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Annibale Versari e Angelina Filice
Struttura Complessa di Medicina Nucleare, Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia

(aggiornato al 10 ottobre 2017)

 

 

ASPETTI GENERALI
In pazienti con neoplasia tiroidea, metastatica e in progressione, la terapia radiorecettoriale (Peptide Receptor Radionuclide Therapy, PRRT) rappresenta una valida alternativa dopo il fallimento dei trattamenti convenzionali.
Pre-requisito fondamentale per la PRRT è sempre la dimostrazione di una chiara positività delle lesioni neoplastiche all'imaging medico-nucleare basato sugli analoghi della somatostatina. Le indagini disponibili in quest’ambito sono la scintigrafia con 111In-pentetreotide (Octreoscan) e la PET/TC con 68Ga-DOTATOC/DOTANOC/DOTATATE. Deve essere sottolineato che, anche se l’avvento di macchine ibride SPECT/TC ha migliorato l’accuratezza della scintigrafia con 111In-pentetreotide, la PET/TC con analoghi della somatostatina radio-marcati con 68Ga ha una maggiore sensibilità e capacità di risoluzione spaziale rispetto alla scintigrafia (figura 1).

 

Figura 1. Metastasi scheletriche multiple rilevate da PET-TC con 68Ga-DOTATOC in una paziente 61enne con carcinoma tiroideo follicolare in progressione, non iodocaptante

 

La PRRT viene attualmente eseguita esclusivamente presso centri specializzati nell’ambito di protocolli di ricerca e l'indicazione al trattamento deve essere condivisa nel corso di una valutazione collegiale multi-specialistica e deve sempre prevedere un’attenta e bilanciata valutazione delle altre eventuali opzioni terapeutiche disponibili per il paziente.
La PRRT ha il vantaggio di poter usare lo stesso ligando impiegato per la diagnostica (DOTA-peptide), sostituendo l’isotopo 68Ga con 90Y o 177Lu e questo rappresenta un ottimo esempio di medicina personalizzata e di teranostica.
I radiofarmaci impiegati in PRRT sono attualmente 90Y-DOTATOC e 177Lu-DOTATOC/DOTATATE. Si tratta di radiofarmaci dotati di diverse proprietà fisiche, che si traducono in una diversa capacità di penetrazione nei tessuti (tabella).

 

Proprietà fisiche dei radiofarmaci impiegati nella terapia radiorecettoriale
 
β (Mev)
γ (Kev)
T½ (giorni)
Penetrazione nei tessuti (mm)
177Lu
0.49 110-210 6.7 0.5-2
90Y
2.27   2.7 3-11

 

Pertanto:

  • in caso di lesioni di maggiori dimensioni (es. > 2 cm) trova indicazione preferenziale l'impiego di radiofarmaci marcati con 90Y (al tempo stesso più aggressivi dal punto di vista protezionistico);
  • in caso di lesioni di minori dimensioni (es. < 2 cm) è più appropriato il ricorso a preparati marcati con 177Lu.

Il trattamento completo si compone in genere di 4-6 cicli, distanziati di 2 mesi circa l’uno dall’altro e intervallati da periodiche rivalutazioni degli esami ematochimici e della funzionalità renale. La valutazione della risposta al trattamento, infine, viene fatta mediante esami morfologici e funzionali (TC e/o RM e PET/TC con 68Ga-DOTA-peptide).

 

CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE
Il tumore differenziato della tiroide (differentiated thyroid carcinoma, DTC) è la neoplasia maligna più frequente dell’apparato endocrino e, nella maggior parte dei casi ha un’ottima prognosi, con un tasso di sopravvivenza a 10 anni > 85% (1,2). Tuttavia, in circa il 20% dei pazienti si verificano recidive tumorali, a volte anche decenni dopo la terapia iniziale.
La medicina nucleare gioca da sempre un ruolo importante nell’ambito di tale neoplasia, sia nella diagnostica che nel trattamento. Lo iodio radioattivo viene utilizzato, infatti, per la diagnosi (123I, 131I) e per il trattamento (131I) del DTC. La prognosi dei pazienti con DTC è di solito favorevole quando la malattia metastatica è avida di 131I, che viene considerato il gold standard nel trattamento della malattia metastatica. Tuttavia, il 20-30% dei tumori recidivanti non capta il radioiodio (3,4) e pazienti affetti da DTC con malattia avanzata possono presentare forme più aggressive, che non rispondono o diventano refrattarie alla terapia, spesso in relazione alla perdita parziale o completa della capacità di concentrazione dello 131I, dovuta a processi di de-differenziazione della neoplasia. La perdita della capacità iodocaptante si associa, quindi, a una prognosi peggiore (5): solo il 50% dei pazienti con carcinoma tiroideo de-differenziato, infatti, è in grado di conseguire una guarigione dalla malattia con i trattamenti tradizionali (6). In questi casi, inoltre, l'utilità diagnostica della scintigrafia corporea post-dose (whole body scan, WBS) con 131I, per rilevare la presenza di residuo e/o recidiva di neoplasia, è decisamente ridotta. Pertanto, nei pazienti con 131I-WBS negativo e livelli sierici di tireoglobulina (Tg) persistentemente elevati, il percorso diagnostico prevede l'impiego della PET/TC con 18F-FDG (7).
Oltre a rendere necessario l'impiego di tecniche di imaging alternative alla 131I-WBS, l'incapacità del tessuto tumorale di concentrare lo 131I pone, quindi, il problema di ricercare approcci terapeutici alternativi. A tale proposito sono stati effettuati tentativi di re-induzione del trasporto, organificazione e ritenzione di 131I da parte delle cellule tiroidee neoplastiche (8), con risultati a tutt'oggi nel complesso deludenti (9). L'impiego terapeutico di agenti biologici (inibitori della tirosin-chinasi ad esempio), è attualmente oggetto di valutazione clinica, con risultati incoraggianti (10). Di recente, inoltre, è stata autorizzata la commercializzazione del lenvatinib, potente inibitore angiogenetico, per il trattamento del carcinoma tiroideo in stadio avanzato refrattario allo iodio radioattivo. Gli studi eseguiti hanno dimostrato un miglioramento significativo della risposta complessiva nei pazienti trattati con lenvatinib rispetto al placebo (11).
Quando un paziente con DTC è classificato come refrattario allo 131I, non vi è alcuna indicazione per un ulteriore trattamento con radioiodio e le opzioni terapeutiche sono limitate. La positiva esperienza della PRRT nei tumori neuroendocrini gastro-entero-pancreatici ha portato a valutarne la possibilità di impiego clinico anche nei tumori tiroidei de-differenziati, metastatici, in progressione. Diversi studi in passato hanno dimostrato il coinvolgimento dei recettori per la somatostatina (SSTR) nella regolazione della proliferazione delle cellule tiroidee normali e tumorali. Vi è una tendenza per i carcinomi meno differenziati a esprimere una più ampia varietà di sottotipi dei SSTR e le linee cellulari del tumore tiroideo hanno dimostrato di esprimere SSTR (12,13). È già noto, inoltre, da studi risalenti a circa vent’anni fa che è possibile la visualizzazione di localizzazioni di DTC non 131I-avido mediante scintigrafia con analoghi della somatostatina radiomarcati (14,15) e questo può offrire una nuova prospettiva di trattamento con PRRT per questi pazienti (15-19).

 

Esperienze cliniche
Già nei primi anni 2000 sono state riportate in letteratura varie esperienze preliminari su singoli casi o casistiche comunque molto limitate: in totale, dal 2001 al 2004 sono stati riportati 58 casi (15,19,20-25), con risultati difficilmente confrontabili per l’impiego di radiofarmaci e criteri di valutazione diversi. In tali esperienze, veniva riportata una risposta clinica parziale o di stabilizzazione in circa il 46% dei casi.
Già nel 2005 Teunissen riporta risultati importanti sul trattamento con 177Lu-DOTATATE in 5 pazienti, ottenendo 2 risposte parziali, 2 stabilizzazioni e 1 progressione (26). Più recentemente Iten et al hanno descritto un'altra esperienza con 90Y-DOTA-TOC in PPRT, fornendo risultati incoraggianti sulla sopravvivenza mediana, risultata più lunga nei pazienti responder rispetto ai non-responder (27).
Sulla base di tali dati della letteratura, sono stati suggeriti diversi analoghi della somatostatina radiomarcati per scopi terapeutici e diagnostici nella gestione dei pazienti con DTC non 131I avido. È stata infatti studiata in alcune casistiche l'efficacia terapeutica di 111In-octreotide, 90Y-DOTATOC, 90Y-DOTA-lanreotide e 177Lu-DOTATATE (28,29) ed è stata suggerita la PET/TC con 68Ga-DOTA-peptidi come modalità alternativa di imaging (30,31). In un'analisi retrospettiva, Czepczyński et al (32) hanno valutato la sicurezza e l'efficacia della PRRT in 11 pazienti con DTC non 131I avido e con una storia di cicli multipli di terapia radiometabolica con 131I, aumento della Tg e WBS post-dose negativa. Nove pazienti presentavano metastasi polmonari, 3 metastasi scheletriche, 4 recidiva locale o linfonodale. 5/11 pazienti sono deceduti prima di completare il trattamento, mentre nei restanti 6 la risposta morfologica, valutata 3 mesi dopo l'ultimo ciclo utilizzando i criteri RECIST, ha mostrato 1 risposta parziale (PR), 2 stabilizzazioni (SD) e 3 progressioni (PD). La risposta biochimica, basata sulle misure di Tg prima e dopo la PRRT, ha mostrato 1 PR, 4 SD e 1 PD. La sopravvivenza media è stata di 21 mesi dal primo ciclo di PRRT. In alcuni pazienti è stata osservata solo tossicità ematologica lieve e transitoria. Gli autori hanno concluso che la PRRT è generalmente ben tollerata e può essere un'opzione preziosa per alcuni pazienti con DTC non 131I avido (32).
In una serie di 41 pazienti con DTC in progressione, non 131I-avido, abbiamo eseguito PET/TC con 68Ga-DOTATOC, al fine di selezionare quelli con buona espressione recettoriale, candidabili a PRRT (33). In tutti è stata eseguita una valutazione dosimetrica, mediante scintigrafia con 111In-DOTATOC. In tutti i pazienti trattati sono state eseguite anche le scansioni PET/TC con 68Ga-DOTATOC per valutare la risposta al trattamento (figura 2). I parametri forniti dalla PET/TC con 68Ga-DOTATOC sono stati analizzati come potenziali predittori terapeutici, per differenziare i pazienti responsivi dai non responsivi. La PET/TC con 68Ga-DOTATOC è risultata positiva in 24/41 pazienti. Sulla base dell'elevata espressione dei SSTR rilevata alla PET/CT con 68Ga-DOTATOC, 11 pazienti sono stati candidati a PRRT con 90Y-DOTATOC. In 7/11 pazienti è stato ottenuto controllo di malattia (2 PR, 5 SD), con una durata di risposta di 3.5-11.5 mesi. Il volume funzionale (FV) nel tempo ottenuto da 68Ga-DOTATOC PET/CT è stato l'unico parametro che ha dimostrato una differenza significativa tra le lesioni che rispondono e non rispondono alla PRRT (p = 0.001). Gli eventi avversi principali sono stati nausea, astenia e tossicità ematologica transitoria; un paziente ha avuto una tossicità renale permanente. In questo studio l'imaging con traccianti radiorecettoriali ha fornito risultati positivi in più della metà dei casi e circa un terzo dei pazienti era risultato candidabile alla PRRT. La PET/TC con 68Ga-DOTATOC è risultata essere uno strumento affidabile, sia per la selezione del paziente che per la valutazione della risposta al trattamento. La determinazione del FV nel tempo sembra rappresentare un parametro affidabile per determinare la risposta del tumore al PRRT (33).

 

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Figura 2. PET-TC con 68Ga-DOTATOC prima e dopo 4 cicli di trattamento con 90Y-DOTATOC (dose cumulativa 268 mCi) in un paziente 74enne con carcinoma a cellule di Hürtle diffusamente metastatico. Il trattamento ha determinato una marcata riduzione dell'attività del tessuto metastatico, associata sul piano clinico a un transitorio miglioramento delle condizioni generali.

 

 

CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE
Il carcinoma midollare tiroide (Medullary Thyroid Carcinoma, MTC) è un tumore non epiteliale, abbastanza raro, che produce calcitonina (CT) e origina dalle cellule C o para-follicolari, che deriverebbero embriologicamente dalla cresta neurale. Nel 20-30% dei casi è familiare ereditario o associato a neoplasie endocrine multiple (MEN-2). Ha una sopravvivenza a 10 anni che varia dal 50% all'80%, con prognosi peggiore rispetto al DTC. Si comporta solitamente in modo relativamente indolente, ma circa il 20% dei pazienti ha un decorso più aggressivo e le opzioni diagnostiche e terapeutiche disponibili in questi casi sono limitate.
Alcuni autori hanno dimostrato che il MTC metastatico può esprimere i recettori per la somatostatina all’imaging PET-TC con 68Ga-DOTA-peptidi. La PRRT nei MTC può quindi essere un'opportunità dopo il fallimento del trattamento standard, ma l'esperienza in quest’ambito è ancora molto limitata.
Iten et al (34), in un'analisi retrospettiva su 21 pazienti trattati con 90Y-DOTATOC a dosi di 7.5-19.2 GBq in 2-8 cicli, hanno ottenuto 2 risposte complete (CR), 12 SD e 7 PD. Avevano risposta migliore i pazienti con lesioni di piccole dimensioni e maggiore intensità di captazione del radiofarmaco. Gli stessi autori, in uno studio di fase II, hanno valutato la PRRT con 90Y-DOTATOC in 31 pazienti con MTC. Solo il 30% dei pazienti è stato classificato come responsivo, basandosi sulla riduzione dei livelli di CT, mostrando anche un miglioramento in termini di progressione libera da malattia (PFS) rispetto ai non-responder (74 mesi vs 11 mesi).
Salavati et al (35) hanno valutato la risposta, la sopravvivenza e la sicurezza a lungo termine del trattamento con 90Y-DOTATOC in uno studio clinico di fase II in pazienti con MTC avanzato, aumentati livelli sierici di CT e positività alla scintigrafia con 111In-Octreoscan. Su 31 pazienti, 18 (58.1%) hanno avuto un prolungamento post-terapeutico del tempo di raddoppio della CT sierica di almeno il 100%. Solo in 9/31 (29%) si è avuta una riduzione dei livelli di CT, che li ha fatti definire come responder. Questi pazienti avevano una sopravvivenza mediana significativamente più lunga dal momento del trattamento rispetto ai non-responder (74.5 mesi - range 15.7-107 – vs 10.8 mesi - range 1.4-85 mesi; p = 0.02). Il 13% dei pazienti ha sviluppato tossicità ematologica e il 23% tossicità renale. L’intensità di captazione alla scintigrafia con 111In-Octreoscan non è stata associata alla risposta o al miglioramento della sopravvivenza.
Budiawan et al (36) hanno riportato la loro esperienza in 16 pazienti di una casistica mista: MTC (n = 8), carcinoma follicolare (n = 4), carcinoma a cellule di Hürthle (n = 3) e carcinoma misto (n = 1). I pazienti sono stati sottoposti a PRRT utilizzando analoghi della somatostatina marcati con 90Yttrio e/o 177Lutezio. La PET/TC con 68Ga-DOTA-peptide è stata utilizzata sia in fase iniziale per valutare l’espressione recettoriale della malattia, sia per valutare la risposta al trattamento. Sono state osservate solo tossicità lievi e reversibili, ematologica (grado 1) e/o nefrologica (grado 1). La valutazione della risposta (utilizzando i criteri EORTC) è stata possibile solo su 11 pazienti trattati con 2 o più cicli di PRRT (massimo 5): stabilizzazione in 4 (36.4%), remissione parziale in 2 (18.2%), progressione nei restanti 5 (45.5%). L'analisi di Kaplan-Meier ha evidenziato una sopravvivenza media dopo il primo ciclo di PRRT di 4.2 anni (IC95% 2.9-5.5) e una PFS mediana di 25 mesi.

 

CONCLUSIONI
Gli analoghi della somatostatina radiomarcati rappresentano un’interessante prospettiva diagnostica e terapeutica per i pazienti con DTC che presentano metastasi non 131I-avide ed evidenza di progressione di malattia. Circa il 50% di questi pazienti presenta, infatti, una positività all’imaging medico-nucleare con analoghi della somatostatina, premessa essenziale per la selezione dei pazienti che possono avvalersi del trattamento con PRRT. I dati della letteratura, in linea con la nostra esperienza, documentano una risposta al trattamento in circa il 50-60% dei casi. Anche nel MTC avanzato le opzioni terapeutiche sono limitate e associate spesso a tossicità significativa. La PRRT con analoghi della somatostatina marcati con 177Lu o 90Y può avere un ruolo significativo nella gestione di questi pazienti.
Sono comunque necessari ulteriori studi per meglio chiarire benefici e limiti di tale opzione terapeutica e valutare il ruolo del PRRT nelle neoplasie della tiroide. In particolare, sarà indispensabile definire le indicazioni della PRRT nel contesto della più ampia strategia multimodale di trattamento, che deve prevedere l'associazione combinata o sequenziale di trattamenti farmacologici, radiometabolici e/o radioterapici, chirurgici ed eco-interventistici.

 

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Michele Zini
Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

Le tiroiditi sono malattie caratterizzate da flogosi del tessuto tiroideo. Possono essere classificate in base all'eziologia (es. infettive, autoimmuni, da farmaci), alla sintomatologia (es. con o senza dolore), o in base alla espressione funzionale (eu-, ipo- o ipertiroidismo). Una delle classificazioni più diffuse è però quella basata sull’andamento clinico e sulla durata della malattia, distinguendosi in questo modo forme acute, subacute e croniche.

 

Classificazione delle tiroiditi
Acute infezioni batteriche
infezioni fungine
forme da radiazioni (compreso radioiodio)
Subacute virale (o granulomatosa, o di De Quervain)
linfocitica o “silente” o “senza dolore” (painless) sporadica
post-partum
Croniche autoimmune di Hashimoto
atrofica
fibrosa di Riedel
da parassiti

 

Vengono ricomprese nelle tiroiditi le forme di disfunzione tiroidea che si verificano durante alcune terapie farmacologiche:

  • amiodarone
  • litio
  • interferone
  • interleuchina-2, aldesleuchina
  • inibitori del recettore della tirosin-kinasi

 

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Michele Zini
Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

La tiroidite subacuta viene denominata anche tiroidite di De Quervain (Fritz de Quervain fu un chirurgo svizzero che, partendo da precedenti osservazioni sue e di altri, descrisse in modo compiuto questa patologia nel 1936), tiroidite granulomatosa, o tiroidite virale.
Più frequente nel sesso femminile, sembra esserci un picco di incidenza fra la terza e la quinta decade.

 

Eziologia
I virus più frequentemente responsabili sono: il virus dell'influenza, gli adenovirus, i coxsackie ed il virus della parotite.  Tuttavia, la identificazione dell’agente patogeno nel singolo individuo non ricopre particolare rilevanza, perché il trattamento non ne viene influenzato.

 

Patologia
Il tessuto tiroideo mostra un infiltrato flogistico con rottura dei follicoli tiroidei. Sono presenti cellule giganti plurinucleate e si rilevano granulomi. Il reperto patologico, che quasi mai comunque viene valutato per la rarità della esecuzione di esami citologici ed istologici, rientra nella norma dopo parecchi mesi dall’esordio.

 

Quadro clinico
L’esordio è spesso preceduto da un prodromo simil-influenzale, a volte scambiato od associato ad una flogosi delle alte vie aeree. La palpazione in regione tiroidea evoca viva dolorabilità, pur in assenza di segni cutanei di flogosi. Il dolore, che può essere spontaneo, è di solito lateralizzato, in quanto la tiroidite subacuta colpisce focalmente alcune aree di tessuto, per poi migrare con interessamento in tempi successivi di diverse zone di parenchima, spostandosi nell’ambito dello stesso lobo e al lobo controlaterale. Il dolore può essere irradiato lungo il collo verso l’alto, fino alla mandibola e alle orecchie.
Ci può essere aumento dimensionale della tiroide, con ghiandola che alla palpazione si presenta di consistenza soffice-parenchimatosa. Se la tireotossicosi è significativa, si rilevano i relativi segni clinici. E’ spesso presente febbre.
Il decorso dura alcuni mesi, è caratterizzato da possibili fasi di riacutizzazione, e sono possibili forme a decorso protratto. Rara è la recidiva a distanza di tempo.

 

Laboratorio
Invariabilmente elevati, anche marcatamente, sono gli indici aspecifici di flogosi, come VES e PCR. Questi possono essere utilizzati per seguire l’andamento della patologia e la risposta alla terapia.
Gli indici di funzione tiroidea consentono a volte di suddividere il decorso funzionale della tiroidite subacuta in 3 fasi: fase tireotossica, fase ipotiroidea, fase di recupero. Non sempre però le tre fasi vengono tutte espresse. Gli anticorpi anti-perossidasi tiroidea sono di solito negativi.

 

Altre indagini
L’esame ecografico della tiroide può rilevare la presenza di aree sfumatamente ipoecogene, a carattere non nodulare, nella parte di parenchima interessata dal processo tiroiditico.  A volte è possibile seguire l’andamento migratorio della malattia seguendo l’andamento delle zolle ipoecogene focali.
La iodocaptazione è ridotta o assente, anche se il ricorso a tale esame è raramente necessario.

 

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L’esame citologico è indicato solo in caso di concomitante patologia nodulare. Talora la flogosi determina aree pseudonodulari a carattere focale; nelle forme con minor interessamento sistemico i caratteri ecografici e clinici possono essere dubbi e richiedere un accertamento citologico. La diagnosi citologica è in genere piuttosto agevole per la tipicità del quadro.

 

Diagnosi
La diagnosi della tiroidite subacuta è primariamente clinica, e viene confermata dal laboratorio.
La diagnosi differenziale va posta con la flogosi delle alte vie aeree, dato che questa può richiedere l’uso di antibiotici, non necessari nella tiroidite subacuta. A volte una tiroidite cronica può avere esordio brusco, che può essere scambiato per una tiroidite subacuta.

 

Decorso
La rottura dei follicoli presente all’esordio clinico provoca la dismissione in circolo di tireoglobulina e di ormoni tiroidei preformati, con possibilità di tireotossicosi, di solito di entità lieve-moderata. Durante questa fase distruttiva, la iodocaptazione è bassa o assente. Nell’arco di un tempo variabile da 4 a 8 settimane la flogosi si riduce, e contestualmente la situazione funzionale tende a normalizzarsi. Non è infrequente la comparsa di un ipotiroidismo subclinico di solito transitorio, ma che può essere permanente. Terminata la fase di ressi follicolare, la iodocaptazione ricompare.

 

Terapia
Se l'intensità della tiroidite è lieve, può essere sufficiente il ricorso agli anti-infiammatori non steroidei. Se questi non controllano a sufficienza il quadro clinico e il paziente ha sintomatologia locale o sistemica importante, si ricorre ai cortisonici. Si inizia con 25-50 mg/die di prednisone (a seconda dell'intensità del quadro clinico), per ridurlo progressivamente ogni 2-4 settimane in base ai sintomi e ai dati di laboratorio (principalmente PCR, VES e TSH reflex). Se dopo avere ridotto la posologia del cortisonico la sintomatologia si riacutizza, si torna alla dose precedente, e si procede più cautamente.
In caso di tireotossicosi, in attesa dell’effetto terapeutico del cortisonico, si può ricorrere ai beta-bloccanti. Il ricorso agli anti-tiroidei non è indicato, così come l’uso di antibiotici. Nella maggior parte dei casi, la terapia cortisonica può essere interrotta, dopo la progressiva riduzione posologica, in 3-4 mesi, anche se sono possibili forme a decorso protratto.

 

Prognosi
La prognosi di solito è buona poichè nella maggior parte dei casi si ha la restitutio ad integrum della ghiandola. Può essere utile un controllo ematochimico ogni  2-6 settimane a seconda dell'andamento clinico, al fine di valutare la persistenza dell'ipertiroidismo, della flogosi e  dell'eventuale insorgenza di ipotiroidismo.
Qualora venga evidenziato un ipotiroidismo lieve non è necessaria terapia sostitutiva, perchè molto spesso si tratta di una fase transitoria.

 

Bibliografia 
Non riesco ad assegnare ogni voce bibliografica ad una specifica parte di testo 

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Michele Zini1 & Antonella Franchi2
1Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

2UO Endocrinologia, Atri (TE)

 

Definizione ed epidemiologia
Per tiroidite acuta si intende un processo infiammatorio acuto della tiroide dovuto ad un’infezione suppurativa. E’ una patologia rara, con un incidenza dello 0.1–0.7% di tutte le malattie tiroidee. La rarità di questo quadro clinico è correlata a fattori trofici e a caratteristiche anatomiche della ghiandola tiroidea, quali la sua capsula protettiva, la ricca vascolarizzazione, l’elevato contenuto di Iodio ed un efficiente sistema di drenaggio, che limitano la diffusione del processo infettivo. Spesso l’evoluzione di questa patologia è verso la suppurazione. Tende a colpire più frequentemente bambini o adulti debilitati o immunodepressi.

 

Eziopatogenesi
Colpisce più frequentemente soggetti giovani o addirittura molto giovani in cui, per la presenza di tiroiditi recidivanti, va sospettata la presenza di un residuo del dotto tireoglosso o la presenza di una fistola tra il seno piriforme (sinistro nel 90% dei casi) e la regione del polo superiore del lobo tiroideo (fig. 1).

