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Cassandra Crescenti
Ambulatorio Diabetologia-Endocrinologia, SOC Diabetologia, Azienda Sanitaria Firenze

 

La modifica dello stile di vita, in particolare l’implementazione dell’attività fisica moderata, è fondamentale nella prevenzione e cura del diabete mellito; eppure, di recente il DAWN Project Italia, patrocinato da Ministero della Salute, IDF e Diabete Italia, attraverso un’indagine demoscopica ha evidenziato che l’attività fisica è lo strumento terapeutico meno utilizzato per la prevenzione e la terapia del diabete mellito di tipo 2 dalle realtà assistenziali diabetologiche italiane (1).
Il dispendio energetico totale giornaliero umano (2) è dato anche dalla termogenesi dovuta ad attività non associabile all’esercizio fisico (acronimo anglosassone NEAT); NEAT rappresenta il dispendio energetico di tutte le attività fisiche diverse da quelle volontarie e programmate, p.e. camminare, muoversi, parlare, agitarsi, fare piccoli lavori, ecc. In pratica è il dispendio energetico legato a tutti i movimenti ordinari e quotidiani che sono eseguiti abitualmente; è intuitivo che sarebbe intanto da favorire un comportamento che dia la preferenza, nelle attività quotidiane, all’uso dei propri muscoli rinunciando all’uso di macchine (3).
Per “attività fisica” si intende il movimento corporeo dato dalla contrazione di muscoli scheletrici, che richiede una spesa energetica in eccesso rispetto alla spesa energetica a riposo, mentre è “esercizio fisico” il movimento corporeo programmato, strutturato e ripetuto, eseguito per migliorare o mantenere una o più componenti in buona forma fisica. Per “esercizio aerobico” si intende l’esecuzione di movimenti ritmici, ripetuti e continui degli stessi grandi gruppi muscolari per almeno 10 minuti ciascuno (p.e. camminare, andare in bicicletta, corsa lenta, nuoto, esercizi aerobici acquatici e molti sport); infine per “esercizio contro resistenza” si intende un’attività che utilizzi la forza muscolare per muovere un peso o lavorare contro un carico che offre resistenza (rapporto Surgeon General “Attivita fisica e salute”, 1996)(2).
Per migliorare il controllo glicemico, mantenere ottimale il peso corporeo e ridurre il rischio di malattia cardiovascolare sono consigliati almeno 150 minuti/settimana di attività fisica aerobica moderata (50-70% della frequenza cardiaca max) e/o almeno 90 minuti/settimana di esercizio fisico intenso (> 70% della frequenza cardiaca max). L’attività fisica deve essere distribuita in almeno 3 giorni/settimana, evitando più di 2 giorni consecutivi senza attività (livello della prova I, forza della raccomandazione A)(2).
Tutte le persone con diabete mellito di tipo 2 dovrebbero praticare una regolare attività fisica, prevalentemente aerobica, con un dispendio energetico di 200-300 kcal/die (livello della prova III, forza della raccomandazione B)(3). L’attività fisica aerobica consente uno sforzo costante ma non eccessivo, con meno rischi di ipoglicemia; quanto più prolungata è l'attività fisica, tanto più accentuata può essere la diminuzione della glicemia; di contro, il rischio di ipoglicemia diminuisce più l'attività è aerobica e migliore è l'allenamento (3).
Un diabetico di tipo 2 che pratica un’attività fisica di media intensità, 2-3 volte/settimana non necessita, specie se in sovrappeso, di variare il suo piano dietetico; sfrutta un ottimo strumento terapeutico per ridurre l’insulino-resistenza (per una modifica del rapporto massa grassa-massa magra), consentendo talvolta persino di diminuire il dosaggio dei farmaci ipoglicemizzanti. Inoltre, la costante pratica dell’attività fisica favorisce modifiche comportamentali, che permettono altre correzioni dello stile di vita (p.e. sospensione del fumo di sigaretta, maggiore aderenza dietetica); il tutto si traduce in una riduzione del rischio cardiovascolare globale (3). Non è raccomandato l’utilizzo del test da sforzo in soggetti asintomatici a basso rischio di coronaropatia, intenzionati a intraprendere un programma di attività fisica (livello della prova VI, forza della raccomandazione D) (2).
In particolare, per la persona con diabete mellito di tipo 1 è necessario evitare l'attività fisica in corso di chetosi o di iperglicemia marcata, conoscere le procedure per trattare possibili ipoglicemie intercorrenti o tardive post-esercizio fisico per mancato adeguamento dell'insulina o, di contro, iperglicemie paradosse.
In considerazione del maggior dispendio energetico talora anche legato al lavoro anaerobico (trattandosi di giovani) spesso a elevata performance fisica, è importante sapere che l’attività fisica determina un’incrementata captazione del glucosio a livello muscolare, che necessita di opportune integrazioni di carboidrati di circa 30-60 g/h (livello della prova I, forza della raccomandazione B). Se il compenso glico-metabolico non fosse ottimale, le aggiunte alimentari sarebbero inutili, in quanto i supplementi glucidici verrebbero persi sotto forma di glicosuria (3).
Una consapevole attività fisica moderata si può effettuare anche in presenza di eventuali iniziali complicanze diabete-correlate, per mantenere un’accettabile qualità di vita, evitando, però, di sovraccaricare o addirittura di danneggiare l’organo sede delle complicanze stesse (4).
Infine, l’abitudine a svolgere attività fisica, specie nei giovani insulino-dipendenti di maggior livello culturale, aumenta il senso di benessere e di sicurezza, riduce i livelli di ansia e di depressione, accresce la fiducia in sé stessi (autostima) e la sensazione di “potenza” nei confronti del diabete (4).

 

Bibliografia

  1. De Feo P. Il decalogo dell'attività fisica. Diabete in movimento. Diabete Italia 2010.
  2. Associazione Medici Diabetologi - Società Italiana di Diabetologia. Standard italiani per la cura del Diabete Mellito. 2014: 41-2; 42-6.
  3. Gruppo di studio ADI-AMD-SID. La terapia medica nutrizionale nel diabete mellito. Raccomandazioni 2013-2014: 24-6; 114-9; 125-7.
  4. Corigliano C. Attività sportiva e diabete; quali sport praticare. G. D'Anna, Messina-Firenze; articolo del mese n° 33.
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Anna Maria Dalmasso e Donatella Gaviglio
Endocrinologia e Diabetologia, Ospedale S. Croce & Carle, Cuneo

 

Il Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n. 739 identifica l’infermiere come il responsabile dell’assistenza generale. Inoltre precisa che “l’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale ed educativa” (1).
Il Codice Deontologico IPASVI 1999 all’articolo 1.2 recita: “l’assistenza infermieristica è servizio alla persona e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica, relazionale ed educativa” (2).
In riferimento al profilo professionale e al codice deontologico, si può affermare che gli infermieri giocano un ruolo importante negli interventi centrati sul paziente, soprattutto attraverso l’educazione, facilitando l’aderenza al trattamento. Così facendo, si ha una più adeguata presa in carico della persona con diabete, al fine di portarla al raggiungimento di una maggiore autonomia nella gestione della vita quotidiana.
L’educazione terapeutica si rivolge a persone affette da una patologia. Esse sono portate a gestire la loro malattia, il loro trattamento e le loro cure quotidiane in collaborazione con i medici e i curanti per periodi più o meno lunghi, per certe malattie per tutta la vita. L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la definisce cosi: "L'educazione terapeutica del paziente deve renderlo capace di acquisire e mantenere abilità che gli consentano di gestire al meglio la propria vita di malato. Si tratta quindi di un processo continuo, integrato nell'assistenza sanitaria. È incentrato sul paziente; comprende una consapevolezza organizzata, l'informazione, l'apprendimento dell'auto-cura ed il supporto psicologico riguardo la malattia, i trattamenti prescritti, l'assistenza, l'ospedale e gli altri ambiti assistenziali, l'informazione organizzativa, i comportamenti legati alla salute ed alla malattia. Il suo scopo è di aiutare i pazienti e le famiglie a comprendere la malattia e il trattamento, a cooperare con gli operatori sanitari, a vivere in modo sano, a migliorare o mantenere la qualità della vita" (3).

Partendo da questa definizione si identificano diversi fattori:

  • i progressi della medicina, che permettono di vivere più a lungo con una malattia, a condizione che i pazienti realizzino da soli alcune cure;
  • la crescita del numero di pazienti affetti da malattie che rendono impossibile una presa in carico individuale continua. Delegare le competenze è diventata una necessità;
  • la nozione secondo la quale tutti sono capaci di autonomia e di autodeterminazione. Attribuisce diritti al soggetto in qualità di malato, e gli conferisce capacità decisionali;
  • la nozione stessa di salute, considerata come un bene di natura complesso, che conduce sempre più i pazienti a posizionarsi come “produttori di salute” che operano scelte terapeutiche che da ora in avanti ritengono che spettino a loro.

