d. Nei pazienti con reperti ecografici o clinici suggestivi di tiroidite cronica linfocitaria, se TPOAb sono nei limiti dosare gli anticorpi anti-Tg.
R 7e. Non è consigliata la misurazione dei livelli della Tg sierica nella valutazione iniziale del nodulo tiroideo.
R 7f. Il dosaggio della Tg può essere preso in considerazione nei pazienti che devono essere sottoposti a chirurgia per carcinoma differenziato.
R 7g. Dosare gli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb) solo nei pazienti con TSH soppresso, nel sospetto di un coesistente morbo di Graves.
R 7h. Non si raccomanda a favore né contro la determinazione della CT sierica nell’inquadramento di routine dei noduli tiroidei.
R 7i. La CT deve essere dosata nei noduli con reperti ecografici sospetti o con referto citologico indeterminato o sospetto per malignità e nei pazienti con storia familiare o sospetto clinico di MTC o MEN-2. Considerarlo inoltre prima dell’intervento chirurgico nei gozzi pluri-nodulari.
R 7j. Ripetere il dosaggio della CT se i livelli basali sono superiori alla norma, soprattutto in presenza di possibili fattori interferenti. Il dosaggio dovrà essere inoltre eseguito dopo un’adeguata sospensione dei possibili farmaci interferenti.
R 7k. Si suggerisce di considerare il test di stimolo endovenoso della CT con calcio se i livelli basali sono < 100 pg/mL.
R 7l. Si suggerisce il dosaggio di calcemia e PTH in caso di lesioni cervicali ecograficamente compatibili con paratiroidi iperplastiche.
7. RUOLO DELL’IMAGING RADIOISOTOPICO NELLA VALUTAZIONE INIZIALE DEL NODULO TIROIDEO
La capacità di identificare un nodulo all’indagine scintigrafica dipende dalla funzione del nodulo e dalle sue dimensioni (con la gamma-camera sono ben identificabili come distinti noduli di diametro ≥ 1 cm).
Benché sia teoricamente preferibile l’impiego dello Iodio123-iodurato, in quanto permette di eseguire una precisa mappatura funzionale della ghiandola, la sua non sempre pronta disponibilità, il maggior costo e la maggior dose di radiazioni che fornisce al paziente (rispetto al 99mTc-Pertecnetato) ne limitano l’utilizzo di routine. Per tale motivo, nella pratica clinica viene utilizzato prevalentemente il 99mTc-Pertecnetato.
Anche se i noduli scintigraficamente “freddi” hanno una maggiore probabilità di essere maligni rispetto a quelli “caldi”, il valore predittivo per malignità dei noduli non captanti è comunque basso (10-15%). Per tale motivo, il semplice riscontro di nodulo freddo non è sufficiente a indirizzare all’esame citologico ed è necessario valutare in modo combinato tale caratteristica con i caratteri ecografici suggestivi per malignità.
Nonostante il TSH possa essere non completamente soppresso nei noduli iperfunzionanti in zone di endemia gozzigena, è altamente improbabile trovare valori di TSH > 1 mUI/mL in pazienti con noduli “caldi”. La scintigrafia mantiene un ruolo nella valutazione dei noduli con citologia indeterminata, riscontro abbastanza frequente nei noduli caldi. In caso di citologia indeterminata, non è necessario l’intervento chirurgico se la scintigrafia tiroidea mostra un’area di ipercaptazione chiaramente corrispondente al nodulo incriminato.
R 8a. L’esecuzione routinaria della scintigrafia non è raccomandata nell’inquadramento iniziale del nodulo tiroideo.
R 8b. La scintigrafia tiroidea può essere suggerita in tutte le condizioni in cui il TSH è soppresso.
R 8c. La scintigrafia tiroidea dovrebbe essere considerata quando si sospetta la presenza di tessuto tiroideo ectopico o di gozzo retro-sternale.
R 8d. In aree iodo-carenti la scintigrafia può essere eseguita per escludere l’autonomia funzionale del gozzo nodulare anche quando il TSH è ai limiti inferiori della norma (per esempio 0.5-1.0 mIU/L).
R 8e. Eseguire la scintigrafia, indipendentemente dai livelli di TSH, quando si valuta l’opportunità della terapia con radioiodio.
R 8f. La iodo-captazione tiroidea non è raccomandata di routine, eccetto che nel sospetto di tireotossicosi a bassa captazione.
R 8g. La scintigrafia va eseguita in caso di citologia indeterminata se il TSH è basso e le dimensioni del nodulo sono > 10 mm.
La corretta gestione dei noduli tiroidei è basata sull’integrazione delle informazioni cliniche con quelle dell’esame ecografico, in modo da selezionare appropriatamente i noduli da sottoporre a FNA, l’indagine dotata di maggiore accuratezza nel verificare il rischio di malignità delle lesioni tiroidee.
I rischi della procedura sono modesti e vanno dalla comparsa di transitorio dolore locale, a ecchimosi cutanee, fino a emorragie tiroidee e/o extra-tiroidee, in genere a riassorbimento spontaneo. La frequenza delle complicanze minori è comunque bassa (< 5%) e solo gravi errori di tecnica possono indurre complicanze maggiori (puntura di grossi vasi o di strutture nervose).
I maggiori limiti diagnostici dell’FNA sono dovuti al prelievo di materiale non adeguato a porre la diagnosi citologica, con conseguente necessità di ripetere il prelievo. Tale evento si verifica con una frequenza di circa il 5-10%, solo in parte influenzata dall’esperienza dell’operatore.
L’esame citologico in rari casi può non individuare la presenza di una neoplasia (1-3% di falsi negativi) o, al contrario e meno frequentemente, è possibile il sospetto di neoplasia in un nodulo in realtà benigno (falsi positivi in circa l’1% dei casi). Per tali motivi e per la bassa ma possibile evolutività in senso maligno della patologia nodulare tiroidea, può essere opportuno ripetere l’esame a distanza. L’FNA deve essere ripetuto in occasione di un aumento dimensionale significativo (> 20% del diametro maggiore o > 50% del volume) o di una modifica sospetta dell’aspetto ecografico del nodulo interessato.
Nel modulo di consenso informato devono essere presenti le informazioni relative alle complicanze e ai limiti diagnostici, che devono essere spiegati analiticamente dal medico esecutore al paziente per la firma prima della manovra.
R 9a. Anche in caso di noduli palpabili eseguire sempre la FNA sotto guida ecografica, per la sua migliore accuratezza diagnostica.
R 9b. Inviare al patologo tutte le informazioni cliniche rilevanti, compresa la stratificazione ecografica del rischio di malignità.
R 9c. Specificare la sede del prelievo, il numero di vetrini complessivi (fissati in aria/cytofix) e/o degli altri campioni biologici inviati.
Il primo elemento di un referto citologico è il giudizio complessivo sull’adeguatezza della FNA, specificando se il materiale fornito può essere considerato sufficiente per una diagnosi (esame adeguato) o non diagnostico (esame inadeguato). Come regola generale, il campione è definito diagnostico se sono presenti almeno 6 gruppi di cellule epiteliali tiroidee, costituiti da almeno 10 cellule ben conservate per gruppo. Tuttavia, i campioni citologici caratterizzati da marcata atipia cellulare sono definiti come sospetti anche in assenza del numero di cellule follicolari usualmente richiesto per l’adeguatezza.
Nella maggior parte dei Servizi di Anatomia Patologica sul territorio nazionale vengono utilizzate per il referto citologico le 5 classi diagnostiche stabilite dal Consensus AIT-SIAPEC del 2014.
Tabella 3 Consensus Italiana per la Citologia Tiroidea (SIAPEC 2014) |
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Classe | Definizione |
TIR 1 | Non diagnostico (inadeguato o insufficiente) |
TIR 1c | Cistico non diagnostico |
TIR 2 | Benigno |
TIR 3A | Lesione indeterminata a basso rischio (atipia o lesione follicolare di significato indeterminato) |
TIR 3B | Lesione indeterminata ad alto rischio (neoplasia follicolare o lesione sospetta per neoplasia follicolare) |
TIR 4 | Sospetto per malignità |
TIR 5 | Maligno |
R 10a. Il patologo deve fornire una breve ma dettagliata descrizione dei reperti citologici, corredata da una diagnosi citologica conclusiva.
R 10b. Specificare nel referto citologico la classe di rischio di malignità sulla base della consensus SIAPEC-AIT 2014.
R 10c. In caso di reperto citologico indeterminato, richiedere un secondo parere a un patologo esperto in citologia tiroidea, appartenente a centri ad alto volume di patologia.
R 10d. In caso di reperto citologico indeterminato, il citologo può fornire l’indicazione operativa a eseguire approfondimento con determinazione immuno-citochimica.
10. GESTIONE CLINICA DEL REFERTO CITOLOGICO
La Consensus SIAPEC-AIT del 2014, oltre che assicurare una classificazione dei reperti citologici, fornisce le raccomandazioni operative cliniche per ciascuna classe.
Per i referti citologici TIR 1 (campione inadeguato) viene consigliata la ripetizione dell’esame entro 1-3 mesi. Al fine di ridurre il rischio di inadeguatezza del campione, nelle lesioni complesse prelevare sulla porzione solida e nei noduli di grandi dimensioni campionare le porzioni più periferiche per evitare la parte necrotica centrale, spesso presente. Nel caso di citologia ancora inadeguata dopo la ripetizione dell’esame, prendere in considerazione l’esame micro-istologico del nodulo mediante biopsia con ago tranciante (CNB).
Deve essere sottolineato che la classificazione prevede un referto di inadeguatezza compatibile con benignità (TIR 1 C), in caso di nodulo prevalentemente o completamente cistico. Questo tipo di nodulo non può, infatti, fornire una quota di cellule tali da considerare adeguato il prelievo. La combinazione di tale classe citologica con il riscontro di caratteri ecografici benigni depone sul piano clinico per la benignità.
I noduli con citologia benigna (TIR 2) possono essere avviati a semplice follow-up annuale o biennale. La ripetizione dell’esame citologico sarà guidata, come già detto, da aumenti dimensionali significativi e/o da modifiche sospette della struttura del nodulo.
I noduli con citologia indeterminata devono avere gestione differente a seconda che siano classificati come TIR 3 A o TIR 3 B.
In caso di citologia TIR 3 A, con prevalenza di malignità dal 5 al 15%, è di regola indicato un approccio conservativo che preveda la ripetizione a distanza dell’esame. La ripetizione dell’esame in circa il 50% dei casi è seguita da una riclassificazione citologica TIR 2, che quindi definisce il nodulo come benigno e ne consente il follow-up nel tempo. Ulteriori approfondimenti, dalla valutazione immunocitochimica, alla CNB eco-guidata o all’intervento chirurgico, sono presi in considerazione solo in caso di persistenza della citologia indeterminata, associata a crescita del nodulo o alla presenza di caratteri ecografici sospetti.
I noduli con citologia TIR 3 B sono gravati da una prevalenza di malignità del 15-30% e di norma sono inviati alla chirurgia diagnostica (in genere rappresentata dalla lobo-istmectomia). In caso di rilevanti comorbilità del paziente o di volontà di non essere operati, sono prese in considerazioni ulteriori indagini (immuno-citochimica, CNB per esame micro-istologico, determinazioni molecolari), al fine di meglio definire il rischio di malignità della lesione. Quest’ultimo approccio, più conservativo, può essere considerato in presenza di caratteri ecografici non sospetti.
Le classi TIR 4 e TIR 5 devono essere avviate all’intervento chirurgico, specificando al paziente il rischio di malignità che nel caso del TIR 4 è dell’ordine dell’65-80% e nel caso del TIR 5 è > 95%. Al fine di una migliore pianificazione dell’intervento chirurgico, i noduli con citologia TIR 4 possono essere sottoposti a indagini immuno-citochimiche e/o molecolari e, in casi e ambienti selezionati, può essere utile la programmazione dell’esame istologico intra-operatorio.
Tabella 4 Categorie di refertazione citologica SIAPEC-AIT 2014 con le azioni cliniche suggerite |
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Codice | Categoria diagnostica | Rischio atteso di malignità (%) | Azione clinica suggerita |
TIR 1 | Non diagnostico | Non definito | Ripetere FNA eco-guidata dopo 3 mesi |
TIR 1C | Non diagnostico-cistico | Basso (variabile in base al quadro clinico) | Valutare nel contesto clinico, eventualmente ripetere FNA |
TIR 2 | Non maligno/benigno | < 3 | Follow-up |
TIR 3A | Lesione indeterminata a basso rischio | < 10 | Follow-up/indagini molecolari/ eventuale ripetizione FNA |
TIR 3B | Lesione indeterminata ad alto rischio | 15-30 | Exeresi chirurgica (eventuali Indagini molecolari) |
TIR 4 | Sospetto di malignità | 60-80 | Exeresi chirurgica con eventuale esame intra-operatorio (eventuali Indagini molecolari) |
TIR 5 | Maligno | > 95 | Exeresi chirurgica. Approfondimento diagnostico in casi selezionati |
Raccomandazioni
Noduli non diagnostici alla FNA (TIR 1)
R 11a. in caso di TIR 1, ripetere l’FNA tiroideo entro 3 mesi.
R 11b. Se il risultato della FNA è ripetutamente inadeguato in un nodulo solido, considerare l’esecuzione di CNB sotto guida ecografica. In seconda istanza, soprattutto in presenza di caratteri ecografici o clinici di sospetto, considerare l’esecuzione di chirurgia diagnostica. Solo in noduli solidi con caratteri clinici ed ecografici chiaramente non sospetti può essere considerato il semplice follow-up.
R 11c. Nei noduli cistici o prevalentemente cistici, senza caratteri clinici o ecografici di sospetto e persistentemente non diagnostici (TIR 1C), è suggerito un attento follow-up clinico ed ecografico.
Noduli benigni alla FNA (TIR 2)
R 11d. Nei noduli citologicamente benigni:
- eseguire il solo follow-up clinico, a meno che non siano causa di sintomi locali o presentino accrescimento progressivo;
- considerare la ripetizione dell’ecografia e il dosaggio del TSH a 12 – 24 mesi, in accordo con il contesto clinico;
- se sono invariati al primo controllo ecografico, ripetere un secondo controllo ecografico non prima di 24 mesi;
- asintomatici con citologia ripetutamente benigna e senza caratteri clinici o ecografici di sospetto, il follow-up può essere rimandato a 24-36 mesi;
- con citologia benigna ma con caratteri clinici o ecografici di sospetto, ripetere la FNA entro 1–3 mesi;
- a rapida crescita o diventati sintomatici ripetere la FNA entro un mese.
Lesioni indeterminate (TIR 3)
R 11e. La gestione dei noduli tiroidei citologicamente indeterminati deve essere pianificata in base alla sotto-classificazione citologica, ai dati clinici e alle caratteristiche ecografiche. Considerare nella decisione clinica l’esecuzione di indagini supplementari, come l’elastosonografia, l’immuno-citochimica, lo studio molecolare. Valutare sempre inoltre le preferenze del paziente.
Noduli con citologia TIR 3A
R 11f. Considerare la gestione conservativa nel caso di criteri favorevoli riguardanti gli aspetti clinici, le dimensioni della lesione e i caratteri di rischio ecografici ed elastografici.
R 11g. Ripetere la FNA per un’ulteriore valutazione citologica e rivalutare il campione con un citopatologo esperto.
R 11h. Può essere presa in considerazione la CNB per un prelievo micro-istologico, ma il suo uso di routine non è raccomandato.
R 11j. Non si raccomanda né a favore né contro la determinazione di routine dei marcatori molecolari e/ immuno-citochimici. Considerarne l’esecuzione solo in centri con specifica esperienza.
Noduli con citologia TIR 3B
R 11k. Si suggerisce la chirurgia (lobo-istmectomia) per la maggior parte delle lesioni.
R 11l. La tiroidectomia totale può essere eseguita in base al contesto clinico, alla coesistenza di noduli nel lobo tiroideo controlaterale e alla preferenza del paziente.
R 11m. L’uso dell’esame istologico estemporaneo non è raccomandato nella routine clinica.
R 11n. Considerare uno stretto follow-up clinico in una minoranza di casi con caratteri clinici ed ecografici favorevoli, ma solo dopo una valutazione multi-disciplinare e la discussione con il paziente delle varie opzioni terapeutiche.
R 11o. Non si raccomanda né a favore né contro la determinazione di routine dei marcatori molecolari e/ immuno-citochimici.
Noduli sospetti alla FNA (TIR 4)
R 11p. Si raccomanda il trattamento chirurgico per i noduli citologicamente sospetti.
R 11q. Ripetere la FNA in caso di cellularità inadeguata o di necessità di una migliore caratterizzazione con tecniche immuno-istochimiche o di biologia molecolare
R 11r. L’uso dell’esame istologico estemporaneo può essere considerato solo in casi specifici.
Noduli maligni alla FNA (TIR 5)
R 11s. Nel caso di carcinoma tiroideo differenziato, si raccomanda il trattamento chirurgico.
R 11t. In caso di sospetto carcinoma anaplastico, di metastasi e di linfoma tiroideo, si raccomanda un approfondimento diagnostico completo prima di procedere all’intervento chirurgico.
R 11u. Prima dell’intervento rivedere con il paziente i risultati dell’ecografia e dell’esame citologico, discutere le opzioni di trattamento e consultare un chirurgo esperto in chirurgia endocrina.
R 11v. Prima della chirurgia eseguire l’esame ecografico del collo, la FNA di ogni nodulo o linfonodo sospetto e valutare la motilità delle corde vocali.
R 11w. Nel caso di linfonodi ecograficamente sospetti per secondarietà, è raccomandata la conferma della natura metastatica con l’esame citologico completato dalla misurazione della Tg o CT nel liquido di lavaggio dell’ago.
R 11y. Per una più accurata stadiazione pre-operatoria in casi con caratteristiche aggressive, considerare l’uso di RM, TC e/o 18F-FDG PET/TC.
11. INTERVENTO CHIRURGICO
L'intervento chirurgico della tiroide non è scevro da possibili complicanze transitorie e/o definitive (emorragie, disfonia e/o disturbi respiratori da paralisi del ricorrente, ipoparatiroidismo e cicatrici cutanee). Il tasso di complicanze dipende dall’esperienza dell’operatore e si riduce drasticamente nei centri ad alto volume di patologia tiroidea. Ricordare al paziente che la maggior parte dei tumori tiroidei ha un decorso indolente e che la prognosi in genere è favorevole. Per tale motivo, il tipo di intervento chirurgico deve essere programmato dopo attenta discussione con il paziente e avendo analizzato il rapporto tra i potenziali benefici e le possibili complicanze.
R 12a. La lobo-istmectomia è suggerita come trattamento iniziale nei pazienti con micro-carcinoma (PTMC) senza evidenza di estensione extra-tiroidea o interessamento linfonodale, senza pregressa irradiazione del collo e con normali valori di CT.