 

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Questa anomalia congenita della quarta tasca branchiale sembra, infatti, svolgere un ruolo importante nella patogenesi della tiroidite acuta in età pediatrica, più raramente in età adulta. Negli adulti, la tiroidite acuta è più frequentemente associata ad uno stato di immuno-compromissione, anche se può manifestarsi in soggetti apparentemente sani.
Il processo infettivo si propaga piu’ frequentemente per contiguità (faringiti, tonsilliti, parotiti, mastoiditi), per via ematogena (erisipela, infezioni pleuro-polmonari, genito-urinarie e gastrointestinali) o, raramente, tramite ferite del collo; fattori di rischio possono essere un gozzo di vecchia data o la degenerazione da un cancro tiroideo. Particolare rilevanza ricoprono le possibili porte di ingresso di batteri in regione tiroidea: in particolare agoaspirati, biopsie, e manovre ecointerventistiche.
Gli agenti infettivi più frequentemente coinvolti sono: Staphylococcus Aureus, Streptococcus Pyogenes, Streptococcus Epidermis, Streptococcus Pneumoniae e più raramente Streptococcus Viridans, Klebsiella spp., Pseudomonas Aeruginosa, Haemophilus Influenzae, Eikenella Corrodens, Salmonella spp., Enterobacteriaceae, batteri anaerobi (più frequenti nelle tiroiditi acute secondarie a fistola del seno piriforme), funghi, tra cui vanno menzionati Aspergillus, Candida, Coccidioides, Histoplasma e Pneumocystis (frequente in pazienti con AIDS o comunque immunocompromessi).

 

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Quadro clinico
La tiroidite acuta esordisce con l’improvvisa comparsa di una tumefazione della ghiandola tiroidea, spesso monolaterale, con febbre alta e dolore a livello tiroideo, irradiato alla regione cervicale, alla mandibola ed alla regione auricolare. Possono associarsi disfagia e disfonia, linfoadenopatia latero-cervicale e sovra-claveare ipsilaterale. La cute sovrastante la tumefazione appare calda ed arrossata. Frequentemente la flogosi si estende verso la regione sovra-claveare, con possibile compressione dei muscoli del collo e limitazione dell’estensione cervicale.

 

Diagnosi
Clinicamente va posta diagnosi differenziale con tiroidite subacuta, linfoadenite latero-cervicale, flemmone cervicale extra-tiroideo, emorragia in una cisti tiroidea, carcinoma tiroideo (compreso il linfoma), angina di Ludwig, pericondrite della cartilagine tiroidea; tuttavia, l’esordio improvviso e le caratteristiche cliniche della tiroidite acuta raramente danno luogo a dubbi diagnostici. Al fine di un adeguato inquadramento di questa patologia è molto utile l’individuazione di fattori predisponenti, quali: gozzo, adenoma, cisti del dotto tireoglosso, condizioni di immunodepressione (HIV, leucemie, trattamento chemioterapico).
Gli esami ematochimici mostrano un marcato aumento degli indici di flogosi (VES e PCR) con leucocitosi neutrofila; invece, gli ormoni tiroidei sono in genere nella norma, anche se talvolta può esserci un transitorio stato di tireotossicosi, dovuto alla distruzione dei follicoli tiroidei. Raramente può verificarsi una marcata distruzione del parenchima tiroideo, con conseguente instaurarsi di uno stato di ipotiroidismo permanente, come può verificarsi nei pazienti con infezione da P. Carinii.
L’ecografia e la TC della regione cervicale rappresentano le indagini principali per la diagnosi differenziale. L’ecografia può riscontrare un’area anecogena in corrispondenza della raccolta ascessuale. L’esofagografia con bario, associata a laringoscopia, è molto utile per la diagnosi di un’eventuale fistola tra seno piriforme e lobo tiroideo. L’interessamento del lobo tiroideo sinistro deve indurre il sospetto di una fistola del seno piriforme.
La citologia su agoaspirato evidenzia infiltrazione di leucociti polimorfonucleati ed è utile nell'identificazione dell’agente eziologico e, dunque, per l’esecuzione dell’esame colturale e dell’antibiogramma, oltre che per escludere altre patologie tiroidee, quali una neoplasia tiroidea maligna, che può giocare un ruolo causale o può manifestarsi clinicamente come una tiroidite acuta suppurativa.

 

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Terapia
E’ importante iniziare il trattamento tempestivamente, per evitare la diffusione del processo infiammatorio. La terapia d’elezione è rappresentata dall’utilizzo di antibiotici a largo spettro o specifici in base all’antibiogramma del germe isolato dalla ghiandola: nell'attesa dell'antibiogramma è opportuno iniziare con antibiotico a largo spettro; in fase iniziale è preferibile intervenire con terapia antibiotica per via endovenosa,  seguita poi dalla terapia per via orale per almeno 14 giorni o, comunque, fino alla risoluzione del problema.
Quando possibile e sicuro è utile il drenaggio della raccolta ascessuale.
Inoltre, la presenza di una fistola tra il seno piriforme e il polo superiore del lobo tiroideo, impone, oltre alla terapia antibiotica, anche una terapia chirurgica, con drenaggio dell’ascesso peri-tiroideo, se presente, e asportazione completa della fistola. Il mancato riconoscimento della fistola e/o la sua ablazione non radicale sono responsabili delle recidive della malattia.

 

Complicanze
Se la tiroidite acuta suppurativa viene trattata tempestivamente, in genere non residua nessuna alterazione permanente della funzione tiroidea. Le complicanze tardive di una tiroidite acuta sono rare e solo le forme infiammatorie severe o diffuse possono determinare un’ampia distruzione del parenchima tiroideo, con conseguente ipotiroidismo permanente e necessità di terapia sostitutiva con levotiroxina. Tra le rare complicanze locali, vanno ricordate: paralisi della corda vocale, rottura della raccolta asessuale o estensione del materiale purulento alle strutture adiacenti (mediastino anteriore, trachea, esofago), trombosi della vena giugulare interna e compressione estrinseca della trachea. L’estensione dell’infezione può essere sia locale che sistemica.
L’esito della tiroidite acuta suppurativa può essere letale, soprattutto se il trattamento non è tempestivo oppure è inappropriato. La morte può essere causata da: polmonite, ostruzione o perforazione tracheale, infezione metastatica, mediastinite, pericardite, sepsi, rottura di un ascesso tiroideo.

 

Bibliografia 

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Michele Zini
Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia

 

La tiroidite "silente" o “indolore” è una forma di tireopatia acuta, che esordisce di solito con tireotossicosi da rilascio in circolo di ormoni tiroidei preformati. E' più frequente nei pazienti con pre-esistente tireopatia autoimmune. La ricorrenza familiare è rara.
Il decorso clinico è caratterizzato di solito da una breve fase di tireotossicosi della durata di 2-4 settimane, seguita dalla comparsa di ipotiroidismo per 4-12 settimane, e quindi da risoluzione. Ha quindi un andamento autolimitante. Non raramente manca una delle due fasi disfunzionali.
La condizione riconosce una base autoimmune, è associata alla presenza di anticorpi anti-TPO, ed è tre volte più comune nelle donne con diabete mellito di tipo 1.
Analogamente alla tiroidite subacuta, la iodocaptazione è ridotta o assente. Oltre che per la assenza di dolore, la tiroidite silente può essere distinta dalla tiroidite subacuta per la normalità della VES e della PCR, e per la positività degli anticorpi anti-TPO.

Il reperto anatomo-patologico dimostra una diffusa infiltrazione di linfociti, ma sono assenti i centri germinali tipici della tiroidite di Hashimoto.

Il trattamento con glucocorticoidi non è generalmente indicato, ma è possibile in caso di sintomatologia clinica rilevante, allo scopo di indurne una più rapida remissione. Peraltro, se è presente sintomatologia ipertiroidea, questa può essere controllata dai beta-bloccanti. La terapia con tiroxina può essere necessaria nella fase di ipotiroidismo, che però spesso è transitoria rendendo possibile la sospensione della tiroxina. I pazienti devono essere seguiti anche dopo la fase attiva della malattia, in quanto è possibile lo sviluppo di ipotiroidismo permanente.

La sintomatologia e i dati clinici della tiroidite silente sono simili a quelli dalla “disfunzione tiroidea del post-partum” o “tiroidite post-partum”. Le due entità patologiche condividono variabilità dell'espressione clinica (ipo- o ipertiroidismo), andamento clinico (tendenza alla remissione spontanea), comportamento rispetto alla gravidanza (recidiva nelle gravidanze successive), e secondo alcuni si tratta in realtà della stessa malattia di fondo.

Al di fuori del periodo post-partum, la recidiva è possibile ma infrequente.

 

Bibliografia

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Corrado Betterle1 & Fabio Presotto2
1Dipartimento di Medicina, Unità Operativa Complessa di Endocrinologia, Università degli Studi di Padova
2Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE)



Funzione tiroidea e stato immunologico in gravidanza
Nel corso della gravidanza vi è una maggior richiesta di ormoni tiroidei, perché questi risultano necessari sia per lo sviluppo del feto che della placenta. L’iperestrogenismo induce un aumento della proteina di trasporto degli ormoni tiroidei (thyroxin-binding globulin, TBG) e quindi le concentrazioni totali di T3 e T4 risultano più elevate. Le frazioni libere rimangono comunque nei limiti di norma. La tiroide cresce di volume e la sintesi degli ormoni tiroidei aumenta del 50% rispetto ai livelli preconcezionali. L’iperplasia ghiandolare è sostenuta dall’azione della gonadotropina corionica placentare (hCG), che stimola direttamente i recettori del TSH, essendo un TSH-agonista, per quanto debole. L’aumentata secrezione di hCG avviene soprattutto nel primo trimestre della gravidanza. Come effetto della stimolazione hCG-indotta si assiste ad una consensuale riduzione dei livelli di TSH.
Affinché la gravidanza giunga a buon termine, è inoltre necessario che il sistema immunitario materno tolleri in maniera selettiva il feto che contiene antigeni paterni e che quindi costituisce una sorta di trapianto semiallogenico spontaneo.
Le cellule del trofoblasto placentare costituiscono una sorta di barriera anatomica, per quanto non del tutto impermeabile. Esse sono prive delle classiche molecole HLA (HLA-A, -B, -D), ma esprimono gli antigeni classici HLA-C e non classici HLA-E. Questo profilo di espressione HLA previene l’attivazione delle cellule NK e la citotossicità CD8-mediata. Le cellule del sincizio-trofoblasto esprimono inoltre il Fas-ligando (CD95L), una molecola che blocca l’attivazione dei linfociti e della cascata complementare, e producono un varietà di sostanze con attività immuno-modulante. Queste interverrebbero anche sulla funzione delle cellule T-regolatorie (Treg), una linea linfocitaria capace di sopprimere l’attivazione e la proliferazione di altre cellule T, che svolgono un ruolo importante nella genesi di molte malattie autoimmuni. Le cellule Treg, che si accumulano nella decidua, aumentano precocemente dopo il concepimento, mostrano un picco durante il secondo trimestre, mentre diminuiscono dopo il parto. Il risultato è quello di un generale miglioramento dei fenomeni autoimmuni nel corso della gravidanza, ma anche di una loro esacerbazione nel periodo post-partum (1, 2).



Definizione
La tiroidite post-partum (TPP) è una forma di tiroidite autoimmune senza dolore (painless thyroiditis), caratterizzata da una disfunzione tiroidea che compare entro 12 mesi dal parto. Essa può insorgere dopo un’interruzione spontanea o volontaria della gravidanza (3).



Prevalenza
La prevalenza della TPP varia, in base ai criteri diagnostici utilizzati ed alle aree geografiche, tra l’1.1 e il 16.7% delle donne nel periodo post-partum, con una media dell’8.1%. La prevalenza di TPP è maggiore nelle pazienti con altre malattie autoimmuni, soprattutto nelle pazienti con diabete di tipo 1 (25%), con lupus eritematoso sistemico (14%), con una precedente malattia di Basedow-Graves (44%) o con una precedente TPP (42%). È anche più frequente nelle pazienti con storia familiare per tireopatie autoimmuni. Fino al 50% delle donne con anticorpi anti-tiroide documentati nel primo trimestre di gravidanza sviluppa una TPP.

 

Eziologia
La TPP rappresenta un’esacerbazione di una sottostante tiroidite autoimmune, favorita da un meccanismo di rebound immunologico che fa seguito al parziale stato di immuno-soppressione presente durante la gravidanza. Le donne che sviluppano una TPP hanno un rapporto linfociti CD4/CD8 aumentato in periferia e a livello tiroideo, ma anche un maggior numero di cellule T attivate. Pertanto, un’attività immunologica amplificata potrebbe innescare la comparsa della TPP. È stato anche ipotizzato che cellule fetali immunocompetenti possano attraversare la placenta, stabilendosi successivamente nella tiroide materna (microchimerismo). In tale sede, queste cellule verrebbero stimolate dagli antigeni tiroidei materni che innescherebbero una reazione contro l’ospite (graft-versus host reaction), a cui farebbe seguito un’attivazione dei linfociti autoreattivi materni. È stata anche descritta una ridotta attività delle cellule T-regolatorie (4).
È infine nota la suscettibilità genetica nelle pazienti con TPP. Infatti, le donne che esprimono gli aplotipi di istocompatibilità HLA-DR3, -DR4 e -DR5 hanno un rischio aumentato di sviluppare sia una tiroidite cronica che una tiroidite post-partum. Dal punto di vista cito-istologico, l’agoaspirato tiroideo mostra un infiltrato linfocitario con diffusa distruzione, alterazioni del tutto simili a quelle osservate nei pazienti con tiroidite cronica e con tiroidite sporadica silente (painless sporadic thyroiditis). In pratica, lo stato di riattivazione (auto)immunitaria che segue il termine della gravidanza consente l’espressione clinica di una tiroidite cronica che sarebbe rimasta latente prima della gravidanza (3, 5). Il 33-50% delle donne che nel primo trimestre di gravidanza possiede anticorpi anti-tiroide sviluppa una TPP, con un rischio da 10 a 59 volte superiore rispetto alle donne senza autoanticorpi, per cui questi rappresentano un forte fattore predittivo.



Manifestazioni cliniche
La clinica della TPP è piuttosto variabile, potendo presentarsi come tireotossicosi isolata (32% dei casi), ipotiroidismo isolato (40% dei casi), oppure passare attraverso entrambe queste fasi, per poi ritornare all’eutiroidismo al termine del periodo post-partum (forma trifasica o classica, 22% dei casi) (3).
Nella forma classica, la prima fase - caratterizzata dalla tireotossicosi - compare dopo 2-6 mesi dal parto e dura circa 1-3 mesi. Questa è sostenuta dal processo tiroiditico che induce il rilascio in circolo degli ormoni tiroidei. La seconda fase - caratterizzata da un ipotiroidismo - insorge dopo 4-8 mesi dal parto e può durare fino a 9 mesi, anche se è generalmente più breve. Circa l’80% delle pazienti ritorna in eutiroidismo entro 12 mesi dal parto. Tuttavia, in uno studio condotto nel Sud dell’Italia, il 54% delle pazienti con TPP presentava un ipotiroidismo permanente a un anno dal parto (6). L’ipotiroidismo permanente si osserva soprattutto nelle multipare o nelle pazienti con una storia di aborto spontaneo ricorrente. Dopo un primo episodio di TPP vi è una probabilità di recidiva nelle gravidanze successive che è pari al 70% (7).
La sintomatologia può comparire durante ciascuna fase della TPP. I sintomi dell’ipertiroidismo sono comunque sfumati e spesso diagnosticati retrospettivamente. Anche l’ipotiroidismo può rimanere a lungo misconosciuto ed i sintomi vengono in genere attribuiti al maggior impegno fisico riservato all’accudimento del neonato. Per tale motivo, una quota imprecisata di TPP rimane non diagnosticata. I sintomi più frequentemente accusati nella fase di ipertiroidismo sono l’astenia, le palpitazioni, l’irritabilità ed il nervosismo, mentre nella fase di ipotiroidismo sono la facile affaticabilità, la deflessione del tono dell’umore, l’intolleranza al freddo e la scarsa attenzione.

 

Diagnosi di TPP e diagnosi differenziale
La fase di ipertiroidismo è documentata dal riscontro di bassi livelli sierici di TSH in presenza di anticorpi anti-TPO. I livelli di fT4 sono tipicamente aumentati, ma possono anche essere normali.
L’ipertiroidismo della TPP va differenziato dall’ipertiroidismo di una malattia di Basedow-Graves, la cui insorgenza non è inusuale nel periodo post-partum. Tuttavia, la prevalenza della TPP è 20 volte superiore, il gozzo è meno pronunciato o molto modesto, l’esoftalmo è assente e gli anticorpi anti-recettore del TSH sono negativi. Se necessario, può essere effettuata una ecografia o una scintigrafia tiroidea per chiarire la diagnosi: nella fase ipertiroidea di una TPP la ecografia non presenta un’accentuata vascolarizzazione come nel caso di una malattia di Basedow-Graves ed alla scintigrafia nella fase ipertiroidea di una TPP la captazione del radiofarmaco è minima o assente, mentre è aumentata nella malattia di Basedow-Graves.?
Rispetto a una tiroidite subacuta di De Quervain (painful subacute thyroiditis), la ghiandola non è dolente e gli indici di flogosi sono normali.
La fase ipotiroidea della TPP viene più comunemente diagnosticata 4-8 mesi dopo il parto. L’ipotiroidismo che compare oltre 1 anno dal parto non è generalmente considerato secondario ad una TPP. Il riscontro di valori elevati di TSH in presenza di anticorpi anti-TPO è ritenuto patognomonico di TPP. Alcuni studi hanno riportato un’associazione tra ipotiroidismo, positività per anticorpi anti-tiroide e depressione post-partum, suggerendo pertanto una possibile associazione con la TPP (8). Non sono state invece documentate relazioni tra TPP e psicosi post-partum.



Terapia
Il trattamento della tireotossicosi, quando necessario, si basa sulla severità dei sintomi quali il cardiopalmo, l’irritabilità ed il nervosismo. Vengono abitualmente utilizzati i beta-bloccanti. L’uso delle tionamidi non è indicato, poiché la tireotossicosi è sostenuta da una tiroidite distruttiva che porta al rilascio dell’ormone preformato e non da un’iperfunzione ghiandolare. Il propranololo rappresenta il farmaco di prima scelta, poiché consente una facile titolazione. Il trattamento dura solitamente meno di 3 mesi e la posologia viene aggiustata in base ai livelli di ormoni tiroidei e ai sintomi (20-40 mg per 2-3 volte al giorno). L’uso del propranololo durante l’allattamento è generalmente accettato.
La fase ipotiroidea può non richiedere alcuna terapia, mentre viene trattata con L-T4 se l’ipotiroidismo è sintomatico e/o se le concentrazioni di TSH superano le 10 mUI/L. Il potenziale beneficio del trattamento dell’ipotiroidismo subclinico (TSH tra 4.0 e 10.0 mUI/L) include il miglioramento degli eventuali sintomi. La dose iniziale di L-T4 dipende dai livelli di TSH, ma di solito è di 50 µg/die. I successivi aggiustamenti posologici vengono effettuati in base ai sintomi e ai livelli di TSH. Il trattamento va mantenuto se vi è il progetto di avere una nuova gravidanza, altrimenti può essere sospeso con gradualità entro l'anno dal parto. Nelle pazienti in cui la sospensione ha avuto successo, il TSH va comunque dosato una volta all’anno per monitorare l’eventuale ricomparsa di ipotiroidismo.
È stato inoltre osservato che la somministrazione di selenio alla posologia di 200 µg/die in donne con anticorpi anti-tiroide durante la gravidanza e nel post-partum ha indotto una significativa riduzione della prevalenza della TPP rispetto ai controlli (28.6% versus 48.6%) (9). Sono tuttavia necessari ulteriori studi per definire l’efficacia del selenio nella prevenzione delle tiroiditi autoimmuni.



Screening per la TPP
L’esecuzione di uno screening universale per malattie tiroidee durante il primo trimestre di gravidanza o già nelle donne che abbiano intenzione di affrontare una gravidanza rimane un argomento ancora molto dibattuto. Alcuni autori non considerano utile uno screening funzionale con dosaggio di TSH e di fT4 in tutte le donne. Altri consigliano di eseguire uno screening selettivo nelle donne ad alto rischio di disfunzione tiroidea e quindi con:

  • precedenti tireopatie
  • storia familiare di tireopatie
  • gozzo
  • anticorpi anti-tiroide
  • sintomi suggestivi di ipotiroidismo
  • diabete mellito di tipo 1
  • storia di abortività
  • altre malattie autoimmuni
  • precedenti irradiazioni al capo o al collo
  • obesità grave
  • età superiore ai 30 anni
  • trattamento con amiodarone o litio o a cui sono stati recentemente somministrati dei mezzi di contrasto iodati.

Alla luce dell’elevata frequenza delle tireopatie autoimmuni nelle donne in età fertile, oltre al dosaggio del TSH all’esordio della gravidanza, si dovrebbero ricercare anche gli anticorpi anti-TPO. Qualora questi risultassero positivi in presenza di un TSH nel range ottimale, sarebbe necessario controllare il TSH nei trimestri successivi e nel periodo post-partum (10).



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  9. Negro R, Greco G, Mangieri T, et al. The influence of selenium supplementation on postpartum thyroid status in pregnant women with thyroid peroxidase. J Clin Endocrinol Metab 2007, 92: 1263-8.
  10. Stagnaro-Green A. Approach to the patient with postpartum thyroiditis. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 334-42.
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Corrado Betterle1 & Fabio Presotto2
1Dipartimento di Medicina, Unità Operativa Complessa di Endocrinologia, Università degli Studi di Padova
2Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE)

 


INTRODUZIONE
Nel 1912, il medico giapponese descrisse una malattia della tiroide caratterizzata da un gozzo con un infiltrato linfocitario massivo: “lo studio istologico dimostra un gozzo linfomatoso caratterizzato dalla crescita massiva di elementi linfatici, soprattutto follicoli linfoidi, e da alterazioni parenchimali ed interstiziali" (1). Pertanto quest’anno si celebra il centesimo anniversario della descrizione di tale malattia, che dal nome del suo scopritore fu chiamata tiroidite di Hashimoto. Nel 1956 fu poi dimostrato che tale malattia era di natura autoimmune, in quanto i pazienti affetti hanno autoanticorpi circolanti diretti contro la tireoglobulina e/o i microsomi tiroidei. Una tiroidite simile a quella descritta da Hashimoto era inoltre inducibile nell’animale mediante immunizzazione con omogenati di tiroide autologa. Da allora la tiroidite di Hashimoto, definita anche tiroidite cronica (TC) o tiroidite linfocitaria, venne considerata la prima malattia umana a patogenesi autoimmune.



CLASSIFICAZIONE
Non esiste una classificazione universalmente accettata della TC. La TC si può presentare con una tiroide di volume aumentato (gozzo), normale o anche ridotto. Per quanto riguarda la funzione può presentarsi con un ipotiroidismo clinico (e quindi con i sintomi e segni tipici del mixedema), con un ipotiroidismo subclinico o anche con una normale funzione e talora anche con un ipertiroidismo transitorio (2). Combinando queste variabili, la TC si può presentare nelle modalità riassunte nella tabella 1, cioè con un gozzo ed un ipotiroidismo clinico (definita anche tiroidite di Hashimoto classica), con un ipotiroidismo clinico senza un gozzo (definita anche mixedema idiopatico), con un gozzo senza disfunzione clinica (definita anche gozzo autoimmune), con una situazione di normale volume e funzione tiroidea (TC asintomatica), con ipertiroidismo transitorio (tiroidite post-partum o tiroidite silente).

 

Tabella 1
Volume tiroideo Funzione tiroidea
Aumentato (gozzo) Ipotiroidismo clinico
Ipotiroidismo subclinico
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio
Normale Ipofunzione clinica
Ipofunzione subclinica
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio
Ridotto Ipofunzione clinica
Ipofunzione subclinica
Normale funzione
Ipertiroidismo transitorio

 


EPIDEMIOLOGIA E FREQUENZA
La TC può manifestarsi a tutte le età ed in entrambi i sessi, anche se predilige il sesso femminile e cresce di frequenza con l’aumentare dell’età. La TC è abbastanza rara nel bambino e nell’adolescente (2, 3).
Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che la TC è quattro volte più frequente nei soggetti di razza bianca rispetto a quelli di razza nera, che la frequenza della TC è andata aumentando negli ultimi 50 anni, probabilmente in seguito alla profilassi iodica introdotta nelle aree carenti per combattere il gozzo. La reale frequenza della TC è comunque difficile da stabilire, perché essa varia in base ai criteri diagnostici applicati (2, 4). Studi autoptici condotti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno documentato l’esistenza di una TC nel 40-45% delle donne e nel 20% degli uomini, se si considerava una tiroidite focale (tra 1-10 foci di linfociti per cm2).
Se invece veniva considerata solo la presenza di una tiroidite severa (> 40 foci per cm2), la TC era presente nel 5-15% delle donne e nell’1-5% degli uomini (2).
Nelle regioni a sufficiente apporto iodico, come quella della popolazione americana del Colorado, l’ipotiroidismo spontaneo clinico o subclinico secondario a TC si riscontra nel 9.5% dei casi, aumenta con l'avanzare dell’età e varia nel sesso femminile tra il 4% nelle prime decadi di vita fino al 21% sopra i 60 anni, mentre nei maschi si riscontra dal 3% dei casi nelle prime decadi di vita fino al 16% oltre i 60 anni (5).
Se si applica il criterio immunologico, cioè la presenza di autoanticorpi anti-tiroidei nella popolazione, si ottengono risultati non sovrapponibili. Uno studio condotto su un’ampia popolazione negli Stati Uniti ha documentato che l’11.3% dei casi possedeva tali anticorpi in assenza di patologie tiroidee cliniche. Tuttavia la frequenza era del 14.3% nei bianchi, del 10.9% negli americani di origine messicana e solo del 5.3% nella popolazione di colore (6). Studi condotti su popolazioni di diversa etnia (inglese, giapponese, norvegese, americana e tedesca) hanno dimostrato che tali anticorpi erano positivi tra il 12% e il 26% delle femmine, e tra 2.8% e 14.4% dei maschi. Nei vari studi è stato documentato un rapporto femmine/maschi tra 1.8 e 5.1 e che la prevalenza degli autoanticorpi cresceva con l’aumentare dell’età (7). In uno studio personale condotto su 800 soggetti della popolazione abruzzese la frequenza degli anticorpi anti-tiroide è risultata essere del 6.1%. In particolare questi erano rilevabili nel 9.2% nelle femmine e nel 2.7% nei maschi (8).
È opportuno ricordare che uno studio condotto su materiale autoptico ha dimostrato una stretta correlazione tra presenza di autoanticorpi anti-tiroidei ed infiltrati linfocitari nella tiroide nella popolazione generale (9). Inoltre, studi più recenti hanno confermato uno stretto rapporto tra la presenza di autoanticorpi anti-tiroide e quadro ecografico compatibile con una TC (10). Considerando che ciascuno dei criteri sopra riferiti potrebbe sottostimare la presenza di una TC, riteniamo che per porre una corretta diagnosi, e quindi stabilire anche una corretta frequenza della TC nella popolazione, si debbano applicare i tre criteri combinati (funzionale, immunologico, ecografico) e che per definire con certezza la diagnosi di una TC occorra la presenza di almeno due dei tre criteri.