Gli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito (4) forniscono le seguenti raccomandazioni:

  • le persone affette da diabete devono ricevere un’educazione all’autogestione del diabete al momento della diagnosi, mantenuta in seguito per ottenere il maggior beneficio (Livello della prova I, Forza della raccomandazione A);
  • l’educazione è più efficace se pianificata e organizzata per piccoli gruppi di pazienti (Livello della prova I, Forza della raccomandazione A);
  • l’educazione all’autogestione del diabete va garantita, all’interno del team da parte delle diverse figure professionali (medico, infermiere, dietista, educatore socio-sanitario) specificamente qualificate sulla base di una formazione professionale continua all’attività educativa (Livello della prova I, Forza della raccomandazione A);
  • nel lavoro di team è importante che la pianificazione e la conduzione dell’attività educativa siano svolte mediante metodologie basate sui principi dell’educazione dell’adulto, che tengano conto dell’esperienza di vita della persona e della sua personale motivazione al cambiamento (Livello della prova IV, Forza della raccomandazione B);
  • l’educazione all’autogestione del diabete va rivolta anche ai problemi psico-sociali, poiché il benessere emotivo è fortemente associato con gli esiti positivi per il diabete (Livello della prova III, Forza della raccomandazione B);
  • l’educazione all’autogestione del diabete deve essere adeguatamente riconosciuta e remunerata nell’ambito delle prestazioni fornite dal SSN, nell’ambito di un sistema integrato di interventi (Livello della prova VI, Forza della raccomandazione B).

Molti studi hanno riscontrato che l’educazione all’autogestione del diabete è associata a: miglioramento della conoscenza del diabete, miglioramento nelle modalità di autocura, miglioramento negli esiti, come la riduzione dell’HbA1c, calo ponderale riferito e miglioramento della qualità di vita. I migliori esiti nel medio termine sono stati riferiti con l’educazione all’autogestione del diabete di più lunga durata, che includeva un rinforzo educativo nel follow-up, ed era adattata alle esigenze e preferenze individuali e indirizzata ai problemi psico-sociali. L’evidenza attualmente disponibile in merito a specifici modelli educativi, tecniche e frequenza degli incontri indicano nel modello educativo-terapeutico di gruppo di lunga durata un approccio che ha dimostrato per il diabete tipo 2 efficacia nel migliorare alcuni parametri di controllo come l’HbA1C e la pressione arteriosa, oltre che le conoscenze sul diabete. La presenza di un’attività infermieristica nel coordinamento degli interventi educativi aumenta l’efficacia degli stessi a breve termine, vi sono inoltre studi che dimostrano come l’inserimento nell’attività clinica routinaria, coordinata da infermieri e dietisti, di modelli educativo-terapeutici di gruppo sia efficace a medio termine.

Le Linee Guida Canadesi (5) riassumono nei seguenti “key messages” le loro raccomandazioni:

  • si raccomanda di attuare preferibilmente interventi di educazione terapeutica con modalità di coinvolgimento interattivo del paziente, in quanto si sono dimostrati più efficaci rispetto a tecniche di didattica tradizionale;
  • il contenuto degli interventi educativi deve incorporare, oltre all’insegnamento delle abilità tecniche, anche la capacità di autogestione degli aspetti terapeutici in un’ottica di problem-solving;
  • la progettazione dell’intervento educativo deve essere individualizzata, per portare il singolo paziente a responsabilizzarsi per il raggiungimento degli obiettivi di autocura;
  • gli interventi educativi devono essere adattati al singolo paziente, in relazione al tipo di diabete, alla terapia, alle capacità e alla motivazione del paziente, al suo grado di istruzione e alla sua cultura;
  • l’educazione terapeutica deve far parte integrante del percorso di cura e seguire il paziente di pari passo con l’assistenza sanitaria erogata nel corso della sua malattia. 

Per entrare nel dettaglio, illustriamo qui di seguito la pianificazione dell’intervento educativo per la gestione della patologia diabetica in un paziente anziano e fragile.
In prima battuta saranno individuati gli obiettivi educativi concordati con il paziente e, in caso di necessità, con il caregiver:

  1. corretta assunzione/somministrazione della terapia;
  2. autonomia nella determinazione della glicemia capillare ed interpretazione del dato;
  3. prevenzione e riconoscimento dell’ipoglicemia con relativo trattamento;
  4. pianificazione di alimentazione idonea.

L’intervento educativo dovrà essere effettuato in un setting ideale, cercando di evitare locali rumorosi e le interferenze di vario genere che distoglierebbero la fragile attenzione dell’utente. Inoltre sarà adattato alla fragilità della persona: occorre invitare l’assistito a portare con sé gli occhiali e, se utilizzato, l’apparecchio acustico; il linguaggio sarà semplice e adattato alla situazione e, soprattutto, le nozioni trasmesse dovranno essere poche e chiare. Gli strumenti e i metodi utilizzati, ad esempio, nell’educazione alla terapia insulinica possono essere molteplici: dimostrazione pratica con simulazione da parte del paziente (procedura a specchio), colloquio individuale, counselling motivazionale, lezione partecipata (se il numero e la tipologia dell’utente lo permette, es: paziente con più accompagnatori), rilascio di materiale informativo, utilizzo di schemi che facilitino la memorizzazione e la verifica degli orari delle terapie, consegna di check-list di facile consultazione per le tecniche insegnate.

 

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Di seguito un esempio di check-list per la terapia insulinica.

 

Check-list per la terapia insulinica

Conservare la penna a temperatura ambiente, al massimo per un mese
Conservare la ricarica in frigorifero
Lavarsi accuratamente le mani
Rimuovere il cappuccio
Avvitare l’ago da 4 mm
Selezionare la dose ruotando il pulsante (contare gli scatti)
Togliere i cappucci dell’ago
Disinfettare la pelle
Introdurre l’ago perpendicolarmente nella cute
Schiacciare il pulsante
Quando è a fine corsa, contare fino a 10 tenendo schiacciato il pulsante colorato
Rimuovere l’ago dalla pelle
Tamponare e non frizionare
Svitare l’ago dalla penna con il cappuccio grande dell’ago

Praticare insulina (specificare tipo) immediatamente prima dei pasti (penna di colore da specificare)

  • colazione in addome
  • pranzo sulle gambe
  • cena in addome

Praticare insulina (specificare tipo e colore penna) ore 22.00 sul gluteo (o sulle gambe)

 

L’intervento educativo non sarebbe completo se privo di valutazione effettuata, con riproduzione della tecnica in completa autonomia da parte del paziente o del caregiver, compilazione di griglia per le procedure, intervista. A seguire un esempio di griglia di valutazione.

 

Competenze raggiunte al termine del programma di educazione
(iniziato in data ... e terminato in data ...) dal sig….
Acquisito = 2                       Parzialmente acquisito = 1                      Non  acquisito = 0
Competenze Punteggio
Definisce e spiega la fisiopatologia del diabete  
Conosce il suo trattamento (compresse/insulina)  
Riconosce un’ipoglicemia e sa come comportarsi  
Riconosce un’iperglicemia e sa come comportarsi  
Compone pasti equilibrati/sa adattare la sua alimentazione alla sua attività/stato  
Sa utilizzare il glucometro (materiale utilizzato)  
Sa praticare un’analisi delle urine  
Sa praticare un’iniezione di insulina  
Sa adattare le dosi di insulina  
Sa assicurare la cura dei suoi piedi  
Totale  

 

 

Bibliografia

  1. D.M. 739/94.
  2. Federazione Nazionale Collegi IPASVI: Codice Deontologico, 2009.
  3. D’Ivernois GF, Gagnayre R. Educare il paziente, un approccio pedagogico. McGraw Hill 2006.
  4. AMD-SID. Standard italiani per la cura del diabete mellito. 2014.
  5. Canadian Diabetes Association. Clinical Practice Guidelines, Self-Management Education. Can J Diabetes 2013, 37: 26-30.
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Iniettiva

Microinfusori

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Vincenzo Fiore1,2, Antonella Poggi1, Antonella Di Pasquali1,2, Massimo Marci1, Rossella Dionisio3 & Emanuele Spreafico4
1UOC Medicina-Geriatria, UO Diabetologia Clinica, Tivoli (Roma)
2UOC Medicina, Subiaco (Roma)

3UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
4UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio

(aggiornato al 20 luglio 2017)

 

INTRODUZIONE

Si deve a Frederick Banting, nel 1921, il primo tentativo di isolare un estratto pancreatico, dal cane, con proprietà ipoglicemizzanti; successivamente, furono commercializzate, in Canada e negli Stati Uniti, le prime insuline animali, con durata d’azione di circa 6-8 ore, confezionate a pH acido. Nel 1946, HC Hagedorn, con l’aggiunta di un additivo (protamina) a pH neutro, riuscì a ritardarne l’assorbimento (NPH), garantendo un’azione più prolungata. In seguito, utilizzando lo zinco come additivo, si ottenne un maggiore prolungamento della durata d’azione. Dopo ulteriori tentativi di purificazione, negli anni ’80, grazie alla biologia molecolare, vennero sintetizzate le prime insuline umane, cosiddette regolari, ad assorbimento più rapido ma con un profilo farmacocinetico ancora lontano da quello dell’insulina pancreatica. Solo a metà degli anni ‘90 furono messi a punto gli “analoghi dell’insulina”, sia a breve che a lunga durata d’azione con attività biologica simile all’insulina umana (1,2).