R 12b. L’intervento chirurgico di tiroidectomia totale è raccomandato per tumori di grandi dimensioni (> 4 cm) e in caso di citologia probante per lesione follicolare aggressiva o MTC, indipendentemente da altri fattori clinici.
R 12c. Per tumori > 1 e < 4 cm, senza segni estensione extra-capsulare o evidenza clinica di metastasi locali, l’intervento iniziale può essere di semplice lobo-istmectomia. La tiroidectomia totale può essere eseguita in caso di preferenza del paziente, poiché consente di poter eseguire terapia radio-metabolica, ove necessaria, ed evita il rischio di un secondo intervento di completamento in caso di istologia non favorevole.
R 12d. In caso di evidenza pre-operatoria di metastasi linfonodali locali, la tiroidectomia totale deve essere associata alla rimozione dei linfonodi dei compartimenti interessati e, sempre, del compartimento centrale (VI) del collo.
R 12e. Uno stretto follow-up clinico (“sorveglianza attiva”) può essere preso in considerazione nei pazienti con PTMC a basso rischio e nei pazienti anziani o ad alto rischio chirurgico per comorbilità internistiche.
11.1 Stadiazione pre-chirurgica
In considerazione del rischio di interessamento linfonodale del collo, nei tumori della tiroide è necessaria una valutazione preoperatoria accurata dei compartimenti linfonodali cervicali. Il risultato di tale valutazione ha un impatto significativo sul tipo di intervento chirurgico da effettuare.
L’ecografia è lo strumento più adatto per evidenziare metastasi locali (sensibilità maggiore per i compartimenti laterali vs compartimento centrale). L’uso di ecografia ad alta risoluzione con operatore esperto (meglio se della stessa struttura dove il paziente sarà operato) consente di fornire informazioni riguardo a:
- grandezza e sede del tumore;
- multi-focalità/bilateralità o estensione extra-tiroidea della neoplasia;
- presenza di linfonodi e/o masse cervicali sospette o di anomalie dei grossi vasi.
Nello studio delle stazioni linfonodali, in caso di dubbio ecografico, considerare l’esame citologico associato al dosaggio della Tg sul liquido di wash-out ell’ago utilizzato per la FNA. Valori di Tg elevati (in alcune casistiche > 500 ng/mL) sono diagnostici per metastasi linfonodali, mentre per valori più bassi è opportuno confrontare i valori della Tg ottenuti sul wash-out con quelli ematici.
In una piccola percentuale di casi la presentazione del tumore si associa a segni e sintomi suggestivi di invasione delle strutture profonde deI collo e del mediastino (disfagia, dispnea, disfonia), che lo studio ecografico non è in grado di visualizzare. Nell’impossibilità di escludere masse mediastiniche o l’estensione sotto-giugulare di tumori di grandi dimensioni, è necessario completare lo studio ecografico con RM e/o TC del collo e del mediastino, ricordando che, una volta utilizzato il mezzo di contrasto iodato per la TC, l’eventuale trattamento con 131I non può avvenire prima di 1-3 mesi, in rapporto alle caratteristiche del contrasto. Se sono presenti segni e/o sintomi di invasione delle vie aeree, è necessario programmare una broncoscopia e/o una esofagoscopia preliminare.
Nella maggior parte dei casi di neoplasia tiroidea differenziata non è necessario lo screening pre-operatorio per l’esclusione di metastasi a distanza.
Il dosaggio sierico di Tg e TgAb non è utile, poiché valori elevati di Tg sono più frequenti in caso di gozzo voluminoso e/o iperfunzionante piuttosto che in caso di neoplasia. Al contrario, il dosaggio della CT pre-operatoria è utile per escludere la presenza di un MTC nei noduli sospetti o nei gozzi multi-nodulari.
R 13a. È sempre raccomandata l’esecuzione di ecografia cervicale pre-operatoria da parte di un operatore esperto nell’ecografia del collo e che appartenga alla struttura dove il paziente sarà operato.
R 13b. I linfonodi sospetti devono essere sottoposti ad FNA con dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio.
R 13c. Nei pazienti che mostrano segni e/o sintomi sospetti per carcinoma localmente avanzato, è raccomandato il completamento dello staging pre-operatorio con l’esecuzione di TC o RM.
R 13d. Non è raccomandato il dosaggio routinario di Tg e TgAb sierici.
R 13e. Si suggerisce il dosaggio della CT in tutti i pazienti che devono essere operati.
11.2. Sorveglianza attiva del micro-carcinoma papillare
Sono disponibili in letteratura evidenze secondo cui il PTMC ha progressione lenta e prognosi quoad vitam eccellente. Comunque, un sottogruppo di tali tumori presenta una progressione clinica, caratterizzata da incremento progressivo delle dimensioni e comparsa di secondarismi locali, anche se sono comunque rare le metastasi a distanza.
I mezzi diagnostici di routine (compreso lo studio molecolare) al momento non sono in grado di distinguere con certezza il sottogruppo di PTMC a rischio di progressione clinica dalla maggior parte dei micro-carcinomi indolenti. Caratteristiche che aumentano il rischio di aggressività del PTMC sono:
- pregressa irradiazione del collo;
- evidenza ecografica di probabile estensione extra-capsulare e/o multi-focalità;
- localizzazione posteriore o sotto-capsulare;
- aspetti citologici aggressivi e mutazione di BRAF e TERT.
Il rischio di aggressività locale inoltre aumenta con l’aumentare delle dimensioni della lesione.
Pertanto, qualora il PTMC non sia avviato all’intervento chirurgico per l’età avanzata o la presenza di comorbilità, è necessaria una “sorveglianza attiva” con esecuzione di un accurato esame ecografico del collo da parte di un operatore esperto ogni sei mesi per i primi due anni. Successivamente, in caso di stabilità, il controllo potrà essere eseguito annualmente. In ogni controllo clinico sarà necessaria rivalutazione con il paziente della strategia terapeutica alla luce dei risultati del controllo ecografico.
R 14a. Il trattamento di scelta del PTMC è la lobo-istmectomia (in assenza di patologia contro-laterale o di estensione extra-tiroidea).
R 14b. In caso di PTMC a basso rischio può essere considerato un intervento non immediato nei pazienti ad alto rischio chirurgico per comorbilità internistiche o nei pazienti che rifiutino l’intervento.
R 14c. Si raccomanda un’attenta e approfondita discussione con il paziente circa i possibili vantaggi e svantaggi della sorveglianza attiva vs l’exeresi chirurgia della lesione.
R 14d. Si raccomanda sempre, prima della decisione terapeutica, la ripetizione di un accurato esame ecografico volto all’esclusione di possibili coinvolgimenti linfonodali e/o di estensione extra-tiroidea del tumore.
R 14e. Nei primi due anni di “sorveglianza” è obbligatorio l’esame ecografico accurato del collo ogni 6 mesi, da effettuare poi con modalità annuale in caso di stabilità della lesione.
11.3. Indicazione all’intervento di completamento dopo la lobo-istmectomia
La lobo-istmectomia è l’intervento chirurgico iniziale appropriato per molti casi di carcinoma della tiroide. Mentre non vi sono dubbi nel caso del PTMC, nelle altre situazioni è opportuna un’attenta valutazione da parte del team multi-disciplinare, finalizzata alla valutazione nello specifico paziente dei vantaggi di una lobo-istmectomia (seguita eventualmente dall’intervento di completamento) vs la tiroidectomia iniziale. La valutazione multi-disciplinare aiuta a definire meglio il corretto approccio chirurgico alla luce degli alti rischi di complicanze in caso di re-intervento, specialmente in centri non ad alto volume di patologia chirurgica.
R 15a. L’intervento di completamento dopo lobo-istmectomia è di regola raccomandato nei carcinomi differenziati > 4 cm e in tutti i casi in cui sono dimostrati istologicamente estensione extra-capsulare, interessamento linfonodale o presenza di variante istologica aggressiva.
R 15b. In tutti gli altri casi l’eventuale l’intervento di completamento deve essere discusso dal team multi-disciplinare con il paziente sulla base dei dati clinici.
R 15c. L’intervento di completamento non è indicato in caso di istologia deponente per NIFT-P.
11.4. La dissezione linfonodale dei compartimenti cervicali centrali e laterali
In passato la dissezione profilattica del compartimento cervicale centrale era proposta come trattamento inziale in associazione alla tiroidectomia totale, indipendentemente dall’aggressività del carcinoma. Molto controverso è al momento il suo ruolo. Essa potrebbe fornire alcuni vantaggi:
- eliminare possibili fonti di recidive della neoplasia e ridurre il rischio collegato a possibili re-interventi;
- aumentare l’accuratezza della stadiazione in previsione di terapia con 131I;
- migliorare l’accuratezza del ruolo diagnostico della Tg nel follow-up.
Dati derivanti da revisioni sistematiche di studi di confronto tra pazienti trattati profilatticamente e non, hanno evidenziato un ruolo clinico solo marginale delle possibili metastasi occulte nei linfonodi del compartimento centrale. Inoltre, la linfadenectomia del compartimento centrale aumenta sensibilmente il rischio di ipoparatiroidismo permanente e di danno ricorrenziale.
R 16a. La dissezione profilattica del compartimento centrale del collo non è indicata routinariamente nei carcinomi differenziati tiroidei.
R 16b. La dissezione è appropriata solo con l’evidenza clinica o ecografica di interessamento linfonodale (cN1), sia del compartimento centrale sia di quello laterale.
R 16c. Il giudizio del chirurgo in sede intra-operatoria può determinare la decisione dello svuotamento del compartimento centrale.
12. GESTIONE NON CHIRURGICA DELLA PATOLOGIA NODULARE DELLA TIROIDE
Nella maggior parte delle condizioni in cui, dopo un inquadramento clinico, ecografico e laboratoristico iniziale, non ci sono le indicazioni chirurgiche, il paziente viene avviato al follow-up clinico ed ecografico. Non è consigliato l’uso della terapia soppressiva con levo-tiroxina, in considerazione della scarsa risposta dimensionale dei noduli (una metanalisi del 2005 riporta un NNT di 8, esprimente la necessità di trattare almeno 8 noduli per avere una riduzione del 50% del volume in uno solo di essi) e dell’elevato rischio di effetti collaterali cardiaci (cardiopatia ipertrofica/aritmie) e ossei (aumentato rischio di osteoporosi) dopo trattamento prolungato.
Nei noduli benigni sintomatici di grandi dimensioni possono essere impiegati trattamenti alternativi alla chirurgia, nel caso il paziente non voglia operarsi o siano presenti comorbilità che controindicano parzialmente o totalmente l’intervento chirurgico.
Di questi, l’alcoolizzazione ha un ruolo accettato universalmente per i noduli con ampia componente liquida, che risultino citologicamente benigni ma recidivino dopo drenaggio.
L’ablazione percutanea dei noduli solidi con ipertermia (laser o radiofrequenza) consente di modificare la storia naturale dei noduli in accrescimento, che diventino cosmeticamente rilevanti o causa di sintomi locali. Tali metodiche dovrebbero essere in genere impiegate non come alternative alla chirurgia per lesioni di grandi dimensioni, ma come mezzo di prevenzione della chirurgia per i noduli che progressivamente aumentano di volume nel corso di controlli seriati nel tempo. È necessario eseguire un doppio controllo citologico con risultato benigno prima del trattamento ablativo. La procedura è in genere ben tollerata ed è eseguibile ambulatorialmente o in day-hospital. È, tuttavia, necessaria un’esperienza specifica degli operatori.
La terapia radiometabolica con Iodio-131 rappresenta in molti casi (con l’esclusione della gravidanza, della contaminazione iodica o dell’età infantile) la terapia di scelta dei noduli iperfunzionanti. Il quadro clinico complessivo può in questi casi suggerire la scelta chirurgica (gozzi iperfunzionanti voluminosi) o la gestione medica con terapia tireostatica. Più limitato è l’impiego nei voluminosi gozzi “freddi”, da utilizzare solo quando la chirurgia è controindicata.
Follow-up clinico ecografico
R 17a. La valutazione clinica ed ecografica di un nodulo tiroideo citologicamente benigno deve essere programmata inizialmente entro 6-12 mesi e successivamente, in caso di stabilità dimensionale e clinica, ogni 12-24 mesi.
R 17b. Si raccomanda la rivalutazione citologica in tutti i casi in cui si verifichi un aumento significativo delle dimensioni del nodulo e/o modifiche dell’aspetto ecografico, con comparsa di caratteristiche sospette per malignità.
R 17c. Si suggerisce una rivalutazione della funzione tiroidea in caso il paziente mostri la comparsa di sintomatologia suggestiva di ipo- o iper-funzione.
Terapia con L-T4
R 18a. La terapia TSH-soppressiva con levo-tiroxina (L-T4) non è raccomandata. In aree a carenza iodica, la supplementazione di iodio e/o la terapia non soppressiva con L-T4 possono essere prese in considerazione nei giovani con gozzo nodulare di piccole dimensioni e livelli di TSH normali-alti.
R 18b. Nei giovani con ipotiroidismo subclinico da tiroidite autoimmune e concomitante presenza di patologia nodulare è raccomandata la terapia sostitutiva con L-T4.
R 18c. La terapia con L-T4 non è raccomandata per prevenire la recidiva nodulare dopo lobectomia, quando il TSH sierico è già nell’ambito della norma.
Alcolizzazione percutanea (PEI)
R 19a. La PEI è una terapia sicura ed efficace per le cisti tiroidee e i noduli complessi con ampia componente fluida.
R 19b. Si raccomanda di eseguire preliminarmente un attento campionamento della componente solida della lesione.
R 19c. La PEI è la terapia di prima linea per le lesioni cistiche benigne recidivanti, mentre non è raccomandata per i noduli solidi, siano essi iperfunzionanti o no, e i gozzi multi-nodulari.
R 19d. La PEI può essere presa in considerazione per i noduli caldi determinanti sintomi compressivi, solo quando non siano accessibili altre modalità di trattamento.
Termoablazione
R 20a. Considerare l’ablazione, con laser o radio-frequenza, dei noduli tiroidei solidi o complessi in crescita progressiva, sintomatici o responsabili di disagio estetico, previa ripetuta conferma citologica di benignità.
R 20b. L’ablazione dei noduli con ultrasuoni focalizzati al momento non dispone delle evidenze sufficienti per prevederne un uso clinico routinario.
Terapia con radioiodio
R 21a. Considerare la terapia con radioiodio per il gozzo tossico e/o sintomatico, specialmente per pazienti con pregressa chirurgia tiroidea o a rischio chirurgico e in quelli che rifiutano la chirurgia.
R 21b. Prima della terapia con radioiodio, eseguire la FNA sui noduli freddi eventualmente coesistenti.
R 22c. Evitare l’uso di mezzi di contrasto o sostanze contenenti iodio e sospendere, se possibile, i farmaci anti-tiroidei 4-7 giorni prima della terapia con radioiodio, tornando ad assumerli una settimana dopo.
R 22d. Il radioiodio è controindicato nelle donne in gravidanza e allattamento. Nelle donne in età fertile deve sempre essere eseguito un test di gravidanza prima della terapia.
R 22e. Si raccomanda il regolare monitoraggio della funzione tiroidea dopo la terapia con radioiodio.
R 22f. Ripetere la terapia dopo 3-6 mesi in caso di ipertiroidismo persistente o recidivante o di inadeguata riduzione volumetrica.
13. IL REFERTO ISTOLOGICO UTILIZZATO PER I TUMORI DELLA TIROIDE
Esame macroscopico
Tiroide:
- peso (grandezza);
- multi-nodularità/uni-nodularità;
- aspetto macroscopico del nodulo:
- sede:
- lobo destro;
- lobo sinistro;
- istmo;
- lobo piramidale;
- diametro;
- colore;
- degenerazione cistico-emorragica;
- presenza/assenza della capsula;
- distanza dalla capsula e descrizione dei margini chirurgici;
- descrizione dei margini (espansivi/infiltrativi);
- omogeneo/eterogeneo;
- solido/colloideo;
- presenza di calcificazioni.
- sede:
Linfonodi:
- sede;
- grandezza;
- aspetto macroscopico del linfonodo maggiore.
Esame microscopico
Nodulo tiroideo:
- capsula (presente/assente);
- struttura (colloidea/sclerotica/solida);
- istotipo:
- NIFT-P;
- papillare:
- variante classica;
- variante follicolare;
- varianti aggressive:
- “hobnail”;
- “tall cells” (> 10% delle cellule esaminate);
- solida (esprimere la percentuale);
- colonnare (> 10% delle cellule esaminate);
- diffusamente sclerosante.
- follicolare:
- minimamente invasivo;
- ampiamente invasivo;
- oncocitico;
- scarsamente differenziato (insulare);
- midollare;
- anaplastico;
- linfoma tiroideo;
- metastasi;
- invasione:
- capsulare (capsula nodulo);
- vascolare (numero di vasi: 4 o più);
- extra-capsulare minima;
- extra-tiroidea:
- tessuti molli;
- laringe;
- trachea;
- esofago;
- nervo ricorrente;
- fascia pre-vertebrale;
- muscoli del collo;
- grossi vasi;
- immuno-istochimica e analisi molecolare (se necessari e se effettuati).
Linfonodi:
- numero totale;
- numero di linfonodi metastatici;
- misura dell’area metastatica più grande all’interno del linfonodo:
- micro-metastasi (< 2 mm);
- macro-metastasi;
- presenza di invasione extra-nodale.
- Gharib H, Papini E, Garber JR, et al, on behalf of the AACE/ACE/AME Task Force on Thyroid Nodules. American Association of Clinical Endocrinologists, American College of Endocrinology, and Associazione Medici Endocrinologi medical guidelines for clinical practice for the diagnosis and management of thyroid nodules. Endocr Pract 2016, 22 suppl 1: 1-60.
- Haugen BR, Alexander EK, Bible KC, et al. 2015 American Thyroid Association management guidelines for adult patients with thyroid nodules and differentiated thyroid cancer. Thyroid 2016, 26: 1-133.
- Nardi F, Basolo F, Crescenzi A, et al. Italian Consensus for the classification and reporting of thyroid citology. J Endocrinol Invest 2014, 37: 593-9.