 


DIAGNOSI DI TC
I criteri per la diagnosi corretta di una TC si basano sulla valutazione combinata di FT4 e TSH, degli autoanticorpi anti-tiroide cioè gli anti-tireoperossidasi (anti-TPO) ed gli anti-tireoglobulina (anti-TG) e sull’esecuzione di un’ecografia tiroidea. La diagnosi può essere sostenuta in base alla presenza di almeno 2 criteri come dalle possibili combinazioni illustrate nella tabella seguente:

 

Tabella 2
Possibili combinazioni per la diagnosi di tiroidite cronica
TSH Autoanticorpi (anti-TPO e/o anti-Tg) Quadro ecografico compatibile
Aumentato + +
Aumentato + -
Aumentato - +
Nei limiti + +

 

 

ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista anatomo-patologico, la tiroide nella TC presenta un quadro infiammatorio caratterizzato da un infiltrato di linfociti T, B e plasmacellule, da focale a diffuso, con gradi variabili di fibrosi e di distruzione dell’epitelio follicolare. Se l’infiltrato è di tipo focale, la tiroide può essere di volume normale, mentre se l’infiltrato è cospicuo ci può essere un gozzo.
Dal punto di vista anatomo-patologico, esistono due forme principali: a) ipercellulare e b) fibrosa.
La forma ipercellulare comprende a sua volta le forme ossifile e non-ossifile.

  • La forma ossifila, è caratterizzata da un’intensa e diffusa infiltrazione di linfociti, plasmacellule, macrofagi, con presenza di follicoli linfatici e centri germinativi. Si caratterizza per il riscontro di cellule epiteliali chiare metaplasiche, ricche di mitocondri, che si colorano intensamente con l’eosina (cellule di Askanazy, dette anche cellule di Hürtle o oncocitarie) e per i fenomeni fibrotici. Tale forma è prevalente nell’adulto ed è spesso associata a gozzo.
  • La forma non-ossifila differisce dalla precedente per la rarità delle cellule oncocitarie e per la minor intensità dei fenomeni infiltrativi. Questa forma compare prevalentemente nel bambino o nell’adolescente.

In entrambe le forme ipercellulari vi è una tendenza alla rigenerazione delle cellule del follicolo tiroideo.
La forma fibrosa è caratterizzata soprattutto da fibrosi, con sovvertimento completo dell’architettura ghiandolare, e da scarsi infiltrati costituiti prevalentemente da plasmacellule. In questa forma vi è una scarsa tendenza alla rigenerazione delle cellule tiroidee. Tale variante è prevalente nell’adulto, mentre è rara nel bambino ed è associata spesso a riduzione del volume ghiandolare.
Nella tiroidite post-partum o nella tiroidite silente vi è un quadro simile a quello della TC, spesso con fenomeni di distruzione dei follicoli tiroidei ed infiltrazioni linfocitarie, mentre i fenomeni fibrotici e la metaplasia ossifila sono rari.
 


EZIOPATOGENESI
Dal punto di vista eziopatogenetico, le TC, come tutte le malattie autoimmuni, sono plurifattoriali, in quanto si manifestano in soggetti geneticamente suscettibili sotto l’influenza di fattori ambientali.

1. Fattori genetici
La dimostrazione iniziale dell’esistenza di fattori genetici nelle TC è derivata dall’osservazione di un’elevata frequenza di TC e/o di autoanticorpi anti-tiroidei nell’ambito familiare. Tale frequenza può raggiungere il 30-50% nei gemelli identici, mentre nei fratelli è attorno al 10-20%. L’aumentata frequenza della malattia nelle famiglie è correlata ad alcuni assetti genetici particolari, quali lo human leukocyte antigen (HLA) e il cytotoxic T-lymphocyte-associated protein-4 (CTLA-4). Il sistema HLA è una regione genetica altamente polimorfica che comprende molti geni e che è localizzata sul braccio corto del cromosoma 6. È stata dimostrata una correlazione, anche se lieve, tra TC ed HLA-DR3, DR4, DR5 (11). Data la scarsa correlazione tra alleli HLA e TC, studi recenti si sono concentrati sull’esame della struttura molecolare dei peptidi che costituiscono la tasca molecolare dell’HLA e l’associazione con la malattia. Con questo approccio, che aveva fornito degli importanti risultati per quanto riguarda il diabete mellito di tipo 1, si è scoperto che la presenza di un’arginina in posizione 74 della catena beta del DQ (DQ beta-Arg74) induceva una forte suscettibilità genetica sia alla TC che al morbo di Graves (11). L’analisi strutturale di tale tasca molecolare si è inoltre dimostrata in grado di influenzare la presentazione alle cellule T.
Per quanto riguarda invece il gene CTLA-4, che è il maggior gene regolatore negativo dell’attivazione delle cellule T, è stato postulato che il polimorfismo di tale gene possa ridurre la sua espressione e/o funzione e quindi predisporre all’autoimmunità mediante un’iperattivazione delle cellule T. È stato dimostrato che il gene CTLA-4 da solo è correlato alla produzione di autoanticorpi anti-tiroidei, ma che per indurre la produzione di alti titoli di anticorpi anti-tiroidei e le manifestazioni cliniche della TC deve agire in associazione con altri loci genici (11).
Sono stati valutati molti altri geni, come quelli del CD40, FOXP3, CD25, PTPN22, della tireoglobulina e del recettore del TSH, ma la loro correlazione con le TC è ancora da definire (11).
Le TC sono frequenti anche nei soggetti con disordini cromosomici (sindrome di Turner, sindrome di Down) (12) o con altri disordini tipo la policistosi ovarica (13) e ciò ha indotto a supporre che altri geni, oltre a quelli dell’HLA, possano essere implicati nel determinismo di tali malattie.
L’osservazione, infine, che le TC sono prevalenti nelle donne, ha indotto a pensare che anche i cromosomi sessuali potessero influenzare in qualche modo il loro sviluppo. Tuttavia, oggi si è più propensi a pensare che sia l’assetto ormonale estrogenico, più che i cromosomi, a favorire la comparsa della TC.



2. Fattori esogeni
La difficoltà nel correlare l’azione di fattori ambientali nella patogenesi delle TC sta nel fatto che molti fattori ambientali a cui siamo esposti sono per lo più lievi, si distribuiscono in un lungo periodo di tempo e l’entità dell’esposizione è difficile da valutare in un individuo. Inoltre spesso l’esposizione avviene a fattori ambientali multipli, per cui è difficile distinguere quanto ed in che modo i singoli fattori siano importanti nella patogenesi della TC. I fattori ambientali più strettamente associati con la TC includono le infezioni, le radiazioni, l’introito di iodio e farmaci e l’esposizione a tossici ambientali (14).
Per quanto riguarda la infezioni, le TC sono più frequenti nei soggetti con rosolia congenita. Alcuni autori hanno anche trovato un’associazione tra disfunzioni tiroidee autoimmuni ed epatite cronica da HCV, ma altri autori non hanno dimostrato nessuna associazione tra questi due eventi.
Un recente studio prospettico ha seguito familiari di pazienti con TC ma negativi per anticorpi anti-tiroidei ed ha valutato vari eventi quali stress, gravidanze, esposizione a farmaci, assunzione di iodio ed vari altri fattori. Tutti questi eventi però non sono stati trovati essere presenti in maniera significativamente differente tra il gruppo che ha sviluppato autoimmunità rispetto al gruppo che non l’ha sviluppata, l’unica differenza significativa essendo il fumo. Infatti, coloro che smettevano di fumare sviluppavano più autoimmunità rispetto a coloro che continuavano a fumare (15).
Sicuramente lo iodio è in grado di modificare la storia naturale delle malattie autoimmuni tiroidee, ma è difficile da definire se possa essere considerato un fattore eziopatogenetico in grado di far sviluppare autoimmunità o se debba essere considerato più un fattore slatentizzante. Per quanto riguarda altri farmaci quali interferone e litio si veda oltre.
Per quanto concerne le radiazioni, possiamo dire che le alterazioni della tiroide in seguito ad una loro esposizione variano grandemente in base alla suscettibilità genetica dell’individuo, all’apporto iodico, all’entità e al tipo di radiazione ricevute. Alcuni pazienti, infatti, dopo esposizione a radiazioni possono andare incontro a distruzione della tiroide, altri possono sviluppare noduli e tumori, altri ancora sviluppare autoanticorpi anti-tiroide ed eventualmente progredire verso una malattia autoimmune tiroidea (14).



3. Fattori immunitari
La patogenesi della malattia autoimmune della tiroide è legata alla sensibilizzazione dei linfociti agli autoantigeni tiroidei. Le cellule tiroidee, se stimolate da citochine come l’interferone gamma, possono esprimere molecole HLA di classe II sulla loro superficie e presentare i propri autoantigeni ai T linfociti. Secondo alcuni autori, i linfociti T-helper (Th) autoreattivi potrebbero essere stimolati direttamente dal tireocita, attraverso un’aberrante espressione di molecole HLA di classe II, o dai macrofagi in seguito ad infezioni con agenti cross-reagenti con autoantigeni tiroidei. Una volta attivato, il linfocita Th produrrebbe varie linfochine, tra cui IL-2, IL-5, IL-6, gamma-IFN. Il gamma-IFN è un potente induttore di molecole HLA di classe II sulla superficie del tireocita. Tale fenomeno tende ad amplificare e a perpetuare l’attivazione dei Th autoreattivi. L’IL-2, invece, agisce attivando i linfociti T-citotossici (Tc), che proliferano e riconoscono gli autoantigeni tiroidei nell’ambito delle molecole HLA di classe I. L’iperespressione di tali molecole sul tireocita e la conseguente attivazione dei Tc può indurre un danno diretto. Le IL-2, IL-5 e IL-6 inducono anche la proliferazione, la differenziazione e la maturazione dei linfociti B autoreattivi, con conseguente produzione di autoanticorpi anti-microsomiali, anti-tireoglobulina ed anti-recettore del TSH. Questi ultimi, se di tipo bloccante, possono contribuire alla disfunzione della tiroide.
Ancora oggi si sta indagando se il processo autoimmune sia iniziato o promosso da antigeni esterni che inducono risposte autoimmunitarie cellulari ed umorali attraverso la cross-reattività con antigeni della ghiandola tiroidea, se esso sia secondario ad alterazioni dell’equilibrio immunologico o se invece dipenda da entrambi questi meccanismi.
I meccanismi attraverso i quali avviene il danno del tessuto tiroideo nelle TC sono comunque complessi e dovuti più a linfociti Tc che ad autoanticorpi. È stato dimostrato anche che nelle tireopatie autoimmuni i tireociti sono in grado di esprimere sulla membrana un recettore che predispone all’apoptosi, rivelando così un'altra possibile modalità di distruzione cellulare in queste patologie (16). A favore dei meccanismi cellulo-mediati sta l’analisi fenotipica delle cellule infiltranti la ghiandola, che rileva la presenza di linfociti B e T (prevalentemente CD8+). Questi, dopo espansione clonale, si dimostrano dotati di attività citotossica e di attività natural killer e sono inoltre in grado di produrre numerose linfochine.
Per quanto riguarda i meccanismi mediati da autoanticorpi, anche se gli anti-TPO sono in grado di produrre in vitro un danno con un meccanismo di tipo ADCC (antibody-dependent cellular cytotoxycity), l’attivazione del complemento o inibendo la perossidasi tiroidea (enzima riconosciuto come autoantigene), tali effetti non sono stati rilevati in vivo. Infatti, il trasporto passivo degli autoanticorpi anti-TPO o anti-Tg dalla madre al feto non ha dimostrato alterazioni nella tiroide fetale. La mancata azione lesiva degli anticorpi anti-TPO è verosimilmente legata al fatto che la TPO è un enzima intra-cellulare situato nel bordo apicale della cellula tiroidea, per cui risulta difficilmente accessibile agli autoanticorpi circolanti.
In merito agli anticorpi anti-TSH-recettore di tipo bloccante, presenti in una percentuale di pazienti con TC e grave ipotiroidismo, questi risultano invece patogenetici, in quanto bloccano il recettore del TSH sia in vivo che in vitro. A conferma di ciò, se presenti nella madre durante la gravidanza vengono trasferiti passivamente al feto e sono in grado di bloccare transitoriamente anche la funzione della tiroide del nascituro.
Recentemente nei pazienti con TC sono stati identificati autoanticorpi contro il trasportatore tiroideo dello iodio, un antigene proteico di membrana della cellula tiroidea il cui ruolo in vivo è in fase di definizione.
I meccanismi di danno tessutale sopra esposti possono essere presenti sia singolarmente che in maniera combinata, e questo spiega la sfaccettata presentazione clinica delle TC.
 


CLINICA DELLE TC
La clinica delle TC è molto variabile e può manifestarsi con: 1) gozzo, anche se frequentemente la ghiandola può essere di volume normale o ridotto, e 2) una delle seguenti situazioni funzionali: a) ipotiroidismo clinico, b) ipotiroidismo subclinico, c) normale funzione tiroidea, d) ipertiroidismo transitorio.
Le manifestazioni del punto 1 e 2 possono essere variamente combinate, così che alcune forme di TC possono decorrere con segni clinici evidenti (gozzo e ipotiroidismo clinico, gozzo e normale funzione tiroidea, tiroide di volume normale ma con ipotiroidismo clinico). Altre volte però le TC decorrono in forma latente (con normale volume tiroideo e con ipotiroidismo subclinico) o anche in forma completamente asintomatica (cioè con tiroide di volume e funzione normale). Di seguito prendiamo in esame la clinica delle varie forme di TC.
Nella TC il gozzo cresce lentamente ed in maniera asintomatica, cioè senza segni o sintomi di flogosi, talora può esserci solo una modesta sensazione di fastidio al collo. Pertanto il gozzo viene identificato dal paziente stesso per caso o dal medico curante durante una visita medica di routine. Il volume del gozzo può essere di poco aumentato o raggiungere dimensioni due o tre volte la norma, soprattutto nelle varianti ipercellulari. Nella sua crescita la tiroide non dà segni di infiltrazione degli organi circostanti (esofago, trachea, nervi laringei). Qualora dovessero comparire tali segni o sintomi, bisogna sempre sospettare la presenza di un linfoma o di un carcinoma della tiroide. Anche nel giovane la TC può presentarsi con un gozzo e a tal riguardo è da ricordare che la TC è responsabile del 30-60% di tutti i gozzi non tossici che compaiono nel bambino o nell’adolescente in fase puberale. La forma della ghiandola nella TC inizialmente è regolare (a ferro di cavallo), molto spesso si palpa anche il lobo piramidale, ma col passare del tempo tende a diventare irregolare o nodulare. La consistenza è sempre aumentata, anche se non raggiunge mai quella tipica delle neoplasie. Alla palpazione la ghiandola è raramente dolorosa. Talora vi può essere un aumento dei linfonodi loco-regionali profondi (valutabili solo all’ecografia) ed anche un’iperplasia del timo.
Per quanto riguarda la funzione, vi può essere un ipotiroidismo clinico (10% circa dei casi), che compare quasi sempre in maniera lenta ed insidiosa o una normale funzione; in ogni caso il dosaggio della FT4 e TSH permette di identificare correttamente lo stato funzionale della ghiandola.
Nella tiroidite post-partum vi è un quadro clinico caratterizzato di solito da tre fasi ben distinte, anche se non sempre documentabili nei pazienti.
Nella tiroidite silente il quadro è simile a quello precedente, tuttavia non vi è nell’anamnesi del paziente una gravidanza recente.
In riferimento alla sintomatomatologia dell'ipotiroidismo clinico si rimanda al capitolo specifico.
Occasionalmente nelle TC può essere presente anche una oculopatia endocrina con caratteristiche del tutto simili a quella ritrovabile nel morbo di Graves (2).
 


DIAGNOSI DI LABORATORIO
Determinazione degli ormoni tiroidei

La determinazione di FT4 e TSH (con il metodo ultrasensibile) permette di documentare nelle TC le seguenti 4 condizioni:

  • ipotiroidismo clinico (T4 ridotto, TSH > 10 mUI/L);
  • ipotiroidismo subclinico (T4 normale, TSH 4.5-10 mUI/L);
  • eutiroidismo (normalità di T4 e TSH): in questo caso il paziente va monitorizzato nella funzione ogni 6-12 mesi;
  • ipertiroidismo transitorio (T4 aumentato, TSH < 0.2 mUI/L) causato dall’immissione in circolo di ormoni tiroidei da parte delle cellule follicolari in preda a fenomeni di distruzione cellulare; ciò accade soprattutto nel paziente con TC nel periodo del post-partum, o per assunzione di fattori esogeni.

 

Autoanticorpi anti-tiroidei
Attualmente vengono dosati gli autoanticorpi antiTPO gli anti-Tg con metodi di ELISA o RIA ed antigeni ottenuti da DNA ricombinante (2).
Tali anticorpi sono presenti in percentuali oscillanti tra il 90 e il 95% dei casi di TC. In particolare gli anti-TPO sono presenti nel 90% e gli anti-Tg nel 60% circa dei casi (2). La maggior parte dei pazienti è positiva per gli anti-TPO da soli o associati agli anti-Tg. Una piccola percentuale dei pazienti può essere positiva per i soli anti-Tg, per cui in presenza degli anti-TPO è inutile eseguire la ricerca anche degli anti-Tg, mentre in assenza degli anti-TPO è utile procedere alla determinazione degli anti-Tg (2).
I titoli degli anticorpi anti-tiroide risultano elevati nel 30-40% dei casi, mentre titoli medi o bassi sono presenti nei restanti pazienti con TC. In circa il 7% dei casi di TC gli anticorpi anti-tiroide risultano negativi mentre la ghiandola presenta un'ecostruttura ipoecogena (17) Pertanto la loro negatività non contrasta con la diagnosi di TC.  In tal caso la diagnosi deve basarsi sul quadro ecografico e funzionale.
Negli studi di comunità il 50-75% dei soggetti con test positivi per gli anticorpi anti-tiroidei è eutiroideo, mentre il 25-30% dei soggetti può avere un ipotiroidismo subclinico e il 5-10% un ipotiroidismo clinico (2). Va ricordato, infine, che gli anticorpi anti-tiroide possono essere presenti anche in soggetti con patologie non autoimmuni della tiroide e quindi la loro presenza non sempre può essere considerata segno specifico per una TC (2).
Gli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb o TBII), misurati con un metodo di competizione con TSH radiomarcato o con il metodo ELISA, possono essere presenti nei pazienti con TC e contribuire all’ipotiroidismo mediante un’azione di blocco sul recettore del TSH. Essi sono presenti tra il 10 ed il 20% dei pazienti con ipotiroidismo di una certa entità (18). Gli anticorpi anti-recettore del TSH debbono essere ricercati in coloro che presentano un ipotiroidismo franco (con TSH > 10 mUI/L), soprattutto nelle femmine in età fertile. Infatti, essendo della classe IgG, passano la placenta e possono provocare un ipotiroidismo transitorio neonatale. L’incidenza di tale disordine in America del Nord è di 1 caso ogni 180.000 nati e rappresenta circa il 2% dei bambini con ipotiroidismo congenito (19).
Nelle TC, ma anche in patologie non autoimmuni della tiroide e nei soggetti normali, possono essere presenti anche anticorpi anti-ormoni tiroidei. Questi devono essere sospettati solo nei casi in cui si trovino alti o bassi valori della FT3 o di FT4 con normale TSH in assenza di sintomi clinici, poiché la loro presenza può interferire con i dosaggi degli ormoni tiroidei (20).

 

Altre malattie autoimmuni
In letteratura viene riportato che il 17-25% circa dei soggetti con TC risulta affetto da altre malattie autoimmuni cliniche. Tali malattie includono: gastrite atrofica, vitiligine, sindrome di Sjögren, diabete mellito di tipo 1, alopecia areata, miastenia gravis, ipogonadismo ipergonadotropo, epatite cronica, cirrosi biliare, malattia celiaca, malattia di Addison, anemia perniciosa, ipoparatiroidismo, polimiositi, artrite reumatoide, LES, sclerodermia, connettivite mista, lobulite fibrosante della mammella, sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, morbo di Werlhof. In tutti questi casi possono essere presenti i markers autoanticorpali tipici della malattia autoimmune presente. Quando ciò si verifica, si configura una Sindrome Pluriendocrina Autoimmune (SPA). Tuttavia, se si esegue uno screening autoanticorpale organo- e non-organo-specifico nei pazienti con TC che apparentemente non hanno altre malattie autoimmuni, possono essere presenti vari altri autoanticorpi che indicano la presenza di altre malattie autoimmuni nella forma subclinica o potenziale (tabella 3) (21).

 

Tabella 3
Altri autoanticorpi nelle tiroiditi croniche
Anticorpi Percentuale
Anti-cellule parietali 30%
Anti-insula pancreatica 5-10%
Anti-transglutaminasi 5%
Anti-surrene 1-2%
Anti-fattore intrinseco 1%
Anti-nucleo (ANA) 10-20%
Anti-antigeni nuceloestraibili (ENA) 1-2%
Fattori reumatoidi 1-5%
Anti-mitocondrio 1-2%
Anti-fosfolipidi 0-10%

 

Dal punto di vista pratico riteniamo che, in assenza di sospetti clinici specifici, possano essere ricercati almeno i primi tre anticorpi elencati nella Tabella 3, vista la loro frequenza elevata nelle TC. La ricerca di altri autoanticorpi potrà essere considerata anche in base all'esistenza di specifiche malattie autoimmuni nell'ambito della famiglia, come ad esempio gli anticorpi anti-nucleo (ANA) in caso di malattie del connettivo.

 

Altre alterazioni bioumorali
Nella TC vi può essere una ipergammaglobulinemia policlonale. In caso di ipotiroidismo franco, possono risultare aumentati la colesterolemia, le CPK, le transaminasi e la prolattina.

 


DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
L’ecotomografia deve essere sempre eseguita in tutti i soggetti con sospetta TC o nei portatori asintomatici di autoanticorpi anti-tiroidei: in caso di TC l’ecografia può svelare una tiroide di volume variabile, con una ipoecogenicità diffusa o multifocale (corrispondente ad aree di infiltrazione) e con vari gradi di fibrosi. ?Talora, in presenza di autoanticorpi anti-tiroidei e/o di un quadro ecografico compatibile con TC, può essere presente un nodulo ecograficamente sospetto. In tal caso è necessario eseguire un’agobiopsia con ago sottile per definire la natura del nodulo, in quanto la presenza di un quadro ecografico e/o sierologico di TC non esclude la concomitante presenza di una patologia nodulare benigna o maligna della tiroide (2).

 


STORIA NATURALE DELLE TC
La storia naturale delle TC, come risulta dallo studio prospettico dei soggetti asintomatici portatori degli autoanticorpi anti-tiroidei, è caratterizzata nella maggior parte dei casi da una graduale e lenta progressione verso l’ipotiroidismo clinico, che avviene con un variabile periodo di latenza (talora anche di anni). Tale progressione è maggiore nei maschi che nelle femmine e aumenta nelle donne sopra i 45 anni di età.
Per quanto riguarda il valore predittivo degli anticorpi anti-tiroide, il noto studio Whickham ha dimostrato che l’incidenza annuale di progressione verso l’ipotiroidismo nelle donne era del 4.3% se vi erano un TSH elevato e anticorpi anti-tiroide, del 3% se vi era solo un TSH elevato e del 2% se vi erano solo gli autoanticorpi (22). Questo studio, condotto negli anni ’90, ha molti meriti, ma presenta anche molti limiti legati soprattutto alle metodiche usate, che attualmente non sono più in uso. Infatti il TSH era misurato con metodo RIA di prima generazione (i cui valori normali arrivavano fino a 6.0 mU/L), gli autoanticorpi anti-tiroide venivano dosati con metodi semiquantitativi, quali l’emoagglutinazione passiva o l’immunofluorescenza indiretta. Un recente studio prospettico di coorte durato 13 anni ed effettuato in Australia con metodiche attualmente ancora in uso ha reclutato oltre 1000 soggetti dosando gli anti-TPO, gli anti-Tg e il TSH con immunoassay automatizzato in chemiluminescenza. Questo studio ha dimostrato che nelle donne con positività agli autoanticorpi anti-tiroide la prevalenza di ipotiroidismo al termine del follow-up risultava del 12% (range 3-21%) se il TSH iniziale era ≤ 2.5 mUI/L, del 55% (range 37.1-73.3%) se il TSH era tra 2.5-4.0 mUI/L, e dell’86% (range 74.1-97.3) se il TSH era > 4.0 mUI/L (23).