 

FARMACOCINETICA DELLE PREPARAZIONI INSULINICHE

Le preparazioni insuliniche attualmente disponibili sono prodotte con tecnologia basata su DNA ricombinante: insuline umane, cosiddette regolari, e analoghi. Le prime, pur essendo chimicamente simili, sono dotate di un profilo farmacocinetico più ampio rispetto all’ormone nativo. Nel caso degli analoghi, il profilo farmacocinetico tende a “mimare” quello dell’insulina endogena.
Le molecole di insulina in soluzione hanno la tendenza a formare dimeri a causa dei legami a idrogeno tra i residui C-terminali delle catene β; in alcune condizioni (es. presenza di ioni zinco), questi dimeri tendono ad associarsi formando esameri. Di conseguenza, i monomeri e i dimeri diffondono rapidamente nel sangue, mentre gli esameri lo fanno più lentamente (3,4). La solubilità condiziona quindi l’assorbimento e può essere ridotta tramite il legame con una proteina basica (protamina)(5) o facendo cristallizzare l’insulina in presenza di zinco. In quest’ultimo caso, a seconda del pH, si formano due tipi di preparazioni: a cristalli grandi e azione prolungata per ridotta solubilità (formulata in sospensione) o a microcristalli e più rapido assorbimento (formulata in soluzione)(6). Sulla solubilità dell’insulina incidono anche altri fattori (solvente, pH, ecc). L’assorbimento è anche funzione del volume iniettato e della concentrazione (diminuisce se questi aumentano) così come della sede di iniezione: più rapido nell’addome (da preferire per l’insulina prandiale), più lento nella coscia (da preferire per l’insulina ad azione ritardata)(7). L’assorbimento avviene per diffusione attraverso le pareti capillari, e la velocità dipende da flusso ematico, distanza inter-capillare, permeabilità e altri fattori:

  • aumentata da calore, massaggio locale, esercizio fisico;
  • diminuita da freddo, fumo e ß-bloccanti.

Tutti i preparati insulinici sono forniti oggi a pH neutro, il che migliora la stabilità e permette la conservazione a temperatura ambiente per periodi più lunghi (4,7).

 

TIPI DI INSULINA

L’insulina può essere somministrata tramite siringhe, dispositivi definiti “penne” (che semplificano l’uso, limitando la percentuale di errore) o mediante microinfusori.
La somministrazione sottocutanea dell’insulina differisce dalla secrezione fisiologica, perchè la diffusione avviene nella circolazione periferica anziché direttamente nel circolo portale, con ritardato allineamento all’omeostasi secretiva dell’ormone in risposta all’ingestione di sostanze nutritive (8).
Le preparazioni insuliniche sono classificate in relazione a inizio, durata d’azione e picco.

 

Insulina ad azione rapida
Insulina umana regolare (RHI)
È ottenuta per biosintesi da batteri o lieviti, con introduzione del gene della pro-insulina umana con tecnica del DNA ricombinante.
È solubile, a breve durata d’azione, tende ad aggregarsi in dimeri. Dall’unione di questi si ottiene un esamero, che è contenuto nei flaconi in commercio.
Nel sottocute, dopo iniezione pre-prandiale, l’insulina si dissocia lentamente in monomeri, con un modesto ma persistente incremento dell’insulinemia. Il profilo plasmatico è diverso dalla risposta fisiologica al pasto: un ritardo iniziale di circa 30’ (fino a 60’) è seguito da un picco dopo 2-3 ore e dal ritorno a livelli basali entro 6-8 ore. Questo ne condiziona l’orario di somministrazione (da 30’ a 45’ prima di un pasto) e, conseguentemente, genera un periodo di latenza nella “copertura” del picco glicemico prandiale, predisponendo a tardive ipoglicemie inter-prandiali e complessivamente ad ampie oscillazioni glicemiche nella giornata (9).

 

Analoghi dell’insulina ad azione ultrarapida
Sono molecole prodotte con la tecnica del DNA ricombinante e modificate nella loro struttura, al fine di ottenere un assorbimento il più possibile simile a quello fisiologico. Hanno minor tendenza ad associarsi in esameri, con più veloce solubilizzazione in molecole monomeriche; ciò permette un picco più precoce e una minor durata d’azione rispetto alla RHI, così da avvicinarsi alla fisiologica risposta al pasto. Il profilo d’azione è sostanzialmente sovrapponibile per i tre tipi di analogo: azione rapida (inizio tra 5’ e 15’), con picco tra 30-90’ e durata d’azione di circa 6 ore. Possono essere somministrate da immediatamente a 15 minuti prima o anche durante il pasto, permettendo una maggior flessibilità negli schemi alimentari e una migliore “copertura” delle escursioni glicemiche post-prandiali (10-12). Sono attualmente commercializzati tre analoghi ad azione ultrarapida:

  • Lispro: ottenuta utilizzando un ceppo non patogeno di Escherichia Coli; si distingue dall’insulina umana per inversione di due aminoacidi nella catena β (Lisina-Prolina). Può essere utilizzata nel diabete gestazionale (11,13). Dal luglio 2016 è in commercio anche in una nuova formulazione più concentrata (200 U/mL) che è bio-equivalente rispetto alla concentrazione standard, per cui non c’è necessità di titolazione della dose ma eroga la stessa dose in metà volume di liquido.
  • Aspart: ottenuta dalla sostituzione della Prolina con l’Acido Aspartico nella catena β dell’insulina umana. Riduce il rischio di ipoglicemie notturne nelle donne in gravidanza (11,14).
  • Glulisina: ottenuta dalla sostituzione della Lisina con l’Acido Glutammico nella catena β dell’insulina umana, che ne accelera la frammentazione in monomeri dopo l’iniezione, e dell’Asparagina al posto della Lisina che permette la stabilizzazione dei monomeri (15).

Queste tre molecole appartengono alla categoria dei farmaci equivalenti, che hanno in comune il meccanismo d'azione e sono caratterizzati da un’efficacia clinica e un profilo di effetti indesiderati pressoché sovrapponibile, pur potendo diversificarsi per indicazioni terapeutiche aggiuntive. A tale proposito, le principali società scientifiche specialistiche ritengono che, a oggi, non esistano evidenze scientifiche significative che dimostrino differenze tra le insuline glulisina, lispro e aspart rispetto al principio sopra enunciato. Sono invece da segnalare differenze in termini di modalità di somministrazione e indicazioni terapeutiche in sottogruppi di pazienti o condizioni patologiche specifiche (16).

 

Insulina ad azione intermedia
Insulina protaminata (NPH)
L’aggiunta di un composto basico, la protamina, ha permesso la modificazione dell’assorbimento dell’insulina, garantendo le prime formulazioni ad azione protratta; la successiva aggiunta di sali di zinco permetteva di ottenere una formulazione più stabile (inizio d’azione tra 2-4 ore, con picco tra le 4-10 ore e durata variabile tra le 10-16 ore). Attualmente l’uso è stato soppiantato dagli analoghi a lunga durata d’azione (5).

 

Analoghi dell’insulina a lunga durata d’azione
Presentano una struttura che permette un lento e costante rilascio nel tempo, riproducendo la fisiologica secrezione insulinica basale rispetto ai precedenti preparati di insulina umana, con un buon controllo glicemico negli intervalli tra i pasti e durante la notte.