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Abbreviazioni usate nel documento
AACE = American Association of Clinical Endocrinologists
ACE = American College of Endocrinology
ATA = American Thyroid Association
BEL = best evidence level (miglior livello di evidenza)
CNB = core needle biopsy
CT = calcitonina
18FDG-PET= [18F]fluorodeoxyglucose Positron Emission Tomography
FNA = Fine-Needle Aspiration (aspirazione con ago sottile)
GLP-1 = glucagon-like peptide 1
LG = linee guida
MEN-2 = Multiple Endocrine Neoplasia type 2
MTC = Medullary Thyroid Cancer (carcinoma midollare tiroideo)
NET = NeuroEndocrine Tumor (tumore neuroendocrino)
NIFT-P = non-invasive follicular thyroid neoplasms with papillary-like nuclear features
PEI = Percutaneous Ethanol Injection (alcolizzazione percutanea)
PTMC = micro-carcinoma papillare tiroideo
TC = tomografia computerizzata
Tg = tireoglobulina
TgAb = anticorpi anti-tireoglobulina
TRAb = anticorpi anti-recettore del TSH
TPOAb = anticorpi anti-perossidasi tiroidea
VIP = vasoactive intestinal peptide
Nodulo tiroideo in età pediatrica
Marco Cappa & Carla Bizzarri
Unità Operativa Complessa di Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Pediatrico Universitario-Ospedaliero, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Epidemiologia
I noduli tiroidei in età pediatrica ed adolescenziale sono globalmente rari, con una prevalenza stimata tra 0.05% e 1.8%. Essi risultano però maligni in una percentuale significativamente maggiore rispetto all’età adulta (fino al 25% dei casi); di conseguenza, richiedono una valutazione attenta e un iter diagnostico più aggressivo di quello proposto di solito nell'adulto.
Ipotesi diagnostiche da considerare in caso di nodulo tiroideo in un bambino
- Carcinoma tiroideo differenziato
- Carcinoma midollare sporadico o familiare (isolato o nel contesto nella sindrome MEN 2A)
- Adenoma follicolare ("Gozzo uninodulare tossico" o non funzionante)
- Nodulo nel contesto di una tiroidite
- Cisti del dotto tireoglosso
- Cisti colloide
- Teratoma della tiroide (nel neonato)
- Incluso timico
La caratterizzazione clinica ed eziologica dei noduli tiroidei esorditi in età pediatrica manca di studi ampi e controllati e la maggior parte dei lavori si sono focalizzati sulle due patologie maligne più frequenti: i carcinomi differenziati (papillare e follicolare), mentre esistono pochi dati sugli altri istotipi.
L'irradiazione del collo (es. l'irradiazione a mantellina utilizzata nel linfoma di Hodgkin) predispone sia ai noduli benigni che al cancro della tiroide.
Il nodulo dolente ad insorgenza improvvisa deve far pensare alla tiroidite subacuta o acuta suppurativa o al sanguinamento intra-lesionale di una lesione cistica.
L'incluso timico all'interno della tiroide appare come una lesione nodulare. Esso è in genere un rilievo occasionale nei bambini sottoposti a ecografia del collo, non richiede di per sè alcun trattamento, nè un monitoraggio specifico, ma per la diagnosi differenziale è spesso rischiesto l'agoaspirato.
Il teratoma della tiroide è una lesione rara, di solito si riscontra nel neonato e ha un comportamento benigno, anche se sono stati segnalati foci di cellule maligne all'interno della lesione.
Tiroidite autoimmune e noduli tiroidei
I dati sull’incidenza di noduli tiroidei e cancro della tiroide nei pazienti con tiroidite autoimmune riguardano quasi esclusivamente l’età adulta, con una prevalenza riportata nei diversi studi variabile tra l’1% e il 30%. Uno studio recente (1) ha preso in esame la relazione tra tiroidite autoimmune, cancro e noduli tiroidei in un'ampia casistica pediatrica. La presenza di noduli tiroidei veniva riscontrata in 115 su 365 patienti con tiroidite autoimmune (31.5%): 69 soggetti (60%) presentavano un nodulo solitario e 46 soggetti (40%) avevano noduli multipli, 38 noduli erano palpabili (33%). Undici casi di carcinoma papillare venivano diagnosticati mediante esame istologico, dopo aver eseguito la tiroidectomia totale, 5 di essi erano associati a metastasi linfonodali. Otto pazienti presentavano un cancro multifocale e 3 pazienti un cancro unifocale. La prevalenza del sesso maschile era significativamente più elevata nei pazienti con cancro, rispetto a quelli con tiroidite autoimmune (odds ratio: 2.95). Il rilievo di linfoadenopatia ed incremento del volume nodulare in corso di terapia con levotiroxina era significamente più frequente nei pazienti con cancro della tiroide, rispetto ai pazienti con una lesione benigna. La multinodularità all'ecografia era significativamente più frequente dell'uninodularità nei pazienti con cancro.
Diagnosi
Le indagini di primo livello sono le stesse proposte nell’età adulta (TSH, FT4, Ab anti-tireoperossidasi, Ab anti-tireoglobulina, ecocolordoppler della ghiandola tiroidea). Anche i criteri anamnestici, clinici ed ecografici di sospetta malignità sono sostanzialmente simili (tabella).
Fattori di rischio per malignità del nodulo tiroideo | |
Anamnestici | Accrescimento rapido del volume nodulare Pregressa esposizione del collo a radiazioni Età < 6 anni Storia familiare positiva per carcinoma midollare o per MEN |
Clinici | Nodulo solitario Linfoadenomegalia associata Consistenza dura Aderenza ai tessuti circostanti |
Un nodulo tiroideo in un bambino va sempre sottoposto ad ago-aspirato anche se non è ancora stata definita la dimensione minima che renda tecnicamente possibile l’esame. Ci si attiene in generale alle stesse indicazioni/linee guida proposte per l’età adulta. In caso di bambini piccoli o comunque non collaboranti può essere necessario effettuare l’esame in sedazione.
La scintigrafia tiroidea è invece scarsamente utilizzata, in quanto noduli benigni possono non concentrare il radioisotopo (essere cioè freddi), mentre alcuni carcinomi papilliferi possono risultare ipercaptanti (caldi)(2,3).
Bibliografia essenziale
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- Damle N, Gupta S, Kumar P, Mathur S, Bal C. Papillary carcinoma masquerading as clinically toxic adenoma in very young children. J Pediatr Endocrinol Metab 2011, 24: 1051-4.
La terapia soppressiva con ormone tiroideo per la patologia nodulare benigna
Enrico Papini, Roberta Rinaldi, Lucilla Petrucci, Irene Misischi
UOC di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Ospedale Regina Apostolorum Albano Laziale, Roma
La gestione clinica dei noduli della tiroide è guidata dai risultati della ecografia e/o dell’esame citologico per aspirazione. La maggior parte dei noduli non mostra caratteri di sospetto e, in assenza di sintomi compressivi locali o di iperfunzione tiroidea, può essere seguita regolarmente nel tempo senza interventi terapeutici (1-2). Tuttavia, anche se molti noduli e gozzi rimangono sostanzialmente stabili nel tempo, una parte di essi mostra crescita progressiva ed è causa di preoccupazione o fastidio locale per i pazienti. E’ nozione comune che maggiore è l’età del paziente e la durata del gozzo e più rilevanti sono le dimensioni che esso raggiunge (3-5). La tendenza all’accrescimento, inoltre, è più marcata nelle donne pluripare e appare attenuarsi con la menopausa (6).
Nei modelli animali e nell’uomo l'assenza protratta di secrezione del TSH è seguita da graduale ipotrofia della tiroide (7). Il TSH, inoltre, è un fattore necessario per lo sviluppo del gozzo secondario a deficit di iodio o a tiroidite di Hashimoto. Al contrario, i noduli solitari, in ghiandole normali, in assenza di deficit iodico o di autoimmunità tiroidea, sono probabilmente espressione di proliferazione clonale o dell’intervento di fattori di crescita indipendenti dal TSH (8). Sulla base delle osservazioni cliniche e dei presupposti fisiopatologici è stata proposta e ampiamente utilizzata, a partire dalla metà del secolo scorso, la “terapia soppressiva” con ormone tiroideo per la patologia nodulare tiroidea (9).
Noduli tiroidei solitari
I dati presenti in letteratura sui noduli non iperfunzionanti sono controversi (10). Numerosi trial clinici non randomizzati (11-13) avevano dimostrato la riduzione del volume dei noduli tiroidei dopo terapia con ormone tiroideo ma, nel 1987, un trial clinico randomizzato nordamericano ha escluso l’efficacia della terapia soppressiva con levotiroxina nei noduli tiroidei solitari (14). Fra il 1989 e il 1999 altri tre trial clinici randomizzati hanno confermato l’assenza di efficacia della terapia soppressiva nei noduli solitari della tiroide (15-17). E’ tuttavia necessario ricordare i limiti di questi trial: il cut-off per un decremento clinicamente significativo era posto al 50% del volume iniziale, la durata dei trial era breve, il numero dei pazienti era ridotto e in alcuni studi erano presenti evidenti limiti metodologici.
Tre successivi trial randomizzati di 12, 12 e 18 mesi, condotti in aree con deficit iodico borderline (18-20) hanno al contrario mostrato una riduzione clinicamente significativa. Un decremento del volume pari al 50% si osservava solo in una parte dei pazienti trattati (17–39%), ma la riduzione media nel gruppo in trattamento attivo risultava statisticamente significativa rispetto al gruppo di controllo, che era caratterizzato da una moderata tendenza all’accrescimento. Risultava evidente un'eterogeneità nella risposta alla terapia soppressiva, che è apparsa correlabile ad alcuni caratteri iniziali: noduli con maggior diametro < 1.7 cm (volume < 2.4 mL), noduli con componenti degenerative e senza caratteri fibrotici e presenza di abbondante colloide all’esame citologico (21).
Il solo studio prospettico randomizzato di lunga durata (cinque anni) ha confermato che la terapia soppressiva è in grado di ridurre il volume dei noduli tiroidei solo in una parte dei casi trattati (22). Il gruppo trattato, tuttavia, mostrava dopo cinque anni un'efficace prevenzione dell’incremento di volume sia dei noduli sia della ghiandola nel suo complesso e la comparsa meno frequente di nuovi noduli rispetto al gruppo in trattamento con placebo (22).
E’ interessante rilevare che in uno studio di un anno su pazienti randomizzati a una terapia pienamente (TSH < 0.01 mU/L) o parzialmente soppressiva (TSH 0.4-0.6 mU/L) la riduzione del volume nodulare non mostrava differenze statisticamente significative (36 vs 45%) (23). La sospensione della terapia era, in questo come in altri trial, seguita dalla ripresa dell’accrescimento.
Nel 1998, 2001 e 2005 sono state effettuate tre successive meta-analisi (comprendenti 7, 6 e 9 trials) (24-26). L’ultima di esse, condotta soltanto sui trial caratterizzati da maggior rigore metodologico, ha dimostrato che la terapia soppressiva è statisticamente più efficace del placebo nell’indurre una riduzione del volume dei noduli > 50% (26). Veniva inoltre confermato che solo una parte dei pazienti trattati (15% circa) appare pienamente responsiva alla soppressione del TSH e che la sospensione della terapia è seguita dalla ripresa dell’accrescimento.
Gozzo normofunzionante
Sette trial non randomizzati hanno mostrato una riduzione del volume del gozzo nel 60% dei casi trattati (11). La riduzione appariva più probabile nei soggetti più giovani, con gozzo diffuso, di entità moderata e più recente insorgenza.
Due studi prospettici randomizzati in pazienti con gozzo non tossico hanno confermato una riduzione clinicamente significativa del volume ghiandolare (determinato ecograficamente) nel 48% e, rispettivamente, nel 58% dei pazienti trattati con levotiroxina (27,28).
La terapia soppressiva appare particolarmente efficace nel ridurre le dimensioni del gozzo e la tendenza all’accrescimento nel tempo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto, anche se ancora eutiroidei (29).
Effetti collaterali della terapia soppressiva
La condizione di ipertiroidismo subclinico, sia endogeno che iatrogeno, appare associata nelle donne in post-menopausa (ma non in quelle in pre-menopausa) a un decremento della densità ossea (30).
Nei pazienti anziani con livelli di TSH soppresso la prevalenza di fibrillazione atriale appare aumentata di tre volte rispetto ai soggetti eutiroidei, anche se la mortalità cardiovascolare non è significativamente accresciuta (31). Nei soggetti con protratto ipertiroidismo subclinico (come in caso di terapia soppressiva a lungo termine per carcinoma tiroideo) sono, inoltre, evidenziabili alterazioni del ritmo e della struttura cardiaca di rilievo ecocardiografico (32).
Gli effetti sfavorevoli della terapia soppressiva protratta sono ben documentati. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, alcune osservazioni retrospettive su ampie casistiche di pazienti con patologia nodulare hanno suggerito un possibile ruolo protettivo dei bassi livelli di TSH nei confronti dell'insorgenza del carcinoma differenziato tiroideo (33). Questo dato, che potrebbe essere correlabile con la minore insorgenza di nuove lesioni tiroidee dimostrata nei pazienti in terapia soppressiva (22), necessita di ulteriore conferma.
Suggerimenti per la pratica clinica
La terapia soppressiva con ormone tiroideo ha efficacia soltanto parziale nel ridurre il volume dei noduli tiroidei citologicamente benigni. Essa tuttavia appare rallentare la crescita del gozzo nodulare non iperfunzionante e la comparsa di ulteriori lesioni tiroidee. Poiché la cessazione della terapia è seguita dalla ripresa della storia naturale della malattia, il trattamento dovrebbe essere condotto per periodi di tempo molto lunghi. Una condizione di ipertiroidismo subclinico così protratta appare associarsi a effetti collaterali rilevanti, particolarmente importanti nelle donne in post-menopausa e nei soggetti di età avanzata (34).
Sulla base di queste considerazioni, possono essere formulati i seguenti suggerimenti:
- il trattamento con ormoni tiroidei non dovrebbe essere impiegato di routine nella patologia nodulare tiroidea
- dovrebbe comunque essere condotto a dosi semi-soppressive (portando i livelli di TSH ai limiti inferiori della normalità)
- deve essere preso in considerazione in soggetti giovani, con noduli tiroidei < 2 cm, soprattutto se associati a iperplasia tiroidea diffusa e se viventi in aree a bassa endemia gozzigena
- in aree di endemia gozzigena deve essere sempre condotta una parallela supplementazione con iodio (150 µg/die), soprattutto nei soggetti giovani con gozzo nodulare senza note di autonomia funzionale
- la presenza di autonomia funzionale tiroidea deve essere sempre esclusa in via preliminare con il dosaggio del TSH
- non vi è indicazione al trattamento con ormone tiroideo nei noduli voluminosi (> 3 cm) e nei gozzi di grandi dimensioni e di lunga durata
- la terapia soppressiva è controindicata nelle donne in postmenopausa, negli uomini di età superiore a 60 anni e in presenza di comorbilità internistiche, malattie cardiovascolari e osteoporosi
- nei soggetti con noduli benigni in accrescimento o sintomatici che non sono candidati alla terapia soppressiva deve essere considerato il ricorso alla chirurgia o a procedure terapeutiche non chirurgiche, quali la sclerosi percutanea con etanolo, l’ablazione con ipertermia o il trattamento con radioiodio (7,34).
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Terapia chirurgica per la patologia nodulare tiroidea
Scelta del tipo di trattamento chirurgico nella patologia nodulare tiroidea
Corrado Pedroni, Verter Barbieri
Divisione ORL, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
La gestione clinica della patologia nodulare tiroidea prevede un'accurata valutazione ecografica, seguita da verifica citologica mediante agoaspirazione con ago sottile (FNAB).
L’indicazione all’intervento chirurgico nella patologia tiroidea è essenzialmente riservata ai seguenti casi:
- citologia indicativa o fortemente sospetta di neoplasia maligna tiroidea (Tir 4 - Tir 5)
- citologia indeterminata (nella maggior parte dei casi corrispondente alla lesione follicolare (Tir 3)
- noduli con citologia benigna o non diagnostica (Tir 1-2) con caratteristiche clinico-ecografiche di sospetto o in pazienti con aumentato rischio di malignità (pregressa radioterapia cervicale, familiarità per neoplasia tiroidea)
- noduli con citologia benigna o non diagnostica, associati a sintomi di compressione della via aero-digestiva e/o problemi cosmetici
- patologia nodulare associata a marcato ingrossamento dell’intera ghiandola o di un lobo tiroideo con affondamento in mediastino.
In linea generale, il paziente con evidenza citologica certa di malignità (Tir-5) riceve un’indicazione alla tiroidectomia totale, con linfoadenectomia del compartimento centrale. In caso di citologia sospetta (Tir-4), l’indicazione preferenziale è la lobectomia totale con istmectomia associata ad esame istologico intra-operatorio ed eventuale tiroidectomia totale di completamento e linfoadenectomia del compartimento centrale. Rimandiamo ai capitoli dedicati alla chirurgia del carcinoma tiroideo per una trattazione dettagliata di questi aspetti.
Il presente capitolo è incentrato sul trattamento chirurgico della patologia nodulare della tiroide caratterizzata da citologia dubbia per lesione indeterminata o follicolare (Tir-3), o da citologia benigna (Tir-2) ma con caratteristiche cliniche “a rischio”, o sintomi di tipo compressivo. In tali quadri, il trattamento chirurgico standard è rappresentato dalla lobectomia tiroidea totale con istmectomia, che rappresenta l’intervento chirurgico basilare, con l’unica eccezione del nodulo istmico solitario, trattabile con la semplice istmectomia tiroidea. Non trovano indicazione le varianti limitative dell’intervento di lobectomia totale, come l’enucleazione, l’enucleo-resezione e la lobectomia parziale.
La filosofia concettuale della lobectomia totale con istmectomia (o lobo-istmectomia) poggia sulla radicalità dell’intervento dal lato operato e sulla conservazione dell’integrità anatomica dell’area tiroidea del lobo controlaterale, e di conseguenza dei nervi laringei e delle ghiandole paratiroidi di quel lato, mantenendo intatta la possibilità di eseguire una tiroidectomia totale di completamento senza alcun aumento del rischio di complicanze sulle strutture “nobili” suddette.
Il trattamento della neoformazione follicolare della tiroide (Tir-3) resta a tutt’oggi un argomento dibattuto e controverso. Sappiamo che il 15–30% dei noduli tiroidei solitari sono classificati alla FNAB come lesioni indeterminate o neoformazioni follicolari (1) e queste rappresentano il vero problema per il citologo: egli, infatti, non è in grado di distinguere, in questo gruppo di lesioni, le forme benigne (adenomi) da quelle maligne (carcinomi) per la morfologia cellulare assolutamente identica di entrambe le forme (2). A questa diagnosi citologica potranno corrispondere diversi quadri patologici: adenoma follicolare, carcinoma follicolare, variante follicolare di carcinoma papillare e anche adenoma e carcinoma a cellule di Hürthle (vedi capitolo sulla citologia tiroidea). Pertanto, i pazienti con reperto citologico di lesione indeterminata o neoformazione (proliferazione) follicolare (Tir-3) devono essere sottoposti a procedura chirurgica diagnostica, a meno che bassi livelli di TSH serico e la scintigrafia tiroidea non abbiano evidenziato un nodulo “caldo”, funzionalmente, perché in questa eventualità è altamente probabile la diagnosi di benignità (adenoma follicolare)(1, 3).