SOGGETTI A RISCHIO DI TC
Molti sono i soggetti a rischio di TC o a rischio di possedere autoanticorpi anti-tiroide: familiari sani di pazienti con tireopatie autoimmuni, pazienti con altre malattie autoimmuni, pazienti con alterazioni cromosomiche, pazienti con depressione, orticaria, poli-abortività, anemia, dislipidemia, neoplasie mammarie ed anche i soggetti normali della popolazione, soprattutto se di sesso femminile.

 

Tabella 4
Frequenza degli anticorpi anti-tiroide nei soggetti a rischio di TC
Popolazione Anticorpi anti-tiroide
Familiari di soggetti con malattie autoimmuni tiroidee 50%
Pazienti con malattie autoimmuni organo-specifiche 20-40%
Pazienti con malattie autoimmuni intermedie 10-40%
Pazienti con malattie autoimmuni non-organo specifiche 10-20%
Pazienti con anomalie cromosomiche (s. di Turner, s. di Down) 16-50%
Pazienti con orticaria cronica o angioedema 10-15%
Pazienti con depressione endogena 20-30%
Pazienti con HCV che intraprendono terapia con IFN o granulochine 2-48%
Pazienti con policistosi ovarica 20%
Soggetti apparentemente sani della popolazione F 12% e M 2%


Nei soggetti con autoanticorpi anti-tiroide dovrebbe essere eseguita una serie di indagini tra cui un’ecografia tiroidea e un dosaggio del TSH ed eventualmente un FT4. In caso di valori normali, il dosaggio del TSH andrebbe ripetuto circa ogni 12 mesi circa.



FARMACI CHE INTERFERISCONO SULLA STORIA NATURALE DELLE TC
Alcuni farmaci o sostanze chimiche possono interferire con la storia naturale della TC. Principalmente questi sono lo ioduro (a dosi farmacologiche), i mezzi di contrasto iodati, l’amiodarone, il litio, l’aminoglutetimide, gli interferoni e l’IL-2.

Amiodarone
Nei pazienti che assumono amiodarone può comparire un ipotiroidismo o un ipertiroidismo. L’ipotiroidismo compare nel 20% dei pazienti nelle aree iodio-sufficienti, mentre l’ipertiroidismo è più frequente nelle zone a carenza iodica. La patogenesi dell’ipotiroidismo da amiodarone è legata all’inibizione della biosintesi degli ormoni tiroidei prodotta dallo iodio (effetto Wolff-Chaikoff). La presenza di anticorpi anti-tiroide prima del trattamento rappresenta un importante fattore di rischio per la comparsa di ipotiroidismo definitivo (24).

Litio
Nei pazienti con autoimmunità pre-esistente il litio può indurre sia ipotiroidismo che ipertiroidismo (24).

Interferone e altre linfochine
I pazienti trattati con interferone per un’epatite cronica virale o per neoplasie o con interleuchine possono talora sviluppare ipotiroidismo o ipertiroidismo clinico. Lo studio sistematico di tali pazienti ha permesso di stabilire che:

  1. gli autoanticorpi anti-tiroide sono già presenti prima del trattamento nel 2-48% di questi pazienti;
  2. il 2-40% dei pazienti inizialmente negativi possono diventare positivi durante il trattamento;
  3. i casi positivi tendono a sviluppare una disfunzione tiroidea;
  4. in alcuni casi la disfunzione tiroidea può regredire alla sospensione del trattamento, anche se nella maggior parte dei casi rimane persistente;
  5. le donne hanno un rischio doppio di sviluppare una disfunzione tiroidea;
  6. talora la disfunzione tiroidea può manifestarsi anche in pazienti che non hanno positività per gli anticorpi anti-tiroide, suggerendo un effetto tossico diretto dell’IFN sui tireociti (tiroidite distruttiva) (25, 26).

In conclusione, i pazienti in terapia con interferone possono sviluppare sia malattie autoimmuni della tiroide (TC o morbo di Graves), ma anche una tiroidite distruttiva non autoimmune. Alla luce di questi dati, è opportuno che i pazienti prima del trattamento con con interferone effettuino la ricerca degli anticorpi anti-tiroide e che tale ricerca vada ripetuta anche durante il ciclo di terapia. Indipendentemente dalla presenza degli anticorpi, i pazienti dovranno essere comunque sottoposti a controllo della funzione tiroidea per cogliere la comparsa di una disfunzione ghiandolare immunologicamente o non-immunologicamente mediata (27).

 

MALATTIE NON AUTOIMMUNI ASSOCIATE CON LE TC
Malattie del SNC
Recentemente è stata segnalata un’encefalopatia che colpisce soggetti con titolo elevato di autoanticorpi anti-tiroide, ma senza importanti alterazioni della funzione ghiandolare. L’encefalopatia è caratterizzata da un esordio subacuto o improvviso con confusione, alterazione dello stato di coscienza e da frequenti convulsioni focali o generalizzate. L’andamento recidivante della neuropatia, l’associazione con mioclonie e tremori, con frequenti episodi di deterioramento mentale che simulano un ictus, costituiscono degli elementi clinici rilevanti di questa situazione.
Dal punto di vista eziopatogenetico sono state avanzate varie ipotesi per spiegare il disturbo cerebrale: a) una vasculite cerebrale autoimmune da deposito di immunocomplessi; b) la presenza di un antigene comune a tiroide e cervello.
Sotto il profilo laboratoristico, questi soggetti presentano alti titoli di autoanticorpi anti-tiroide ed elevati livelli di proteine nel liquor senza pleiocitosi.
Dal punto di vista strumentale, vi sono alterazioni diffuse all’EEG.
L’encefalopatia di solito risponde molto bene al trattamento corticosteroideo, anche se talora devono essere aggiunti farmaci immunosoppressori. La prognosi a lungo termine è favorevole.
Talora alle tireopatie autoimmuni possono essere associate la sindrome autoimmune dello stiff-man, la sindrome atassica con presenza di autoanticorpi anti-GAD e la sclerosi multipla.

 

Linfomi tiroidei
In generale, vi è la tendenza a considerare la TC come uno stato precanceroso. Infatti il carcinoma della tiroide ed il linfoma si presentano con maggior frequenza nei pazienti con TC rispetto alla popolazione normale. Tuttavia, bisogna ricordare che una parte dei pazienti con carcinoma tiroideo può avere una tiroidite focale, che viene considerata come una risposta autoimmunitaria contro la neoplasia. In questi casi vi è una positività per gli autoanticorpi anti-tiroide che possono aver contribuito a porre una precedente diagnosi non corretta di TC (24). Per quanto riguarda il linfoma tiroideo, questo rappresenta una grave, seppur rara, complicanza di una TC che si riscontra nello 0.1% dei pazienti giapponesi, frequenza che risulta 80 volte maggiore rispetto a quella attesa. L’80-100% dei pazienti con linfoma tiroideo ha evidenza di tiroidite cronica nel tessuto circostante e il 67-80% dei pazienti con linfoma tiroideo risulta positivo per gli anticorpi anti-tiroide (2). Il linfoma tiroideo è prevalentemente non-Hodgkin di tipo B cellulare, si presenta soprattutto nelle persone anziane tra i 50 e gli 80 anni ed è usualmente confinato nel tessuto tiroideo. Pertanto, è buona norma nei pazienti con TC sospettare sempre la comparsa di un tumore della tiroide qualora il gozzo dia segni di compressione o mostri un rapido aumento di volume. La radioterapia da sola, o in combinazione con la chemioterapia, garantisce una sopravvivenza a 5 anni nel 13-92% dei casi (2).
 


TERAPIA SOSTITUTIVA
La terapia ormonale sostitutiva è obbligatoria nei pazienti con TC:

  1. in presenza di ipotiroidismo franco;
  2. in presenza di ipotiroidismo con TSH >10 mUI/L;
  3. nelle donne con TSH > 2.5 mUI/L che abbiano il progetto di iniziare una gravidanza.

La terapia è consigliabile nei soggetti con TSH tra 4 e 10 mUI/L, se hanno un gozzo o disturbi clinici che possano essere in qualche modo riferibili all’ipotiroidismo.
La terapia non è necessaria negli altri casi, cioè in quelli senza gozzo, con TSH normale o con un TSH appena al di sopra della norma.
La terapia ideale è con la L-tiroxina (T4). Tale farmaco ha un’emivita lunga e quindi può essere assunta in singola dose giornaliera.
La parte relativa alla terapia è stata trattata nel capitolo specifico.

 

ALTRE TERAPIE
Per trattare le TC non devono essere usati farmaci corticosteroidi e/o immunosoppressori, perché non si sono rivelati utili nel modificare la storia naturale della malattia e sono gravati da effetti collaterali. Il trattamento anti-infiammatorio (eventualmente con farmaci non-steroidei) può essere invece utile nelle TC per brevi periodi di tempo in caso di segni di compressione o di flogosi locale (forme che simulano una tiroidite subacuta).
L’intervento chirurgico è indicato solo nei casi in cui vi siano importanti segni di compressione che non regrediscono con gli anti-infiammatori o nel sospetto di una neoplasia associata.
 


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  27. Betterle C, Presotto F. Organ-specific autoimmunity in HCV patients. In: HCV Infection and Cryoglobulinemia. Dammacco F (ed). Springer-Verlag, Italia 2012: 43-51.
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Roberto Negro
UO Endocrinologia, PO “V. Fazzi”, Lecce

(aggiornato al 25 marzo 2021)

 

La prevalenza di tireopatie in donne di età 20-45 anni è elevata e la diagnosi di subfertilità sta progressivamente aumentando, anche grazie ad una maggiore consapevolezza del problema e alle migliorate capacità diagnostiche. Globalmente si stima che la subfertilità riguardi circa il 10% delle coppie. Il partner maschile è unico responsabile del 20-30% dei casi di infertilità, ma contribuisce al 50% dei casi totali (1). Poiché la prevalenza di tireopatia è relativamente elevata nel sesso femminile in età giovane-adulta, la partner femminile in una coppia subfertile è di conseguenza caratterizzata da un rischio consistente di essere anche contemporaneamente portatore di una tireopatia. La prevalenza di tireopatia in questo gruppo di donne è stimata attorno al 5% per l'ipotiroidismo subclinico, al 2.5% per l'ipotiroidismo franco, allo 0.5-1.0% per l'ipertiroidismo, e al 5-10% per l'autoimmunità tiroidea (2).
Considerati i rapporti fra ormoni tiroidei e loro recettori presenti negli organi riproduttivi, la disfunzione tiroidea può essere causa diretta di irregolarità mestruali e subfertilità. Inoltre, la disfunzione tiroidea può agire indirettamente, attraverso l'alterazione della secrezione del GnRH e di altri ormoni quali la prolattina (3,4). Nel caso in cui l'iper- o ipotiroidismo, soprattutto se conclamati, siano responsabili di irregolarità mestruali (e quindi di subfertilità), il ripristino di cicli mestruali regolari a seguito della normalizzazione della funzione tiroidea non è ovviamente garanzia di successiva gravidanza. In altre parole, l'eutiroidismo è condizione necessaria ma non sufficiente a garantire una condizione di fertilità, potendo coesistere altre cause di infertilità, quali infertilità di origine maschile, endometriosi o ostruzione tubarica, esiti chirurgici, o infertilità idiopatica. In tutti questi casi, si può quindi considerare una procedura di fecondazione assistita. Riguardo ai rapporti fra autoimmunità tiroidea e subfertilità, è interessante sottolineare alcuni ulteriori elementi: l'autoimmunità tiroidea è più prevalente in donne con  subfertilità idiopatica e sindrome dell'ovaio policistico, rispetto ai controlli; la prevalenza di autoimmunità tiroidea è maggiore in donne con ridotta riserva ovarica e insufficienza ovarica precoce; il valore di TSH risulta inversamente correlato all'ormone anti-Mulleriano, un marcatore accurato di riserva ovarica (5-8).
È necessario poi che la paziente che deve sottoporsi a fecondazione assistita sia caratterizzata da una condizione di eutiroidismo. La stimolazione ovarica, necessaria per ottenere un consistente numero di ovociti, è caratterizzata da un aumento significativo dei livelli di estradiolo e conseguentemente di thyroxine-binding globulin; l'aumentata richiesta funzionale della tiroide può, dunque, portare a una condizione di ipotiroidismo nelle pazienti con autoimmunità tiroidea, oppure può rendere insufficiente il dosaggio pre-stimolazione di L-T4 nella pazienti con ipotiroidismo già diagnosticato. Per questo motivo le pazienti:

  • ipotiroidee già in trattamento dovrebbero adattare il dosaggio di L-T4 almeno 4 settimane prima della stimolazione ovarica;
  • con valore di TSH > 4.0 mIU/L dovrebbero iniziare la terapia con L-T4 allo scopo di mantenere il valore di TSH < 2.5 mIU/L (9).

Complessivamente i dati, derivanti sia da studi di intervento che da meta-analisi, indicano che l'ipotiroidismo esercita un impatto negativo parallelamente all'aumentare del TSH, in maniera dose-dipendente.
Due studi di intervento hanno dimostrato che in pazienti con autoimmunità tiroidea ma eutiroidee, in gravidanza spontanea o sottoposte a fecondazione assistita, la terapia con L-T4 non è risultata di beneficio per aumentare il tasso di gravidanza, ridurre il tasso di aborto spontaneo e il numero di nati vivi (10,11). É stato peraltro osservato che il numero di ovociti prelevati non è influenzato dall'autoimmunità tiroidea o dalla disfunzione della tiroide. Pertanto, la terapia con L-T4 non è di alcun beneficio per questo specifico esito. È importante a questo proposito notare che il maggior fattore determinante un basso numero di ovociti prelevati è l'età e non l’eventuale disfunzione tiroidea (12,13).
Globalmente i dati della letteratura suggeriscono che in pazienti con TSH > 4.0 mIU/L, sottoposte a fecondazione assistita, possono risultare ridotti il tasso di fecondazione, la qualità degli embrioni e il numero di nati vivi, mentre è aumentato il numero degli aborti; pertanto la terapia con L-T4 può essere di beneficio (14,15).
Per le ragioni sopra esposte, le linee guida pubblicate nel 2021 dalla European Thyroid Association (16) indicano che le donne di coppie subfertili dovrebbero sistematicamente controllare TSH e AbTPO prima di iniziare la procedura di fecondazione assistita:

  • le pazienti con TSH > 4.0 mIU/L dovrebbero comunque essere trattate con L-T4;
  • le pazienti con autoimmunità tiroidea e TSH 2.5-4.0 mIU/L non dovrebbero essere trattate sempre e comunque, ma soprattutto nei casi di ridotta riserva ovarica e insufficienza ovarica, età > 35 anni, elevato titolo di AbTPO e anamnesi positiva per abortività ripetuta o precedenti procedure fallite.

 

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  15. Zhao T, Chen BM, Zhao XM, Shan ZY. Meta-analysis of ART outcomes in women with different preconception TSH levels. Reprod Biol Endocrinol 2018, 16: 111.
  16. Poppe K, Bisschop P, Fugazzola L, et al. 2021 European Thyroid Association Guideline on Thyroid Disorders prior to and during Assisted Reproduction. Eur Thyroid J 2021, 9: 281-95.
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Alfonso Coppola
Libero Professionista in Endocrinologia (ex UOS Endocrinologia OO.RR. Area Stabiese, Castellammare di Stabia-Gragnano)

 

Le tiroiditi atrofiche rappresentano l'espressione di un evento flogistico responsabile di una riduzione volumetrica della ghiandola e di un sovvertimento della sua struttura. 
La condizione più frequente è rappresentata dalla variante atrofica della tiroidite cronica linfocitaria. Quest'ultima viene anche chiamata tiroidite di Hashimoto (TH) poiché descritta per la prima volta da tale Autore nel 1912. L' incidenza è è drasticamente aumentata negli ultimi 50 anni, anche in conseguenza delle migliorate capacità diagnostiche; spesso è comunque misconosciuta. Come nella maggior parte delle reazioni immuni organo-specifiche, l’eziologia è a tutt’oggi in larga misura ignota, nonostante si sappia essere legata a fattori genetici e ambientali ed essere influenzata da sesso ed età. Si riconoscono una variante con gozzo (TH classica) e una variante atrofica. La malattia è di gran lunga più frequente tra i soggetti di sesso femminile (rapporto F:M sino a 30:1 per la variante classica ipercellulare e pari a 4:1 per la variante atrofica). Nella prima, la tiroide, aumentata di volume e spesso irregolarmente bozzoluta, all’esame microscopico presenta un abbondante infiltrato di linfociti, plasmacellule e macrofagi con non infrequente formazione di follicoli linfoidi a centro germinativo chiaro; possono essere presenti cellule follicolari ossifile. È pertanto costante l’iperplasia del parenchima. Nella seconda, argomento di questo capitolo, più rara e con predilezione per l’età adulta o anziana, il quadro è dominato da un’intensa proliferazione del connettivo che si sostituisce quasi completamente al tessuto nobile. Sono pertanto presenti progressiva fibrosi, che altera completamente la struttura ghiandolare, distruzione o atrofia delle cellule epiteliali, diminuzione della quantità di colloide, scarsi infiltrati linfo-plasmacellulari e progressiva riduzione del volume ghiandolare; scarsa o assente è la rigenerazione delle cellule; la tiroide non è palpabile. I pazienti presentano spesso un ipotiroidismo franco o subclinico già alla diagnosi. Spesso le 2 varianti non presentano caratteristiche distintive e la forma atrofica rappresenta l’ultimo stadio evolutivo della variante con gozzo, allorquando il tessuto tiroideo iperplastico va incontro a lento e progressivo processo di estinzione fino all’atrofia della ghiandola.
Dopo una prima fase della malattia, insidiosa e spesso con manifestazioni da ipertiroidismo per lo più di modesta entità, e una seconda, di durata anche notevole, che può definirsi di compenso non riscontrandosi segni clinici evidenti di alterata funzionalità della tiroide, possono rendersi progressivamente manifesti i segni classici dell’ipotiroidismo, a mano a mano che la funzione ghiandolare diminuisce. Un ipotiroidismo manifesto può essere pertanto preceduto da un periodo più o meno lungo in cui l’aumento dei valori del TSH (ipotiroidismo subclinico) rappresenta l’unica anomalia riscontrabile. In assoluto la tiroidite cronica linfocitaria rappresenta la causa più frequente di ipotiroidismo (50-80% dei casi).
Immagini ecografiche di ipoecogenicità diffusa, a zolle o a macchia di leopardo, con disomogeneità del parenchima ghiandolare, sono suggestive lungo il decorso della malattia. L’aspetto ipoecogeno è in funzione dell’infiltrazione linfocitaria che scompagina la normale struttura istologica, riducendo la quantità di interfaccia cellula/colloide e quindi di echi riflessi. Il grado di ipoecogenicità correla con i livelli di autoanticorpi circolanti anti-tiroide e con la presenza di ipotiroidismo nella fase avanzata della malattia. Nella sua evoluzione in forma atrofica può prevalere l’aspetto di reticolazione diffusa, con tipici setti spessi ed affastellati.
Il passaggio graduale dall’eutiroidismo all’ipotiroidismo è in rapporto alla distruzione della ghiandola divenuta atrofica ed è un processo irreversibile. Per la lentezza dell’evoluzione della malattia, la transizione dallo stato di eutiroidismo all’ipotiroidismo manifesto può passare inosservata e i sintomi iniziali sono spesso attribuiti all’avanzare dell’età, alla menopausa o ad altre malattie concomitanti. Può quindi accadere che l’ipotiroidismo venga diagnosticato quando le manifestazioni siano diventate gravi, configurando il quadro clinico tipico del mixedema primitivo, una forma oggi rara di severo ipotiroidismo che si presenta in soggetti, spesso donne anziane, in cui la tiroidite non è stata diagnosticata per lungo tempo.
Gli autoanticorpi circolanti anti-tiroide (anti-tireoglobulina ed anti-tireoperossidasi) sono frequenti (90-95%), e ad alto titolo nella forma atrofica, con una prevalenza degli Ab-TPO, e sono responsabili di attività citotossica anticorpo-mediata. La presenza degli autoanticorpi è l'espressione dell'infiltrato linfocitario a livello dell'organo bersaglio e il loro titolo è quindi in stretta correlazione con il danno istologico. In alcuni pazienti con ipotiroidismo autoimmune sono presenti anticorpi che bloccano il recettore del TSH, con azione inibente la funzione e il trofismo tiroideo stimolati dal TSH stesso (TSH-blocking antibody). Essi sarebbero più frequenti proprio nella forma atrofica della tiroidite autoimmune, contribuendo allo sviluppo dell’atrofia e dell’ipofunzione ghiandolare; in particolare si riscontrano nel siero del 20-30% dei pazienti affetti da tiroidite atrofica. Appartengono alla famiglia funzionalmente eterogenea di autoanticorpi diretti contro il recettore del TSH, dotati di attività stimolante o, più raramente, inibente la funzione della tiroide (TRAb). Relativamente a questi ultimi con azione inibente, il loro passaggio transplacentare dalla madre, con tiroidite atrofica, al feto può essere causa di ipotiroidismo congenito transitorio, e poiché anche lo stimolo sulla crescita tiroidea risulta bloccato, questi neonati non presenteranno il gozzo. L’evenienza, peraltro rara, ha carattere transitorio, in quanto la funzione tiroidea del neonato riprende al venir meno dell’azione bloccante degli anticorpi materni.
Sul piano immunitario cellulo-mediato, importante è pure l’azione delle citochine (IL-1, IL-2, IL-6, IFN-γ) rilasciate dai linfociti direttamente nella tiroide, che possono attivare le cellule NK e i linfociti T citotossici. Recentemente è stato ipotizzato che nella forma atrofica le cellule tiroidee muoiano per apoptosi attivata dal meccanismo FAS/FAS-L indotto dal rilascio di IL-1.
Possono coesistere molte malattie autoimmuni organo- e non organo specifiche (sindrome di Sjogren, anemia perniciosa, lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, morbo di Addison, ipoparatiroidismo primario, diabete mellito, ecc), e quando ciò si verifica viene a configurarsi una sindrome pluriendocrina autoimmune (SPA).
Sul piano terapeutico non esiste una terapia specifica per frenare i processi infiammatori e fibrotici. La terapia steroidea non si è rivelata efficace, se non nel diminuire temporaneamente i livelli degli autoanticorpi, senza peraltro modificare il quadro clinico ed il decorso della malattia. Il selenio sembrerebbe esercitare un'azione protettiva, limitando l'estensione del processo infiammatorio e ridardando l'epoca di comparsa dell'ipotiroidismo. Si ricorrerà ovviamente alla somministrazione di L-tiroxina a dosi sostitutive nei casi di ipotiroidismo clinico o subclinico.

Accanto a quadri caratterizzati da cospicue alterazioni diffuse e da un deficit funzionale più o meno sensibile, esistono delle forme di flogosi cronica “parcellare”, con focolai disseminati più o meno ricchi di infiltrazione linfocitaria e con autoanticorpi anti-tiroide presenti nel siero, ma, almeno inizialmente, senza manifestazioni cliniche di alterata funzione della tiroide (ipotiroidismo, se presente, solo in forma subclinica). Anche in questi casi la tiroide può mostrare segni evidenti di atrofia, tanto che si parla di tiroidite atrofica asintomatica. Questa sarebbe quindi caratterizzara da una sua fisionomia. Essa sembra infatti ripetere “in miniatura” alcune delle anomalie riscontrabili nella forma prima esposta della tiroidite cronica linfocitaria: lesioni tiroidee analoghe ma più modeste; costante presenza in circolo di autoanticorpi anti-tiroide, ma a titoli meno elevati; livelli sierici medi del colesterolo compresi tra quelli normali e quelli dei soggetti con mixedema primitivo, ecc. Si differenzia tuttavia dalla stessa per alcuni aspetti, in particolare per l’assenza di una storia clinica di TH classica, per la meno spiccata predilezione per il sesso femminile e per la maggiore incidenza nei soggetti di età superiore ai 50 anni.
E' un'affezione flogistica di frequente riscontro; l'incidenza appare particolarmente elevata in pazienti con altre patologie autoimmuni. I soggetti sono per lo più clinicamente eutiroidei, con assenza nell'anamnesi di malattie tiroidee manifeste, ma c’e presenza di autoanticorpi anti-tiroide circolanti e i livelli plasmatici del TSH possono essere superiori alla norma. Tali dati concordano con l’esistenza di una stretta correlazione tra presenza in circolo di autoanticorpi anti-tiroide in soggetti eutiroidei e presenza di lesioni flogistiche ghiandolari caratterizzate da un’infiltrazione linfo-plasmacellulare a focolai disseminati. E’ stato dimostrato che i pazienti con tiroidite atrofica hanno un'elevata incidenza di HLA-B8 e HLA-DR3. Da un punto di vista classificativo, si distinguono una forma di tiroidite atrofica lieve, clinicamente muta, o solo sub-clinica o con segni molto sfumati di ipotiroidismo, e una forma di tiroidite atrofica grave (25% dei casi), che può evolvere e raggiungere la sua massima espressione clinica nel mixedema. I due tipi, anche se in forma variabile, mostrano i medesimi quadri macroscopici ed istologici.
Macroscopicamente la tiroide, di volume ridotto, non è palpabile. Istologicamente si osservano infiltrati linfocitari molto spesso multifocali, talora riuniti a formare follicoli linfatici o dispersi in aree di fibrosi. Le cellule epiteliali follicolari possono mostrare processi degenerativi. Le alterazioni della forma atrofica grave possono quindi essere responsabili di una quota parte dei casi di mixedema primitivo dell’adulto, ove manca una storia di tiroidite pregressa classicamente intesa.
Nel mixedema al quadro clinico di ipotiroidismo grave si associerà pertanto una marcata atrofia della tiroide. E’ stata anche prospettata la possibilità, peraltro non da tutti ammessa, che la patologia rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza della malattia coronarica.