  • Glargine: è stata la prima formulazione di analogo ad azione protratta utilizzata nell’uomo. La sostituzione dell’Asparagina nella catena α con la Glicina e l’aggiunta di due residui di Arginina nella catena β modificano il punto isoelettrico, con conseguente formazione di precipitati nel tessuto sottocutaneo, che determinano un rallentamento nell’assorbimento. L’inserimento di cristalli di zinco stabilizza gli esameri, con rallentata dissociazione e diffusione in circolo. Si realizza un profilo farmacocinetico e farmacodinamico costante nelle 24 ore, con inizio d’azione dopo 1 ora ma senza picco. Comparata con NPH e le obsolete insuline ultralente, Glargine produce un decremento degli eventi ipoglicemici, sia come minori fluttuazioni giornaliere che come rischio di ipoglicemie notturne (17,18).
    Recentemente è stata approvata dalla FDA una nuova insulina glargine ad alta concentrazione (300 U/mL). Il farmaco è un’evoluzione dell’insulina glargine, della quale costituisce un miglioramento, perché la maggiore concentrazione facilita il trattamento dei soggetti fortemente obesi che necessitano di molte unità di insulina e perché il diverso profilo farmacinetico e farmacodinamico conferisce una durata d’azione superiore e il vantaggio di un volume di liquido da iniettare sottocute inferiore a quello della versione tradizionale (19). La nuova insulina ha assicurato un migliore controllo glicemico, con minore variabilità intra-giornaliera della glicemia e rischio inferiore di ipoglicemie notturne (20). Tuttavia, l'EMA ha osservato che per raggiungere gli obiettivi glicemici può essere necessaria una dose di Glargine ad alta concentrazione del 10-18% superiore alla normale glargine. Gli eventi avversi più frequenti con la nuova formulazione di insulina glargine, escluse le ipoglicemie, sono rinofaringiti e infezioni del tratto respiratorio superiore. Da gennaio 2016 è disponibile anche il biosimilare di insulina glargine (21).
  • Detemir: ottenuta da un ceppo di lievito geneticamente modificato di Saccharomyces Cerevisiae. Le modificazioni nella struttura molecolare prevedono la delezione della Treonina nella catena β e l’acetilazione mediante aggiunta con legame covalente di Acido Miristico; questo facilita il legame reversibile con albumina nel sito sottocutaneo, che funzione come effetto “tampone”, rallentandone l’assorbimento. Il raggiungimento dello steady state è influenzato dal dosaggio, la durata d'azione è minore rispetto all’insulina Glargine (circa 17 ore) e necessita di due somministrazioni giornaliere. Evidenzia un miglior controllo nell’aumento di peso quando comparata con glargine e un minor rischio di ipoglicemie notturne nei confronti di NPH (22-24).
  • Degludec è un analogo dell’insulina, che si differenzia dall’insulina umana per due diverse modificazioni strutturali: la delezione di una treonina in posizione B30 e l’aggiunta di una catena di acido grasso a 16 atomi di carbonio sulla lisina in posizione B29, interposte da un acido γ-glutammico. Si lega specificamente al recettore dell’insulina e induce gli stessi effetti farmacologici dell’insulina naturale. Degludec iniettata per via sottocutanea forma multi-esameri solubili. I monomeri di insulina si separano gradualmente dai multi-esameri, determinando così un rilascio nella circolazione lento e continuo (25). Con la somministrazione per via sottocutanea una volta al giorno, l’effetto ipoglicemizzante di Degludec è distribuito in modo uniforme durante le 24 ore, con una variabilità da giorno a giorno quattro volte inferiore rispetto a Glargine (26). In seguito alle prime somministrazioni di Degludec (emivita stimata intorno a 25 ore, durata 42 ore), i livelli d’insulina plasmatica aumentano progressivamente fino al raggiungimento dello steady-state dopo 2-3 giorni. Successivamente, le concentrazioni di insulina plasmatica rimangono stabili, risentendo in minor misura della tempistica di somministrazione. In tutti gli studi di confronto diretto in cui il comparatore attivo era Glargine, è stato raggiunto l’end-point primario di non inferiorità di Degludec rispetto a Glargine, sia per riduzione di emoglobina glicata che per eventi avversi. Per quanto riguarda la glicemia a digiuno, Degludec la riduceva costantemente più di Glargine o Detemir, raggiungendo la significatività statistica in vari studi, sia nel DM1 che nel DM2, con minor rischio di ipoglicemie notturne (27-28).
  • Una nuova formulazione insulinica è rappresentata da degludec/liraglutide, una combinazione a dosi fisse di insulina lenta (degludec) e agonista recettoriale del GLP-1 (liraglutide). Già approvata dall’EMA nel 2014, è indicata per il trattamento di adulti affetti da diabete mellito tipo 2, per migliorarne il controllo glicemico in associazione a farmaci o molecole ipoglicemizzanti orali quando questi in monoterapia o in associazione con agonisti del recettore del GLP-1 o con insulina basale non permettano un controllo glicemico adeguato (29). La Commissione Europea ha approvato in data 1/9/2016 l’estensione di impiego nei pazienti con DMT2 e moderata IRC (eGFR 30-59 mL/min). L’approvazione è stata basata sugli esiti dello studio di fase 3b LIRA-RENAL, che ha riguardato l’efficacia e la sicurezza di liraglutide verso placebo come add-on alle terapie con antidiabetici orali in atto, in pazienti con DMT2 e moderata IRC (30). È già disponibile in diversi paesi dell’Unione Europea e, seppur non ancora commercializzata in Italia, l’AIFA l’ha già registrata con l’ATC delle insuline basali.

 

Insuline bifasiche premiscelate
Sono formulazioni precostituite di due tipi di insulina in percentuali fisse (analogo rapido e analogo rapido con protamina che garantisce un’azione intermedia). In commercio sono disponibili premiscelate dell’analogo lispro e aspart, che contengono rispettivamente 25% e 30% dell’analogo rapido o parti uguali di questo e dell’analogo protaminato (50%) (vedi tabella).
Le insuline premiscelate non permettono la flessibilità della terapia insulinica ottenuta dall’aggiustamento separato delle dosi dei due tipi di insulina; vengono, generalmente, somministrate prima di colazione e cena per mantenere livelli basali di insulina e di risposta ai picchi glicemici prandiali. Queste formulazioni rappresentano un’evoluzione delle formulazione premiscelate costituite da parti fisse di insulina umana regolare e insuline a durata d’azione intermedia; espongono il paziente a ipoglicemie al mattino, a metà pomeriggio e nella parte iniziale della notte (31).

 

 

MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE

È importante non somministrare l’insulina nella stessa sede ed è preferibile ruotare per evitare la lipo-ipertrofia. Le zone in cui può essere somministrata l'insulina sono: braccia, addome, cosce e regione alta dei glutei (si rimanda alla sezione di terapia educazionale per approfondimenti) (32).

 

Impostazione della terapia insulinica nel DMT1
Nel DMT1 la somministrazione insulinica viene considerata una terapia ormonale sostitutiva “salva-vita” imprescindibile, che deve mimare la fisiologica secrezione dell’ormone. I pazienti devono iniziare la terapia insulinica immediatamente alla diagnosi, con un processo educazionale sull’uso dell’insulina, sulla gestione dell’ipoglicemia, sull’adeguamento terapeutico a seconda dell’introito calorico (conta dei carboidrati) e dell’attività fisica, e con un piano di autocontrollo domiciliare della malattia (LGC). È necessario garantire:

  • un picco di insulina a ogni pasto, utilizzando preparazioni ad azione rapida ai pasti;
  • un’insulinemia costante durante lo stato di digiuno, utilizzando preparazioni ad azione ritardata per la copertura inter-prandiale.

Quindi, la scelta terapeutica ottimale è quella indicata dagli studi DCCT/EDIC: schema “basal-bolus” (o utilizzo di microinfusore per insulina) o in alternativa la somministrazione al mattino e sera dell’analogo Detemir in aggiunta ai tre boli prandiali di analogo rapido. In confronto con l’insulina regolare, gli analoghi rapidi, in combinazione con un’adeguata insulina basale, migliorano la glicemia post-prandiale e l’HbA1c, minimizzando il rischio ipoglicemico. Gli analoghi a lunga durata d’azione (detemir e glargine) usati per l’insulinizzazione basale, in confronto con mono e bisomministrazione quotidiana di insulina NPH, ottengono una più efficace riduzione dell’iperglicemia a digiuno e delle ipoglicemie notturne. Il miscelamento di questi analoghi lenti con altre insuline, nella stessa siringa, potrebbe alterarne la farmacocinetica; pertanto non è raccomandato. L'utilizzo di dispositivi a penna facilita le somministrazioni multiple e sta progressivamente sostituendo l’uso delle siringhe.
L’ipoglicemia è il principale ostacolo al perseguimento di obiettivi glicemici ambiziosi, sovrapponibili alla fisiologia e compatibili con modelli terapeutici intensivi che rendono i pazienti riluttanti; perciò talvolta sono necessari obiettivi meno stringenti, soprattutto nei pazienti più complicati (33-37).

 