La valutazione citologica di una neoplasia follicolare resta un problema diagnostico insoluto per l’assenza di chiare atipie citologiche anche nel carcinoma follicolare ben differenziato, per il quale gli unici criteri diagnostici validi, l’angio-invasività e l’invasione della capsula, sono di tipo istopatologico ed architetturale e pertanto evidenziabili solo con l’esame istologico definitivo. Anche gli aspirati con reperto prevalente di cellule ossifile (di Hürthle) devono essere considerati alla stesso modo (4). Nel carcinoma papillare varietà follicolare, qualora non sia presente nessuna delle caratteristiche nucleari patognomoniche del carcinoma papillare varietà classica, si riproporrà la diagnosi citologica di neoformazione follicolare. Nella diagnostica differenziale pre-operatoria tra adenoma e carcinoma follicolare sono stati valutati diversi marcatori molecolari (es. Galectina-3, BRAF, RET/PTC, RAS, HBME-1, TTF-1, LEU-M1, hTERT (telomerase activity), Topoisomerasi-II alfa), ma, a tutt’oggi, il loro impiego clinico è ancora limitato (5-10). Le linee guida ATA del 2009 suggeriscono (con una raccomandazione di grado C) che nei pazienti con reperto citologico di lesione indeterminata alla FNA può essere preso in considerazione l’impiego dei marcatori molecolari per la scelta del trattamento (11).
Anche l’esame istologico al congelatore è difficilmente in grado di distinguere l’adenoma dal carcinoma follicolare. Infatti, la diagnosi al congelatore del carcinoma follicolare “minimamente invasivo” è quasi impossibile, sia per l’elevata differenziazione della neoplasia, che simula un adenoma, sia per la necessità di un esame completo ed accurato su più sezioni di tutta la capsula del nodulo, per evidenziare i caratteri su cui si basa interamente la diagnosi di malignità: l’invasione vascolare e capsulare. Gli stessi criteri diagnostici valgono per i carcinomi oncocitari o a cellule di Hürthle. Pertanto, la maggior parte degli Autori (12-15) è convinta che l’uso routinario dell’istologia intra-operatoria nei casi con reperto citologico di neoformazione follicolare sia inutile, perché fornisce risultati incerti e non conclusivi, rimandando la diagnosi ai preparati definitivi. Nella serie di 135 pazienti consecutivi con lesione follicolare della tiroide, operati presso il Johns Hopkins Hospital di Baltimora, l’istologia al congelatore ha mostrato uno scarso valore diagnostico, non fornendo informazioni utili aggiuntive nell’87% dei casi e fornendo risultati inaffidabili nel 5% (12). Altri Autori (16-18) sono invece convinti che l’istologia intra-operatoria al congelatore possa essere ancora utile nei noduli che presentano un reperto citologico indeterminato o dubbio. Per Kingston (16), nelle neoformazioni follicolari, se la lesione risulterà benigna all’esame di tre sezioni al congelatore, l’esame istologico definitivo rivelerà verosimilmente un adenoma o, al massimo, un carcinoma follicolare minimamente invasivo. Inoltre, l’istologia intra-operatoria al congelatore può essere utile nei casi con reperto citologico di neoplasia follicolare con alcuni dei caratteri nucleari del carcinoma papillare, in cui potrebbe consentire l’identificazione di una variante follicolare di carcinoma papillare.
La possibilità di determinare pre-operatoriamente o intra-operatoriamente la malignità nelle neoplasie follicolari rimane, pertanto, un problema clinico di difficile soluzione. Sappiamo, comunque, che circa il 20% delle lesioni indeterminate (neoplasie follicolari o a cellule di Hürthle) risulterà essere un carcinoma all’istologia definitiva (4, 13, 19-22) e che vi sono alcun caratteristiche cliniche che aumentano il rischio di malignità: un pregresso trattamento radiante sul collo, la familiarità per carcinoma della tiroide, le dimensioni della lesione (> 4 cm), l’età avanzata del paziente, il sesso maschile (23-26).
Nel 2007 la National Cancer Institute Thyroid Fine-Needle Aspiration State of the Science Conference ha proposto una nuova classificazione dei reperti citologici degli ago-aspirati tiroidei, il Bethesda System for Reporting Thyroid Cytopathology (27, 28), che prevede 6 categorie anziché 5, distinguendo, nell’ambito delle lesioni indeterminare o follicolari, la categoria delle “neoplasie follicolari o sospette tali”, che hanno una probabilità del 15-30% di essere maligne (4, 20, 28-30), dalla categoria delle “atipie o lesioni follicolari di significato indeterminato”, che presentano un rischio di malignità più basso, del 5-15% (27, 28). Nell’ambito delle neoplasie follicolari con esito istologico di malignità, la maggior parte sono carcinomi follicolari, ma una quota non trascurabile è rappresentata dalla variante follicolare del carcinoma papillare (4, 30, 31). Delle neoplasie a cellule di Hürthle, secondo la classificazione WHO varianti oncocitiche delle neoplasie follicolari (32), circa il 15-45% sono carcinomi (20, 33, 34).
Di fronte ad un riscontro citologico di neoplasia follicolare o a cellule di Hürthle, per la maggior parte degli Autori (13, 27, 28, 35, 36, 37) è indicato ricorrere alla lobo-istmectomia tiroidea come trattamento chirurgico iniziale. Questo significa che ci si dovrà basare sulla diagnosi istologica definitiva per il completamento del programma terapeutico: se risulterà un carcinoma follicolare con caratteristiche che pongono il paziente ad alto rischio, come una significativa invasione capsulare o angio-invasione, si programmerà la tiroidectomia di completamento in un secondo tempo (38, 39). Nei quadri citologici di neoformazione follicolare caratterizzati da sporadiche alterazioni nucleari, può essere utile il ricorso alla lobo-istmectomia con esame istologico intra-operatorio al congelatore, stante la possibilità di identificare in corso di intervento una variante follicolare di carcinoma papillare della tiroide (17, 18).
Alcuni Autori (26, 35, 41) ritengono che, sino a quando non si disporrà di metodi più affidabili per differenziare pre-operariamente le neoplasie follicolari benigne e maligne, il modo più ragionevole per guidare l’estensione dell’intervento chirurgico primario, minimizzando la necessità di reinterventi e, viceversa, di procedure chirurgiche non necessarie, possa essere l’utilizzo di alcuni fattori di rischio clinici (età avanzata del paziente, precedente esposizione alla radioterapia, dimensioni e rapida crescita del nodulo, sintomi compressivi) e citologici (lesione a cellule di Hürthle). Il gruppo del John Hopkins Hospital di Baltimora raccomanda la tiroidectomia totale in luogo della lobectomia tiroidea nelle neoformazioni a cellule di Hürthle superiori a 4 cm di diametro, poichè nel 65% dei casi esse corrisponderebbero a lesioni maligne (41). Carling et al alla Yale University consigliano la tiroidectomia totale ab inizio per le neoformazioni follicolari o a cellule di Hürthle quando il paziente è stato trattato in età giovanile con RT esterna sul collo (35). Per Tyler (26) l’età del paziente superiore a 50 anni è un fattore di rischio di malignità statisticamente significativo.
Le più recenti linee guida dell’ATA (11) e della NCCN (42) raccomandano:
- nei pazienti con nodulo solitario, con reperto citologico sospetto per neoplasia follicolare o a cellule di Hürthle (lesione indeterminata), con TSH alto o normale, che preferiscono un trattamento chirurgico conservativo: lobectomia tiroidea come approccio chirurgico iniziale (raccomandazione di grado C);
- nei pazienti con reperto citologico di lesione indeterminata con noduli voluminosi (> 4 cm) o familiarità per carcinoma tiroideo o sottoposti ad un pregresso trattamento radiante sul collo, per l’aumentato rischio di malignità: tiroidectomia totale (raccomandazione di grado A);
- nei pazienti che presentano noduli in entrambi i lobi e in quelli che preferiscono evitare un eventuale secondo intervento sul lobo controlaterale: tiroidectomia totale o quasi totale (raccomandazione di grado C).
Anche la diagnosi istologica definitiva di carcinoma follicolare può essere talora problematica nelle lesioni follicolari capsulate. Infatti, la distinzione tra adenoma follicolare e carcinoma follicolare minimamente invasivo è spesso difficile, perché, sebbene siano stati descritti i criteri di valutazione dell’invasione capsulare e vascolare, la loro applicazione e la diagnosi conseguente possono variare tra i patologi. La diagnosi di carcinoma follicolare minimamente invasivo può essere fatta sulla base della sola invasione capsulare, della sola invasione vascolare o di entrambe. Però la determinazione di queste caratteristiche non è sempre facile e può essere soggettiva. Otto patologi, 4 americani e 4 giapponesi, hanno rivisto 21 preparati istologici di lesione follicolare capsulata. Solo nel 62% dei casi si è raggiunto un accordo nelle distinzione tra lesione benigna e maligna e, addirittura, solo nel 10% dei casi vi era accordo completo nella diagnosi (43). Comunque, per la diagnosi di carcinoma follicolare minimamente invasivo è necessaria un’indagine completa della lesione follicolare capsulata, realizzata con almeno 10 sezioni istologiche che evidenzino la penetrazione microscopica completa della capsula o la presenza di alcuni foci di invasione vascolare (44-46). Per le lesioni follicolari caratterizzate da aspetti infiltrativi e angioinvasivi minimi, è stata anche proposta la denominazione di “tumori follicolari a potenziale maligno incerto”; per tali quadri viene comunque suggerito come prima opzione di trattamento chirurgico un approccio conservativo (lobectomia tiroidea)(47).
Sebbene alcuni Autori (48), sulla base dei dati di sopravvivenza globalmente eccellenti, raccomandino per tutti i pazienti con carcinoma follicolare minimamente invasivo il trattamento conservativo mediante lobo-istmectomia, senza tiroidectomia di completamento, altri (36, 49-54) sottolineano che non tutti i carcinomi follicolari minimamente invasivi hanno un decorso favorevole, in particolare quelli con presenza di invasione vascolare. Alla Mayo Clinic (54) hanno analizzato 72 pazienti con carcinoma follicolare della tiroide minimamente invasivo e hanno riscontrato, con un follow-up a 10 anni, che i carcinomi follicolari con sola invasione capsulare si comportavano come tumori benigni, con incidenza di metatasi a distanza e tassi di mortalità tumore-specifica intorno allo zero, indipendentemente dal trattamento primario. Invece, i carcinomi follicolari minimamente invasivi con invasione vascolare presentavano un tasso di mortalità tumore-specifica a 10 anni del 28% e una prevalenza di metastasi a distanza del 19%. D’Avanzo e Clark (49) hanno proposto di distinguere il carcinoma follicolare in:
- minimamente invasivo: solo invasione capsulare, a tutto spessore
- moderatamente invasivo: angio-invasione con o senza invasione capsulare
- ampiamente invasivo: invasione trans-capsulare.
Nella loro casistica di 132 pazienti operati per carcinoma follicolare, di cui 45 (37.8%) con tumore minimamente invasivo, 50 (42%) con tumore moderatamente invasivo e 24 (29%) ampiamente invasivo, la sopravvivenza a 10 anni era significativamente migliore nei pazienti con carcinoma follicolare con sola invasione capsulare (98%), rispetto a quelli con invasione vascolare (80%). Entrambi presentavano una prognosi decisamente più favorevole rispetto a quelli con carcinoma follicolare ampiamente invasivo (38%).
Rosai (46) ha proposto una classificazione patologica del carcinoma follicolare minimamente invasivo, in cui distingue i tumori con invasione vascolare limitata, fino a 3 foci, dai carcinomi follicolari capsulati con invasione vascolare estesa, superiore a 3 foci. I primi devono essere trattati con lobo-istmectomia tiroidea come quelli con sola invasione capsulare, gli altri con tiroidectomia totale come i carcinomi follicolari ampiamente invasivi (55).
In conclusione, la maggior parte degli autori (36,49,50) concorda che nella categoria dei carcinomi follicolari minimamente invasivi sia necessario distinguere quelli con sola invasione capsulare, che hanno una storia naturale grosso modo simile a quella degli adenomi follicolari e che possono essere trattati con intervento conservativo (lobo-istmectomia tiroidea), da quelli con invasione vascolare che possono dare metastasi a distanza e devono essere trattati con tiroidectomia di completamento e successiva terapia radioablativa. Nei carcinomi follicolari ampiamente invasivi è indiscutibile l’indicazione alla tiroidectomia di completamento e alla successiva terapia ablativa con radioiodio.
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Terapia chirurgica mini-invasiva per la tiroide
Marco Boniardi
SC di Chirurgia Generale Oncologica e Laparoscopica, Ospedale Niguarda Ca’ Granda – Milano
Introduzione
Negli ultimi quindici anni anche nell’ambito della chirurgia endocrina si è progressivamente diffusa la tendenza all’impiego di tecniche mini-invasive, cioè di procedure che ottengono gli stessi risultati della chirurgia tradizionale con incisioni cutanee più limitate e con dissezioni più focalizzate. Questo progresso si è reso possibile grazie all’introduzione di nuovi strumenti endoscopici, per una visione ingrandita del campo operatorio, e soprattutto grazie alla disponibilità di presidi utilizzati per la sezione dei vasi sanguigni che garantiscono un’emostasi altrettanto sicura rispetto alle classiche “legature”.
La procedura mini-invasiva, utilizzabile solo in un numero limitato di pazienti candidati alla tiroidectomia, presenta, oltre al miglior risultato estetico, il vantaggio di una riduzione del dolore post-operatorio e della durata della degenza ospedaliera.
Indicazioni
La chirurgia mini-invasiva della tiroide presenta delle indicazioni limitate, condizionate soprattutto dalle dimensioni dei noduli e dal volume della tiroide: come dimostrato dalle casistiche dei Centri di riferimento, solo il 10-15% delle tiroidectomie possono avvalersi di questo approccio (1,2).
Le indicazioni assolute alla mini-invasiva sono rappresentate da: noduli del diametro < 30-35 mm, volume tiroideo < 30 mL.
La tecnica è controindicata nei gozzi multinodulari voluminosi, nei pazienti precedentemente trattati con radioterapia a livello cervicale o già sottoposti a tiroidectomie parziali (per le aderenze che ostacolano le manovre di dissezione lungo piani normalmente avascolari), nei carcinomi invasivi, in presenza di metastasi linfonodali. Controindicazioni relative sono la presenza di tiroidite, l’ipervascolarizzazione della ghiandola (morbo di Basedow) per il rischio di sanguinamento, le caratteristiche costituzionali del paziente (collo corto e largo, obesità).
Indicazioni elettive alla chirurgia mini-invasiva sono pertanto le proliferazioni follicolari (classe citologica TIR 3) di cui viene richiesta la definizione istologica ed i carcinomi papilliferi a basso rischio. In questi ultimi, studi randomizzati hanno dimostrato che la tecnica mini-invasiva garantisce la stessa radicalità oncologica della tiroidectomia convenzionale con risultati sovrapponibili, nel follow-up post-operatorio, in termini di valori di tireoglobulinemia e di percentuale di captazione alla scintigrafia con 131I (3-5). Altra indicazione elettiva è rappresentata dalle tiroidectomie profilattiche in soggetti portatori della mutazione del proto-oncogene RET, esposti al rischio di insorgenza di un carcinoma midollare.
Tecnica
Le prime tiroidectomie mini-invasive sono state eseguite da Michel Gagner nel 1996 e da Cristiano Husher nel 1997, utilizzando tre piccole incisioni cutanee per l’introduzione degli strumenti operativi e con l’insufflazione di CO2 per la creazione della camera di lavoro (tiroidectomia endoscopica “pura”). Questa tecnica presentava tempi operativi molto lunghi, richiedeva una particolare esperienza in chirurgia endoscopica ed esponeva al rischio di diffusione del gas nei tessuti sottocutanei (pneumo-collo).
Nel 1998 Paolo Miccoli ha proposto una nuova procedura, la tiroidectomia mini-invasiva video assistita (MIVAT), che ha il vantaggio di non richiedere l’impiego della CO2, di utilizzare una strumentazione semplice, di essere realizzabile in tempi operatori accettabili e di offrire un eccellente risultato estetico. Per questi motivi e per la sua facile riproducibilità dopo una breve curva di apprendimento, la MIVAT ha presentato subito ampia diffusione nel mondo scientifico e costituisce oggi la tecnica mini-invasiva più utilizzata in Occidente.
L’intervento prevede un’incisione cutanea di 1.5-2 cm, due dita trasverse al di sopra della fossetta del giugulo e la separazione dei muscoli pre-tiroidei sulla linea mediana, con conseguente accesso alla loggia tiroidea. Successivamente, vengono introdotte nella cavità così formata un’ottica del diametro di 5 mm, due piccole spatole smusse e due divaricatori (strumenti realizzati specificamente per questa tecnica): da questo momento il chirurgo opera controllando il movimento degli strumenti sul monitor collegato alla telecamera. L’intervento procede con la preparazione della tiroide mediante separazione della capsula tiroidea dalle strutture circostanti lungo tutto l’asse longitudinale del lobo. Vengono quindi isolati i rami vascolari del peduncolo superiore, che vengono sezionati con il bisturi ad ultrasuoni (Ultracision, Ethicon Endosurgery) ed eventuale applicazione di clip metalliche. Si procede quindi con una delle fasi più delicate dell’intervento, il riconoscimento e l’isolamento del nervo ricorrente e delle paratiroidi, che devono essere identificati e preservati con assoluta sicurezza durante le manovre di distacco della tiroide dalla trachea. L'ingrandimento delle immagini ad opera della telecamera è in questa fase di grande vantaggio per il chirurgo, perché offre una migliore definizione delle strutture vascolari e soprattutto del nervo ricorrente. Una volta ultimata questa fase “endoscopica”, il lobo tiroideo viene fatto fuoriuscire dall'incisione cutanea; il distacco dalla trachea viene quindi completato con tecnica tradizionale, sotto costante controllo visivo del nervo ricorrente. La tiroide viene infine sezionata in corrispondenza dell’istmo se è stata programmata un’emitiroidectomia; se, al contrario, si deve procedere ad un’asportazione completa della ghiandola si attua, con procedimento analogo, l’exeresi del lobo controlaterale. I muscoli pre-tiroidei e il sottocute vengono riavvicinati con punti riassorbibili, mentre la sintesi della cute viene effettuata con sutura intra-dermica o con applicazione di colla (cianoacrilato).
Figura 1. Setting operatorio: il campo operatorio è stato preparato evidenziando la cartilagine tiroidea (in alto), la linea del’incisione cutanea e la fossetta del giugulo (in basso).