Il mixedema primitivo rappresenta la forma più frequente di ipotiroidismo a comparsa nell'età adulta, come conseguenza di una tiroidite a tendenza atrofica. Obiettivamente in questi pazienti la tiroide, non palpabile, può pure ridursi ad una sottile banda di tessuto fibroso alla base del collo. Auto-anticorpi anti-tiroide sono presenti in circa il 90% dei soggetti con mixedema primitivo dell’adulto insorto da tempo relativamente breve; nei casi in cui la malattia perdura da più anni la frequenza appare ridotta e i titoli di positività tendono a decrescere, verosimilmente in relazione all'atrofia ghiandolare, che porta a una progressiva deplezione degli autoantigeni tiroidei. L'esame istologico può mostrare estremi processi fibrotici, focolai di infiltrazione linfocitaria e atrofia marcata delle cellule follicolari. Per lo più i fenomeni fibrotici sono prevalenti rispetto a quelli infiltrativi.

Per la presenza di un volume ridotto della tiroide, la tiroidite atrofica si differenzia dalla tiroidite asintomatica (TA), non atrofica, ove la ghiandola è di volume normale, c’è assenza di alterazione funzionale (per lo più eutiroidismo con non frequente ipotiroidismo sub-clinico), e l’infiltrato linfocitario, modesto, è per lo più multifocale.

La tiroidite da radiazioni può verificarsi frequentemente sia durante un trattamento radiante esterno sia durante un trattamento radiometabolico. Le radiazioni ionizzanti hanno infatti un’azione infiammatoria sul parenchima tiroideo. Nei pazienti sottoposti a radiazioni esterne al capo o al collo o a irradiazione totale corporea, per problematiche oncologiche o ematologiche, può svilupparsi, oltre a un quadro di flogosi, un transitorio ipertiroidismo e, dopo anni dal trattamento, un ipotiroidismo che può essere nel 6-15% dei casi permanente. Sul piano anatomo-patologico c’è infiltrazione linfocitaria, fibrosi, atrofia dei follicoli con danno parenchimale, metaplasia ossifila. Il volume della tiroide può presentare una progressiva e sensibile riduzione e la tiroide in tali casi non è palpabile. Un quadro tiroiditico con sintomatologia simile a quella suddetta può presentarsi entro la prima settimana dalla terapia radiometabolica, con talora associata scialoadenite.
Sul piano terapeutico si useranno acido acetilsalicilico in caso di sintomatologia modesta, cortisonici in forme più severe.

Un'evenienza clinica particolare, che descriviamo in questa sede solo per il marcato sovvertimento strutturale della tiroide, pur non comportando involuzione volumetrica della ghiandola, è rappresentata dalla tiroidite di Riedel (o lignea). E' una malattia cronica estremamente rara. Secondo alcuni è una variante di tiroidite cronica fibro-invasiva, secondo altri un’entità a sé stante ad eziologia sconosciuta. E’ caratterizzata da una progressiva fibrosi, con presenza anche di linfociti, che sostituisce più o meno completamente la struttura ghiandolare; nelle zone più colpite i follicoli tiroidei possono essere completamente assenti o mostrare segni di compressione con scarso contenuto in colloide e severe alterazioni degenerative dell'epitelio. Il processo si estende ad interessare anche la capsula e le formazioni adiacenti (muscoli, tessuto adiposo, vasi, nervi). Può aversi paralisi dei nervi laringei, con disfonia e difficoltà alla deglutizione e alla respirazione per interessamento di esofago e trachea, con simulazione di un processo tumorale invasivo. La tiroide si presenta di consistenza duro-lignea, di aspetto fibroso e progressivamente aumentata di volume, per lo più tenacemente aderente ai tessuti circostanti. Gli ormoni tiroidei possono essere normali o bassi e ciò per l’estensione dell’interessamento. Possono essere presenti autoanticorpi anti-tiroide in circa il 60% dei casi. Le donne sono colpite da 3 a 4 volte più frequentemente degli uomini. La diagnosi è clinica e citologica. La tiroidite di Riedel può decorrere isolata o associata nel 35% dei pazienti a fibrosi mediastinica, retroperitoneale, dell’orbita e del tratto biliare. Per questo viene pure considerata come manifestazione locale di un processo di fibrosi sistemica. La terapia è rappresentata, in caso di ipotiroidismo, dall’impiego di L-tiroxina in dose sostitutiva. Il trattamento con cortisonici non sembra modificare la storia naturale della malattia. In casi di compressione delle strutture peri-tiroidee può essere indicato l’approccio chirurgico. 

Rare malattie, infine, possono depositare sostanze anomali o anche comportare flogosi cronica della tiroide alterandone la struttura e danneggiandone la funzionalità: l’amiloidosi, per deposito di proteine amiloidi, l’emocromatosi per deposito di ferro, la sarcoidosi per localizzazione di granulomi. 

 

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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

Per ipotiroidismo si intende una sindrome caratterizzata da una riduzione degli ormoni tiroidei nelle cellule bersaglio e clinicamente da una sintomatologia aspecifica e ubiquitaria, contraddistinta da una riduzione delle funzioni di quasi tutti i sistemi, e in particolare quelli cardiovascolare, gastrointestinale e nervoso. In base al periodo di insorgenza è definito congenito o dell’adulto, mentre in base alla sede del deficit è definito primario, quando è causato da insufficienza della ghiandola tiroide, secondario quando il deficit è ipofisario, terziario se ipotalamico ed infine periferico quando è dovuto a deficit recettoriali o post-recettoriali.

In > 90% dei casi l’ipotiroidismo dell’adulto è primario, ovvero da deficit tiroideo. E' causato dalla carenza funzionale assoluta o relativa di tessuto tiroideo, essendo sostanzialmente riconducibile alla riduzione quantitativa del parenchima tiroideo attivo o alla compromissione funzionale dello stesso. Le cause principali sono la tiroidite cronica autoimmune, nelle due varianti ipertrofica e atrofica, e quelle iatrogeniche dovute alla somministrazione di radioiodio e/o alla rimozione chirurgica della tiroide.

La tiroidite cronica, come tutte le malattie autoimmuni, si caratterizza per la perdita della tolleranza immunitaria con conseguente reazione immune, umorale e cellulo-mediata, contro autoantigeni. La reazione inizia con l’attivazione di linfociti T-helper contro gli antigeni tiroidei. Non ci sono ancora evidenze definitive sull’evento che innesca la reazione autoimmune; non è chiaro, cioè, se l’attivazione dei linfociti sia la conseguenza di un difetto genetico, organo-specifico, dei linfociti “T-suppressor” oppure se sia scatenata da esposizione ad antigeni ambientali con caratteristiche simili agli antigeni tiroidei; o, infine, se sia determinata dagli stessi tireociti che iperesprimono molecole MHC di classe I o, in modo aberrante, molecole MHC di classe II. I linfociti “T-helper” attivati stimolano la produzione di anticorpi anti-tiroide da parte dei linfociti B. Gli anticorpi sono diretti prevalentemente contro la tireoperossidasi (anti-TPO) e contro la tireoglobulina (anti-Tg). Una aliquota degli anticorpi anti-TPO è in grado di fissare il complemento e pertanto essi sono, in parte, citotossici, ma il loro ruolo patogenetico nella distruzione del parenchima tiroideo non è accertato. Gli anticorpi anti-Tg non sono sempre presenti e il loro ruolo non è chiaro. Nel 10% dei pazienti, ed in particolare tra coloro che presentano la variante atrofica,  si riscontrano anche anticorpi bloccanti il recettore del TSH, che hanno un ruolo patogenetico. Più rilevante, nella patogenesi del processo distruttivo, è il ruolo dei linfociti T-citotossici e delle citochine (in particolare IFN-gamma e TNF) e dei processi di apoptosi. Come per tutte le malattie autoimmuni, anche per la tiroidite cronica è dimostrata  una predisposizione genetica confermata dalla associazione con alcuni aplotipi HLA, quali HLA-DR3, HLA-DR4 e HLA-DR5.

La terapia radiometabolica della tireotossicosi rappresenta una delle cause più frequenti di ipotiroidismo, provocando una riduzione della funzione ghiandolare nel 15-70% dei casi a distanza di 10 anni; la dose radiante e il tempo intercorso dal momento della somministrazione sono fattori che influenzano significativamente l’evoluzione verso l’ipotiroidismo. Il rischio cumulativo di sviluppare ipotiroidismo primario a seguito della terapia radiometabolica è maggiore in caso di malattia di Basedow-Graves che non di gozzo nodulare iperfunzionante.

La tiroidectomia totale ha come conseguenza ineluttabile la comparsa dell’ipotiroidismo, ma anche la tiroidectomia subtotale, frequentemente utilizzata in passato, è seguita da ipotiroidismo permanente nel 10-60% dei pazienti nel primo anno dopo l’intervento chirurgico; tale percentuale aumenta successivamente dell’1-3% all’anno. Sia nei pazienti sottoposti a tiroidectomia che in quelli trattati con il radioiodio l’ipotiroidismo è più frequente nei soggetti con positività degli anticorpi anti-tireoperossidasi.

Altre cause di ipotiroidismo primario dell’adulto (IPA) sono la carenza o l’eccesso di iodio e la somministrazione di farmaci (litio, tiouracili, imidazoli, amiodarone, interleuchina-2, interferone-α) e di agenti gozzigeni ambientali e industriali. La carenza iodica è responsabile di gozzo e di ipotiroidismo quando l’apporto iodico è < 50 µg/die. Anche l’eccesso di iodio inorganico, che si realizza quando l’introito giornaliero è > 0.5-1 mg, può inibire la captazione e l’organificazione dello iodio stesso, nonchè la sintesi e la secrezione ormonale; questo evento si verifica soprattutto in presenza di una sottostante tireopatia autoimmune o di una disfunzione latente dell’ormonogenesi tiroidea.

Altra causa importante di IPA è rappresentata dalla malattia di Flajani-Basedow-Graves nella sua fase terminale ipotiroidea. Del resto, alcuni studiosi sostengono l’opportunità di considerare la tiroidite di Hashimoto e la malattia di Flajani-Basedow-Graves come momenti differenti nell’ambito di quell’unicum che è la tireopatia autoimmune, nella complessità delle sue manifestazioni cliniche. Anche quelle patologie tiroidee a carattere autoimmune o infettivo che generalmente presentano un decorso transitorio, come la tiroidite silente, la tiroidite post-partum e la tiroidite subacuta di de Quervain, in alcuni casi possono esitare nell’ipotiroidismo permanente.

Infine, tra le cause più rare di IPA, le malattie infiltrative a carattere sistemico (emocromatosi, amiloidosi, sclerodermia, lupus eritematoso, mesenchimopatie, cistinosi, sclerosi progressiva sistemica) o preminentemente tiroideo (tiroidite di Riedel) possono esercitare un’azione destruente sul parenchima ghiandolare, con conseguente sviluppo di ipotiroidismo. La terapia radiante esterna nella regione del collo, per il trattamento di patologie quali il linfoma Hodgkin e non-Hodgkin o il carcinoma della laringe, induce ipotiroidismo nel 25-50% dei casi. Una causa rara di ipotiroidismo primario manifesto permanente è l’irradiazione corporea totale, praticata in presenza di leucemia acuta o anemia aplastica, che tuttavia si associa più frequentemente allo sviluppo di ipotiroidismo subclinico, spesso a carattere transitorio.

Assai più raramente (frequenza 1:100.000-200.000) l’ipotiroidismo è detto centrale (IC), ovvero secondario a lesione ipofisaria (ipotiroidismo secondario) o ipotalamica (ipotiroidismo terziario). Il deficit di TRH può essere dovuto ad una ridotta sintesi per distruzione del nucleo paraventricolare, per lesioni soprasellari, per produzione di fattori inibitori da parte dell’ipotalamo, come la somatostatina e la dopamina, o per blocco dei recettori per gli oppioidi. Il deficit di TSH può essere dovuto a riduzione delle cellule TSH-secernenti e ad alterazioni strutturali della molecola del TSH. In base alla causa organica o genetica sottostante sono state descritte forme familiari e sporadiche. Per quanto riguarda le forme sporadiche, le cause di alterazione del sistema ipotalamo-ipofisario possono essere molteplici: invasive, infartuali, infiltrative, infettive, iatrogeniche, traumatiche, autoimmuni, idiopatiche. I macroadenomi ipofisari rappresentano la causa più frequente (50-60% dei casi), determinando una compressione dell’ipofisi o del peduncolo ipofisario con deficit del circolo portale; l’apoplessia ipofisaria è un’altra causa di ipotiroidismo centrale. Una causa sempre più frequente è quella iatrogenica, dovuta a lesioni dell’area ipotalamo-ipofisaria per interventi chirurgici o radioterapeutici per tumori, come i craniofaringiomi, i glio­mi, i meningiomi; infatti, nel 10% dei pazienti sottoposti a chirurgia e fino al 30% di quelli trattati con radioterapia, si riscontra l’ipotiroidismo centrale. Anche la somministrazione di alcuni farmaci può determinare l’insorgenza di IC interferendo con il funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisario; tra questi ricordiamo il bexarotene, farmaco anti-neoplastico, e la oxcarbazepina, farmaco antiepilettico. Infine, dal 10% al 50% delle pazienti che presentano necrosi ipofisaria post-partum (sindrome di Sheehan) hanno ipotiroidismo centrale. Cause rare sono la necrosi ipofisaria da shock grave, l’infarto ipofisario nel diabete mellito, i traumi cranici, gli incidenti cerebrovascolari, le metastasi nella regione ipotalamica-ipofisaria, le malattie infiammatorie o granulomatose e infiltrative. Nelle forme familiari di ipotiroidismo centrale generalmente l’anomalia risiede in un deficit di sintesi e di secrezione del TSH o in un deficit recettoriale o post-recettoriale del TRH. In alcuni casi è stata descritta una carenza ereditaria isolata di TSH o di TRH, trasmessa con tratto autosomico recessivo, dovuta a una singola mutazione rispettivamente a carico del gene TSHβ (1p22) o del gene TRH-R (8q23), che si manifesta con IC grave ad insorgenza neonatale.

Infine le sindromi da resistenza agli ormoni tiroidei sono distinte in due forme cliniche opposte: la forma eu-ipotiroidea, dovuta a resistenza generalizzata o a resistenza parziale periferica, e la forma ipertiroidea, dovuta a resistenza parziale ipofisaria. Ai fini del presente capitolo ha rilevanza solo la forma eu-ipotiroidea. E’ una patologia ereditaria generalmente a trasmissione autosomica dominante, che è causata da mutazioni del gene ß del recettore degli ormoni tiroidei (TRß). Sono stati descritti oltre 100 diversi tipi di mutazioni (delezioni, mutazioni puntiformi, inserzioni, duplicazioni) e tutte nella sequenza genica della porzione del recettore che lega l’ormone. Il tipo di mutazione più frequente è costituito dalle mutazioni puntiformi con sostituzione di un singolo nucleotide. La gravità del fenotipo si correla con le alterazioni del genotipo descritte; le forme più gravi di ipotiroidismo si riscontrano nei pazienti con completa assenza di TRß o in cui entrambi gli alleli sono mutati. E’ però presente una notevole eterogeneità del quadro clinico nei diversi pazienti, pur in presenza di analogo genotipo e in alcuni casi dello stesso tipo di mutazione.

 

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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

La sintomatologia dell’ipotiroidismo è correlata alla sua gravità e durata. Ciò è confermato dal fatto che oggigiorno la precocità della diagnosi ha reso più rara l’osservazione dei segni e dei sintomi caratteristici della fase conclamata della malattia. La presentazione clinica è fortemente condizionata dall’età del paziente: nell’anziano le manifestazioni cliniche tendono ad essere più sfumate, essendo talora sovrapponibili o simili alle modificazioni fisiologicamente connesse alla senescenza.

 

Sistema cardiovascolare
La bradicardia, la ridotta gittata sistolica e l’incremento delle resistenze vascolari periferiche sono le manifestazioni più caratteristiche dell’ipotiroidismo.
La diminuita contrattilità del miocardio induce un rallentamento di tutte le fasi della cinetica cardiaca (periodo pre-eiettivo, contrazione isovolumetrica, rilasciamento ventricolare diastolico). L’insieme delle modificazioni emodinamiche comporta che si possa assistere ad un aumento della pressione diastolica (20% dei pazienti) e ad una riduzione di quella sistolica.
La cardiomiopatia ischemica si riscontra nel 3% dei pazienti affetti da ipotiroidismo; questa prevalenza relativamente bassa, pure in presenza di importanti fattori di rischio per lo sviluppo di aterosclerosi, è da ricondursi all’effetto protettivo indotto dall’ipometabolismo e dal ridotto fabbisogno di ossigeno del paziente ipotiroideo.
L’aumento della permeabilità vascolare determina il rilascio di albumina nello spazio interstiziale, con conseguente riduzione della volemia e aggravamento dell’edema, che può esitare nella formazione di versamenti a livello delle cavità sierose. Nel caso in cui, nel corso dell’ipotiroidismo, si manifesti uno scompenso cardiaco, che è più frequente in presenza di una cardiopatia sottostante, l’edema periferico può modificare le sue caratteristiche semeiologiche e divenire improntabile. Peraltro, la cardiomiopatia, l’aumentato diametro cardiaco e il versamento pericardico possono simulare la cardiomegalia e l’insufficienza cardiaca congestizia.

 

Sistema respiratorio
Il quadro respiratorio del paziente ipotiroideo è variabile e connesso alle condizioni generali del paziente; esso è più grave nel soggetto ipotiroideo obeso rispetto a quello normopeso. La diminuita capacità ventilatoria, riscontrata in circa un terzo dei pazienti, è connessa alle modificazioni cardiovascolari, che determinano una ridotta funzione dei muscoli respiratori e versamento pleurico. Sono frequenti, inoltre, dispnea da sforzo e apnea ostruttiva notturna, dovute all’aumento delle dimensioni della lingua e dei muscoli faringei, oltre che alla diminuita capacità ventilatoria. Talora è presente una ridotta risposta all’ipossia e all’ipercapnia.

 

Sistema nervoso
Caratteristiche del paziente ipotiroideo sono: astenia, adinamia, rallentamento dei movimenti volontari, ridotto stato di vigilanza, bradilalia e disartria. Il paziente mostra un’accentuata sonnolenza e una riduzione delle capacità mnemoniche e attentive. La funzione intellettuale è generalmente conservata. Gli ormoni tiroidei, i cui recettori sono numerosi nel tessuto cerebrale umano, esercitano, inoltre, un’azione importante sull’umore, come confermato dal fatto che la supplementazione con T3 è in grado di aumentare l’efficacia dei farmaci anti-depressivi. L’ipotiroidismo può determinare disturbi del comportamento e dell’affettività, come psicosi, agitazione, ansia, allucinazioni e depressione; quest’ultima è verosimilmente connessa alla ridotta sintesi cerebrale di 5-idrossitriptamina. Inoltre, nelle prime fasi della terapia sostitutiva con ormoni tiroidei, può verificarsi un’esacerbazione della psicosi ipotiroidea. Può anche essere presente, soprattutto nei pazienti anziani, una disfunzione cerebellare con atassia, tremore intenzionale e nistagmo.
Alterazioni caratteristiche del sistema nervoso periferico sono: neuropatia, parestesie e sindrome del tunnel carpale.

 

Sistema gastrointestinale
Si riscontra un rallentamento della motilità dell’intero tratto gastro-intestinale, con conseguente aumento del tempo di svuotamento gastrico. Da ciò deriva la costipazione, che va dalla stipsi lieve all’ileo paralitico e alla pseudo-occlusione. La stipsi, specie nei pazienti anziani, può essere grave e non rispondere ai lassativi. D’altro canto, è possibile il riscontro di un quadro di malassorbimento e diarrea, dovuto alla concomitante presenza di malattia celiaca o di anemia perniciosa, la cui associazione con la tiroidite cronica autoimmune è molto frequente. Infatti, la positività per anticorpi anti-cellule parietali gastriche si osserva in circa ¼ dei pazienti.

 

Cute e annessi
La cute è secca, per la ridotta funzione delle ghiandole sudoripare e sebacee, pallida, a causa della riduzione del flusso ematico e dell'eventuale anemia associata, di colorito tendenzialmente giallastro, a seguito dell’ipercarotenemia, e fredda, per la concomitante vasocostrizione. L’infiltrazione del tessuto interstiziale cutaneo ad opera dell’acido ialuronico e degli altri glicosaminoglicani (GAG), particolarmente evidente a livello peri-orbitale, facciale e acrale, è responsabile del caratteristico edema mucinoso non improntabile della cute. La pelle è, inoltre, tipicamente rugosa, per l’effetto combinato dell’edema mucinoso del derma e dell’ipercheratosi dello strato corneo dell’epidermide. L’edema palpebrale determina il restringimento della rima palpebrale, che contribuisce all’amimia del volto.
I capelli sono secchi, fragili e radi; le ciglia, i peli pubici e la barba sono spesso ridotti e anche le sopracciglia possono essere diradate, specie nel III esterno; le unghie divengono sottili e fragili, crescono più lentamente e talora presentano un aspetto solcato.

 

Sistema riproduttivo
Nella donna in età fertile sono frequenti le alterazioni del ciclo mestruale, che vanno dall’oligo-amenorrea all’iperpolimenorrea, talvolta di entità tale da richiedere la revisione della cavità uterina o l’isterectomia. La frequenza dei cicli anovulatori è significativamente maggiore rispetto alla popolazione eutiroidea di controllo. L’anovulatorietà, l’alterazione del sistema immunitario e le anomalie del sistema riproduttivo sono alla base del quadro di sub-fertilità che caratterizza la donna affetta da ipotiroidismo. Inoltre, la ridotta funzione tiroidea in gravidanza si associa a un aumento del rischio di aborto, della natimortalità, del parto pretermine e dell’ipertensione indotta dalla gravidanza. In alcune donne si osservano iperprolattinemia e galattorrea, che regrediscono rapidamente con l’istituzione della terapia tiroidea sostitutiva, essendo dovute all’azione di stimolo esercitata dal TRH sulla secrezione della prolattina.
Nel maschio adulto gli effetti sono meno evidenti, riscontrandosi talvolta una diminuzione della libido e della potenza sessuale; l’analisi del liquido seminale non mostra alterazioni significative.
La presenza di ipotiroidismo in epoca prepuberale può determinare, in entrambi i sessi, un ritardo della pubertà. In rari casi, invece, si sviluppa pubertà precoce, dovuta a quella che viene definita spillover specificity syndrome, ovvero all’azione di stimolo esercitata dal TRH sulle cellule gonadotrope ipofisarie e dal TSH sui recettori per l’FSH.

 

Sistema endocrino
Il soggetto ipotiroideo presenta deficit di GH, IGF-1, IGF-2, IGFBP-1 e IGFBP-3; queste alterazioni sono alla base del grave ipostaturalismo che caratterizza l’ipotiroidismo del bambino e influenzano, seppure meno drasticamente, il quadro clinico del soggetto ipotiroideo adulto.
La prolattinemia è generalmente normale anche se, in circa il 10% dei soggetti ipotiroidei, risulta lievemente aumentata, come conseguenza dell’incremento del TRH ipotalamico; l’iperprolattinemia, che è reversibile con l’istituzione della terapia tiroidea sostitutiva, determina la comparsa di galattorrea e amenorrea.
La lieve riduzione della calcemia, secondaria al ridotto riassorbimento osseo, determina un aumento del PTH e del calcitriolo.
La cortisolemia e la cortisoluria delle 24 ore sono generalmente normali; talora si può osservare una modesta diminuzione della risposta surrenale all’ACTH e di quella corticotropa ipofisaria all’ipoglicemia e al metirapone. Nei pazienti con ipotiroidismo primario, dovuto ad una tiroidite cronica autoimmune, va sempre ricercata l’eventuale presenza di una malattia di Addison, che può associarsi alla tireopatia nel contesto di una sindrome polighiandolare autoimmune (SPA) di tipo I e di tipo II.
Nonostante vi sia un aumento verosimilmente compensatorio della noradrenalina sierica, si osserva una riduzione degli effetti delle catecolamine, dovuta al ridotto numero di recettori ß-adrenergici e alla concomitante presenza di difetti post-recettoriali.

 

Metabolismo
Si osserva una diminuzione del consumo di ossigeno, del dispendio energetico basale, dell’utilizzo dei substrati metabolici e della produzione di calore, con riduzione del metabolismo basale del 35-45%. La ridotta termogenesi è responsabile della tipica ridotta tolleranza al freddo; inoltre, essa spiega la minore frequenza di rialzo febbrile nel corso di episodi infettivi. L’eccesso di substrati inutilizzati a seguito dell’ipometabolismo determina una diminuzione dell’appetito e dell’introito di nutrienti. L’incremento ponderale è, dunque, da ricondursi al ridotto metabolismo basale e all’imbibizione generalizzata ad opera dei GAG.
Nonostante il rallentato assorbimento intestinale del glucosio, il metabolismo glucidico non risulta generalmente modificato.
Le alterazioni dell’assetto lipidico costituiscono un aspetto caratteristico dell’ipotiroidismo; in particolare, si riscontrano un incremento del colesterolo totale ed LDL e dell’apolipoproteina B e un modesto aumento del colesterolo HDL2, dell’apolipoproteina AI, della lipoproteina A e dei trigliceridi. Ciò si traduce in un aumento sia del rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL, sia di quello colesterolo LDL/colesterolo HDL, che tendono entrambi a normalizzarsi nel corso della terapia con L-Tiroxina. L’iperomocisteinemia è anch’essa frequente.
La diminuita conversione del carotene in vitamina A è responsabile dell’ipercarotenemia.
La riduzione generale del metabolismo determina, inoltre, un rallentamento del catabolismo di numerosi farmaci, tra cui l’insulina, la digitale e la morfina, la cui posologia deve essere, pertanto, ridotta.

 

Sistema urinario
La riduzione della gittata cardiaca e della volemia determinano una diminuzione del flusso plasmatico renale, della filtrazione glomerulare e dell’escrezione urinaria.