Impostazione della terapia insulinica nel DMT2
Le linee guida internazionali raccomandano l’avvio della terapia insulinica quando le modifiche dello stile di vita e l’uso degli ipoglicemizzanti non raggiungono l’obiettivo terapeutico, in presenza di HbA1c > 9% o nel trattamento dei pazienti di nuova diagnosi in fase di scompenso metabolico (38,39). Ne è previsto l’uso, inoltre, sempre più frequente, per fenotipi particolari e/o per qualsiasi fase della malattia, anche per periodi transitori (scompenso metabolico, gravidanza, stress, in corso di procedura chirurgica) o talvolta come efficace strategia transitoria al posto degli altri agenti anti-iperglicemici, in corso di iperglicemia sintomatica (poliuria, polidipsia e calo ponderale); ciò viene sottolineato negli Standard italiani per la cura del DM, ponendo nella flow-chart della terapia l’opzione insulinica come possibile in tutte le fasi della patologia diabetica (40).
Il trattamento insulinico può avvenire in associazione o meno con gli ipoglicemizzanti orali, ma la strategia iniziale è la “basalizzazione”, che garantisca una copertura uniforme delle 24 ore (bloccando la gluconeogenesi epatica notturna e inter-prandiale), tenendo presenti gli effetti indesiderati (aumento del peso corporeo, peggioramento dell’insulino-resistenza e dell’aterogenesi, aumento del rischio ipoglicemico). In effetti, una singola dose di insulina basale o di un analogo a lunga durata d’azione, in aggiunta a un agente ipoglicemizzante orale, spesso è sufficiente a controllare i livelli glicemici, senza indurre incremento di peso e con minor numero di eventi ipoglicemici rispetto all’uso di sola terapia insulinica in caso di fallimento alla terapia orale (41-44). Numero e “timing” delle iniezioni (da 1 a 4/die) variano in rapporto alle situazioni individuali e la riduzione di HbA1c dipende dalla dose totale quotidiana e dal numero di iniezioni (45). In generale, un regime insulinico basato sull’insulinizzazione basale o su uno schema che inserisce progressivamente analoghi rapidi ai pasti appare più efficace rispetto a schemi terapeutici basati su insuline bifasiche premiscelate (46-48).
In genere, una volta che è stato introdotto un bolo rapido di insulina, sia come quota separata ai pasti o come parte di un regime contenente bifasiche premiscelate, i farmaci insulino-secretagoghi (sulfaniluree, glinidi) dovrebbero essere sospesi. Dovrebbe invece essere continuata la concomitante terapia con metformina, perché contribuisce al controllo metabolico, con minor aumento di peso e minor rischio ipoglicemico (49). Rispetto al precedente position statement ADA/EASD del 2012, il documento del 2015 sottolinea l'efficacia dell'aggiunta all'insulina basale di un agonista del recettore del GLP-1 (sia quelli di breve durata che le nuove formulazioni settimanali), essendoci numerosi studi che dimostrano la non inferiorità/superiorità rispetto all'aggiunta di insulina prandiale, con il vantaggio del calo ponderale e di un minor rischio di ipoglicemia (50-52).

 

Modelli di terapia insulinica nel DMT2
Modello A chi/obiettivi Dose iniziale Titolazione Controlli Combinazioni
Insulina basale + anti-iperglicemizzanti Obiettivi variabili in rapporto a popolazioni specifiche 10 U una volta la sera In rapporto a glicemia a digiuno (tra 70 e 126 mg/dL), aggiungendo 1 U al giorno, fino a raggiungere gli obiettivi prefissati SMBG almeno una volta al giorno a digiuno Riduzione degli agenti ipoglicemizzanti in caso di ipoglicemia
Basal plus – aggiunta di un bolo prandiale (1-2) di insulina ad azione rapida o di analogo rapido, una volta al giorno alla terapia insulinica basale In pazienti con prevalente iperglicemia a digiuno, ma con inadeguato controllo glicemico a un pasto 2-4 U Tener conto che la glicemia post-prandiale non ecceda 180 mg/dL e che la pre-prandiale sia tra 70 e 126 mg/dL Glicemia a digiuno e post-prandiale Associabile a terapia orale
Riduzione degli agenti ipoglicemizzanti in caso di ipoglicemia
Insulina rapida o analogo rapido ai pasti Pazienti con prevalente iperglicemia post-prandiale Autocontrollo mirato pre- e 2 h post-prandiale
Schema insulinico basal-bolus – terapia insulinica intensiva In pazienti con iperglicemia basale e post-prandiale, in cui sia motivato un trattamento e/o obiettivi intensivi

Calcolare la dose totale (0.3-0.5/U/kg) distribuendola:

  • 40% della dose totale come insulina basale
  • 20% della dose totale come bolo (analogo rapido o insulina ad azione rapida) per ognuno dei 3 pasti
Autocontrollo intensivo Associabile a terapia orale (prevalentemente metformina)
Premiscelate (mono-iniettiva, prevalentemente serale, o bi-iniettiva) In pazienti con iperglicemia basale e post-prandiale, con obiettivi non intensivi e nei quali non è appropriato l’uso di schemi terapeutici più complessi

5-10 U x 1-2 volte/die prima di colazione o di cena:

  • la premix 30/70 dovrebbe essere data dai 30 ai 45 minuti prima del pasto
  • la Humalog Mix 25 o la Novomix 30 dovrebbero essere date immediatamente prima del pasto
Aumento di 1-2 U aggiunte prima della colazione o della cena, tenendo presenti gli obiettivi prefissati (glicemia pre-colazione e pre-prandiale tra 70 e 126 mg/dL) Autocontrollo a digiuno e prima di cena: almeno 2/die per titolare l’insulina, avendo cura di non aumentare in caso di ≥ 2 episodi di ipoglicemia Associabile a terapia orale

 

 

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Vincenzo Fiore1,2, Antonella Poggi1, Antonella Di Pasquali1,2, Massimo Marci1, Rossella Dionisio3 & Emanuele Spreafico4
1UOC Medicina-Geriatria, UO Diabetologia Clinica, Tivoli (Roma)
2UOC Medicina, Subiaco (Roma)

3UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
4UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio

 

Insuline in commercio (100 U/mL se non altrimenti specificato)
TIPO AZIONE
Inizio Picco (h) Durata (h)

AZIONE RAPIDA
Insulina umana regolare

  • Actrapid: flac 10 mL, penna pre-riempita 3 mL
  • Humulin R: flac 10 mL, penna pre-riempita 3 mL, cartuccia 1.5 o 3 mL
30-60’ 2-3 6-8
ANALOGHI AD AZIONE RAPIDA 5-15’ 0.5-1.5 5-6

ANALOGHI AD AZIONE ULTRA-RAPIDA

  • Aspart (FIASP penna pre-riempita 3 mL)
1-10' 1-3 3-5
AD AZIONE INTERMEDIA
Insulina umana isofano: flac 10 mL (Humulin I, Protaphane)
2-4 h 4-10 10-16
UMANA AD AZIONE LENTA
Insulina umana regolare + Zn (Humulin L)
2-4 h 4-12 12-18
UMANA A LUNGA DURATA D’AZIONE
Insulina umana ultralenta (Humulin U)
6-10 h 10-16 18-24
ANALOGHI AD AZIONE RITARDATA
  • Glargine (Lantus Optiset penna 3 mL, Lantus Solostar penna 3 mL, cartucce 3 mL, flac 5 mL; Abasaglar cartucce 3 mL, kwikpen 3 mL, Semglee); Glargine ad alta concentrazione (Toujeo penna 1.5 mL 300 U/mL)
2-4 h No

20-24

  • Detemir (Levemir penna 3 mL e cartucce 3 mL)
1-2 h 6-8

14-18

  • Degludec (Tresiba 100 U/mL e 200 U/mL, penne 3 mL)
1-2 h 4-8 10-20 (42)

PREMISCELATE CON INSULINA UMANA (RH/NPH) (il profilo d’azione è condizionato dalla percentuale dei due tipi di insulina)

1-2 h 4-8 10-20
PREMISCELATE CON ANALOGHI (il profilo d’azione è condizionato dalla percentuale dei due tipi di analogo)
  • Analogo rapido Lispro/Lispro protamina:
    • 25/75 (Humalog mix 25 e mix 50, flac 10 mL, o Kwikpen 3 mL  e cartuccia da 3 mL)
    • 50/50 (Humalog mix 50 flac 3 mL, o Kwikpen 3 mL e cartuccia da 3 mL)
  • Analogo rapido Aspart/Aspart protamino cristallizzata (Novomix):
    • 30/70 (Novomix 30, Flex pen 3 mL)
    • 50/50 (Novomix 50, Flex pen 3 mL)
    • 70/30 (Novomix 70, Flex pen 3 mL)

20-60'

1-8

18-20

  • Analogo Degludec/Aspart: 70/30 (Ryzodeg 70/30 penne e cartucce 3 mL)
   

24-42

PREMISCELATE ANALOGO INSULINA/ANALOGO GLP-1

  • insulina degludec/liraglutide: Xultophy penna 3 mL
  • Insulina glargine/lixisenatide: Suliqua penna 3 mL

1-2

13-25

24-42

*Lispro: non controindicata in gravidanza e allattamento; non esistono aghi dedicati prodotti dall’azienda, con caratteristiche peculiari
**Aspart: in pazienti con insufficienza epatica la velocità di assorbimento risulta diminuita; gli aghi specificamente dedicati, previsti nella RCP, hanno un range di lunghezza limitato a 5-8 mm; potrebbero verificarsi problemi di stabilità nelle soluzioni infusionali per via endovenosa utilizzate oltre le 24 ore (es. pompe-siringhe)
**Glulisina: non vi è indicazione per l’uso in gravidanza e durante l’allattamento; non può essere infusa in soluzione glucosata o di Ringer; non vi è esperienza in pazienti con insufficienza epatica; non vi è esperienza in bambini al di sotto dei 6 anni; non è possibile somministrare mezze unità; non sono disponibili aghi specificamente dedicati
Glargine: non vi sono dati sul passaggio placentare. Ad oggi studi su piccoli campioni di nati esposti non segnalano effetti embrio-fetotossici. Cat C nella FDA
Detemir: non vi sono dati sul passaggio placentare. Ad oggi studi su piccoli campioni di nati esposti non segnalano effetti embrio-fetotossici. Cat B nella FDA

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Giuseppe Papa, Maria PieraAngela Iurato, Carmelo Licciardello, Diletta Moretti, Concetta Finocchiaro
Centro Catanese di Medicina e Chirurgia, Unità Funzionale di Malattie Endocrine e Dismetaboliche, Catania

(aggiornato al dicembre 2022)

 

Dal 1922, epoca del primo paziente trattato con estratto pancreatico canino, la terapia insulinica si è evoluta grazie a molecole ad azione rapida e ultra-rapida, che hanno permesso di controllare l’escursione glicemica legata al pasto, e molecole a lunga durata d’azione, con caratteristiche cinetiche caratterizzate da curve piatte e riproducibili, che invece hanno sostituito la secrezione insulinica “basale”.
Da almeno trent’anni, quindi, lo standard di cura del diabete tipo 1 è rappresentato dalla terapia multi-iniettiva “basal-bolus”, che mira appunto a ricreare la secrezione insulinica fisiologica: lo scopo ultimo è da sempre da una parte evitare l’insorgenza delle complicanze a lungo termine e dall’altra la riduzione degli eventi ipoglicemici, gravati da elevato rischio in acuto, ma anche da morbilità e mortalità in cronico (1-2).