Figura 2: Incisione cutanea della lunghezza di 2 cm
Figura 3: Sezione dei vasi del peduncolo vascolare superiore tra clip metalliche
Figura 4: Sezione dei vasi del peduncolo inferiore
Figura 5: Riconoscimento del nervo ricorrente destro e della paratiroide superiore destra
Figura 6: Il nervo ricorrente di sinistra isolato fino al punto di penetrazione nella laringe; la paratiroide superiore è stata separata dal lobo tiroideo
Figura 7: Panoramica finale del campo operatorio prima del completamento del distacco della tiroide dal piano tracheale
Figura 8: Estrazione del lobo tiroideo destro dalla mini-cervicotomia
Risultati
In una recente review Jao Liu ha analizzato i risultati di 9 studi prospettici randomizzati che hanno confrontato i risultati della chirurgia convenzionale con quelli della chirurgia mini-invasiva video-assistita della tiroide (6). La MIVAT ha presentato una percentuale di complicanze (emorragia post-operatoria, paralisi ricorrenzale, ipoparatiroidismo transitorio/definitivo) sovrapponibile a quella della chirurgia convenzionale. Si è invece resa evidente una superiorità della MIVAT in termini di risultato estetico e di dolore post-operatorio. Le incisioni cutanee sono risultate mediamente di 2 cm di lunghezza in confronto con i 5 cm delle cervicotomie tradizionali. Il dolore post-operatorio nelle prime 48 ore è apparso significativamente inferiore nella chirurgia mini-invasiva, mentre nel decorso post-operatorio successivo non sono emerse differenze tra le due procedure (7). La riduzione del dolore può essere giustificata dalla minore estensione della ferita chirurgica e da una dissezione all’interno della loggia tiroidea più focalizzata. Inoltre la MIVAT non necessita di un’iperestensione del capo sul tavolo operatorio, e questo può spiegare l’assenza di cervicalgie nelle ore immediatamente successive all’intervento. In tutti i Centri i tempi operatori sono risultati inizialmente superori a quelli della chirurgia “open”, ma sono andati progressivamente riducendosi col progredire dell’esperienza degli operatori (8).
L’unico “svantaggio” della MIVAT è rappresentato dai costi, che sono risultati superiori alla chirurgia tradizionale, soprattutto per la necessità di impiego di strumenti emostatici (bisturi ad ultrasuoni) utilizzabili per un solo intervento.
Nuove prospettive: chirurgia "scarless" e robotica
Negli ultimi anni la chirurgia mini-invasiva della tiroide si è orientata verso la ricerca di soluzioni tecniche che consentano di asportare la tiroide evitando ferite in sede cervicale (9-10). Questo indirizzo di ricerca è sostenuto soprattutto dai Paesi Orientali, dove la cicatrice nel collo è avvertita come motivo di disagio sociale, soprattutto dalle giovani donne. Sono state riproposte teniche endoscopiche, quindi con impiego di gas per ottenere una camera di lavoro, con approccio trans-mammario, realizzate mediante introduzione degli strumenti endoscopici in sede sternale ed in corrispondenza dell’areola mammaria. Altri studi, per lo più sperimentali, hanno applicato alla chirurgia della tiroide la tecnica NOTES (Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery), chirurgia “senza cicatrici” che utilizza gli orifizi naturali per l’accesso degli strumenti chirurgici. La tiroidectomia viene realizzata con questo approccio per via trans-orale (11).
Una procedura che sta suscitando grande interesse, non solo nei Paesi Orientali, ma anche nel mondo Occidentale, è la tiroidectomia con accesso trans-ascellare realizzata con l’impiego del robot (12-14). Le indicazioni alla tiroidectomia robotica sono analoghe a quelle della MIVAT: lesioni uninodulari di diametro < 3 cm e volume della ghiandola < 30 mL. L’intervento è realizzato senza impiego di gas. La tecnica prevede un’incisione di circa 6 cm in corrispondenza del cavo ascellare omolaterale alla lesione tiroidea; viene quindi preparato un tragitto sottocutaneo fino al muscolo sterno-cleido-mastoideo, che consente agli strumenti chirurgici robotici di accedere alla loggia tiroidea. Inizia quindi l’intervento robotico vero e proprio, con il chirurgo operatore seduto alla consolle: le sue manovre vengono trasmesse dal robot alle braccia operative alle quali sono collegati gli strumenti chirurgici. Rispetto alla tecnica endoscopica i vantaggi sono rappresentati soprattutto dalla possibilità per l’operatore di effettuare movimenti molto precisi, a 360°, con visione tridimensionale del campo operatorio. L’intervento risulta ideale per lesioni tiroidee monolaterali, mentre appare più difficoltoso per le tiroidectomie totali, specie per l’exeresi del lobo controlaterale all’incisione. I risultati relativi a più di 700 tiroidectomie robotiche presentati da Woong Youn Chung, chirurgo coreano, attualmente il massimo esperto in questo campo, e studi multicentrici relativi al trattamento di più di 2000 casi sembrano dimostrare che la tiroidectomia robotica garantisce ottimi risultati, con bassa percentuale di complicanze, alti livelli di radicalità oncologica, e, in confronto con altre tecniche mini-invasive, maggiori vantaggi ergonomici per il chirurgo. Il vantaggio maggiore per il paziente, sempre rispetto alla MIVAT, è rappresentato dall’assenza di cicatrici a livello cervicale. La tiroidectomia robotica, tuttavia, non può essere considerata mini-invasiva in senso stretto, sia per l’entità dell’incisione cutanea che per l’estensione dell’area cruentata. I tempi operatori risultano maggiori rispetto alla MIVAT e le difficoltà della tecnica chirurgica impongono una curva di apprendimento più lunga. Non sono inoltre da trascurare i costi dell’intervento, correlati alla disponibilità del robot e all’acquisto di una sofisticata strumentazione, elementi, questi, che potrebbero ostacolarne la diffusione.
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Chirurgia robotica per la patologia tiroidea
Celestino Pio Lombardi
UO di Chirurgia Endocrina e Metabolica, Policlinico Gemelli, Roma
(aggiornato all'8 novembre 2016)
Nel corso degli ultimi decenni, in seguito alla descrizione della prima paratiroidectemia subtotale per via endoscopica da parte di Gagner nel 1996 e sulla scorta dell’esperienza maturata nel trattamento della patologia paratiroidea, sono stati descritti e sviluppati numerosi approcci mini-invasivi alla tiroidectomia (1,2). L’introduzione di questi approcci è stata motivata in primo luogo dalla volontà di ridurre al minimo il danno “estetico” della tiroidectomia, principio estremamente rilevante se si considera il fatto che la maggior parte dei pazienti portatori di patologia tiroidea è costituita da donne relativamente giovani, per le quali il risultato estetico è estremamente importante, soprattutto in una regione così “visibile” come il collo (1,2).
Sono state proposte tecniche che prevedono l’uso dell’endoscopio e tecniche senza l’uso dell’endoscopio (1,2). Ovviamente le seconde tendono a ridurre l’incisione cutanea, senza peraltro avere i vantaggi che l’ingrandimento offerto dall’endoscopio consente in termini di visualizzazione e dissezione delle strutture. Le tecniche che prevedono l’uso dell’endoscopio sarebbero quindi da preferire proprio per questo motivo.
Da un punto di vista puramente didattico, le differenti tecniche che utilizzano l’endoscopio possono essere suddivise in tecniche video-assistite e tecniche endoscopiche (fig 1).
Figura 1 Approcci mini-invasivi alla tiroidectomia
La tiroidectomia video-assistita (VAT = video-assisted thyroidectomy), descritta per la prima volta nel 1999 (3), consiste in una tecnica totalmente gasless, che ripete tutti gli step della chirurgia convenzionale, in cui la telecamera rappresenta un ausilio tecnico che consente di eseguire lo stesso intervento attraverso un’incisione cutanea di 2 cm (3-7). Questa tecnica è quella che ha incontrato il maggior numero di consensi, in considerazione della sua riproducibilità e dei rilevanti vantaggi rispetto alla chirurgia convenzionale, soprattutto in termini di diminuzione del discomfort post-operatorio e del miglior risultato estetico (8,9). I dati di studi multicentrici effettuati su ampie casistiche hanno inoltre dimostrato che, in mani esperte, la tiroidectomia video-assistita rappresenta una metodica sicura, con complicanze post-operatorie sovrapponibili se non minori rispetto alla chirurgia convenzionale (6).
Gli approcci puramente endoscopici alla tiroidectomia comportano la necessità di insufflazione continua di CO2 o di sistemi meccanici esterni per mantenere lo spazio operatorio (2,10). Questi ultimi possono essere classificati in approcci diretti cervicali, che hanno avuto una limitata diffusione, e approcci indiretti extra-cervicali (toracico, mammario e ascellare) (2,10), introdotti al fine di eliminare qualsiasi cicatrice a livello cervicale. Poiché la via di accesso extra-cervicale di questi approcci comporta la necessità di un’estesa fase di dissezione per raggiungere la loggia tiroidea, essi non possono essere definiti mini-invasivi. Inoltre, la difficoltà della dissezione puramente endoscopica, dovuta soprattutto all’esiguo spazio di lavoro e alle limitazioni della strumentazione endoscopica e della visione bidimensionale, rappresenta un limite importante della tiroidectomia endoscopica con approccio extra-cervicale. Forse sono proprio questi limiti insiti nelle metodiche che hanno limitato la loro diffusione agli autori che le hanno proposte (10).
Al fine di superare i limiti della tiroidectomia endoscopica extra-cervicale, un gruppo dello Yonsei Medical Center di Seul in Corea del Sud ha introdotto e perfezionato l’applicazione nella pratica clinica della tecnologia robotica alla tiroidectomia (Tiroidectomia Robot-Assistita, TR) (11). Sin dalla sua introduzione, la TR è stata argomento di grande interesse sia negli Stati Uniti, che in altre parti del mondo (12-15). Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale, il reale impatto clinico della TR rimane controverso. Infatti, nel 2011 la FDA negli Stati Uniti ha revocato l’approvazione all’applicazione della tecnologia robotica alla tiroidectomia (16). Questo ha condotto diversi autori ad abbandonare la RT, dubitando dei reali benefici della tecnica (17,18). La particolare diffusione di questa tecnica nei Paesi Orientali, potrebbe essere attribuita a ragioni socioculturali, per le quali le popolazioni asiatiche rifiutano le cicatrici soprattutto a livello cervicale.
Seppur gravato da costi significativamente più elevati, il sistema chirurgico robotico Da Vinci (Intuitive Surgical) facilita la tiroidectomia con accesso extra-cervicale attraverso una visione tridimensionale ingrandita, un’enorme libertà di movimento degli strumenti chirurgici e la maggior precisione derivata dai software elettronici. La TR descritta da Chung prevede un approccio trans-ascellare, attraverso un’incisione praticata a livello del pilastro ascellare anteriore. Viene successivamente creato un tunnel sottocutaneo, seguendo il piano avascolare sulla fascia del muscolo grande pettorale, fino a raggiungere il muscolo sterno-cleido-mastoideo; a questo livello, i due capi del muscolo vengono separati e viene raggiunta la loggia tiroidea. Lo spazio operatorio viene mantenuto attraverso l’ausilio di un retrattore apposito, che consente di raggiungere la ghiandola tiroidea. A questo punto viene eseguito il tempo di docking, posizionando all’interno del tunnel 3 bracci, uno per l’ottica tridimensionale e gli altri due per gli strumenti operativi. La lobectomia omolaterale all’accesso chirurgico viene eseguita seguendo sostanzialmente gli stessi step della tiroidectomia convenzionale. Tuttavia, la lobectomia controlaterale all’accesso ascellare risulta tecnicamente più complessa per l’ostacolo rappresentato dalla trachea, che può non consentire un’adeguata visualizzazione delle strutture del campo operatorio controlaterale, in particolar modo identificazione e dissezione del nervo laringeo inferiore, soprattutto a livello del suo ingresso in laringe.
Le indicazioni per questa tecnica comprendono pazienti con tiroide di volume normale o lievemente aumentato, noduli maligni di piccole dimensioni (carcinoma papillare della tiroide a rischio basso o intermedio), noduli benigni fino a 5 cm.
Le principali controindicazioni comprendono la patologia infiammatoria della tiroide e il sospetto di neoplasia infiltrante o localmente avanzata (19). Ulteriori controindicazioni, in alcuni casi assolute, sono rappresentate da storia di pregressa chirurgia del collo e della mammella e/o precedenti trattamenti radioterapici del distretto cervico-facciale. Anche la presenza sottocutanea, in regione pettorale, di dispositivi elettromedicali per l’assistenza cardiaca (pace-maker, defibrillatori) controindica l’approccio robotico trans-ascellare per l’impossibilità di eseguire il tunnel sottocutaneo di accesso alla regione tiroidea (19). Controindicazioni relative potrebbero inoltre essere rappresentate da artrosi e/o pregressa chirurgia ortopedica dell’articolazione scapolo-omerale, che limitano il posizionamento in estensione dell’arto superiore richiesto da questo approccio.
Importanti sono anche le caratteristiche antropometriche dei pazienti. La creazione del tunnel sottocutaneo pettorale è più difficoltosa in soggetti con BMI > 30 e con una distanza > 15 cm tra l'incisione ascellare e il giugulo sternale (19).
La TR può essere inoltre eseguita attraverso un accesso ascellare e mammario combinato (20), con approccio trans-orale (21) e retro-auricolare (22).
Nonostante il grande interesse riscosso nella comunità chirurgica e l’ampia diffusione nei Paesi Orientali, la TR rimane, ad oggi, una procedura controversa nei Paesi Occidentali (17,18). Infatti, oltre al significativo aumento dei costi che tale procedura comporta, rimangono da chiarire rilevanti questioni inerenti la sicurezza dell’intervento. La tiroidectomia eseguita con tecnica convenzionale è una delle procedure chirurgiche più frequenti al mondo e presenta, in mani esperte, un profilo di rischio molto basso, rispetto al quale ogni nuovo approccio proposto deve essere confrontato. Infatti, in associazione con l’approccio robotico sono state riportate in letteratura, oltre alle comuni complicanze associate alla tiroidectomia, quali l’ipoparatiroidismo e le lesioni ricorrenziali, anche nuove e inconsuete complicanze legate sostanzialmente alla via di accesso, come il danno al plesso brachiale, lo sviluppo della sindrome di Horner, un aumentato rischio di lesioni tracheali e dei grossi vasi, inesistenti o rari nel corso dell’accesso cervicotomico. Ad oggi, i risultati della letteratura dimostrano che la TR si associa a tempi operatori significativamente più lunghi (circa 60 minuti) rispetto alla tecnica convenzionale, legati alla preparazione del lembo cutaneo e al tempo di docking robotico (23). Inoltre, recentemente è stato riportato un rischio significativamente più elevato di lesioni ricorrenziali temporanee (tre volte maggiore rispetto alla chirurgia convenzionale) (23). Per quanto riguarda inoltre la radicalità della resezione chirurgica e l’outcome oncologico, recenti evidenze dimostrano che la TR sembra meno efficace nella rimozione completa del tessuto tiroideo e nel numero di linfonodi asportati nel corso di linfoadenectomia del compartimento centrale (24).
In conclusione, il potenziale aumento del rischio di morbilità post-operatoria, il significativo aumento dei costi e dei tempi operatori e la necessità di follow-up a lungo termine dell’outcome oncologico della TR, rendono ad oggi controversa l’applicazione nella pratica clinica corrente di questa procedura. Sono essenziali studi prospettici eseguiti su ampie casistiche, al fine di chiarire ulteriormente i vantaggi e gli svantaggi dell’applicazione della tecnologia robotica alla tiroidectomia.
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Terapia interventistica per le patologie tiroidee
Overview sulle tecniche ablative percutanee per la patologia nodulare tiroidea benigna
Roberto Novizio1, Chiara Carzaniga2, Enrico Papini3 & Rinaldo Guglielmi3
1UO Endocrinologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS, Roma
2Istituto Auxologico Italiano, Milano
3Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
(aggiornato all’ottobre 2023)
1. PERCHÉ CONOSCERE – O SAPER EFFETTUARE – LA TERMO-ABLAZIONE TIROIDEA
I noduli tiroidei sono comuni, con prevalenza nell’adulto che arriva al 50% nelle donne e al 30% negli uomini. Benché la maggior parte di questi noduli sia benigna e non cresca sensibilmente nel tempo, circa il 10% ha una crescita costante e alcuni di questi noduli richiedono un trattamento per sintomi locali o problemi estetici (1-3).
Negli ultimi anni, c’è stato un aumento notevole del ricorso alla chirurgia tiroidea. La tiroidectomia, sebbene in mani esperte sia un intervento di routine, richiede successiva terapia sostitutiva con tiroxina e ha costi relativamente elevati; inoltre può dare complicanze che hanno impatto sulla qualità di vita. I pazienti, inoltre, possono essere preoccupati per la dipendenza da farmaci, l'aderenza alla terapia e gli effetti collaterali. Altre preoccupazioni non trascurabili sono l’ansia per l'intervento, l'anestesia, il dolore post-operatorio e la cicatrice del collo. Infine, l’impiego di risorse per un intervento chirurgico su una patologia accertatamente benigna sottrae disponibilità al più appropriato uso in ambito oncologico.
Per trattare i noduli tiroidei benigni divenuti sintomatici, negli ultimi vent'anni, dopo gli iniziali studi di fattibilità (4), sono state sviluppate tecniche termo-ablative sotto guida ecografica, che utilizzano fonti di energia diverse - laser, radiofrequenza, micro-onde e ultrasuoni focalizzati. Queste tecniche mirano a ridurre in modo clinicamente significativo il volume del nodulo, migliorando i sintomi ed evitando l’atto chirurgico. Ciò consente un ritorno più veloce alla vita quotidiana e un risparmio significativo per il sistema sanitario (5).
Per l’insieme di questi motivi, la termo-ablazione tiroidea potrebbe essere parte utile delle opzioni terapeutiche offerte dai centri ad alto flusso che si occupano di tireopatie.
2. PRINCIPI FISICI E STRUMENTI TECNICI
Obiettivo della termo-ablazione è causare un danno termico irreversibile al tessuto bersaglio. Le diverse tecniche impiegano differenti sorgenti di energia con il medesimo scopo di aumentare la temperatura nella lesione bersaglio (tab 1): a partire dai 46°C e fino a 60°C, inizia il processo di denaturazione delle proteine, che comporta danni irreversibili a carico del tessuto bersaglio, se mantenuto per un tempo adeguato. Ciò si differenzia dalle tecniche di ablazione chimica - ora applicate in ambito tiroideo solo per le lesioni cistiche - che prevedono invece la coagulazione del tessuto tramite l’iniezione di sostanze tossiche, come l’etanolo.