 

Sistema muscolo-scheletrico
L’ipotiroidismo che si manifesta nell’infanzia provoca un grave ritardo della maturazione scheletrica e dell’ossificazione dei centri epifisari, con conseguente deficit staturale e nanismo disarmonico. Ciò è dovuto sia al ridotto metabolismo proteico, sia all’alterazione dell’asse GH-IGF-IGFBP.
L’ipotiroidismo determina una riduzione sia della neoformazione che del riassorbimento ossei, non alterando i valori della densità minerale ossea; a livello articolare si caratterizza per la presenza di artralgia, rigidità e versamenti, specie a carico della mano e del ginocchio.
La sintomatologia muscolare è caratterizzata da mialgia, crampi, rigidità, facile stancabilità e rallentamento dei riflessi tendinei. L’insieme della modificazioni neuro-muscolari e cardio-respiratorie rende conto della diminuita tolleranza all’esercizio fisico.

 

Sistema ematologico
In circa un terzo dei pazienti ipotiroidei si osserva anemia, a carattere normocitico e normocromico, dovuta alla diminuita produzione di eritropoietina (EPO). E' possibile osservare anche anemia microcitica e ipocromica che, in alcune casistiche, mostra una prevalenza del 15%; l’iposideremia, che ne è alla base, è dovuta all’aumentata perdita di ferro, associata all’iperpolimenorrea, e al ridotto assorbimento enterico, connesso alla carenza di acido cloridrico. L’anemia macrocitica e ipercromica, infine, può svilupparsi in conseguenza di una concomitante anemia perniciosa o anche a seguito del deficit di acido folico e/o di vitamina B12, che si riscontrano anche in assenza di anticorpi anti-mucosa gastrica.
L’emostasi può essere compromessa, con conseguente aumento del tempo di sanguinamento; l’attività fibrinolitica è diminuita nell’ipotiroidismo lieve-moderato ed è, invece, aumentata in caso di ipotiroidismo grave.

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  3. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  4. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

 

Il sospetto clinico, formulato sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, viene confermato mediante l’esecuzione delle indagini di laboratorio.
In caso di tiroidite di Hashimoto nella variante ipertrofica, di tiroidite post-partum, di tiroidite subacuta e di deficit/eccesso di iodio l’esame obiettivo tiroideo può evidenziare la presenza di gozzo.
La diagnosi di laboratorio si basa sulla determinazione delle concentrazioni sieriche della FT4 e del TSH. In caso di ipotiroidismo primario si evidenziano aumento del TSH e diminuzione della FT4. La concentrazione sierica di T4 è inversamente correlata a quella del TSH; infatti i due ormoni presentano un tipico rapporto lineare-logaritmico inverso, riconducibile alla spiccata sensibilità delle cellule tireotrope ipofisarie ai livelli di ormoni tiroidei circolanti. E’ da sottolineare, quindi, che variazioni minime di T4 corrispondono a variazioni significative del TSH sierico. Grazie a questa relazione lineare-logaritmica inversa, infatti, è possibile oggi diagnosticare l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo subclinici e determinare con precisione la dose della terapia sostitutiva o soppressiva.
Il dosaggio del solo TSH non è sufficiente per porre diagnosi di ipotiroidismo primario manifesto: infatti, sebbene normali valori di TSH consentano di escludere tale diagnosi, in presenza di TSH elevato il dosaggio della FT4 è fondamentale per distinguere l’ipotiroidismo primario manifesto da quello subclinico. La concentrazione plasmatica di FT3 può essere normale (ipotiroidismo lieve) oppure ridotta (ipotiroidismo manifesto). Infatti, nel soggetto ipotiroideo l’incremento del TSH sierico induce un aumento dell’attività 5′-monodesiodasica intra-tiroidea, responsabile della desiodazione della T4 in T3, a cui si associa anche un’accresciuta conversione della T4 in T3 a livello dei tessuti extra-tiroidei. La secrezione preferenziale della T3, biologicamente più attiva, rispetto alla T4 è volta a compensare il deficit degli ormoni tiroidei a livello periferico. Ciò spiega perché la FT3 è il parametro ormonale che si modifica più tardivamente nel soggetto ipotiroideo, essendo la sua riduzione cronologicamente preceduta, nell’ordine, dall’aumento del TSH e dalla riduzione della FT4.
Gli anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO) e anti-tireoglobulina (anti-Tg) sono presenti nel 90% dei pazienti con tiroidite cronica autoimmune.
Il riscontro di bassi valori di FT4 associato a valori di TSH inappropriatamente bassi o normali rispetto ai livelli di FT4 è suggestivo di ipotiroidismo centrale, anche se alcuni pazienti affetti da ipotiroidismo centrale con difetto prevalentemente ipotalamico possono avere elevati livelli di TSH.

In caso di sindrome da resistenza, la diagnosi è sospettata clinicamente in un paziente ipotiroideo con gozzo e viene confermata dai livelli sierici inappropriatamente elevati sia di FT4 e di FT3 che di TSH.

Altre indagini opportune a completamento dell’iter diagnostico dell’ipotiroidismo sono lecografia tiroidea, che permette di determinare le dimensioni della ghiandola, la presenza di una ecostruttura ipoecogena, che si riscontra tipicamente nelle tireopatie autoimmuni, e/o l’eventuale presenza di noduli, e l’ECG, che mostra bradicardia, bassi voltaggi ed alterazioni della ripolarizzazione ventricolare, con modificazioni aspecifiche del tratto ST e dell’onda T.

Indagini utili, ma complementari, sono la determinazione del cortisolo plasmatico, per escludere una possibile insufficienza surrenale, del colesterolo, dei trigliceridi, della sideremia, della vitamina B12, dell’acido folico e degli anticorpi anti-parete gastrica. Gli anticorpi bloccanti il recettore del TSH (TBAbs, TSH receptor blocking antibodies) sono presenti nel 10-15% dei pazienti affetti da ipotiroidismo primario; in particolare si riscontrano nella tiroidite di Hashimoto, nella variante atrofica (mixedema primario, con prevalenza fino al 25%), nei soggetti con pregressa malattia di Basedow-Graves successivamente divenuti ipotiroidei e anche negli individui che sviluppano l’ipotiroidismo nel decorso di una tiroidite subacuta. La scintigrafia tiroidea con radioiodio o con 99mTc è indicata quando la ghiandola è difficilmente esplorabile con la ecografia (dislocazione retrosternale); essa mostra, spesso, una captazione bassa e disomogenea del radioisotopo. La Rx del torace può evidenziare, in caso di ipotiroidismo grave e di lunga durata, l’aumento del diametro cardiaco e i versamenti pericardico e pleurico. L'ipotiroidismo può essere sospettato quando per altri motivi vengono eseguiti esami specialistici e si riscontrano ridotti voltaggi all’elettroencefalogramma, rallentamento della conduzione nervosa, ridotta ampiezza dei potenziali evocati visivi e somato-sensoriali e, infine, alterazioni del metabolismo dei fosfati, visualizzabili mediante particolari metodi di RM . La frazione MM della creatina-chinasi, derivante dal muscolo scheletrico, è spesso aumentata ed è correlata con la gravità dell’ipotiroidismo. Gli indici di funzione epatica sono spesso lievemente alterati. Talvolta si osservano iposodiemia e lieve aumento della creatininemia. L’idrossiprolinuria, la fosfatasi alcalina sierica e l’osteocalcina possono essere ridotte, mentre la calcemia è generalmente nella norma, anche se, in alcuni casi, può essere lievemente ridotta a causa del minore riassorbimento osseo; l’escrezione del calcio è diminuita a seguito dell’aumento del PTH e della vitamina D.
Le indagini atte a valutare l’azione periferica degli ormoni tiroidei, come il dosaggio del colesterolo e della creatina-chinasi, hanno scarse sensibilità e specificità e, pertanto, non vengono generalmente impiegate.

 

Diagnosi differenziale
Il riscontro di una massa ipofisaria nel corso delle tecniche di imaging cerebrale induce a porre una diagnosi differenziale tra l’ipotiroidismo centrale, dovuto a compressione delle cellule tireotrope ipofisarie da parte della massa occupante spazio, e l’ipotiroidismo primario, con associata iperplasia e ipertrofia delle cellule TSH-secernenti, che possono arrivare a formare un adenoma distinto. In tal caso la diagnosi differenziale con ipotiroidismo centrale viene posta sulla base dei valori di TSH sierico, che sono ridotti o inappropriatamente normali nel primo caso ed elevati nel secondo.
L’ipotiroidismo centrale, oltre che con il primario, deve essere differenziato con le patologie non tiroidee (NTI) che determinano valori della funzione tiroidea simili a quelli dei pazienti con IC. Alcuni studi, hanno evidenziato un deficit di TRH in alcuni casi di NTI, suggerendo che le NTI possano anche rappresentare una forma particolare di ipotiroidismo. Tuttavia, la distinzione fra l’ipotiroidsmo centrale e il quadro da NTI si avvale della valutazione dei livelli sierici di FT3, che risulta sempre ridotta nelle NTI mentre è normale nelle forme lievi-moderate di ipotiroidismo centrale.
Per la diagnosi differenziale tra sindrome da resistenza generalizzata e ipersecrezione di TSH, quale si ha nell’adenoma ipofisario, a conferma del quadro clinico si ricorre al test di soppressione con L-T3.

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Ladenson PW. Diagnosis of hypothyroidism. In: Werner & Ingbar’s The thyroid. A fundamental and clinical text, Braverman LE and Utiger RD eds, Philadelphia, Lippincott, Wiliams and Wilkins, 2005: 857-63.
  3. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  4. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  5. Petrella V, Monaco F. Ipotiroidismo centrale. n: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 289-97.
  6. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
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Giorgio Napolitano e Fabrizio Monaco
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università G d’Annunzio, Chieti-Pescara

(aggiornato al 25 novembre 2015)

 

La terapia di prima scelta dell’ipotiroidismo primario è medica e si basa sulla somministrazione di ormoni tiroidei per os a permanenza, al fine di ristabilire e mantenere l’eutiroidismo, normalizzando le concentrazioni sieriche di TSH e di FT4.

In Italia sono disponibili diverse preparazioni di ormoni tiroidei, tutte per somministrazione orale: le preparazioni sintetiche singole di L-T4, di L-T3 e le associazioni dei due ormoni.

 

Tiroxina
La L-tiroxina (levotiroxina o L-T4) sodica, isolata dagli estratti tiroidei nel 1914 e sintetizzata nel 1926, costituisce il farmaco di prima scelta. Gli effetti del farmaco si manifestano, in genere, dopo 3-5 giorni dall’inizio dell’assunzione e cessano, seppure non completamente, dopo 10-15 giorni dalla sospensione. Infatti, la saturazione dei siti di legame delle proteine di trasporto richiede 24-48 ore, trascorse le quali la frazione libera circolante, responsabile dell’effetto ormonale, aumenta gradualmente, raggiungendo il plateau dopo 7-8 giorni.
L’assorbimento, che si attua principalmente nella parte distale del digiuno e dell’ileo, è di circa il 70-80% della dose assunta a digiuno, mentre a stomaco pieno si riduce al 50-60%; pertanto, è necessario che la L-T4 sia assunta sempre a stomaco vuoto (le condizioni per un assorbimento ottimale si verificano la mattina, 60 minuti prima della colazione, oppure la sera prima di coricarsi ma almeno 2-3 ore dopo cena) e a distanza di almeno quattro ore da altri farmaci e da vitamine che possono interferire con il suo assorbimento. Circa il 25% della T4 viene lentamente convertito in T3, quota che rappresenta approssimativamente l’80% della T3 circolante. Le iodotironine vengono coniugate nel fegato e successivamente escrete per via biliare; la parziale deconiugazione, che si attua nell’intestino, comporta il rilascio di modeste quantità di T3 e di T4, che vengono prontamente riassorbite, realizzando il cosiddetto circolo entero-epatico. L’assorbimento della L-tiroxina è influenzato dal pH gastrico, che si modifica nella gastrite correlata ad infezione da Helicobacter pylori, nella gastrite atrofica del corpo dello stomaco e nella terapia a lungo termine del reflusso gastro-esofageo con farmaci inibitori della pompa protonica. Questi ultimi risultati sono stati successivamente sconfessati da altri Autori, i quali sostengono che l’aumentato fabbisogno nei pazienti gastropatici non è tanto riconducibile alle modificazioni del pH gastrico, quanto alla concomitante presenza di uno stato infiammatorio gastro-intestinale.
La dose iniziale di L-tiroxina deve essere individualizzata e dipende dalla gravità e dalla durata dell’ipotiroidismo, dal peso, dal sesso e dall’età del paziente, nonché dalla presenza di eventuali patologie concomitanti. Generalmente la dose iniziale è con un basso dosaggio, pari a 25-50 µg/die, aumentando la posologia del farmaco di 25-50 µg ogni 4-6 settimane, fino a raggiungere la dose di mantenimento, stabilita sulla base della risposta clinica e del dosaggio del TSH ematico, da effettuare 4-6 settimane dopo ogni cambiamento della terapia, in modo da consentire l’adattamento ipofisario ai nuovi valori ormonali circolanti. Negli anziani, nei pazienti con patologie cardio-vascolari e nei pazienti con ipotiroidismo grave e/o di lunga durata, il cui organismo si è relativamente “adattato” alla carenza ormonale, la terapia viene iniziata solo dopo aver effettuato un ECG e con una posologia inferiore, pari a 12.5-25 μg/die, aumentando la dose di 12.5-25 μg a intervalli di 6-7 settimane.
La dose sostitutiva di mantenimento, che in genere si raggiunge nell’arco di 2-3 mesi, è di 1.2-1.7 µg/kg/die per os, equivalente a una dose totale di 100-150 ± 50 µg/die. La posologia ottimale è quella che mantiene il valore del TSH fra 0.5 e 2.0 µU/mL e la FT4 nel terzo superiore dei valori normali di riferimento; ciò consente, generalmente, di ottenere una concentrazione di FT3 nel mezzo dell’intervallo normale di riferimento. La dose di mantenimento dipende dal peso corporeo, principalmente dalla massa magra, dai valori iniziali di TSH, dal sesso, dalla risposta individuale e anche dal decorso della tireopatia. Per esempio, nei casi di tireopatia autoimmune, l’eventuale presenza di anticorpi anti-recettore del TSH, che possono avere funzione stimolante o inibente la funzione della cellula tiroidea, può influenzare la residua funzione tiroidea e, conseguentemente, la dose terapeutica di L-T4. Nei casi di ipotiroidismo post-chirurgico si ritiene che la dose sostitutiva sia leggermente superiore rispetto a quella che si osserva nei casi di tireopatia autoimmune per una supposta secrezione ormonale residua in quest'ultima situazione. L’età condiziona fortemente la posologia della terapia tiroidea sostitutiva: i bambini, a causa del metabolismo più elevato, necessitano di una dose di L-T4 maggiore, pari anche a 4-10 volte quella utilizzata negli adulti (fino a 10-12 µg/kg/peso corporeo/die). Al contrario, nei soggetti adulti è necessaria una dose inferiore del 25-50% rispetto a quella assunta dal soggetto giovane. La riduzione del fabbisogno di L-tiroxina connessa con l’invecchiamento è riconducibile sia al ridotto catabolismo del farmaco, che alla riduzione della massa magra. Le modificazioni ponderali influenzano anch’esse la posologia del farmaco: l’incremento o la diminuzione del peso corporeo possono infatti, rispettivamente, aumentare o ridurre il fabbisogno di L-tiroxina.
Gli insuccessi della terapia ormonale sostitutiva sono eccezionali e le cause più frequenti sono la mancata assunzione del farmaco, il malassorbimento e l’uso di preparazioni inefficaci. I pazienti con scarsa compliance mostrano tipicamente valori discordanti del TSH e della FT4 (elevato TSH/elevata FT4) a causa dell'irregolarità dell’assunzione del farmaco. In presenza di quadri malassorbitivi, come pure di pregressa resezione intestinale, può rendersi necessario il ricorso a dosi maggiori del farmaco. L’associazione delle tireopatie croniche autoimmuni con patologie di tipo malassorbitivo, come l’anemia perniciosa o la celiachia, deve essere attentamente valutata, soprattutto nei pazienti in cui dosi elevate di tiroxina non siano in grado di ridurre il TSH sierico. Negli ultimi anni sono divenute disponibili preparazioni di tiroxina liquida o gelatinosa che in studi preliminari sembrano offrire vantaggi sia per la quota di tiroxina assorbita in presenza di condizioni di malassorbimento che per la necessità di assunzione in condizioni di digiuno, essendo stato evidenziato un assorbimento ottimale anche in caso di assunzione durante la colazione; sono però necessari studi prospettici e con una popolazione studiata più numerosa per poter trarre conclusioni definitive. 
Non esistono controindicazioni alla terapia tiroidea sostitutiva. La terapia con ormoni tiroidei è priva di effetti collaterali e sono rare le descrizioni di reazioni allergiche agli eccipienti e ai coloranti aggiunti alle compresse. La complicanza più facilmente riscontrata è la tireotossicosi iatrogena, la quale, tuttavia, non è ascrivibile tanto a un effetto intrinseco del farmaco, quanto alla posologia inadeguata dello stesso. È sempre necessario considerare l’ipotiroideo come un paziente in cui può verificarsi un concomitante iposurrenalismo, come accade spesso nelle sindromi da insufficienza poli-endocrina. In questi casi la somministrazione di ormoni tiroidei può precipitare una condizione di iposurrenalismo acuto, ed è pertanto necessario controllare la funzione surrenale, eseguendo un test rapido di stimolo con ACTH, e, eventualmente, somministrare sempre la terapia sostitutiva cortisonica prima di quella tiroidea.

 

Triiodotironina
La L-triiodotironina (L-T3 o liotironina) costituisce una terapia di II scelta dell’IPA e viene perlopiù utilizzata in circostanze selezionate e per periodi limitati, in quei casi, cioè, in cui si preferisca una rapida insorgenza e/o una rapida cessazione dell’effetto terapeutico (preparazione alla terapia radiometabolica nei soggetti tiroidectomizzati per carcinoma tiroideo, preparazione alla scintigrafia corporea totale con radioiodio di controllo nei pazienti operati per carcinoma tiroideo). La T3, rispetto alla T4, presenta un’attività biologica su base equimolecolare circa 4 volte superiore, una maggiore rapidità d’azione, una minore affinità di legame per le proteine sieriche, alle quali è legata per il 99.7%, e una ridotta emivita, pari a circa 1 giorno, dal momento che viene catabolizzata per circa il 75% entro 24 ore dall’assunzione. Per queste caratteristiche farmaco-dinamiche l’indice terapeutico della L-triiodotironina è basso, per cui l’intervallo fra la dose terapeutica efficace e la dose tossica è molto ristretto. L’assorbimento enterico è del 90% e avviene molto rapidamente, e la risposta metabolica inizia dopo 4-6 ore, è massima dopo 12-24 ore e si esaurisce nell’arco di 7-8 giorni. A causa delle caratteristiche farmaco-cinetiche descritte, è pressocchè impossibile mantenere concentrazioni ematiche costanti di T3 assumendo il farmaco una sola volta al giorno, per cui la L-T3, disponibile in forma di compresse contenenti 20 µg di principio attivo, viene somministrata per os due-quattro volte al giorno, alla dose totale di 60-80 µg/die. L’aumento della triiodotironinemia che si osserva subito dopo la somministrazione può, peraltro, indurre una tireotossicosi iatrogena, per cui l’impiego del farmaco deve essere attentamente controllato, specie nei pazienti anziani e/o con insufficienza coronarica.

 

Prodotti di associazione o terapia combinata
Esistono anche prodotti di associazione di T3 e T4, in cui la L-tiroxina e la liotironina sono presenti generalmente secondo un rapporto di 4:1. È stata anche prospettata la possibilità di una terapia combinata dei singoli ormoni; la ragione di questa modalità terapeutica, in alternativa ai prodotti di associazione, risiede nelle differenti caratteristiche farmaco-cinetiche di tiroxina e triiodotironina che consentono la mono-somministrazione giornaliera di tiroxina ma necessitano di una assunzione bi-giornaliera di triiodotironina.
Il vantaggio dell’impiego combinato dei due ormoni rispetto alla terapia con sola L-T4 è stato molto discusso da numerosi anni. Il razionale della terapia associata consiste nel fatto che, sebbene la maggior parte della T3 circolante nell’organismo derivi dalla desiodazione periferica della T4, la tiroide secerne, fisiologicamente, una piccola quantità di triiodotironina, per cui, essendo l’obiettivo della terapia sostitutiva quello di riprodurre la secrezione endogena degli ormoni tiroidei, l’associazione degli stessi sembrerebbe più adeguata a quello che avviene fisiologicamente nel soggetto eutiroideo. Inoltre, la terapia combinata è stata proposta dopo che studi di biologia molecolare hanno evidenziato polimorfismi e mutazioni dei geni coinvolti nel trasporto e nel metabolismo degli ormoni tiroidei (in particolare della desiodasi di tipo 2, responsabile della trasformazione della tiroxina in triiodotironina); tuttavia nessun polimorfismo o mutazione è stato dimostrato essere responsabile di un significativo cambiamento dei livelli di triiodotironina.  Numerosi studi sono stati effettuati per valutare la superiorità della somministrazione della terapia combinata; i risultati non consentono però di trarre conclusioni definitive e, al momento, le principali associazioni endocrinologiche europee e americane affermano che non esistono motivi per consigliare la terapia combinata come terapia di prima scelta, che rimane pertanto quella con la sola tiroxina. Tuttavia nei pazienti che, escluse situazioni di scarsa aderenza terapeutica o di malassorbimento, manifestano la presenza di sintomi da insufficiente controllo terapeutico, pur in presenza di valori di TSH nell’intervallo di normalità, è possibile intraprendere una somministrazione combinata di tiroxina e triiodotironina.

 

Interferenze
Molte sostanze interferiscono con l’assorbimento, il trasporto, il metabolismo e gli effetti periferici degli ormoni tiroidei.
La somministrazione di amiodarone nei pazienti in terapia sostitutiva con T4, diminuendo la desiodazione della T4 in T3, può indurre un aumento del TSH sierico.

 

Interferenze e interazioni in corso di terapie associate
Aumentare dose L-T4 Estrogeni (fino al 30%)
Diminuiscono assorbimento Colestiramina
Latte di soia
Sucralfato
Idrossido di alluminio
Raloxifene
Solfato di ferro
Inibitori della pompa protonica
Inibitori H2
Calcio carbonato
Aumentano il metabolismo Rifampicina
Statine
Difenilidantoina
Carbamazepina
Diminuire dose L-T4 Androgeni nel trattamento del carcinoma mammario (del 25-50%)

 

 

Effetto della terapia con L-T4 sull'efficacia di altre terapie
Effetti aumentati (quindi diminuire la dose) Catecolamine e simpatico-mimetici (rischio di coronaropatia)
Anti-coagulanti orali: la dose deve essere diminuita di 1/3, controllando il tempo di protrombina (PT), il tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) e l’INR
Effetti diminuiti (quindi aumentare la dose) Glucosidi digitalici
Insulina
Ipoglicemizzanti orali

 

 

Bibliografia essenziale

  1. Brent GA, Reed-Larsen P, Davies TF. Hypothyroidism and thyroiditis. In: Williams Textbook of Endocrinology, Kronenberg, HM et al Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier 2008: 377–409.
  2. Cerrone D, Monaco F. Ipotiroidismo primario dell’adulto. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 233-65.
  3. Giuliani C, Monaco F. Sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei.In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 315-25.
  4. Petrella V, Monaco F. Ipotiroidismo centrale. In: Malattie della tiroide, Monaco F ed. Roma, SEU 2007: 289-97.
  5. Wiersinga WM. Hypothyroidism and mixedema coma. In: Endocrinology, Adult and Pediatric, Jameson JL and DeGroot LJ Eds, Philadelphia: Saunders, Elsevier, 2010: 1607–22.
  6. Woeber AW. Treament of hypothyroidism. In: Werner & Ingbar’s The thyroid. A fundamental and clinical text, Braverman LE and Utiger RD eds, Philadelphia, Lippincott, Wiliams and Wilkins, 2005: 864-869.
  7. Jonklaas J, Bianco  AC, Bauer AJ, et al. Guidelines for the treatment of hypothyroidism. Prepared by the American Thyroid Association Task Force on Thyroid Hormone Replacement. Thyroid 2014, 24: 1670-751.
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Gregorio Reda1 & Palma Dicorato2
1Endocrinologia, Ospedale Pertini, Roma
2Endocrinologia ASL, TA-Martina Franca

 

 

Meccanismo d’azione
Legame ai recettori degli ormoni tiroidei dopo trasformazione nell’ormone attivo T3.

 

Proprietà farmacocinetiche
Assorbita in modo incompleto nel tratto superiore dell’intestino tenue. Il suo legame con le proteine plasmatiche è quasi completo e la quota libera è solo dello 0.05%. Il tempo di dimezzamento è di circa 7 giorni e ciò giustifica la possibilità di prescrivere dosaggi personalizzati, con dosi variabili anche nei giorni della settimana per ottenere il valore di TSH programmato.
Mentre la levotiroxina in compresse richiede la fase di dissoluzione con conseguente più lento assorbimento e maggiore interferenze con il cibo ed il pH gastrico, le gocce, la soluzione monodose e le capsule molli, nelle quali il principio attivo è già in soluzione, hanno migliore e più rapido assorbimento con minori interferenze con il cibo e il pH gasrtico

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

Compresse:

  • Eutirox: 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg (da maggio 2021 sono stati modificati gli eccipienti per rendere il principio attivo più stabile: è stato sostituito il lattosio mono-idrato con mannitolo, aggiunto acido citrico, modificato il quantitativo di amido di mais e magnesio stearato)
  • Levotiroxina ABDI: 25, 50, 75, 100, 150 µg
  • Levotiroxina Aristo: 25, 50, 100, 200 µg
  • Levotiroxina DOC: 25, 50, 100, 125, 150, 200 µg
  • Levotiroxina Teva: 25, 50, 75, 100, 125, 150, 175, 200 µg

Gocce:

  • Tirosint: 100 µg/mL (1 goccia = 3.57 µg).