I sensori glicemici hanno determinato una profonda rivoluzione nel monitoraggio glicemico ma sono stati anche il volano per lo sviluppo della tecnologia legata alla somministrazione dell’insulina. I micro-infusori sono piccoli dispositivi che erogano in maniera continua insulina ad azione rapida o ultra-rapida, attraverso cateteri (a meno che non si tratti di “patch pumps”, con applicazione direttamente sulla cute) e cannule sotto-cutanee che lo stesso paziente cambia periodicamente (ogni 3-7 giorni). Il vantaggio immediato è che il paziente non deve pungersi più volte al giorno. L’erogazione in continuo di insulina permette di mimare in maniera più fisiologica la secrezione insulinica “basale” delle ß-cellule pancreatiche, che normalmente immettono in circolo l’ormone in maniera continua e pulsatile, con ritmi differenti nei vari segmenti temporali. L’insulinizzazione basale, che rappresenta di solito il 30-50% del dosaggio insulinico giornaliero per i soggetti con diabete tipo 1, non si distribuisce in maniera uniforme nelle 24 ore, ma varia nell’arco della giornata, sia nei soggetti sani che nei pazienti diabetici. Le insuline basali oggi utilizzate sono caratterizzate da un profilo piatto con emivita intorno alle 24 ore, che offre il vantaggio di avere cinetiche riproducibili e assenza di picco, cosa che si traduce in un basso rischio ipoglicemico, inter-prandiale e notturno (3); il risvolto della medaglia, tuttavia, è il fatto che l’insulinizzazione basale spesso risulta non adeguata al risveglio e nel segmento temporale pomeridiano/serale.
Il picco glicemico al risveglio, il cosiddetto “fenomeno alba”, come anche l’iperglicemia pomeridiana (“fenomeno tramonto”), spesso condizionano il compenso glicemico nel paziente con diabete tipo 1 (4) e non sono gestibili con i comuni schemi di terapia insulinica multi-iniettiva (fig 1A) (5).

 

Figura 1
A: Distribuzione circadiana dell’insulina basale in una coorte di pazienti adulti con DM1
B: Profili farmaco-cinetici di infusione di glucosio di Degludec (I-Deg) e Glargine U100 (Gla-100)
C: Esempio di profilo insulinico basale con micro-infusore

 

Grazie all’utilizzo di un micro-infusore, il profilo insulinico piatto, come quello fornito dalle moderne insuline “basali” (fig 1B) (6) lascia il posto a un andamento a “scalini”, che può essere ricreato solo attraverso una pompa insulinica (fig 1C).
La secrezione insulinica basale risente poi di molteplici variabili spesso imprevedibili a priori, come modifiche comportamentali, attività fisica, pasti, precedente ipoglicemia, alternanza tra attività lavorativa e riposo, stress, ecc (7). Ricreare uno o più profili secretori basali, che si adattino il più possibile al soggetto che stiamo curando, nei suoi diversi ritmi di vita che cambiano anche all’interno di una stessa settimana (es. giorni lavorativi e week-end, ciclo mestruale, turni di notte, attività fisica, ecc), è la sfida più grande ma anche più stimolante che i micro-infusori ci permettono di superare.
L’altra componente della terapia con micro-infusore è il bolo insulinico, effettuato prima del pasto o per correggere un’eventuale iperglicemia (bolo di correzione). In questo caso la somministrazione ricorda molto il bolo effettuato con la tradizionale penna pre-riempita, con la differenza non secondaria di non doversi pungere ogni volta che si mangia, ma di poter erogare l’insulina programmando la dose sul display della pompa o attraverso un controller remoto. Anche in questo caso abbiamo a disposizione elementi aggiuntivi che possono migliorare l’efficacia e la sicurezza di questa somministrazione. Innanzitutto, la maggioranza degli strumenti moderni è dotata di un calcolatore del bolo, attraverso il quale, con la sola introduzione della glicemia attuale e della stima in grammi dei carboidrati che saranno consumati, il sistema consiglia il bolo da erogare (dopo aver precedentemente impostato il fattore di sensibilità insulinica, ISF, e il rapporto insulina/carboidrati, I/CHO) (8). L’altro elemento è la possibilità di usufruire dei cosiddetti “boli speciali”, a onda doppia e onda quadra, attraverso i quali possiamo suddividere l’erogazione del bolo in momenti differenti, allo scopo di ottimizzare e far collimare assorbimento insulinico con assorbimento dei carboidrati, in rapporto ai costituenti del pasto e del tempo in cui esso sarà consumato (9) (fig 2).

 

Figura 2
Diversi metodi per erogare un bolo

A: normale, con l’intera erogazione in pochi secondi;
B: prolungato (a onda quadra), con erogazione lenta e uniforme in un periodo di tempo stabilito dal paziente;
C: a onda doppia, con erogazione in una combinazione composta da un bolo normale immediato e un bolo successivo a onda prolungata (con le relative percentuali tra le due componenti che possono essere gestite dal paziente)

 

L’accuratezza di erogazione anche di basse quantità di insulina (da 0.01 fino a 0.025 U/h) ottenibile solo con questi strumenti è un altro vantaggio particolarmente importante per chi necessita di dosaggi estremamente bassi (come i pazienti pediatrici o chi presenta un fabbisogno insulinico ridotto) (10).
Gli studi più datati hanno per lo più dimostrato che anche in assenza di sensore glicemico l’utilizzo di un micro-infusore stand-alone porta con sé molteplici benefici, come miglior controllo glicemico, riduzione della variabilità glicemica, minor frequenza di ipoglicemie gravi, riduzione del fabbisogno insulinico giornaliero e miglioramento della qualità di vita attraverso una maggiore flessibilità nello stile di vita (11-15).

 

Formazione all’impiego del microinfusore
Il team diabetologico che prende in carico il paziente selezionato alla terapia con micro-infusore fornisce una formazione preliminare che deve prevedere diversi incontri.

 

Tabella 1
Formazione preliminare
Incontro preliminare Verifica capacità di base
Criteri di educazione prima di iniziare terapia con micro-infusore: conteggio carboidrati inserito in un corretto stile alimentare, fattore di correzione, gestione emergenze
1° incontro Riepilogo su modalità di funzionamento della terapia con micro-infusore e apprendimento delle funzioni di base: impostazioni generali, cambio set, ricarica serbatoio, programmazione velocità basale
2° incontro Utilizzo dei boli prandiali: modalità bolo rapido, onda quadra, onda doppia
Verifica funzioni speciali: memoria boli, visualizzazione profilo basale
3° incontro Verifica apprendimento software e ricarica serbatoio
Inizio terapia con micro-infusore
4°-5° incontro Incontri nutrizionali per rinforzo su conteggio dei carboidrati e corretto stile alimentare

 

Dopo l’inizio della terapia con micro-infusore, controllo a 15-20 giorni e programmazione controlli seriati successivi ogni circa 45 giorni, con le acquisizioni delle funzioni avanzate (basali temporanee, profili alternativi), poi 3-4 visite/anno.
Re-training periodico, sia tecnico che sui contenuti più strettamente educazionali. Nel percorso di addestramento tecnico il centro si può avvalere di consulenze tecniche per il training o particolari situazioni che saranno comunque sotto la supervisione del diabetologo (7).