La temperatura ottimale per un'efficace ablazione tiroidea è compresa tra 60°C e 100°C, temperatura cruciale per indurre sia la necrosi cellulare che la coagulazione dei vasi sanguigni, un complesso di modifiche del tessuto comunemente definito necrosi coagulativa. L’incremento ulteriore della temperatura, fino a 200°C, provoca l'ebollizione dell'acqua presente in sede intra- ed extra-cellulare, determinando carbonizzazione tissutale e isolamento della fonte termica, con minore estensione della distruzione del tessuto circostante.
Tabella 1 | |
Temperatura (°C) | Effetto cellulare |
< 40 | Non danno significativo |
40-46 | Danno cellulare reversibile |
47-60 | Denaturazione |
61-100 | Necrosi coagulativa |
100-200 | Essiccazione |
2.1. Laser
Il laser costituisce un raggio di luce monocromatico, condotto da una fibra ottica, in grado di generare calore quando entra in contatto con un tessuto.
Per raggiungere il tessuto nodulare, vengono utilizzati aghi mandrinati (tipo Chiba) di calibro 21G, all'interno dei quali, dopo aver rimosso il mandrino, viene inserita una fibra ottica del diametro di 300 micron. Attualmente si utilizzano generalmente sorgenti come ittrio-alluminio e neodimio, operanti a 1064 nanometri, oppure laser a diodi che operano a 820 nm (fig 1).
Figura 1
Ago mandrinato 21G, all’interno del quale, sfilato il mandrino, viene infilata la fibra ottica, che produce fasci laser.
A differenza delle tecniche di termo-ablazione con radio-frequenza o micro-onde, la zona ablativa si produce prevalentemente davanti alla fibra ottica, che costituisce la sorgente termica (fig 2).
Figura 2
Rispetto alle altre tecniche, l'energia erogata è inferiore (2-4 W), il che assicura maggiore precisione. In genere, vengono inserite due fibre ottiche per amplificare l'area ablativa, utilizzando due possibili approcci, trans-istmico o longitudinale. Gli applicatori vengono posizionati sullo stesso piano e distanziati di 8 mm per garantire un controllo sincrono delle fibre. L'ablazione inizia dalle zone più remote del nodulo rispetto al punto di ingresso della fibra ottica, ed è possibile completare l'ablazione mediante un movimento di retrazione delle fibre ("pull-back"), coinvolgendo in sequenza le aree prossimali (6).
La procedura viene eseguita in ambulatorio e richiede 15-30 minuti.
Il costo medio di un generatore laser a diodi, senza l'attrezzatura ecografica, è di circa € 30.000 (ma è spesso ceduto in comodato d'uso), mentre il costo del materiale mono-uso (fibra ottica e ago introduttore) varia da 300 a 500 €.
2.2. Radiofrequenza
Questa tecnica sfrutta una corrente elettrica alternata - con frequenza tra 200 e 1200 kHz - che riscalda un ago-elettrodo raffreddato internamente, che viene inserito nella lesione (fig 3).
Figura 3
Il raffreddamento interno protegge il tessuto sano circostante e agevola la diffusione del calore, riducendo l'impedenza del tessuto. La corrente alternata genera un movimento di ioni all'interno del tessuto che, seguendo il flusso alternato, produce calore per attrito (7) (fig 4).
Figura 4
A formare il circuito elettrico concorrono (fig 5):
- ago-elettrodo di 7-10 cm e 17-19 G
- generatore di corrente alternata
- piastre di messa a terra, posizionate su entrambe le cosce del paziente, che servono a chiudere il circuito elettrico.
Figura 5
I portatori di pace-maker e le donne in gravidanza non sono pertanto candidabili a questa procedura.
La discrepanza tra la piccola superficie dell'ago e l'ampia area delle piastre di messa a terra fa sì che il calore generato sia concentrato attorno all'ago-elettrodo. Una pompa peristaltica spinge la soluzione salina fredda nell'ago per raffreddarlo, quindi l'acqua riscaldata viene scaricata.
La tecnica moving shot utilizza sempre un approccio trans-istmico. Il nodulo viene idealmente suddiviso in multiple piccole subunità ("unità di ablazione") e l’ago - inizialmente posizionato nell'unita più profonda e posteriore del nodulo – viene progressivamente retratto fino alle porzioni più superficiali. La comparsa di segnali iperecogeni vicino alla punta dell'elettrodo indica lo sviluppo di alterazioni tissutali, mentre un ripido aumento dell'impedenza del tessuto dimostra la realizzazione di necrosi tissutale.
Il trattamento viene eseguito in regime extra-ricovero e richiede 15-40 minuti.
Il costo medio di un generatore di onde di radio-frequenza varia da 20.000 a 35.000 €, mentre il costo del materiale mono-uso (ago-elettrodo) varia da 700 a 1200 €.
2.3. Micro-onde
Questa tecnica di ablazione si basa su un campo magnetico generato attorno al segmento radiante – un ago definito antenna - che induce la rotazione delle molecole di H2O a frequenze di 900-2500 MHz, generando quindi, come per la radio-frequenza, il calore per attrito (fig 6).
Figura 6
L’antenna è lunga nella maggior parte dei casi 10 cm, con diametro di 16-18 G. Non essendo un circuito elettrico chiuso, a differenza della radio-frequenza, non vi è controindicazione per pazienti gravide o portatori di pace-maker.
La tecnica utilizzata, chiamata modified multishot technique, segue anch’essa un approccio trans-istmico. L’antenna a micro-onde produce un’area di ablazione di diametro maggiore rispetto alla radio-frequenza. L’antenna viene quindi posizionata in profondità all’interno del nodulo e poi spostata con movimento “a ventaglio”, con un minor numero di riposizionamenti dell'ago.
Il trattamento viene eseguito in regime ambulatoriale e dura 10-20 minuti.
Il costo medio di un generatore di micro-onde varia da 20.000 a 25.000 €, mentre il costo del materiale mono-uso (ago-elettrodo) varia da 900 a 1300 €.
2.4. HIFU (High-Intensity Focused Ultrasound)
È l’unica tecnica ablativa completamente non invasiva e che non richiede la penetrazione di aghi attraverso la cute. Concentra ultrasuoni ad alta intensità su una specifica lesione bersaglio, inducendo necrosi coagulativa tramite la combinazione di danno meccanico e termico. L'effetto termico è raggiunto tramite la vibrazione del tessuto che genera, anche in questo caso, calore per frizione.
La procedura è guidata da un computer collegato a un elemento sia emittente che rilevante ultrasuoni (fig 7) e può essere eseguita, tramite uno schermo con funzione touch, da un operatore senza esperienza nell’ambito dell’interventistica tiroidea.
Figura 7
L’ingresso degli ultrasuoni attraverso la cute deve essere scarsamente collimato, per evitare la formazione di ustioni. Questo aspetto limita l’impiego dell’HIFU nelle lesioni molto superficiali o troppo profonde.
La procedura viene eseguita in ambulatorio e noduli di grandi dimensioni (> 5 cm) richiedono generalmente trattamenti multipli.
Il metodo è costoso (il costo medio di un generatore di onde supera i 250.000 €, mentre il kit di materiali mono-uso costa circa 500 €) e richiede un paziente praticamente immobile per tutta la durata della procedura, che per noduli di media dimensioni - ad esempio 15 mL - può arrivare anche a 20-40 minuti, oltre a una precisa definizione dell'area bersaglio da trattare che escluda le strutture critiche circostanti.
3. INDICAZIONI, CHECK-LIST, MOVING SHOT e FOLLOW-UP
3.1. Indicazioni
Le tecniche termo-ablative trovano la loro principale applicazione nella gestione dei noduli tiroidei benigni sintomatici. Le principali linee guida (LG) sulla termo-ablazione sono quelle Sudcoreane del 2017 (8), Europee del 2020 (9), la Consensus internazionale del 2021 (10) e un recentissimo Consensus Statement dell’American Thyroid Association (11).
Nell’ambito della patologia nodulare tiroidea benigna, la presenza di sintomi compressivi o problematiche estetiche costituisce l’indicazione al trattamento, dal momento che noduli di dimensioni simili possono causare sintomi variabili in pazienti diversi, in rapporto a:
- body mass index (BMI)
- circonferenza del collo
- localizzazione del nodulo (es. istmo)
- suscettibilità individuale.
Le LG coreane del 2017 (8) suggeriscono un diametro maggiore del nodulo non < 20-30 mm. Al contrario, non c'è un diametro massimo suggerito, anche se maggiori le dimensioni del nodulo, maggiore la probabilità che saranno necessari ulteriori trattamenti nel corso del tempo. La procedura può essere considerata anche in noduli di dimensioni > 20 mm che continuano a crescere in modo costante, anticipando la comparsa dei sintomi compressivi e delle problematiche estetiche.
Nel tentativo di standardizzare sintomi e cosmesi, i colleghi coreani hanno introdotto dei punteggi:
- il punteggio sintomatico può essere stabilito dal paziente, usando una scala visiva analogica (VAS), che va da 0 (nessun sintomo) a 10 (sintomi massimi);
- il punteggio estetico viene stabilito dal medico come dettagliato in tabella 2.
Tabella 2 Punteggio cosmetico |
1. Massa non palpabile |
2. Massa palpabile senza problema estetico |
3. Problema estetico evidente solo con la deglutizione |
4. Evidente problema estetico |
L’European Thyroid Association (ETA) ha formulato nel 2020 le raccomandazioni per la termo-ablazione del nodulo tiroideo benigno al fine di colmare l’assenza di una LG europea, una delle principali cause di limitata diffusione delle tecniche termo-ablative (12).
La tabella 3 riporta le raccomandazioni riguardanti le indicazioni alla termo-ablazione che forniscono la guida per la pratica clinica.
Tabella 3 Raccomandazioni delle linee guida ETA (1 = forte; 2 = debole o suggerimento) Evidenza di qualità: ØOOO molto bassa, ØØOO bassa, ØØØO moderata, ØØØØ alta |
|
R 1 | Nei pazienti adulti con noduli benigni della tiroide che causano sintomi da compressione e/o disturbi di natura estetica e che rifiutano la chirurgia, la TA dovrebbe essere considerata come un'opzione con rapporto rischio-costo/beneficio efficace rispetto alla sola osservazione o al trattamento chirurgico (1, ØØOO). |
R 2 | Sconsigliamo l'uso della TA per lesioni tiroidee benigne asintomatiche (1, ØØØO). |
R 3 | È necessaria una diagnosi di citologia benigna del nodulo prima del trattamento con TA; è consigliata la ripetizione della citologia per noduli citologicamente benigni, ad eccezione dei noduli spongiformi e delle lesioni cistiche pure (EU-TIRADS classe 2); è comunque sconsigliata la TA per noduli con citologia benigna ma caratteristiche ecografiche di alto rischio (EU-TIRADS classe 5) (1, ØØØO). |
R 4 | I pazienti devono essere accuratamente informati prima della TA, sia a voce che per iscritto, circa le diverse opzioni di trattamento, la loro potenziale efficacia e gli effetti collaterali, le alternative terapeutiche e la necessità di essere collaboranti durante il trattamento (1, ØOOO). |
R 5 | Prima della TA devono essere valutate la funzione tiroidea e le corde vocali, le comorbilità e le contro-indicazioni al trattamento; la laringoscopia è raccomandata nei pazienti con raucedine, precedente chirurgia del collo, o con noduli vicino a strutture critiche (1, ØØOO). |
R 6 | Prima della TA è raccomandata l’esecuzione di anestesia locale sotto-cutanea e peri-capsulare; può essere presa in considerazione lieve sedazione cosciente, specialmente in caso di trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU) (1,ØØOO). |
R 7 | Al termine della procedura, si raccomanda valutazione clinica ed ecografica per escludere potenziali effetti avversi peri-procedurali e per definire l'estensione della zona ablata; nel caso compaiano dolore severo, tumefazione locale o febbre, i pazienti dovranno essere istruiti a tornare in anticipo per una valutazione clinica ed ecografica (1, ØØOO). |
R 8 | Sono raccomandate valutazioni cliniche, biochimiche ed ecografiche a breve (3 mesi) e medio termine (6 e 12 mesi); in assenza di sintomi, è consigliato un follow-up a lungo termine ogni 1-2 anni al fine di rivelare un’eventuale ricrescita (1, ØØOO). |
R 9 | Sulla base di studi di confronto diretto e di un bilancio tra efficacia ed effetti collaterali, laser (LTA) e radiofrequenza (RFA) sono raccomandate come modalità di trattamento TA di prima linea (ØØOO). |
R 10 | Sulla base degli studi finora condotti, la TA con micro-onde (MWA) dovrebbe attualmente essere considerata una procedura di seconda linea in pazienti che rifiutano altre procedure di TA, o per i partecipanti a studi clinici (1, ØØOO). |
R 11 | Sulla base della minore efficacia, dei costi più elevati e della limitata esperienza rispetto a RFA e LTA, HIFU dovrebbe essere considerata solo in casi selezionati di pazienti che non sono adatti o rifiutino altre procedure di TA e per i partecipanti a protocolli clinici (1, ØØOO). |
R 12 | Nel gozzo multi-nodulare, a causa della mancanza di prove di efficacia e della probabile necessità di un trattamento ripetuto, la TA dovrebbe essere limitata ai pazienti con un nodulo dominante ben definito o a quelli che non sono candidati a chirurgia o a trattamento RAI, come opzione di terapia palliativa (1, ØØOO). |
R 13 | A causa dei costi e della complessità più elevati, rispetto all'ago-aspirato e alla PEI, le procedure di TA non sono raccomandate come trattamento di prima linea per le lesioni cistiche pure o prevalentemente cistiche (1, ØØØO). |
R 14 | LTA e RFA devono essere considerate opzioni terapeutiche per le lesioni cistiche che recidivano dopo PEI e per quei pazienti che restano sintomatici a causa di una rilevante componente solida residua (1, ØØØO). |
R 15 | Sconsigliamo la TA come trattamento di prima linea per i noduli autonomi di grandi dimensioni; a causa del basso tasso di ripristino della normale funzione tiroidea, la TA dovrebbe essere considerata solo per i pazienti che rifiutano o non sono candidati a RAI o intervento chirurgico (1, ØØØO). |
R 16 | La TA deve essere considerata nei giovani pazienti con noduli autonomi piccoli e soppressione incompleta del tessuto tiroideo peri-nodulare, data la maggiore probabilità di normalizzazione della funzione tiroidea e il vantaggio di evitare l'irradiazione e limitare il rischio di ipotiroidismo tardivo (1, ØØOO). |
R 17 | Il trattamento combinato con LTA o RFA + RAI può essere considerato in pazienti selezionati con noduli autonomi di grandi dimensioni che causano sintomi da compressione locale, al fine di ottenere una più rapida riduzione del volume e l'uso di una minore attività RAI (2, ØØOO). |
3.2. Check-list pre-procedurale
Nonostante alcune discrepanze tra le diverse LG di riferimento, le check-list per la procedura di ablazione sono simili per la maggior parte degli elementi considerati.
La valutazione pre-procedurale del paziente deve includere la dimostrazione della natura benigna del nodulo, con due successivi esami citologici. Nel caso di noduli con chiare caratteristiche ecografiche di benignità - come quelli interamente cistici o spongiformi - e nei noduli iperfunzionanti è sufficiente un solo ago-aspirato (FNAB) con risultato benigno. La più recente Consensus internazionale prevede che l’ago-aspirato possa essere risparmiato nei noduli funzionalmente autonomi.
Gli esperti sudcoreani impiegano la core-needle biopsy (CNB) come metodo di valutazione micro-istologica dei noduli candidati alla termo-ablazione. Nella tabella seguente sono elencati altri elementi fondamentali che compongono la valutazione pre-procedurale (tab 4).
Tabella 4 Valutazione pre-procedurale |
|
Clinica | Punteggio sintomatico ed estetico. |
Ecografia | Ecocolor-doppler tiroideo. |
Laboratorio | Emocromo. Profilo coagulativo. Funzione tiroidea. |
Citologia | Di regola ≥ 2 FNAB/CNB con risultato di benignità. Se lesione con caratteristiche altamente suggestive di benignità o nodulo funzionalmente autonomo ≥ 1 FNAB/CNB. |
Valutazione ORL | Laringoscopia raccomandata se precedente chirurgia cervicale o anomalie fonatorie. |
TC/RM | In casi selezionati. |
Scintigrafia | Se sospetto nodulo iperfunzionante |
Terapia anti-aggregante/anti-coagulante
I pazienti in terapia anti-aggregante o anti-coagulante devono interromperla tempestivamente prima dell’ablazione. La tabella 5 riassume lo schema di sospensione (1,8,10,11). Nei giorni di sospensione della terapia orale, può essere presa in considerazione una terapia con eparina.
Tabella 5 Anti-coagulanti e anti-aggreganti |
|
Categoria | Sospensione prima della procedura (giorni) |
Anti-aggreganti (ASA, clopidogrel) | 7-10 |
Warfarin | 5 |
NAO (apixaban, dabigatran, endoxaban, rivaroxaban) | 1-2 |
In assenza di complicanze, la terapia anti-coagulante può essere ripresa entro 24 ore dalla procedura.
Ecocolor-doppler della tiroide
Ha un ruolo fondamentale nella valutazione pre-trattamento.
L’esame deve valutare il volume iniziale del nodulo (per un trattamento efficace è consigliabile che non superi i 30 mL, sebbene operatori esperti possano trattare noduli fino a 100 mL) e fornisce il punto di riferimento per il follow-up.
La valutazione della vascolarizzazione fornisce indicazioni utili per alcune azioni tecniche, come l’ablazione del ramo arterioso principale, quando ben visibile, per interrompere l’apporto sanguigno al nodulo e ridurne la probabilità di ricrescita nel tempo. Anche l’ablazione delle vene marginali peri-nodulari, visibili all’eco-doppler durante la valutazione pre-procedurale, può ridurre in maniera drastica la ricrescita nodulare.
La localizzazione dei punti di repere anatomici riveste importanza cruciale per valutare la fattibilità dell'intervento. È necessario considerare un’adeguata distanza della zona da trattare dal solco tracheo-esofageo o dalla zona critica dove decorre il nervo laringeo ricorrente (danger triangle). Inoltre, è necessario individuare la vena giugulare anteriore, principale causa di ematomi se perforata, il nervo vago e la catena simpatica (fig 8). Queste informazioni consentono di pianificare e condurre la procedura in modo sicuro ed efficace.
Figura 8
3.3. Approccio trans-istmico e moving-shot
Sono aspetti tecnici fondamentali per l’esecuzione dell’ablazione tramite radio-frequenza o micro-onde.