Soluzione orale:

  • in contenitori monodose da 1 mL:
    • Tirosint: 25, 50, 75, 100 µg/mL;
    • Levotirsol: 13, 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg/mL
  • in siringa graduata (5 mL): Tifactor: 100 (20 µg/mL), 50 (10 µg/mL), 25 (5 µg/mL)

Capsule molli:

  • Tiche: 13, 25, 50, 75, 88, 100, 112, 125, 137, 150, 175, 200 µg

 

Indicazioni
Ipotiroidismo, gozzo.

 

Contro-indicazioni
Ipertiroidismo

 

Effetti collaterali
Quasi esclusivamente legati ad un eccessivo dosaggio del farmaco (tachicardia, sudorazione, cefalea, irritabilità, ecc).
Da notare che Eutirox, ma non Tirosint, contiene lattosio.

 

Interazioni con altri farmaci
Numerosi farmaci e sostanze interferiscono con l’assorbimento e l’attività della levotiroxina. In particolare, l’effetto può essere ridotto da farmaci contenenti alluminio, ferro, calcio carbonato, da inibitori di pompa protonica, barbiturici e anti-epilettici, sertralina, clorochina/proguanil, composti contenenti soia.
Può determinare un potenziamento dell’effetto degli anti-coagulanti orali.

 

 

Caratteristiche delle formulazioni disponibili di tiroxina
Nome commerciale Formulazione Dosaggi Eccipienti Rimborsabilità SSN
Eutirox Compresse rivestite 25 μg, 50 μg, 75 μg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Amido di mais, acido citrico, gelatina, croscarmellosa sodica, magnesio stearato, mannitolo Sì (escluse formulazioni da 88 μg, 112 μg, 137 μg)
 Levotirsol Soluzione orale in contenitore mono-dose 13 μg, 25 μg, 50 μg, 75 μg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 125 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Glicerolo 85%
 Tiche Capsule molli 13 μg, 25 μg, 50 μg, 75 μgg, 88 μg, 100 μg, 112 μg, 125 μg, 137 μg, 150 μg, 175 μg, 200 μg Gelatina, glicerolo, acqua depurata No
 Tifactor Soluzione orale 2 flaconi da 75 mL (100 μg/5 mL) Glicerolo, acido citrico monoidrato, metil-paraidrossi-benzoato di sodio (E219), idrossido di sodio, acqua purificata
Tirosint Gocce orali 20 mL (100 μg/mL): 1 goccia contiene 3.57 μg Etanolo 96%, glicerolo 85%
Soluzione orale in contenitore mono-dose 25 μg, 50 μg, 75 μg, 100 μg

 

 

 

Utilizzo in situazioni particolari
In età pediatrica: utilizzare le gocce o la soluzione orale in contenitori monodose. Non aggiungere il farmaco nel biberon perchè potrebbe aderire alle pareti.
Nei pazienti con difficoltà a deglutire le compresse: usare le gocce o la soluzione orale in flaconi monodose.
Nei pazienti in coma (in generale ed in coma ipotiroideo in particolare): somministrare il farmaco attraverso il sondino naso-gastrico.
Uso parenterale (in Italia non esiste una preparazione commerciale): utilizzare una preparazione galenica seguendo le seguenti istruzioni (da Fabrizio Monaco,"Prontuario di Terapia Endocrina e Metabolica" SEU Editore, 2006):

  1. pesare la levotiroxina su garza sterile
  2. dissolvere la polvere in 2-3 gocce di NaOH 0.1 N in beaker sterile
  3. diluire la soluzione con 4-5 mL di NaCl 0.9% sterile, contenente albumina 1%
  4. filtrare attraverso un filtro Millipore sterile di 0.22 µm
  5. neutralizzare la soluzione a pH 7.4
  6. iniettare ev lentamente in non meno di 2 minuti.

 


LIOTIRONINA

Meccanismo d’azione
Legame diretto ai recettori degli ormoni tiroidei

 

Proprietà farmacocinetiche
Più rapidamente assorbito rispetto alla levotiroxina, ha un picco plasmatico a 2-4 ore ed un’emivita di circa un giorno.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia

  • gocce orali in soluzione da 5, 10, 15, 20 µg/mL: Liotir

 

Indicazioni terapeutiche
Ipotiroidismo in pazienti che non rispondono adeguatamente alla sola somministrazione di levotiroxina (deficit di desiodasi, insufficienza renale cronica, ecc.), in preparazione a trattamento con radio-iodio nei pazienti operati per carcinoma tiroideo.

 

Effetti collaterali
Quasi esclusivamente legati ad un eccessivo dosaggio del farmaco (tachicardia, sudorazione, cefalea, irritabilità, ecc).

 

Limitazioni prescrittive
Classe di prescrivibilità: A
Nei pazienti in coma ipotiroideo, in genere, ne è sconsigliato l'uso, poichè la rapidità ed intensità di azione potrebbero innescare aritmie cardiache anche letali.

 


PRODOTTI DI COMBINAZIONE (levotiroxina sodica + liotironina) ed estratti tiroidei non sono più in commercio

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Elena Galazzi, Laura Fugazzola & Luca Persani
Dipartimento di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Università degli Studi di Milano, Milano

(aggiornato al 15 agosto 2021)

 

INTRODUZIONE

L'ipotiroidismo congenito (IC) è la più frequente endocrinopatia dell'età evolutiva e rappresenta, insieme alla fenilchetonuria, la principale causa congenita di ritardo mentale oggi prevenibile, grazie all’introduzione, nei Paesi ad elevato standard socio-sanitario, dello screening neonatale di massa (1).
La prevalenza della malattia si attesta tra 1:2000-3000 nati per le forme primarie e 1:16.000 nati per l’ipotiroidismo centrale.
La patologia è causata, nella maggior parte dei casi, da alterazioni dell’embriogenesi della ghiandola tiroidea: agenesia, ipoplasia, o presenza di un abbozzo tiroideo in sede ectopica, generalmente insufficiente ad assicurare un normale apporto di ormoni tiroidei. Più raramente la patologia è provocata da un deficit geneticamente determinato di enzimi deputati alla sintesi degli ormoni tiroidei. Esistono inoltre, forme transitorie di ipotiroidismo neonatale che possono essere causate da:

  • fattori materni: includono l’assunzione di farmaci anti-tiroidei durante la gravidanza, il passaggio trans-placentare di anticorpi bloccanti il recettore del TSH e l’esposizione materna durante la gravidanza a condizioni sia di deficienza che di eccesso di iodio;
  • fattori neonatali: includono condizioni di difetto o eccesso di iodio, l’emangioma epatico congenito, e mutazioni nei geni che codificano per DUOX e DUOXA2 (2).

I danni dovuti alla carenza protratta di ormoni tiroidei sono molteplici e diffusi a tutti gli organi e sistemi, principalmente l’occhio, il cuore e il sistema nervoso con grave ritardo mentale (3).
Tuttavia, un'adeguata terapia ormonale sostitutiva con L-tiroxina (LT4), poco costosa e di semplice somministrazione, consente di prevenire tali danni, purché sia attuata entro le prime settimane di vita (4).

 

SCREENING NEONATALE (5)

Poiché alla nascita la sintomatologia dell’ipotiroidismo congenito può essere aspecifica, sfumata o spesso completamente assente, è estremamente difficile effettuare una precoce diagnosi clinica della patologia in epoca neonatale. Nonostante in più del 70% dei Paesi al mondo non venga ancora eseguito, lo screening per IC rappresenta uno dei più rilevanti successi della medicina preventiva e dovrebbe essere pratica clinica universale, dato il ritardo psico-motorio irreversibile (cretinismo endemico) legato alla mancata diagnosi e il conseguente peso umano ed economico della malattia. In Italia lo screening neonatale tiroideo è iniziato nel 1977, estendendosi progressivamente a tutto il territorio nazionale e raggiungendo velocemente livelli eccellenti di copertura della popolazione neonatale (6). Dalla metà degli anni '90 la totalità dei nati in Italia viene sottoposta a screening grazie all'esistenza di 25 centri di screening per la diagnosi precoce di IC, regionali o inter-regionali, dislocati su tutto il territorio nazionale (Legge n° 104 del 5/2/1992).
Il metodo più sensibile per lo screening è il dosaggio del TSH reflex, su piccolissime quantità di sangue prelevato e assorbito su speciale carta da filtro prima della dimissione dal reparto di nascita. Il metodo ottimale per diagnosticare anche i pazienti a rischio di ipotiroidismo centrale prevede anche il dosaggio di tiroxina totale (TT4) o libera (fT4), quando economicamente sostenibile.
Alcune categorie di neonati a rischio (nati pre-termine, neonati piccoli per l’età gestazionale, neonati in terapia intensiva neonatale) possono risultare falsamente negativi al primo test per CH, perché non in grado di sviluppare un’adeguata risalita del TSH in risposta al deficit ormonale tiroideo per immaturità dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, ma possono risultare positivi nelle successive settimane (2°-6° di vita). Vi è pertanto indicazione a ripetere lo screening a distanza di circa 10-14 giorni.
Per i pazienti con s. di Down (in cui la prevalenza di IC è aumentata di 14-21 volte rispetto alla popolazione generale, sia per la trisomia del cromosoma 21 sia per la possibile sovra-espressione del gene DYRK1A) lo screening dovrebbe essere eseguito alla 3°-4° settimana di vita, perché questi bambini, per concomitanti patologie cardiache o intestinali alla nascita, possono sviluppare inizialmente una forma di malattia non tiroidea, con scarsa salita del TSH e falsi negativi allo screening.
Per quanto riguarda i gemelli, si consiglia una soglia più bassa del TSH o lo screening più tardivo, per la possibile contaminazione con il sangue del gemello dello stesso sesso non affetto; inoltre, viene segnalato un possibile sviluppo di ipotiroidismo anche nel gemello apparentemente non affetto al primo screening.
L’aumento dei valori di TSH può essere tardivo anche nei casi di disormonogenesi da difetto del sistema DUOX.
Per quanto concerne le forme centrali, particolare attenzione si dovrebbe avere in caso di familiarità positiva per ipotiroidismo centrale o segni di ipopituitarismo (micro-pene, criptorchidismo, ipoglicemia, ittero prolungato, deficit di suzione inspiegato). In molti di questi casi, il difetto funzionale dell’asse tiroideo è meno grave dei difetti primari, tuttavia lo screening può essere giustificato anche dalla possibile diagnosi precoce e prevenzione di una eventuale crisi surrenalica da deficit combinato di ACTH (7,8).

 

DIAGNOSI

I neonati con alterazione dei test di screening dovrebbero essere inviati a un centro di riferimento.
Il test di screening dovrebbe essere seguito da un test di conferma su siero con dosaggio dei livelli di TSH e fT4.

 

Quando iniziare il trattamento:

  • immediatamente se i valori di fT4 sono sotto il range di normalità (fT4 < 5 pmol/L indicativo di forma grave, 5-10 pmol/L di forma moderata, 10-15 pmol/L di forma lieve) con TSH elevato o se il solo TSH è > 20 mU/L (quest’ultima raccomandazione è basata su opinione di esperti);
  • se invece i valori di TSH sono compresi tra 6 e 20 mU/L sotto i 21 giorni di vita, con fT4 nel range di norma, è possibile iniziare la terapia con L-T4 e rivalutare il quadro successivamente, oppure aspettare e ripetere gli esami di funzione tiroidea dopo 1-2 settimane (mancanza di studi randomizzati controllati a riguardo).

Nei paesi dove la conferma su siero non è immediata, valori di TSH allo screening su tallone > 40 mU/L richiedono l’immediato inizio della terapia con L-T4, perché indicativi di forma moderata-severa (opinione di esperti).
La diagnosi di IC centrale si basa sul rilievo di bassi valori di fT4 con TSH basso, normale o lievemente elevato; in questi pazienti la terapia con LT4 deve essere iniziata dopo aver escluso un concomitante iposurrenalismo centrale.
La terapia deve essere iniziata prima di eventuali accertamenti di diagnostica per immagini, che comunque è bene eseguire alla diagnosi per capire l’eziologia dell’IC.
L’ecografia tiroidea permette di stabilire se la ghiandola è in sede, le dimensioni e l’ecostruttura. È una procedura poco costosa e non espone alle radiazioni, ma è operatore-dipendente.
La scintigrafia può essere più informativa, soprattutto nei casi di disormonogenesi. Può essere eseguita con due diversi radioisotopi:

  • Tc-99 è meno costoso, più disponibile e veloce (acquisizione delle immagini 15 minuti dopo la somministrazione);
  • I-123 dà immagini di migliore qualità, è associato a minore radio-esposizione e permette di eseguire il test al perclorato.

La combinazione di ecografia e scintigrafia (dual-imaging) permette di ottenere la maggior quantità di informazioni, soprattutto nei casi di atireosi/ectopia ghiandolare. In Italia l’ecografia tiroidea è molto spesso eseguita alla nascita, mentre la scintigrafia tiroidea viene più spesso eseguita alla rivalutazione diagnostica.
Il test al perclorato serve a studiare la capacità iodio-ritentiva della ghiandola. È considerato positivo quando il discharge dello iodio supera il 10% della dose somministrata ed è un importante marcatore diagnostico per individuare disormonogenesi, insieme al dosaggio della tireoglobulina sierica.
Molte forme sindromiche possono presentarsi con IC (tabella 1).

 

Tabella 1
Cause sindromiche di
ipotiroidismo congenito primario
Sindrome Fenotipo Gene
Bamfoth-Lazarus Atireosi/ectopia con ipoplasia + palatoschisi e “spiky hair”, eventuale atresia delle coane FOXE1 (TITF-2)
Brain-Lung-Thyroid Atireosi/severa ipoplasia + disturbi neurologici variabili (tipo coreo-atetosi) e distress respiratorio NKX2-1 (TTF-1)
Alagille tipo 1 GIS, malformazioni cardiache JAG1
Williams-Beuren GIS o ipoplasia tiroidea con funzionalità residua varia + agenesia renale monolaterale/rene a ferro di cavallo, anomalie testicolari PAX8
Di George Ipoplasia tiroidea (50-70%), cardiopatie TBX1
Kabuki GIS, bassa statura, difetti cardiaci, gastro-enterici, neurologici, scheletrici, facies tipica MLL2 o KDM6A
Johanson-Blizzard GIS, alterazioni pancreas esocrino, sordità neuro-sensoriale UBR1
Pendred Gozzo e sordità neuro-sensoriale, predisposizione all’alcalosi SLC26A4
OMIM #610192 Ipotiroidismo e diabete mellito congeniti, rene policistico e colestasi GLIS3
OMIM #601614 Ectopia tiroidea, artro-griposi NTN1
OMIM #609977 Ectopia/emi-agenesia tiroidea CDCA8
OMIM #612901 Disgenesia tiroidea + tendenza alla formazione di macro-aggregati piastrinici TUBB1
GIS = ghiandola in situ

 

 

TRATTAMENTO

Il trattamento di scelta è la terapia con LT4, che deve essere iniziata entro le 2 settimane di vita o immediatamente dopo il test di conferma su siero. È stata, infatti, dimostrata una correlazione inversa tra quoziente intellettivo raggiunto ed età all’inizio della terapia (9). Tuttavia, anche se la diagnosi viene effettuata precocemente, consentendo una tempestiva istituzione della terapia sostitutiva, possono comunque essere rilevati effetti neurologici minori se il trattamento non viene ottimizzato nei primi due anni di vita (10).

 

Dosaggi di LT4:

  • IC grave (fT4 < 5 pmol/L): iniziare con 10-15 µg/kg/die;
  • IC lieve (fT4 > 10 pmol/L ma TSH elevato): trattare inizialmente con la dose minima (circa 10 µg/kg/die), anche inferiore (5-10 µg/kg/die) se fT4 è entro il limite inferiore dell’intervallo di riferimento;
  • pazienti con malformazioni cardiache importanti: si raccomanda di iniziare con il 50% della dose standard per il rischio di insufficienza cardiaca.

 

Formulazioni: gli autori raccomandano di utilizzare il brand e non il generico e di assumere la terapia insieme al cibo per aumentare la compliance (ma sempre alla stessa ora del giorno ed evitando di assumere cibi interferenti, come proteine della soia o fibre vegetali). La biodisponibilità delle formulazioni liquide è maggiore delle compresse e questo è da tenere in considerazione nel passaggio da una formulazione all’altra; inoltre, nel passaggio da formulazione orale a endovenosa, la dose deve essere ridotta dell’80%.

Tempi per il follow-up: il primo controllo deve avvenire 1-2 settimane dopo l’inizio del trattamento, poi ogni 3 mesi fino all’anno, poi ogni 2-4 mesi fino a 3 anni, poi ogni 3-6 mesi fino al completamento della crescita. Eseguire un controllo ematico 4-6 settimane dopo ogni cambio di dose.

Come monitorare la terapia: dosare TSH e fT4, prima dell’assunzione o 4 ore dopo l’ultima dose di LT4, mantenendo i valori nell’intervallo di riferimento età-specifico. Il dosaggio di LT4 deve essere ridotto se fT4 è elevato insieme a TSH soppresso (non ridurre sulla base del solo rialzo singolo di fT4) o se ci sono segni di ipertiroidismo (agitazione/tachicardia). La maggior causa di mancato ottenimento del target terapeutico è la scarsa compliance al trattamento, tuttavia un vero malassorbimento può dipendere da sindrome dell’intestino corto, celiachia, aumento dell’attività deiodinasica di voluminosi emangiomi epatici oppure concomitanti terapie interferenti che possono ridurre l’assorbimento (inibitori di pompa protonica, calcio, ferro) oppure aumentare la metabolizzazione (fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, rifampicina).

Ipotiroidismo centrale: subito dopo la diagnosi, la terapia deve essere iniziata alle stesse dosi del primario a seconda della gravità del difetto. L’fT4 deve essere mantenuto nel range alto di norma. Il dosaggio di TSH va eseguito in caso di sotto-dosaggio terapeutico (fT4 ai limiti inferiori di riferimento, TSH > 1 mU/L). Il dosaggio di fT3 va eseguito in caso di sospetto sovra-dosaggio, soprattutto se fT4 è sopra il limite superiore di norma in presenza di segni di tireotossicosi.

Rivalutazione diagnostica
Se alla nascita non è stata individuata una causa specifica di IC, è necessaria una rivalutazione a 2-3 anni di vita, soprattutto in caso di GIS o forme isolate di ipotiroidismo centrale. La rivalutazione può essere eseguita già a 6 mesi se il paziente ha una GIS e richiede una dose di LT4 < 3 µg/kg/die.
Per la rivalutazione si sospende la terapia tout-court, oppure scalando la dose in 4-6 settimane e misurando dopo 4 settimane i valori di TSH e fT4:

  • in caso di IC primario, se TSH > 10 mU/L si conferma la diagnosi e si approfondisce con ulteriori parametri di imaging;
  • in caso si confermi IC centrale, è necessario rivalutare gli altri ormoni antero-ipofisari;
  • se il TSH è sopra il limite superiore di riferimento ma < 10 mU/L, in caso di patologia primaria, o se fT4 è appena al di sotto dell’intervallo di normalità in caso di deficit centrale, si continua senza terapia e si monitora ogni 3-4 settimane.

 

Monitoraggio delle donne in gravidanza
Obiettivo:

  • IC primario: mantenere TSH < 2.5 mU/L;
  • IC centrale: mantenere fT4 nella metà superiore del range di norma per intervallo di normalità trimestre-specifico.

L’incremento posologico di LT4 nel corso della gravidanza è di circa il 30%. Dopo il parto, la posologia di ormone tiroideo dovrebbe tornare a quella pre-concepimento.
Per la valutazione del volume tiroideo fetale si consigliano ecografia tiroidea alla 20°-22° settimana di gestazione. Per la valutazione della funzionalità tiroidea fetale viene consigliata la cordocentesi e non l’amniocentesi. Se la madre è ipotiroidea, è consigliato trattare la madre, mentre se solo il feto è ipotiroideo e ha un associato iperidramnios, si consigliano iniezioni intra-amniotiche di LT4 per ridurre il volume del gozzo fetale.

 

ESITI SUL BAMBINO IN CRESCITA

Il bambino deve essere monitorato dal punto di vista:

  • neuro-psichiatrico: ritardo psico-motorio, deficit dell’udito (anche periodicamente);
  • ecografico ogni 2-3 anni per il rischio di sviluppo di gozzo e noduli con potenziale maligno, soprattutto in caso di disormonogenesi, come in caso di mutazione dei geni TPO, SLC5A5/NIS, SLC26A4/PDS, DUOX, TG.

 

GENETICA (11)

Lo scopo della genetica è perfezionare la diagnosi, il trattamento e la prognosi e deve essere eseguito, quando possibile, con tecniche come l’array-CGH (Comparative Genomic Hybridization), l’NGS (Next Generation Sequencing) o la WES (Whole Exome Sequencing). Il counseling genetico, raccomandato per famiglie con almeno un membro affetto, deve essere orientato in base al fenotipo del paziente e deve includere il rischio di trasmissibilità.
I geni implicati nella disormonogenesi dell’IC primario sono descritti in tabella 2.

 

Tabella 2
Geni implicati nella resistenza al TSH o disormonogenesi con GIS
Gene Sindrome Fenotipo tiroideo
TSH-R Resistenza al TSH Atireosi/GIS con gozzo, captazione scintigrafica moderata
GNAS Pseudoipoparatiroidismo tipo 1A Ipoplasia tiroidea, ipotiroidismo moderato
SLC5A5 (NIS) Deficit di trasporto dello iodio GIS (volume normale o gozzo), captazione assente alla scintigrafia
SCLC26A4 (PDS) Deficit di pendrina Gozzo, captazione scintigrafica elevata, test al perclorato negativo
TPO Deficit di tireo-perossidasi Difetto di organificazione completo, gozzo, captazione scintigrafica elevata, test al perclorato positivo con discharge totale, ipotiroidismo severo
TG Deficit di tireoglobulina Gozzo, captazione scintigrafica presente, risposte variabili al test al perclorato (negativo o positivo), valori di tireoglobulina sierica indosabili
DUOX1/DUOX2 Deficit del sistema di generazione dei perossidi Difetto di organificazione parziale o completo, gozzo, forme transitorie o permanenti, captazione scintigrafica presente con discharge parziale del perclorato
DUOXA2 Deficit della proteina del reticolo endoplasmatico necessaria per la maturazione della proteina DUOX2 Gozzo, difetto di organificazione parziale o completo, talora forme transitorie
IYD (DEHAL1) Deficit di iodotirosina-deiodinasi GIS (volume normale o gozzo), captazione presente, test al perclorato negativo, ioduria bassa, ipotiroidismo variabile
SLC26A7 Deficit di trasportatore dei solfati Gozzo, vari gradi di ipotiroidismo

 

Per quanto riguarda l’ipotiroidismo centrale, vengono citate le mutazioni di TSH-ß (caratterizzate da ipotonia, ittero, ernia ombelicale, macroglossia), TRH-R, IGSF1, TBL1X, IRS4, PROP1, POU1F1, HESX1, SOX3, OTX2, LHX3, LHX4, LEPR, SOX2, PROKR2, NFKB2, CHD7, FGFR1, FGF8, FOXA2.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Dussault JH, Coulombe P, Laberge C, et al. Preliminary report on a mass screening program for neonatal hypothyroidism. J Pediatr 1975, 86: 670-4.
  2. Olivieri A, Stazi MA, Mastroiacovo P, et al. A population-based study on the frequency of additional congenital malformations in infants with congenital hypothyroidism: data from the Italian Registry for Congenital Hypothyroidism (1991-98). J Clin Endocrinol Metab 2002, 87: 557-62.
  3. Grüters A, Krude H. Detection and treatment of congenital hypothyroidism. Nat Rev Endocrinol 2012, 8: 104-13.
  4. Rastogi MV, LaFranchi SH. Congenital hypothyroidism. Orphanet J Rare Dis 2010, 5: 17.
  5. van Trotsenburg P, Stoupa A, Léger J, et al. Congenital hypothyroidism: a 2020-2021 consensus guidelines update - An ENDO-European Reference Network initiative endorsed by the European Society for Pediatric Endocrinology and the European Society for Endocrinology. Thyroid 2021, 31: 387-419.
  6. Cassio A, Corbetta C, Antonozzi I, et al. The Italian screening program for primary congenital hypothyroidism: actions to improve screening, diagnosis, follow-up, and surveillance. J Endocrinol Invest 2013, 36: 195-203.
  7. Persani L, Brabant G, Dattani M, et al. 2018 European Thyroid Association (ETA) guidelines on the diagnosis and management of central hypothyroidism. Eur Thyroid J 2018, 7: 225-37.
  8. Braslavsky D, Méndez MV, Prieto L, et al. Pilot neonatal screening program for central congenital hypothyroidism: evidence of significant detection. Horm Res Paediatr 2017, 88: 274-80.
  9. LaFranchi SH, Austin J. How should we be treating children with congenital hypothyroidism? J Pediatr Endocrinol 2007, 20: 559-78.
  10. Bongers-Schokking JJ, de Muinck Keizer-Schrama SM. Influence of timing and dose of thyroid hormone replacement on mental psychomotor, and behavioural development in children with congenital hypothyroidism. J Pediatr 2005, 147: 768-74.
  11. Persani L, Rurale G, de Filippis T, et al. Genetics and management of congenital hypothyroidism. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2018, 32: 387-96.
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Piernicola Garofalo
UOC Endocrinologia, AOR Villa Sofia - V. Cervello, Palermo

 

L'ipotiroidismo è una delle malattie endocrine di più frequente riscontro in età pediatrica.
Ne esistono due forme: una congenita e una acquisita o a insorgenza post-natale.