 

Determinazione del profilo basale e dei boli
Prima di iniziare la terapia, devono essere determinate le dosi dell’infusione basale e dei boli.
La dose totale giornaliera (TDD-total daily dose) approssimativa di insulina che un paziente con diabete tipo 1 richiede può essere calcolata moltiplicando il peso attuale del paziente in chilogrammi per un fattore predeterminato pari a 0.7 (per esempio per una donna di 60 kg la richiesta insulinica giornaliera risulterebbe pari a 60 x 0.7 = 42 U). Gli adolescenti possono richiedere più insulina (~ 1 U/kg/die), mentre per i pazienti più anziani (che non sono più sensibili all'insulina, ma che producono meno glucosio endogeno) potrebbero essere necessarie solo 0.5 U/kg/die. Inoltre, se un paziente sta passando da terapia multi-iniettiva (MDI) a terapia con micro-infusore, la TDD iniziale può essere derivata dalle dosi della MDI, ma riducendole dal 10% al 20% a causa delle differenze farmaco-cinetiche tra la modalità di somministrazione (11).
Un profilo basale adeguato mantiene i livelli di glucosio nel sangue stabili durante la notte. In generale, circa il 40-50% del fabbisogno giornaliero di insulina è dato come insulina basale, mentre il restante 50-60% viene fornito principalmente come boli pre-prandiali (12). Una volta che la velocità basale iniziale è stata stabilita, il resto del TDD insulinica può essere suddiviso in boli. Le dosi dei boli pre-prandiali sono determinate in base al livello di glucosio nel sangue pre-prandiale, al contenuto nutrizionale stimato del pasto (in particolare, ai carboidrati misurati in grammi), al livello di eventuale attività fisica prevista dopo aver mangiato, e in particolare al fabbisogno di insulina per pasto calcolato con il rapporto insulina/CHO o regola del 500 (13).

Carb factor = 500/dose totale di insulina giornaliera = g di carboidrati coperti da 1 U di insulina
Bolo pre-prandiale= g di carboidrati del pasto/carb factor

Esempio: donna di 40 anni, dose totale giornaliera = 39 U; Carb factor = 500/39 = 12.8. Conta carboidrati pasto = 120 g; Bolo pre-prandiale = 120/13 = 9

Una volta definiti i boli pre-prandiali, il paziente deve imparare a somministrare i boli supplementari di insulina, definiti anche boli di correzione, al fine di correggere valori glicemici fuori dal range desiderato. Per fare questo, deve conoscere la propria sensibilità insulinica o regola del 1800:

Fattore di sensibilità = 1800/dose totale giornaliera di insulina
Bolo supplementare = (glicemia misurata – glicemia desiderata)/fattore di sensibilità
Esempio: individuo con fabbisogno insulinico totale di 60 U/die. Glicemia misurata = 270 mg/dL; glicemia desiderata = 180 mg/dL; fattore di sensibilità = 1800/60 = 30. Bolo supplementare = (270-180)/30 = 3 U

 

I presidi e gli aspetti pratici della terapia con micro-infusore
Un’immediata differenza pratica tra MDI e micro-infusore è il set di infusione che collega la pompa al paziente. Il micro-infusore è un piccolo sistema computerizzato a batteria, che rilascia insulina secondo velocità basali pre-programmate, connesso a un reservoire da 180 o 300 mL che contiene insulina (analogo ultra-rapido) con un set infusionale (catetere e cannula) che permette all’insulina di passare dal reservoire al sottocute.

 

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Il set infusionale si posizione nella zona peri-addominale o alto gluteo.

 

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Il set di infusione deve essere cambiato secondo le specifiche, per garantire il migliore assorbimento dell’insulina nel tessuto sottocutaneo.

 

Sistemi integrati
La “SAP (Sensor-Augmented-Pump)-Therapy” ha rappresentato il primo tentativo di connessione tra sensore e micro-infusore. Il sensore, infatti, ha iniziato ad affiancare il micro-infusore e i pazienti hanno iniziato a prendere decisioni estemporanee in accordo al dato glicemico in continuo, con evidenti benefici rispetto alla terapia multi-iniettiva, sia sul fronte del compenso glicemico, sia sulla riduzione degli eventi ipoglicemici (16-17). L’associazione del CGM ha quindi reso maggiormente efficace e sicura la terapia con micro-infusore (18).
Il primo importante passo nella rivoluzione tecnologica che sta oggi caratterizzando la terapia insulinica con pompa è stato l’introduzione degli algoritmi decisionali automatici. Dalla semplice associazione del sensore al micro-infusore, si è passati alla totale integrazione dello stesso nel sistema. La prima utilizzata è stata la funzione Low Glucose Suspend (LGS, MinimedTM Paradigm Veo, 2009). Per la prima volta i pazienti potevano osservare sul display del micro-infusore la lettura glicemica e gli andamenti e al raggiungimento sul sensore di una soglia ipoglicemica precedentemente impostata, veniva interrotta la terapia insulinica basale con modalità on-off (fig 3A). Questo avanzamento tecnologico ha dato prova di ridurre la durata dell’ipoglicemia notturna, gli eventi ipoglicemici gravi e in generale tutti gli episodi ipoglicemici (19-22).

 

 

 

Figura 3
A
. La funzione LGS sospende l’infusione di insulina basale al raggiungimento del target ipoglicemico rilevato dal sensore. La somministrazione di insulina riparte dopo 2 ore, indipendentemente dal valore glicemico o può essere riattivata dal paziente.

B. La funzione PLGS sospende automaticamente la somministrazione di insulina in previsione di un evento ipoglicemico. La somministrazione di insulina riparte automaticamente dopo 120 minuti, indipendentemente dal valore glicemico o già dopo 30 minuti se la glicemia del paziente rilevata dal sensore intanto aumenta oltre un valore soglia definito.

 

La tappa successiva è stata l’introduzione della funzione Predictive Low Glucose Suspend (PLGS, MinimedTM 640G, 2015), che ha rappresentato una novità introducendo il concetto della predittività. L’algoritmo del sistema, infatti, assume la decisione di interrompere l’infusione insulinica basale qualora venga predetta un’ipoglicemia a trenta minuti. Sia gli RCT che gli studi Real-World hanno dimostrato come questa tecnologia permetta di ridurre il tempo trascorso in ipoglicemia, senza peggiorare né il TIR (Time in Range, % di glicemie nel range compreso tra 70 e 180 mg/dL) né l’emoglobina glicata (anzi spesso migliorandoli) (23) (figura 3B). Nel 2018 è stato approvato da FDA e successivamente da EMA un altro dispositivo con funzione PLGS (Tandem t:slim X2TM con Tecnologia Basal-IQTM) (24).

Se gli algoritmi introdotti inizialmente (LGS e PLGS) erano sistemi di attenuazione e prevenzione delle ipoglicemie, con l’unico scopo di ridurre il rischio ipoglicemico, tra il 2016 (approvazione FDA) e il 2018 (approvazione EMA) è stato introdotto per la prima volta un sistema ibrido (perché non è totalmente automatico, ha ancora bisogno dell’intervento dell’utilizzatore) ad ansa chiusa (perché l’algoritmo riesce a controllare in autonomia l’erogazione insulinica basale) (HCL, Hybrid Closed Loop, Sistema MinimedTM 670G), che rappresenta il primo tentativo commercializzato di pancreas artificiale. Per la prima volta nasce un sistema che riesce ad adattare l’infusione insulinica basale alla glicemia rilevata dal sensore, con un algoritmo di tipo PID (Proportional Integrate Derivative). La velocità insulinica basale viene calcolata sulla base di:

  • quanto la glicemia istantanea è distante dall’obiettivo glicemico (fisso a 120 mg/dL, ma temporaneamente modificabile a 150 mg/dL come durante attività fisica) (componente “Proportional”);
  • per quanto tempo è stata lontana da questo obiettivo (componente “Integral”);
  • quanto rapidamente si sta modificando la glicemia (componente “Derivative”) (25) (Fig 4A).

 

Figura 4
A
. La velocità di erogazione dell’insulina basale viene totalmente controllata dall’algoritmo in funzione nel sistema (PID, nel Sistema MinimedTM 670G). In viola è rappresentata l’insulina basale e la sua “magnitudo” che varia in funzione della glicemia. Al paziente viene richiesto di eseguire i boli con il calcolatore del bolo, inserendo i carboidrati che verranno consumati ai pasti.

 

Sia i trial clinici che gli studi Real-World hanno documentato con questa tecnologia il miglioramento del compenso glicemico (in termini di TIR e di HbA1c) e la riduzione significativa del TBR (Time Below Range, % glicemie al di sotto di 70 mg/dL) (26). È stato evidenziato come il tempo di utilizzo del sensore, che è un pre-requisito per godere dell’automatismo, è strettamente legato all’aumento del TIR, con contestuale riduzione del TBR e del TAR (Time Above Range, % glicemie al di sopra di 180 mg/dL) (27).

L’ultima evoluzione dell’algoritmo è l’Advanced Hybrid Closed Loop (AHCL), capace non solo di controllare automaticamente l’erogazione dell’insulina basale, ma anche di erogare boli correttivi in automatismo alla predizione di glicemie superiori a determinati obiettivi o se la glicemia permanesse elevata a dispetto di una velocità insulinica basale “massimale” (fig 4B). Il primo sistema di tal genere che ha ricevuto l’approvazione FDA negli USA è stato il Tandem t:slim X2TM con tecnologia Control-IQTM, che utilizza il sensore Dexcom® G6 con un algoritmo di tipo MPC (Modello Predittivo di Controllo) in grado di controllare la glicemia maniera predittiva, minimizzando la differenza tra glicemia prevista e quella target. Il sistema in modalità normale se il valore a 30 minuti:

  • è previsto > 160 mg/dL, aumenta la secrezione basale di insulina;
  • sarà > 180 mg/dL, esegue un bolo di correzione;
  • sarà < 70 mg/dL interrompe l’erogazione.