Per approccio trans-istmico si intende l'inserimento di un ago-elettrodo o antenna tramite l'istmo della tiroide, in direzione mediana-laterale. Tale approccio dà diversi vantaggi:
- in primo luogo, l'operatore può monitorare al meglio le posizioni dell'elettrodo, del nodulo bersaglio e del danger triangle;
- in secondo luogo, il parenchima istmico normale frapposto tra il nodulo bersaglio e il sito di inserimento dell'elettrodo crea un’area di sicurezza fra il bersaglio ablato caldo e l’area peri-tiroidea, riducendo complicanze ed effetti collaterali, quali l’ustione di cute e sottocute o il dolore;
- infine, la posizione dell'elettrodo rimane pressoché stabile anche qualora il paziente parlasse o tossisse.
La tecnica "moving shot" permette invece l’applicazione dinamica e controllata dell'energia termica. Differentemente dalla termo-ablazione utilizzata in altri organi come il fegato, dove la punta attiva dell'elettrodo resta fissa al centro del tumore bersaglio durante tutta la procedura, nei noduli tiroidei, che sono ellissoidali e spesso esofitici rispetto alla ghiandola tiroidea, utilizzare la tecnica fissa potrebbe sotto-trattare o sovra-trattare aree del nodulo e del tessuto circostante. Pertanto, il nodulo tiroideo viene suddiviso in diverse piccole unità di ablazione. Queste unità possono essere poi trattate singolarmente partendo da quelle più profonde, e cioè posizionando l’ago-elettrodo dapprima nella porzione più posteriore del nodulo e poi retraendolo via via (con movimenti definiti “moving shot”), ablando unità per unità, fino alle porzioni più superficiali (fig 9).
Figura 9
3.4. Check-list post-procedurale
La valutazione si concentra sul controllo ecografico post-ablazione, che può essere eseguito dopo 1-24 ore.
Nel sospetto di danno al nervo laringeo ricorrente, in seguito alla percezione di voce rauca o bitonale del paziente invitato a parlare, è fondamentale la valutazione foniatrica (tab 6).
Per il controllo del dolore peri- e post-procedurale sono utili FANS e paracetamolo per 24–48 ore. Antibiotici e steroidi non sono raccomandati in maniera routinaria, ma un breve ciclo di cortisone, per os o parenterale, può efficacemente ridurre l’edema dopo l’ablazione.
Tabella 6 Dopo la procedura |
|
Cosa | Quando, cosa e perché |
Ecografia | Verificare area ablata (doppler, CEUS) per eventuali ri-trattamenti. Valutare potenziali effetti avversi precoci. |
Impacco con ghiaccio | |
Anti-dolorifici | FANS (sia prima che dopo la procedura). Paracetamolo nelle successive 24-48 h. Non indicati di routine steroidi e antibiotici. |
Valutazione fonazione | Se si sospetta danno del nervo ricorrente. |
Osservazione pre-dimissione |
Per 30-60 minuti per valutare eventuali effetti avversi precoci:
|
3.5. Follow-up e misure di efficacia del trattamento
Il beneficio in termini di riduzione volumetrica del nodulo non è immediato. A 24-48 ore dalla procedura è possibile un minimo incremento volumetrico del nodulo trattato, dovuto allo sviluppo di una quota infiltrativa-edematosa.
Nel corso dei mesi il volume del nodulo si riduce progressivamente, con un sensibile decremento già a tre mesi dalla procedura. La riduzione continua nel tempo, anche nel corso di alcuni anni (13) (fig 10).
Figura 10
La procedura può essere ritenuta di successo se raggiunge una riduzione volumetrica (volume reduction rate, VRR) di almeno il 50%. A prescindere dalla riduzione volumetrica della lesione, la scomparsa dei sintomi compressivi e dei disturbi cosmetici costituisce un possibile parametro di esito della procedura.
Fra le misura di efficacia del trattamento, oltre al VRR e al miglioramento dei punteggi sintomatici ed estetici, è appropriato l’impiego di questionari di qualità della vita per pazienti tireopatici, come SF-36 o ThyPro/ThyPro39.
Nel corso del follow-up è necessario valutare ogni 6–12 mesi la funzione tiroidea (dosaggio di TSH e FT4), anche se il trattamento generalmente non la danneggia.
Nel follow-up dei noduli iperfunzionanti sottoposti a termo-ablazione considerare anche l’utilizzo della scintigrafia con 99Tc. Il raggiungimento dell’eutiroidismo o la riduzione del dosaggio dei farmaci anti-tiroidei possono ovviamente essere considerati una misura di efficacia (tab 7).
Tabella 7 Procedure di follow-up per noduli benigni |
||||
< 3 mesi | 3-6 mesi | ≈ 12 mesi | ||
Non funzionanti | Volume nodulare (VRR) | x | x | x |
Punteggio sintomatico | x | x | x | |
Punteggio estetico | x | x | x | |
Funzione tiroidea | x | x | ||
TC/RM | x** | |||
Funzionanti | Volume nodulare (VRR) | x | x | x |
Punteggio sintomatico | x | x | x | |
Funzione tiroidea | x | x | x | |
Scintigrafia | x* | x* | ||
*Da considerare, ma non obbligatorio **Solo in casi particolari |
4. EFFETTI COLLATERALI E POSSIBILI COMPLICANZE
4.1. Curva di apprendimento
Requisito fondamentale prima di intraprendere la termo-ablazione tiroidea è una solida esperienza specifica nell'ambito dell'ecografia e dell'interventistica diagnostica tiroidea. È inoltre importante l’acquisizione di esperienza delle procedure di ago-aspirazione e alcoolizzazione con l'approccio trans-istmico.
Attualmente, data l'assenza di percorsi didattici validati e riconosciuti, è consigliabile partecipare regolarmente a workshop che offrano sessioni di "hands-on training", unitamente all'osservazione diretta di procedure eseguite da operatori esperti (11).
Le prime procedure devono essere eseguite sotto la guida di un collega esperto. È dimostrato che il tasso di complicanze è ridotto quando la procedura è eseguita da operatori esperti (14). Dati francesi dimostrano come con l’acquisizione di esperienza da parte dell’operatore il VRR aumenti dopo un anno dall’inizio dell’esecuzione delle procedure. Il cut-off è individuabile intorno alle 50 procedure eseguite (figura 11).
Figura 11
Il grafico mostra l’aumento del VRR (in ordinata) a un anno dal trattamento rispetto al numero di casi trattati (in ascissa) (dati di Gilles Russ, La Pitie-Salpetriere, Parigi).
4.2. Effetti collaterali e complicanze
La figura 12 presenta le principali complicanze ed effetti collaterali delle procedure di termo-ablazione, suddivisi in base al periodo di insorgenza.
La complicanza più frequente è la disfunzione laringea, causata dal danneggiamento (transitorio o, più raramente, permanente) del nervo laringeo ricorrente. Il danno porta alla paralisi dei muscoli intrinseci della laringe, eccetto i muscoli crico-tiroidei. Il paziente sperimenta raucedine e cambiamenti nel timbro vocale. Oltre al danno termico diretto durante la termo-ablazione, altri meccanismi possono contribuire alla sofferenza del nervo ricorrente, manifestandosi nelle ore successive alla procedura: lo "stunning" del nervo dovuto alla lidocaina, il suo stiramento/compressione in seguito alla formazione di un ematoma, l'infiammazione post-emorragica con la fibrosi che si sviluppa intorno al nervo.
Figura 12
Queste complicanze si manifestano in circa il 5% dei pazienti: nella maggior parte dei casi sono transitorie, con recupero spontaneo dopo pochi mesi e senza speciali trattamenti.
In caso di noduli che si trovino a ridosso della zona di pericolo, per la protezione del nervo laringeo ricorrente è utile l’idro-dissezione mediante iniezione di destrosio 5% tra la “danger zone” e l'area da trattare (figura 13).
Figura 13
Idro-dissezione posteriore.
Per dimostrare l’entità del danno ricorrenziale è necessaria la laringoscopia. Il recupero può essere accelerato da cicli di prednisone e rieducazione foniatrica.
5. MODIFICAZIONI ISTOLOGICHE INDOTTE DAL TRATTAMENTO TERMO-ABLATIVO
Pochi studi hanno esaminato i cambiamenti istologici dei noduli tiroidei trattati con radio-frequenza. Spiccano la fibrosi (figura 14) e l’infiammazione cronica. Altri reperti possono includere reazione istiocitaria, infarto, emorragia, proliferazione di fibroblasti, accumulo di pigmento nero, calcificazioni, reazioni giganto-cellulari di tipo corpo estraneo, granulomi di colesterolo e formazione di cavità centrali. Questi aspetti sono circoscritti all'area sottoposta all'ablazione, mentre il parenchima tiroideo adiacente alla lesione e il resto della ghiandola mantengono la morfologia normale.
Figura 14
Effetto dell’ablazione con radio-frequenza su un nodulo follicolare benigno. Ialinizzazione cellulare densa (freccia nera) e lesione follicolare residua (freccia rossa) (colorazione con ematossilina-eosina ×40)
Non vi sono evidenze che la termo-ablazione possa avere un effetto cancerogeno sulla ghiandola tiroidea, come dimostrato dal follow-up a 10 anni dal trattamento.
6. INFORMAZIONI PER IL PAZIENTE E MODULO DI CONSENSO
Il paziente deve essere attentamente informato, oralmente e per iscritto, circa:
- le varie opzioni di gestione disponibili, tra cui l’osservazione, la termo-ablazione e l’intervento chirurgico;
- i vantaggi e limiti delle diverse procedure;
- le modalità tecniche del trattamento termo-ablativo e la necessità di compliance;
- le potenziali complicanze;
- la diminuzione prevista delle dimensioni del nodulo, solitamente senza completa scomparsa;
- l’eventuale ricrescita nel tempo, con necessità di ulteriori trattamenti (termo-ablativi o chirurgici);
- la necessità di follow-up a lungo termine.
Un modello di consenso informato, che integra le indicazioni delle LG europee con quelle dell’ultima consensus internazionale (1,10) è scaricabile a questo link.
7. FENOTIPI TIROIDEI E RISULTATI DELLA TERMO-ABLAZIONE
7.1. NODULI SOLIDI
LTA
Efficacia: è stata documentata a breve e lungo termine in una serie di studi che riportano una riduzione media del volume tra il 59% e l’84% a 12 mesi e del 51-58% a 36 mesi. Una minoranza (5-9%) di noduli trattati mostra una significativa ricrescita entro 3 anni. Come per le altre tecniche di TA, la struttura del nodulo (totalmente vs prevalentemente solido, ben delimitato vs sfumato) può influenzare i risultati a lungo termine: i risultati più favorevoli sono descritti nei noduli spongiformi e misti, rispetto ai noduli completamente solidi. La LTA porta al miglioramento dei problemi estetici e dei sintomi locali nella maggior parte dei pazienti.
Complicanze. La tollerabilità è buona: nel 12-30% delle procedure si sono verificati effetti collaterali auto-limitanti (per lo più transitorio dolore al collo). Sono state raramente (0.5%) osservate complicanze maggiori, più frequenti quando il nodulo bersaglio è localizzato in una "zona di pericolo", vicino alla porzione infero-mediale del lobo tiroideo. Questa zona della tiroide, vicina alla trachea, dovrebbe essere accuratamente evitata durante il trattamento. Complicanze minori (ematomi sub-capsulari e peri-tiroidei e ustioni cutanee) sono riportate nello 0.5% dei pazienti. È stato descritto un caso di "rottura del nodulo", dato dalla rottura della capsula tiroidea anteriore, con formazione di una raccolta di liquido nella parte anteriore del collo, che può potenzialmente richiedere un drenaggio chirurgico. Anomalie della funzione tiroidea post-trattamento sono state riportate solo aneddoticamente.
Qualità di vita (QoL): non vi sono numerosi studi a proposito, ma in quelli disponibili ne è stato dimostrato il miglioramento.
RFA
Efficacia: la riduzione media di volume è del 68-78% a 12 mesi e del 67% a 5 anni. Come regola generale, più piccolo è il nodulo trattato, maggiore è la riduzione di volume e, come per la LTA, rispondono meglio i noduli spongiformi e misti. La RFA migliora sia i sintomi da compressione che quelli cosmetici.
Complicanze: quelle gravi sono rare, così come la "rottura del nodulo"; ematomi, ustioni cutanee, dolore persistente, reazioni vagali e vomito sono le complicanze minori più frequentemente descritte. Anomalie della funzione tiroidea post-trattamento sono state riportate solo aneddoticamente.
QoL: è stato dimostrato un miglioramento anche vs chirurgia.
MWA
Sono disponibili meno lavori, che comunque descrivono 75-90% di riduzione media dopo un anno. Attualmente, la MWA sembra associata a rischio più elevato di complicanze (maggiori e minori) rispetto a LTA e RFA per la maggiore potenza della tecnica e la difficoltà a definire con precisione l’area di ablazione nel corso della procedura.
HIFU
Efficacia: ancor meno sono gli studi con questa tecnica, che riportano una riduzione media del volume dal 43% al 70% a 24 mesi. È stata riportata una correlazione inversa tra il volume iniziale del nodulo e la sua percentuale di riduzione. Un recente studio multicentrico ha dimostrato una riduzione media a un anno pari al 35% circa.
Complicanze: non ne sono state riportate di importanti. Gli effetti collaterali più comuni sono dolore, che di solito diminuisce rapidamente, arrossamento della pelle e gonfiore sottocutaneo protratto. La funzione tiroidea non risulta influenzata. Il trattamento è talora mal tollerato per la durata prolungata e la necessità di immobilità.
QoL: gli studi sono limitati.
Confronto dei risultati delle diverse tecniche di TA per noduli tiroidei solidi benigni non funzionanti
I risultati delle procedure sono notevolmente influenzati dall'abilità specifica e dal periodo di formazione dei medici che le eseguono.
Gli studi che confrontano RFA e LTA suggeriscono efficacia clinica e sicurezza quasi similare delle 2 tecniche: alcuni lavori mostrano una simile riduzione media di volume dei noduli trattati a 6 e 12 mesi, mentre altri hanno mostrato una moderata superiorità di RFA.
Anche per quanto riguarda il confronto tra MWA e RFA, le 2 tecniche sono apparse altrettanto efficaci, con una lieve superiorità della RFA, ma la MWA è stata associata a un maggiore tasso di complicanze.
Non ci sono né studi prospettici randomizzati né studi di valutazione dell'efficacia e tollerabilità dell'HIFU rispetto alle altre tecniche.
7.2. NODULI CISTICI
La PEI è raccomandata come trattamento di prima linea per noduli tiroidei benigni cistici, basandosi su dati retrospettivi e studi prospettici che hanno dimostrato una riduzione del volume dei noduli dal 50% al 98%, parallelamente al miglioramento dei sintomi locali. Questi risultati favorevoli persistono fino a 5 anni. I principali fattori che influenzano negativamente l'efficacia tecnica della PEI sono:
- l’aumento delle dimensioni sia della parte solida che della componente cistica;
- il contenuto emorragico, che si riforma rapidamente dopo il drenaggio;
- la presenza di più camere cistiche all’interno del nodulo;
- il volume iniziale del nodulo > 10 mL;
- la vascolarizzazione crescente della lesione.
Per le lesioni cistiche recidivanti dopo PEI possono essere utilizzate, come seconda linea, LTA, RFA e MWA, previo drenaggio della componente fluida, di solito eseguita durante la stessa sessione. Non sono comunque disponibili molti studi riguardo l’utilizzo specifico di queste tecniche nei noduli cistici.
L'uso combinato di PEI più LTA o RFA si è dimostrato efficace in noduli cistici molto grandi e per quei noduli il cui trattamento risulterebbe incompleto con il solo utilizzo della PEI.
HIFU si basa su un approccio non invasivo che non consente il drenaggio delle raccolte di fluidi.
7.3. NODULI BENIGNI DELLA TIROIDE CON AUTONOMIA FUNZIONALE
I dati sulle TA nei noduli autonomi si basano principalmente sulle procedure di LTA e RFA. Le TA normalizzano quasi completamente la funzione tiroidea nei noduli di piccole dimensioni (ad esempio volume < 10 mL), con una notevole riduzione del volume (> 80%). Al contrario, la funzione tiroidea è controllata solo in una piccola percentuale dei noduli più grandi di questo cut-off.
Le tecniche TA sono quindi da considerarsi appropriate nei pazienti con noduli autonomi piccoli che rifiutano o non sono candidati alla chirurgia o alla terapia con RAI (per comorbilità, saturazione iodica o gravidanza).
Interessante è l’uso combinato di TA e RAI nei noduli autonomi di grandi dimensioni, con più rapido miglioramento dei sintomi locali, riduzione maggiore del volume nodulare e utilizzo di dose inferiore di RAI. Pertanto, la TA può essere utilizzata per gli adenomi tossici di grandi dimensioni soltanto per ottenere una riduzione di volume prima del trattamento RAI.
L’HIFU è meno efficace di RAI per il controllo dei noduli iperfunzionanti.
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Alcoolizzazione dei noduli tiroidei
Rinaldo Guglielmi1 & Andrea Frasoldati2
1Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
2Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
INTRODUZIONE
Da oltre 20 anni la sclerosi percutanea con alcool (PEI) viene impiegata nella terapia delle lesioni nodulari della tiroide (1-4); negli anni la metodica, considerabile un'estensione dell’agoaspirato ecoguidato, si è sempre più diffusa, dapprima in Europa e successivamente negli USA, tanto che attualmente è universalmente individuata come il trattamento non chirurgico di prima linea nella gestione delle cisti della tiroide (5,6). Inizialmente era stata introdotta nella pratica clinica per la scleroterapia delle cisti renali e delle lesioni maligne del fegato (7-10).
L’efficacia della tecnica è legata alla capacità dell’etanolo di provocare la sclerosi attraverso la disidratazione del tessuto trattato e la denaturazione proteica, che in ultima analisi portano alla necrosi coagulativa e alla trombosi dei vasi della zona interessata. Da questo quadro infiammatorio deriva l’infarcimento emorragico della zona trattata e la successiva fibrosi (11).
All’inizio del suo impiego nella pratica clinica, la PEI era stata proposta sia per la terapia dei noduli cistici della tiroide che dei noduli funzionalmente autonomi (AFTN); come vedremo nel paragrafo relativo quest’ultima indicazione nel tempo si è molto affievolita (6). L’alcool non è stata l’unica sostanza che è stata individuata per la sclerosi delle cisti; infatti, alcuni autori hanno proposto le tetracicline e agenti sclerosanti specifici (12,13). I risultati riportati sono abbastanza promettenti, ma l’uso di tali sostanze è rimasto confinato ai pochi centri che le hanno proposte.
La PEI viene suggerita anche in altre patologie che interessano il collo, come le cisti del dotto tireoglosso, le paratiroidi ingrandite e i linfonodi metastatici. Tali impieghi sono meno accettati e sono confinati a pochi centri.
NODULI CISTICI DELLA TIROIDE
I noduli prevalentemente cistici o francamente cistici rappresentano le lesioni nodulari ideali da trattare (5,6). La necessità del trattamento delle cisti è dovuto alla recidiva nella maggior parte dei casi di quelle sottoposte al semplice drenaggio (percentuale di successo dopo drenaggio: < 10%) (14).