 

EPIDEMIOLOGIA

La reale incidenza e prevalenza dell'ipotiroidismo acquisito, in Italia, non è ben documentata. Uno studio del 2000 di Hunter e coll. mostra come in Inghilterra la prevalenza dell'ipotiroidismo, in base alla prescrizione di tiroxina nei diversi gruppi di età, aumenta con l'aumentare dell'età, con un picco nella fascia tra i 16 e i 19 anni.
In Italia non è attivo un registro dell'ipotiroidismo acquisito.

 

CLASSIFICAZIONE

L'ipotiroidismo acquisito può riconoscere molteplici cause. Nella classificazione classica si può distinguere l'ipotiroidismo primitivo, dovuto a patologie che interessano direttamente la tiroide, e l'ipotiroidismo secondario o terziario se, rispettivamente, si tratta di patologie a carico dell'ipofisi o dell'ipotalamo.

 

Classificazione dell'ipotiroidismo acquisito
Primitivo Tiroiditi Tiroidite cronica linfocitaria o autoimmunitaria
Tiroidite subacuta di De Quervain
Tiroidite silente
Deficit o eccesso di iodio (sostanze o farmaci gozzigeni)
Irradiazione o chirurgia tiroidea
Malattie infiltrative o da accumulo Cistinosi
Emocromatosi
Istiocitosi X
Amiloidosi
Secondario o terziario Tumori ipotalamo/ipofisari (specie craniofaringioma)
Anomalie congenite
Terapia radiante/chirurgica (tumori cerebrali)
Processi infiltrativi/granulomatosi (sarcoidosi)

 

Tiroidite cronica di Hashimoto
La tiroidite di Hashimoto è la causa più frequente di ipotiroidismo acquisito e di gozzo in età pediatrica. Alla diagnosi, la funzione tiroidea è variabile, con quadri clinici che vanno dall'eutiroidismo, all'ipotiroidismo subclinico o a quello conclamato. Più rare sono le forme che esordiscono con ipertiroidismo. Tuttavia è frequente l'evoluzione, spesso lenta, verso una ridotta funzionalità tiroidea.
La malattia colpisce preferenzialmente il sesso femminile (F/M = 5:1) e rappresenta la causa più frequente di ipotiroidismo acquisito in età pediatrica. E' più frequente in soggetti affetti da altre patologie del sistema autoimmune (diabete, celiachia, psoriasi, vitiligine, alopecia, iposurrenalismo, piastrinopenia). La sua frequenza è maggiore nelle sindromi di Turner, di Down e di Klinefelter.
E' stata dimostrata una predisposizione genetica (associazione con HLA-DR3) e sembra  che l'esposizione agli estrogeni ne aumenti l'incidenza. Una familiarità talora misconosciuta è presente in oltre il 90 % dei casi. La tiroidite cronica di Hashimoto è una malattia a patogenesi autoimmune caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi anti- tiroide a titolo elevato nel siero dei pazienti affetti:

  • i TPOAb (anticorpi anti-tireoperossidasi, presenti in oltre il 90% dei casi) diretti contro uno dei maggiori antigeni tiroidei, svolgono un ruolo determinante nella patogenesi della tiroidite di Hashimoto e dell'ipotiroidismo che spesso ne consegue.
    I TPOAb, infatti, possono danneggiare le cellule follicolari tiroidee, fissando il complemento o attivando cellule natural killer, responsabili della citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata (ADCC).
  • i TgAb (anticorpi anti-tireoglobulina, presenti nel 50-60% dei casi), pur non fissando il complemento, formano immunocomplessi con la tireoglobulina, che si depositano lungo la membrana dei follicoli tiroidei attivando il complemento.
  • possono riscontrarsi inoltre anticorpi anti-recettore del TSH di tipo "bloccante" (TSH-blocking-Ab), responsabili della variante atrofica, oppure, anticorpi anti-recettore del TSH "stimolanti" (TSHRAb), responsabili del transitorio o a volte permanente ipertiroidismo che, raramente, si riscontra nei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto (hashitossicosi o ipertiroidite).

La diagnosi si fonda sul riscontro degli autoanticorpi tiroidei, elevati, e sull'esame ecografico, che è diagnostico di malattia autoimmune tiroidea, evidenziando la caratteristica "ipoecogenicità parenchimale a zolle", talvolta con aspetto pseudo-nodulare, espressione di cronico e progressivo danno autoimmune ghiandolare. Più semplicemente, la tiroide assume ecograficamente un caratteristico aspetto maculato "a pelle di leopardo". Nelle forme più severe e avanzate di tiroidite autoimmune l'ecografia può evidenziare una ghiandola tiroidea completamente ipoecogena (pattern dark gland), svuotata dalle strutture follicolari, oppure, una tiroide atrofica ad evoluzione fibrotica con strie iperecogene.

 

Tiroidite subacuta di De Quervain
È la seconda forma più comune di infiammazione che può causare ipotiroidismo. Trattasi comunque di una forma transitoria di ipofunzione ghiandolare con completo ripristino funzionale alla guarigione. L'incidenza non è conosciuta, ma è sicuramente sottostimata. L’eziologia è virale: la Tiroidite Subacuta insorge a seguito di parotite epidemica, sindromi influenzali/parainfluenzali.
L’esordio clinico è caratteristicamente brusco, raramente insidioso. Il sintomo emblematico d’esordio è il dolore acuto e intenso in emiloggia tiroidea destra o sinistra, che tipicamente si irradia omolateralmente alla mandibola e all’orecchio (potendo simulare una faringite o un’otite), persino alla nuca, con viva dolorabilità durante la deglutizione, la tosse e l’estensione o latero-deviazione del collo. Spesso è presente febbre moderata/alta con malessere generale, poliartromialgie, astenia.
Da un punto di vista laboratoristico, si può osservare un aumento di VES e PCR, più un modesto e incostante aumento dei TPOAb e dei TgAb, ed è caratterizzata da un ipertiroidismo iniziale seguito da modico ipotiroidismo transitorio.
Il pattern ecografico è polimorfo: di solito si repertano una o più aree ipoecogene disomogenee, in ragione delle varie fasi di sviluppo della malattia. L'ecografia è utile nella determinazione della guarigione.
La terapia si basa sull'uso di steroidi per 6-12 settimane, mentre abitualmente non è necessario instaurare terapia sostitutiva con L-Tiroxina.

 

Deficit o eccesso di iodio (sostanze o farmaci gozzigeni)
Una severa e protratta carenza iodica può determinare ipotiroidismo. Il deficit di iodio può essere determinato da un insufficiente apporto con la dieta, ma anche da diversi tipi di farmaci (anti-tiroidei, anti-epilettici, litio e interferone) e, seppur raramente, da alimenti che inibiscono l'assorbimento di iodio.
Anche un eccesso di iodio può causare un blocco tiroideo, tramite l'effetto di Wolff-Chaikoff, per cui bisogna fare attenzione a disinfettanti iodurati (soprattutto nei neonati), creme e prodotti orali dimagranti a base di iodio (di frequente utilizzo in età adolescenziale), alghe marine e tiroxina.

 

Cause di ipotiroidismo centrale
Patologie che interessano l’ipofisi o l’ipotalamo, sia congenite che acquisite, tumori come il craniofaringioma, danni da radioterapia per altri tumori, malattie granulomatose, malattie infettive come la meningite, interventi chirurgici o traumi, possono alterare il sistema di regolazione TRH-TSH-tiroide e determinare ipotiroidismo. Di solito sono presenti altri deficit di funzionalità ipofisaria.

 

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Le caratteristiche cliniche dell' ipotiroidismo acquisito nell'età pediatrica, non neonatale, sono molteplici, e spesso subdole: il quadro può anche essere, infatti, sfumato e di difficile interpretazione. I bambini affetti giungono, in genere, all'osservazione per il rallentamento della velocità di crescita, o più raramente per la comparsa di gozzo. Se l'ipotiroidismo è severo e di lunga durata, si possono osservare i segni tipici dell'alterazione ormonale:

  • mixedema, gozzo e voce rauca
  • ritardo della maturazione ossea e dentale, sproporzione tronco-arti
  • letargia, ipotonia, riflessi torpidi, stipsi, umore depresso
  • intolleranza al freddo
  • pelle secca, pallida, perdita di capelli e irsutismo
  • difficoltà di concentrazione e di memoria.

Il ritardo di crescita lineare, spesso presente alla diagnosi e che nella maggior parte viene recuperato nei primi anni di terapia,  sarà dipendente dall'epoca della diagnosi e  dalla tempestività della terapia sostitutiva. Nonostante in passato ci sia stato un dibattito su possibili differenze di crescita lineare sulla base della natura dell'ipotiroidismo, al momento non ci sono evidenze che consentano di prevedere un diverso andamento clinico  sulla base di eziologie diverse di ipotiroidismo.
Il persistere della condizione di ipotiroidismo, se non diagnosticato e adeguatamente trattato, potrà determinare ritardo puberale e non infrequentemente  un anticipo puberale per l'azione di trascinamento svolta dal TSH sulla Prolattina e sull'FSH, e deficit funzionali cardiaci (ingrandimento cardiaco e bradicardia, versamento pericardico).

 

DIAGNOSI

L'esame principale che depone per l'inizio dell'insufficienza funzionale tiroidea è il TSH:

  • nell'ipotiroidismo acquisito primario, oltre ovviamente ad una diminuzione dell'FT4, troveremo il TSH aumentato;
  • in caso di ipotiroidismo acquisito secondario o terziario, invece, diminuiscono notevolmente sia l'FT4 che il TSH;
  • un incremento di TSH con normalità degli ormoni tiroidei FT4 ed FT3 fa porre diagnosi di ipotiroidismo subclinico.

 

TERAPIA

Consiste nel trattamento sostitutivo con L-tiroxina, con dosi che vanno corrette sul singolo paziente, tenendo conto dell'età e del peso.
Il dosaggio periodico del TSH (solo nelle forme prìmarie) consente il corretto follow-up della malattia e permette di variare periodicamente la dose di ormone tiroideo da somministrare.
L'opportunità di trattare l'ipotiroidismo subclinico è attualmente controversa. C'è un consenso clinico diffuso nell'affermare che non esiste attualmente un trattamento che ne impedisca l'evoluzione verso l'ipotiroidismo franco. Alcuni giustificano la terapia sostitutiva prima che si instauri un vero e proprio ipotiroidismo, al fine di prevenire la formazione del gozzo. Altri autori preferiscono un atteggiamento di attesa con controllo periodico di FT4 e TSH e avvio della terapia in caso di evoluzione verso l'ipotiroidismo conclamato. Al momento non esistono evidenze scientificamente validate che consentano di scegliere l'uno o l'altro atteggiamento visto che la maggior parte degli studi sono osservazionali o basati sulle esperienze dei singoli centri.

 

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Roberto Negro
UO Endocrinologia, PO “V. Fazzi”, Lecce

(aggiornato al 4 gennaio 2021)

 

ADATTAMENTI FISIOLOGICI DELLA TIROIDE IN GRAVIDANZA
Lo stato di gravidanza esercita una profonda influenza sulla tiroide e la sua funzione. Dall'inizio della gravidanza si realizza un aumento del filtrato glomerulare, con conseguente aumento della clearance dello iodio e riduzione della concentrazione plasmatica di iodio. A partire dalla fine del I trimestre inizia inoltre il passaggio trans-placentare dello iodio, necessario per la sintesi fetale di iodotironina.
Vi è inoltre da considerare che l'aumento di concentrazione della Thyroxine Binding-Globulin (TBG), secondario all'incremento degli estrogeni, comporta un relativo aumento di T4 e corrispondente riduzione di FT4 (1).
Un altro importante elemento che condiziona la funzione della tiroide in gravidanza è rappresentato dall'azione tireotropa esercitata dall'hCG. hCG e TSH possiedono omologie strutturali che consentono all'hCG una intrinseca, seppur debole, attività di stimolo sulla tiroide (il rapporto di potenza hCG/TSH è stimato circa 1/100). L'azione diretta di stimolo dell'hCG sulla tiroide induce nel I trimestre un relativo aumento di produzione di ormone tiroideo, con speculare riduzione del TSH. Tale quadro implica che, applicando i limiti di riferimento validi per la popolazione generale, fino al 20% delle donne gravide può mostrare valori di TSH al di sotto della norma. L’effetto tireotropo esercitato dall’hCG è confermato dal caso delle gravidanze gemellari: poiché le concentrazioni di hCG sono maggiori nelle gravidanze gemellari, la riduzione del TSH è maggiore in queste, rispetto a quelle singole. In uno studio che ha riguardato 63 gravide il TSH è risultato ≤ 0.2 mIU/L nel 67% dei casi con concentrazione di hCG > 200.000 IU/L e nel 100% dei casi allorché hCG era > 400.000 IU/L (2). Gli adattamenti fisiologici ai quali va incontro la tiroide di una donna in gravidanza sono testimoniati dalla correlazione positiva fra livelli di hCG e livelli di FT4 e dalla correlazione negativa fra livelli di hCG e livelli di TSH. Questi reciproci rapporti non sono più significativi in caso di positività per AbTPO. In questo caso, infatti, la tiroide, che è caratterizzata da una ridotta riserva funzionale, esprime una ridotta risposta all’azione stimolatoria da parte dell’hCG ed espone la paziente al rischio di ipotiroidismo (3).
In concreto, rispetto ai limiti di riferimento validi per la popolazione generale, si verifica una riduzione di TSH pari a circa 0.1-0.2 mIU/L per il limite superiore e circa 0.5-1.0 mIU/L per il limite inferiore.
Le linee guida ATA 2017 riconoscono pertanto che in una paziente gravida, negativa per anticorpi anti-tiroide, è accettabile un limite superiore di normalità del TSH pari a 4.0 mIU/L (4).
La maggior parte degli studi riporta inoltre una sostanziale riduzione di FT4 con il progredire della gravidanza (sebbene l’aumento della TBG e la riduzione della concentrazione di albumina possano rendere il dosaggio di FT4 non completamente affidabile e riproducibile) (5). Deve inoltre essere tenuto in conto che i limiti di riferimento per FT4 comunemente disponibili sono riferiti alla popolazione generale (non gravida) e non esistono limiti di riferimento trimestre-specifici. I dati forniti dalla letteratura indicano che il limite inferiore (2.5° percentile) è attorno a 0.8 ng/dL (6). Allo stato attuale quindi, il TSH rimane l'indicatore più affidabile dello stato di funzionalità tiroidea.

 

DEFINIZIONE DI IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
La prevalenza dell'ipotiroidismo franco (definita dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 inferiore al limite, oppure da valore di TSH > 10.0 mIU/L, indipendentemente dal valore di FT4) è di circa lo 0.5%, mentre quella dell'ipotiroidismo subclinico (definito dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 nei limiti della norma) è di circa il 3.5-4.0% (7).
Un'altra entità clinica è poi rappresentata dalla cosiddetta ipotiroxinemia isolata, condizione nella quale si rilevano valori di FT4 inferiori alla norma in presenza di normali valori di TSH.

 

COMPLICANZE ASSOCIATE ALL’IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
Ipotiroidismo franco
Da studi retrospettivi e caso-controllo emerge chiaramente che la condizione di ipotiroidismo franco è associata ad aumentata incidenza di aborto spontaneo, parto pre-termine, morte fetale endo-uterina, ipertensione gestazionale e pre-eclampsia, basso peso alla nascita, ridotto quoziente intellettivo (QI) nella progenie (8). Per contro, riguardo alle complicanze ostetriche legate all'ipotiroidismo, è importante notare che due studi, che hanno coinvolto rispettivamente 419 e 1102 pazienti ipotiroidee trattate con L-T4, non hanno riscontrato un'aumentata incidenza di ipertensione gestazionale, pre-eclampsia, basso peso alla nascita e parto pre-termine (9,10).
Il ridotto QI in bambini nati da madri ipotiroidee è stato dimostrato da vecchi lavori di Man e successivamente confermato da Haddow. In quest’ultimo studio (retrospettivo), gli autori hanno selezionato 62 pazienti gravide con valori di TSH > 98° percentile. La progenie è stata sottoposta a test psicometrici per la valutazione del QI (Wechsler Intelligence Scale for Children - WISC III) all'età di 7-9 anni. I risultati hanno evidenziato che il QI era più basso di 4 punti nei casi rispetto ai controlli e il QI era < 85 nel 15% dei casi contro il 5% dei controlli. Delle 62 pazienti ipotiroidee, 48 non erano state trattate con L-T4: nei bambini di queste pazienti non trattate il QI era di 7 punti inferiore ai controlli (P = 0.005) ed era < 85 nel 19% dei casi (11). I dati disponibili confermano dunque la necessità di trattare con terapia sostitutiva la gravida ipotiroidea.

Ipotiroidismo subclinico
I dati sono più controversi: in alcuni studi sono state associate complicanze, quali aborto, ipertensione gestazionale, diabete gestazionale, parto pre-termine, rottura di placenta, basso peso neonatale, che non sono state confermate in altri studi (12).
Uno degli studi più importanti nel campo dell’ipotiroidismo subclinico in gravidanza è quello pubblicato da Casey et al nel 2017 (13). Si tratta di un trial clinico randomizzato, nel quale gli autori hanno selezionato pazienti gravide entro la 20° settimana, affette da ipotiroidismo subclinico (definito come TSH ≥ 4.0 mU/L e normale FT4 [0.86–1.90 ng/dL]) o ipotiroxinemia isolata (definita come TSH normale [0.08–3.99 mU/L] ed FT4 basso [< 0.86 ng/dL]). In trial separati per le due condizioni patologiche, 677 donne nel gruppo ipotiroidismo subclinico e 526 donne nel gruppo ipotiroxinemia isolata sono state randomizzate, rispettivamente alla 16.7° settimana (media) e alla 17.8° settimana (media), a ricevere L-T4 o placebo. In entrambi i trial non si osservava significativa differenza in qualsiasi evento avverso ostetrico-neonatale fra i gruppi trattati con L-T4 o con placebo.
Per quanto riguarda nello specifico il rischio di aborto spontaneo, alcuni studi hanno evidenziato una relazione fra aumento di TSH e aumentato rischio di aborto. È stato, infatti, osservato che pazienti AbTPO negative con TSH nel I trimestre compreso fra 2.5-5.0 mU/L presentavano un tasso di abortività maggiore rispetto a donne con TSH < 2.5 mU/L (6.1% vs 3.6%, P = 0.006) (14); pazienti andate incontro ad aborto presentavano nel I trimestre TSH > 97.5° percentile nel 5.9% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05), e valori di FT4 < 2.5° percentile nel 5% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05) (15). Infine, uno studio inglese retrospettivo ha osservato che il valore di TSH pre-gravidico > 4.5 mIU/L determinava un significativo rischio di aborto spontaneo (16). Di contro, uno studio prospettico statunitense non ha osservato aumento di aborto spontaneo con TSH > 2.5 mIU/L (con o senza anticorpi) e un altro studio retrospettivo di coorte non ha rilevato beneficio derivante dalla terapia con L-T4 nelle pazienti con TSH 2.5-4.0 mIU/L, ma solo in quelle con TSH 4.0-10.0 mIU/L (17,18).
Ad oggi, due soli studi prospettici di intervento hanno valutato i possibili benefici della terapia con L-T4 in pazienti con ipotiroidismo subclinico. Nel primo, pazienti AbTPO positive e TSH compreso fra 0.27-4.2 mIU/L hanno beneficiato della terapia sostitutiva in termini di aborto spontaneo e parto pre-termine (19); nel secondo studio, che ha coinvolto più di 4000 pazienti, si è osservato che le pazienti con ipotiroidismo subclinico (TSH > 2.5mIU/L e positive per AbTPO) trattate con L-T4 presentavano un tasso di complicanze (end-point composito) significativamente più basso rispetto a quelle non trattate (rapporto complicanze/paziente di 0.74 vs 1.67) (P < 0.05) (20).
Per quanto riguarda l’associazione fra ipotiroidismo subclinico e parto pre-termine, i dati forniti dalla letteratura sono contrastanti. I risultati contraddittori in questo ambito sono in larga parte dovuti al fatto che in alcuni studi venivano considerate sia pazienti con ipotiroidismo franco che subclinico, in altri il numero di pazienti reclutate era limitato, e inoltre i criteri utilizzati per la diagnosi di ipotiroidismo (cut-off del TSH) sono stati diversi di volta in volta. Uno studio interessante ed esplicativo in tal senso ha confrontato l’utilizzo di due diversi cut-off di TSH: mentre utilizzando un cut-off di 2.5 mIU/L non vi era associazione con il parto prematuro, se veniva utilizzato un limite di 4.0 mIU/L si osservava un aumento di rischio per parto pre-termine pari a 1.9 volte e 2.5 volte, alla 37° settimana e 34° settimana, rispettivamente. Questa associazione non era più significativa se venivano escluse le pazienti AbTPO positive (21). Una recente metanalisi, utilizzando i dati individuali di 47.045 pazienti provenienti da 19 coorti, ha evidenziato come il parto pre-termine fosse significativamente aumentato nelle pazienti con ipotiroidismo subclinico (OR 1.29, IC95% 1.01-1.64), con ipotiroxinemia isolata (OR 1.46, IC95% 1.12-1.90) e con autoimmunità tiroidea (OR 1.33 IC95% 1.15-1.56) (22).
Un altro importante tassello nella comprensione delle complicanze associate all’ipotiroidismo subclinico viene offerto da due trial clinici randomizzati che hanno valutato il QI nei figli nati da madre con ipotiroidismo subclinico. Il primo studio, condotto nel Regno Unito, ha esaminato all'età di 3 anni il QI di bambini nati da madri affette da elevato TSH e/o basso FT4, divise in due gruppi, dei quali uno sottoposto a trattamento con L-T4. Lo studio ha dimostrato che in donne gravide con grado lieve di ipotiroidismo subclinico, la terapia sostitutiva con L-T4, a partire dalla 13° settimana, non dà luogo a miglioramento nel QI della progenie (23). Il secondo studio è quello già citato di Casey: la terapia con L-T4 non ha dimostrato un vantaggio nel QI della progenie, esaminata all’età di 5 anni, sia nel gruppo ipotiroidismo subclinico che in quello ipotiroxinemia isolata (13).

Ipotiroxinemia isolata
Questa condizione esercita effetti potenzialmente deleteri sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del feto, soprattutto nel I trimestre. La tiroide fetale inizia ad essere funzionale a partire dalla fine del I trimestre e, pertanto, per tutto il I trimestre lo sviluppo del feto è interamente dipendente dall’apporto materno di FT4. In uno studio condotto in Olanda su 3659 bambini, le cui madri erano state testate nel I trimestre per TSH, FT4, AbTPO, all'età di 18 e 30 mesi è stato osservato un ritardo del linguaggio e delle performance cognitive non-verbali nel caso di FT4 materna al di sotto del 5° e del 10° percentile (24).
Due studi di intervento, volti alla prevenzione dell’ipotiroxinemia tramite supplementazione iodica ad un dosaggio compreso fra 200 e 300 μg/die, hanno dimostrato che i bambini nati da madri ipotiroxinemiche mostravano peggiori performance psico-motorie, rispetto alle pazienti supplementate (25,26).

 

TERAPIA SOSTITUTIVA CON L-T4 IN GRAVIDANZA
Le linee guida ATA 2017 (4) forniscono indicazioni nelle diverse categorie di pazienti (tabella).

 

Indicazioni al trattamento con L-T4
(non sono indicati preparati contenenti T3)
TSH (mIU/L) Ab negativi Ab positivi
> 10 Raccomandato Raccomandato
4.0-10.0 Può essere considerato Raccomandato
2.5-4.0 Non è raccomandato Può essere considerato

 

Allorché la diagnosi di ipotiroidismo avviene in occasione della gravidanza, è necessario normalizzare i valori di TSH il più rapidamente possibile, iniziando direttamente con il dosaggio sostitutivo pieno di tiroxina in relazione al livello di TSH (12):

  • 2.5-5.0 mIU/L: iniziare con 50 µg/die;
  • 5.1-8.0 mIU/L: iniziare con 75 µg/die;
  • > 8.0 mIU/L: iniziare con 100 µg/die.

Nelle pazienti con tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in terapia sostitutiva, che siano in età fertile o che abbiano in programma una gravidanza, è utile mantenere il TSH pre-concepimento al di sotto di 2.5 mIU/L. Poiché lo stato di gravidanza è caratterizzato da un’aumentata richiesta di ormone tiroideo, è indicato aumentare il dosaggio di L-T4 ad inizio di gravidanza rispetto al dosaggio pre-gravidico:

  • nelle pazienti con ipotiroidismo autoimmune del 30%;
  • nelle pazienti tiroidectomizzate nell’ordine del 50%.

È utile a tal proposito che le pazienti affette da tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in trattamento vengano adeguatamente informate sulla necessità di verificare lo stato di gravidanza alla prima assenza di flusso mestruale, e consultare quindi l'endocrinologo o effettuare l'aumento di L-T4 autonomamente.
Successivamente i controlli di funzionalità tiroidea dovrebbero essere eseguiti ogni 4-6 settimane fino a metà gravidanza e poi intorno alla 26° e 32° settimana.
Dopo il parto, il dosaggio di L-T4 deve essere riportato a quello pre-gravidico. Non sono necessari particolari accertamenti nel neonato, in aggiunta allo screening per ipotiroidismo congenito, già previsto per legge.

La necessità di trattare con L-T4 le pazienti ipotiroxinemiche nel I trimestre è ancora in dubbio. Nei due trial clinici di Lazarus e Casey, il QI dei bambini le cui madri erano ipotiroxinemiche non è risultato significativamente diverso fra le madri trattate e non trattate, sebbene vada considerato che in entrambi gli studi la settimana media del reclutamento delle pazienti era oltre la 12° (13,22). La terapia sostitutiva va comunque considerata, anche secondo le linee guida ETA, solo nel I trimestre (non nel II e III) (5).

 

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