Precauzioni
Non ci sono ulteriori precauzioni rispetto a quelle previste per l’agoaspirato tiroideo ecoguidato (FNAUS); il rischio di emorragia intra-parenchimale tiroidea è sostanzialmente lo stesso dell’FNAUS, per cui è necessario sospendere la terapia anti-coagulante per almeno 3-5 giorni prima dell’esame o nel caso in cui non sia possibile sospendere tale terapia, è necessario eseguire la procedura in corso di eparina a basso peso molecolare. Non è necessario il digiuno e può essere assunta qualsiasi altra terapia farmacologica. E’ buona pratica avere a disposizione due esami citologici negativi per malignità della lesione nodulare da trattare; in caso di noduli misti e pseudocistici bisogna avere l’accortezza di campionare la porzione solida e di inviare la porzione liquida al laboratorio di citologia, affinchè possa essere eseguita una valutazione citologica su sedimento del liquido drenato. L’esame convenzionale prevede il drenaggio della componente liquida e poi la puntura della porzione solida; questa tecnica porta ad un alto tasso di emorragia all’interno del nodulo e quindi ad un alto tasso di inadeguati citologici. Al fine di migliorare l’accuratezza dell’esame, sono state proposte varianti che prevedono prima la puntura della porzione solida e poi il drenaggio della componente liquida oppure l’impiego di aghi dedicati. Secondo tali autori, con tali accorgimenti viene riportata una percentuale di adeguatezza (94%) del tutto simile a quella dei noduli solidi (15).
Metodica
E' necessario far distendere il paziente in posizione supina con il capo iperesteso, inserendo un cuscino al di sotto del collo: si tratta della stessa posizione che viene suggerita per eseguire l’FNAUS. Prima della manovra viene ripetuto un esame ecografico della regione, per la valutazione volumetrica della lesione da trattare, dei suoi rapporti anatomici e per programmare la sede d’ingresso favorevole e il percorso dell’ago. Confermata l’indicazione alla procedura, bisogna disinfettare la cute e disporre un telo sterile a livello cervicale, lasciando libero spazio per la sonda ecografica e per l’ingresso di un ago. La sterilità deve essere assicurata anche per la sonda ecografica (applicare gel e coprire con parafilm) e per gli operatori (si consiglia l’uso di guanti sterili).
Se disponibili, è opportuno far indossare al paziente occhiali protettivi per evitare possibile contatto degli occhi con alcool.
In genere non è necessaria l’anestesia, salvo che non si tratti di condizioni in cui è necessario utilizzare aghi di grandezza superiore ai 22 gauge (18-19). Questa condizione si verifica in presenza di colloide troppo densa e difficile da drenare con i normali aghi utilizzati per l’agoaspirato.
Una volta eseguita la scansione ecografica, l’inserimento dell’ago (montato su siringa) può essere ecoguidato (necessità di “device” specifico) o ecoassistito (inserimento a mano libera sotto controllo ecografico). I dati disponibili al momento non permettono di chiarire se un approccio è superiore all’altro: è consigliabile pertanto utilizzare l’approccio con cui si ha maggiore familiarità nella propria esperienza di agoaspirazione. L’estrazione della componente liquida può essere facilitato dalla suzione utilizzando una pistola dedicata (es. Cameco). Prima che la cavità diventi virtuale e sia difficile visualizzare la punta dell’ago, bisogna terminare il drenaggio. A questo punto inizia l’inserimento dell’alcool sterile (fiale da 10 mL di alcool al 95%), che viene iniettato con pressione lenta; si visualizza la nuvola iperecoica dovuta al flusso dell’acool che lentamente riempie la cisti. La quota di alcool introdotta corrisponde solitamente al 25-50% del volume iniziale del nodulo, con un massimo di 10 mL. Una volta terminata l’infusione di alcool, prima di estrarre l’ago, si sostituisce la siringa con l’alcool con una siringa con 5 mL di lidocaina, che viene lentamente infusa nell’atto di retrarre l’ago, in modo tale da impedire la retrodiffusione dell’alcool nel parenchima tiroideo ed evitare il dolore conseguente.
Alcuni autori suggeriscono il drenaggio dell’alcool, dopo alcuni minuti dalla manovra, al fine di evitare possibili spandimenti dell’alcool al di fuori della cisti, mentre altri preferiscono che l’alcool sia mantenuto all’interno della cisti al fine di prolungare l’effetto sclerosante. Non ci sono evidenze che un tipo di trattamento consenta risultati migliori dell'altro (16).
Bisogna avere alcune accortezze durante la manovra e più precisamente:
- il monitoraggio ecografico deve essere costante e stretta sorveglianza deve essere posta al punto di diffusione dell’alcool all’interno della cisti
- bisogna evitare l’inserimento troppo profondo dell’ago all’interno della cisti o il drenaggio del liquido fino a rendere virtuale la cavità. Tale precauzione consente di evitare il contatto dell’ago con la parete della cisti ed i possibili danneggiamenti della stessa con creazione di una possibile strada attraverso la quale, l’alcool possa defluire al di fuori dalla cisti
- se si incontrano resistenze durante l’infusione dell’alcool, si può fare un tentativo di riposizionamento dell’ago e, nel caso persista la difficoltà, è consigliabile sospendere la manovra.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali sono abbastanza contenuti e ben descritti in letteratura.
Il dolore è minimo e può essere contenuto da banali analgesici nelle 12-24 h successive al trattamento. La maggior parte dei pazienti, se interrogati sulla manovra, affermano che la tecnica è assolutamente tollerabile e si dicono disponibili, se fosse necessario, per ulteriori manovre (17). Adottando le precauzioni suddescritte, il rischio che l’alcool si espanda al di fuori della cisti è ridotto, grazie alla presenza frequente di capsula fibrosa che circonda la cisti e che funge da barriera (18). Inoltre il rischio si riduce ancora di più se l’alcool infuso viene drenato dopo alcuni minuti. Quando l’evento si verifica, la conseguenza maggiore è la fibrosi intorno alla cisti che può rendere più difficoltosa una successiva chirurgia. Nel caso la cisti sia posteriore, può aumentare il rischio di ipoparatiroidismo e di lesione dei nervi ricorrenti per contato diretto dell’alcool con le relative strutture anatomiche. Il rischio di paralisi transitoria del ricorrente è estremamente raro nel trattamento delle cisti.
Risultati
Le cisti vere e proprie sono molto rare (< 1%), mentre la maggior parte sono pseudocisti: per ottenere una riduzione significativa sarebbe auspicabile trattare lesioni con componente cistica pari ad almeno il 40-50% del volume totale. Il numero di trattamenti varia da 1 a 4, con mediana di 2 (17).
La riduzione media di volume varia dal 60 al 90%, con un tasso mediano di successo dell’85%. Oltre che in termini volumetrici, i risultati sono stati valutati come riduzione dei disturbi compressivi locali e come miglioramento dell’aspetto estetico. Molte sono state le scale di valutazione utilizzate per rendere il più oggettiva possibile la valutazione, ma da un punto di vista pratico si può dire che il miglioramento di tali parametri correla in modo abbastanza lineare con la riduzione volumetrica del nodulo (19). Analogamente a quanto accade per le dimensioni delle lesioni pseudocistiche, anche per i disturbi cosmetici la probabilità di successo è sporadica con il semplice drenaggio della cisti (20, 21).
La possibilità di successo è elevata anche in lesioni molto grandi (> 30 mL). Infatti, anche se i risultati tra cisti di diverse grandezze non sono completamente sovrapponibili, il volume finale non correla precisamente con il volume iniziale della lesione cistica. Fattori che più influenzano la risposta in termini volumetrici sono la percentuale di componente solida e la pluriconcameralità. La pluriconcameralità porta a un tasso di successo non superiore al 60-65% vs un tasso di circa il 90% delle lesioni “francamente” cistiche(17, 22).
Da un punto di vista pratico possiamo dire che tanto maggiore è la porzione liquida del nodulo (e quindi drenabile) e tanto maggiore sarà la riduzione del volume della lesione.
Altro fattore determinante è la viscosità della componente liquida: questa si riflette sulla possibilità di un completo drenaggio della cisti. In genere questa caratteristica viene registrata in fase preparatoria (durante l’agoaspirato); alcuni autori hanno suggerito di trattare comunque queste cisti mediante l’inserimento di piccolissime quantità di alcool, in una fase preparatoria, al fine di modificare le caratteristiche fisiche, riducendo la densità e la viscosità del liquido. In una successiva sessione a distanza di 15-20 giorni è possibile, nella maggioranza di tali cisti, aspirare quasi completamente la componente fluida ed eseguire la manovra (23).
Il risultato è stabile nel tempo ed il tasso di recidiva della cisti è inferiore al 10% (15,18).
NODULI TIROIDEI FUNZIONALMENTE AUTONOMI (AFTN)
Inizialmente la PEI era stata proposta in alternativa alla chirurgia e al trattamento con radioiodio per gli AFTN (2-4), ma con l’accumularsi di dati controversi in letteratura l’interesse per questo tipo di impiego si è notevolmente ridotto ed al momento le indicazioni sono molto limitate (6,7).
Preparazione: sovrapponibile a quella per i noduli cistici
Metodica
Gli AFTN di solito sono solidi e quando c’è una conponente liquida, è abbastanza limitata. La tecnica è del tutto sovrapponibile a quella descritta precedentemente quando si tratta la porzione liquida, mentre le differenze sono dovute al trattamento della porzione solida: si incontra una maggiore resistenza nell'infusione di alcool e nelle singole sessioni la quantità di alcool infusa, rispetto al volume del nodulo, è percentualmente minore che nei noduli francamente cistici. Questo dato porta ad un numero sostanzialmente più elevato di sessioni per ottenere una riduzione significativa del volume e della funzione del nodulo. La valutazione del successo viene definita con criteri dimensionali e con la dosabilità del TSH. Di aiuto può essere la valutazione con color-doppler post-terapia, che mostra scomparsa del segnale presente prima della manovra nelle aree trattate (4, 24). Il numero riportato di sessioni va da 2 a 7 con una mediana doppia (4 sessioni) rispetto ai noduli cistici (17).
Risultati
A metà degli anni '90 lo studio multicentrico italiano (24) dimostrò che il tasso di successo era maggiore nei noduli pretossici (83%) che non nei noduli francamente tossici (66%) e tali dati sono stati confermati negli studi successivi (17).
A differenza di quanto accade per i noduli cistici, il risultato finale è influenzato in modo significativo dal volume iniziale degli AFTN (2-4,17,24,26,27).
Problema clinico significativo è il volume critico al di sotto del quale proporre la tecnica; su tale argomento gli autori hanno dato risposte non univoche e la maggior parte ha riportato risultati positivi con noduli dai 14 ai 40 mL (24, 26,27), mentre qualche autore italiano ha riportato tassi di successo molto elevati in noduli fino a 90 mL di volume (28).
Una delle difficoltà maggiori nella valutazione dell’efficacia della tecnica negli AFTN è stata rappresentata dalla disponibilità solo di studi con follow-up troppo breve (in genere < 1 anno). Un anno è un periodo troppo breve per esprimere un giudizio sul rischio di recidiva in noduli trattati con successo. Dai pochi studi in cui c’è un follow-up abbastanza lungo, dai 36 ai 60 mesi di mediana, emergono dati conflittuali (17,22,29,30).
Un altro importante limite alla diffusione della metodica negli AFTN è stata rappresentata dalla mancata standardizzazione del trattamento. Punti di maggiore controversia sono:
- numero di sessioni necessarie
- quantità di alcool inserita per ciascuna sessione
- quantità di alcool totale inserita
- intervalli temporali tra le diverse sessioni.
La struttura del nodulo sembra influenzare l’outcome: nello studio retrospettivo in cui tale caratteristica è stata analizzata su 112 noduli pretossici, dopo una mediana di osservazione di 60 mesi il mantenimento della riduzione del volume e un TSH dosabile è stato più elevato nei noduli ad ecostruttura mista in cui la componente liquida era maggiore del 30%, indipendentemente dalle condizioni funzionali di base (ipertiroidismo franco o subclinico) (17).
Un utilizzo clinico interessante, emerso negli ultimi anni, è quello in combinazione con 131I nel trattamento di AFTN di grandi dimensioni, in pazienti non idonei o non disponibili alla chirurgia. Questo approccio sembra combinare gli effetti positivi di un numero ridotto di sessioni di PEI ed una dose di 131I gestibile ambulatorialmente: con tale approccio viene riportato un elevato tasso di successo e di soddisfazione del paziente (31).
Effetti collaterali
Una percentuale bassa ma non trascurabile di disfonia viene riportata negli AFTN trattati con PEI (3.9%) (27). La complicanza è dovuta alla possibilità che quantità variabili di alcool, a causa dell'interruzione della capsula del nodulo (già presente o provocata dalla manovra), possano retrodiffondere e venire a contatto con il nervo laringeo. Come conseguenza, si ha una paralisi del nervo da irritazione chimica. La disfonia è transitoria e in genere regredisce nello spazio di alcune settimane, spontaneamente o più efficacemente dopo un breve periodo di terapia cortisonica. La complicanza è operatore-dipendente e avviene con una frequenza ridotta (circa < 2%) se l’operatore è molto esperto (29,30). Le precauzioni più utili per minimizzare tale rischio sono: inserimento di alcool con pressione lieve e monitoraggio ecografico continuo, con controllo costante della sede di diffusione dell’alcool.
Altri effetti collaterali più gravi, ma riportati in modo episodico, sono: ematomi (intra-parenchimali e/o sottocutanei), trombosi della giugulare, complicanze settiche, sindrome di Bernard-Horner a seguito dell’interessamento della catena cervicale, comparsa di Graves a distanza (32,33).
Utilità clinica
I dati disponibili in letteratura evidenziano un buon taso di successo della metodica nel breve periodo.
Le limitazioni più significative sono fornite dalla necessità di trattamenti ripetuti, dal rischio di effetti collaterali non trascurabili e soprattutto dall’incertezza dei risultati a distanza (17).
Queste considerazioni sembrano rendere meno appetibile questa metodica, soprattutto se confrontata con il radioiodio o la chirurgia per noduli di grandi dimensioni.
Per tale motivo, le indicazioni della PEI negli AFTN sono legate a quelle condizioni cliniche in cui il trattamento è necessario e per altri motivi, medici e non, non è possibile eseguire terapia radiometabolica o chirurgica (6).
NODULI SOLIDI
Alcuni autori hanno suggerito l’uso della metodica in noduli solidi, freddi e benigni alla citologia. I risultati riportati sono incoraggianti e dimostrano come la PEI sia più efficace della levo-tiroxina nel ridurre le dimensioni dei noduli trattati. La riduzione delle dimensioni è di circa il 40-50% e questo si traduce spesso in un miglioramento della sintomatologia lamentata dai pazienti, quando presente (34,35).
L’uso di tale metodica non è molto diffuso, a causa di alcune delle considerazioni che sono già emerse nell'illustrazione della tecnica nel trattamento dei noduli cistici e degli AFTN:
- la tecnica dovrebbe essere presa in considerazione per noduli solidi che necessitano di essere trattati (grandi e sintomatici)
- i noduli solidi rispondono meno di quelli con componente cistica al trattamento con PEI (36). Nel paragrafo dedicato agli AFTN abbiamo visto come la risposta in termini di riduzione dimensionale sia correlata alla componente liquida e quindi inversamente correlata con la porzione solida
- c’è il rischio non completamente trascurabile che una patologia maligna non sia diagnosticata alla citologia (37), anche se questo rischio può essere minimizzato con l’esecuzione di almeno due esami citologici prima della manovra.
ALTRE LESIONI DEL COLLO
Cisti del dotto del tireoglosso
Il trattamento con PEI delle cisti del dotto tireoglosso è stato proposto, ma l’indicazione di prima scelta per tale patologia, anche per il possibile rischio di trasformazione maligna delle lesioni, rimane la chirurgia (38). I risultati riportati sono incoraggianti, perché viene riportata una percentuale di successo di circa l’80%. La limitazione più importante sembra essere la difficoltà nell’evacuare le cisti a causa dell'elevata viscosità del contenuto (39). Questa limitazione può essere superata utilizzando aghi di calibro maggiore e la tecnica potrebbe essere pertanto presa in considerazione in soggetti che rifiutano la chirurgia, una volta attentamente esclusa la malignità.
Cisti delle paratiroidi
Le cisti delle paratiroidi sono abbastanza infrequenti e nella maggior parte dei casi possono essere scambiate per cisti della tiroide. Nelle casistiche autoptiche il riscontro di degenerazione cistica di ghiandole paratiroidee non è infrequente ed è possibile arguire che la degenerazione cistica sia il risultato finale di una graduale ritenzione idrica all’interno della ghiandola (40).Per la diagnosi differenziale è necessario il dosaggio del PTH sul liquido di lavaggio della siringa-ago utilizzata per l’agoaspirato (41).
In considerazione della recidiva post-drenaggio delle cisti delle paratiroidi, è stata proposta la PEI. La PEI è stata utilizzata con successo nelle forma di iperplasia paratiroidea conseguenti ad insufficienza renale cronica e recidivanti dopo chirurgia parziale (42) e nell’adenoma singolo (43).
La difficoltà maggiori alla diffusione della tecnica sono legate alla particolare localizzazione delle paratiroidi: essendo infatti la loro localizzazione molto profonda, la manovra può essere più difficoltosa, provocare più dolore e soprattutto l’interessamento del ricorrente è quasi automatico in caso di fuoriuscita di alcool. Quest’ultimo effetto collaterale è legato anche alla particolare conformazione delle lesioni da trattare che, a differenza dei noduli della tiroide, sono circondati da un sottilissimo strato di parenchima sano.
Metastasi linfonodali cervicali da carcinoma papillifero della tiroide
La tecnica è stata proposta dai colleghi interventisti della Mayo Clinic negli anni novanta (44,45). Ci sono alcune considerazioni che possono favorire un approccio di questo tipo:
- il reintervento chirurgico è spesso un'incognita, a causa della difficoltà a localizzare la lesione
- il tasso elevato di complicanze (lesioni del ricorrente, asportazione delle paratiroidi, danno estetico del collo) del reintervento (46)
- il decorso delle metastasi linfonodali è spesso indolente
Sfortunatamente i dati riportati in letteratura non sono omogenei e le percentuali di successo variano tra il 15 ed il 70% (47-50). In tutti gli studi viene riportato il controllo totale della malattia nel periodo osservato.
Utilità clinica: la PEI può essere proposta nelle recidive linfonodali cervicali da carcinoma differenziato della tiroide una volta che, valutati attentamente gli effetti benefici ed i potenziali rischi della chirurgia, il reintervento venga giudicato molto rischioso o rifiutato dal paziente (48).
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