È dotato di parametri che cambiano se il paziente imposta la modalità “sonno” (con riduzione della soglia glicemica per l’aumento della basale, ma con il blocco delle correzioni automatiche) o “attività fisica” (con riduzione della basale per soglie più elevate di glicemia). Il sistema ha dimostrato di aumentare il TIR (specialmente notturno) con una media glicemica vicino al target senza incrementare gli eventi ipoglicemici e il TBR (28). In un’analisi retrospettiva “real-world” di 12 mesi di utilizzo da parte di pazienti con età ≥ 6 anni, che ha incluso circa 9000 utilizzatori, l’utilizzo con ansa chiusa è stato del 94%, con TIR medio 74% e TBR 1%; in uno studio sempre “real-world” con un campione di 1435 utilizzatori con età ≥ 14 anni, l’utilizzo con ansa chiusa è stato del 96% e il TIR del 79% (29-30).
In Europa è stato approvato per primo il sistema MinimedTM 780G, lanciato sul mercato italiano nell’ottobre 2020. Rispetto al modello precedente (MinimedTM 670G), è in grado di erogare micro-boli insulinici quando la funzione “SmartGuard®” stabilisce la necessità di una correzione, in maniera da massimizzare il TIR. Ciò può essere utile per compensare imprecisioni nella stima dei carboidrati e correggere così glicemie elevate; in aggiunta, è dotato di connettività Bluetooth®, tramite la quale i pazienti possono visualizzare direttamente sul loro smartphone in tempo reale i dati sull’andamento del glucosio, ricevendo notifiche su iper ed ipoglicemie e condividendoli con care-giver e operatori sanitari (tramite App CareLink Connect) (31-32) (fig 5A). Dati osservazionali “real-life” da più di 4000 utilizzatori di questo sistema con un follow-up di 54 giorni hanno mostrato un TIR medio del 76%, con un utilizzo in “Auto-Mode” del 94%; un’analisi successiva, comprendente circa 12mila utilizzatori (pediatrici ed adulti) su un tempo di 6 mesi, ha mostrato risultati simili (33-34).

 

Figura 5
A.
Visualizzazione su smartphone del grafico del sensore e della terapia insulinica praticata con il sistema MinimedTM 780G (in collegamento Bluetooth®). Le colonnine viola esprimono i micro-boli della basale automatica controllata dall’algoritmo, le colonnine azzurre i boli di correzione automatica. I boli erogati dal paziente sono visualizzati come flaconcini azzurri (App CarelinkTM Connect).
B. Omnipod® 5. Il primo sistema “Patch” integrato con sensore con algoritmo HCL.

 

Un altro sistema integrato AHCL commercializzato in Italia nel 2021 è stato il micro-infusore Roche Insight® con algoritmo di tipo “MPC” DBLG-1 (DiabeLoop®), che utilizza come sensore il Dexcom® G6 e cartucce di insulina pre-riempite. Il sistema è in grado di fornire supporto nella gestione e nella prevenzione delle ipoglicemie, grazie ai consigli sui carboidrati di emergenza e alla cosiddetta modalità “zen”, che aumenta temporaneamente il target glicemico riducendo significativamente il rischio di ipoglicemia in determinate situazioni scelte dall’utilizzatore. Peculiare è la caratteristica unica di non dover inserire i carboidrati ai pasti, ma di farne solamente una stima (per colazione, pranzo e cena) da immettere tra le impostazioni iniziali; al momento del pasto si potrà comunque modificare il consiglio fornito dal sistema sul bolo. L’algoritmo deciderà poi la modalità di erogazione del bolo (bolo normale o in modalità bifase) a seconda della glicemia del momento e/o se il paziente sta assumendo un pasto ricco di grassi (35-36).
Già commercializzato in USA (e si prevede che sarà disponibile a partire dal 2023 in Europa e in Italia) esiste anche un sistema “patch” ad ansa chiusa (HCL) con algoritmo MPC (Omnipod® 5 con tecnologia SmartAdjustTM) (37-38) (figperchè  5B).
L’ultimo sistema HCL integrato ad oggi commercializzato in Italia è “Mylife YpsoPump” in associazione con l’app “Mylife CamAPS FX”. Il sensore utilizzato è ancora una volta il Dexcom® G6 (ma sarà possibile in futuro l’interfaccia con FreeStyle Libre® 3). L’algoritmo (di tipo MPC), incorporato in un’applicazione per smartphone (e non nella pompa), è in grado di apprendere e modificarsi in modo adattativo alle caratteristiche del paziente. I boli possono essere erogati direttamente attraverso l’App. Peculiari di questo strumento sono le funzioni “Boost” e “Ease-Off”, che permettono, rispettivamente, di aumentare o ridurre manualmente l’aggressività dell’algoritmo, preparandolo preventivamente a gestire momenti quali l’attività fisica o la malattia. È l’unico sistema AID (Automated Insulin Delivery) ad essere approvato per l’utilizzo in gravidanza (39-40).

Problemi comuni che portano a una discontinuità non trascurabile (dal 3 al 30% secondo alcuni lavori) nell’uso della pompa e/o del CGM (41) sono la necessità di dover indossare due diversi dispositivi, con ricadute sulla propria immagine corporea (sfera della privacy, perchè si rende “visibile” una malattia “invisibile”), sulla gestione dell’attività fisica e degli sport (soprattutto da contatto), le problematiche legate alle reazioni cutanee a cannule e cerotti (arrossamento, eritema, prurito, abrasioni, eczema, lividi, lipo/ipertrofia, lipo-atrofia) e lo stress di dover fronteggiare molteplici richieste e gestire svariati allarmi nell’arco della stessa giornata (42-45). Altri ostacoli che riducono in maniera significativa la diffusione di questa tecnologia sono legati ai team di cura, che possono non avere esperienza sull’uso di questi dispositivi o non avere a disposizione tempo, personale e spazi adeguati per gestire le varie fasi di educazione e addestramento che il paziente deve percorrere per poi utilizzare in sicurezza tali strumenti (46).

Accanto ai dispositivi “ufficiali”, è doveroso citare anche il fenomeno definito Do It Yourself - Artificial Pancreas System (DIY - APS), un vero e proprio “Fai-Da-Te” utilizzato da pazienti con DM1 e loro familiari, di solito particolarmente esperti in informatica: in questo caso vengono utilizzati micro-infusori per lo più di vecchia generazione, un CGM e un algoritmo scaricato gratuitamente dal web (appunto Open APS) sullo smartphone o su un micro-computer, che controlla la pompa in base al dato del CGM (47). L’algoritmo di controllo gira su un applicativo che può essere costruito direttamente dal paziente. Sono sistemi HCL di solito molto performanti, ma privi dei controlli di sicurezza propri dei sistemi tradizionali. Si tratta quindi di sistemi non riconosciuti dalle società scientifiche, poiché non esistono (e non potrebbero esistere) trial clinici che li abbiano testati, il collegamento micro-infusore-CGM avviene tra strumenti non studiati né progettati per comunicare tra loro, con aspetti anche medico-legali particolarmente critici (48).

La tabella riporta i sistemi attualmente disponibili in commercio o che saranno tra breve commercializzati con algoritmi integrati (PLGS, HCL, AHCL).

 

Sistemi integrati attualmente disponibili in commercio
Funzione Micro-infusore Sensore Piattaforma web-cloud Età di utilizzo
LGS MinimedTM Paradigm Veo* EnliteTM Sensor Carelink® Nessun limite
PLGS Tandem t:slim X2TM con Tecnologia Basal-IQTM Dexcom® G6 Diasend®/Glooko® Dai 6 anni
MinimedTM 640G EnliteTM Sensor e GuardianTM Sensor 3 Carelink® Nessun limite
HCL MinimedTM 670G GuardianTM Sensor 3 Carelink® Dai 7 anni
Mylife Ypsomed® con App Mylife CamAPS FX Dexcom G6
(FreeStyle Libre® 3)**
Diasend®/Glooko® Da 1 anno
Omnipod® 5*** Dexcom®G6 - Dai 2 anni
AHCL Tandem t:slimX2TM con Tecnologia Control-IQTM Dexcom® G6 Diasend®/Glooko® Dai 6 anni
MinimedTM780G GuardianTM Sensor 4 Carelink® Dai 7 anni
Accuchek Insight con DBLG1 (Diabeloop®) Dexcom® G6 YourLoop® Dai 18 anni
*Sistema ormai obsoleto, non più prodotto
**Non ancora disponibile
***Non ancora commercializzato in Europa

 

 

Cosa indicano le ultime LG italiane e internazionali relativamente all’uso di questi dispositivi?
Attualmente si stima che nel mondo oltre un milione di soggetti con DM1 utilizzino un micro-infusore (49). Negli ultimi annali AMD (2021) è stato evidenziato che in Italia solo il 18% circa dei pazienti con DM1 sono trattati con micro-infusore, con un andamento quasi piatto rispetto ai precedenti report (50), una media veramente bassa se pensiamo ai progressi tecnologici di questi ultimi anni e se paragoniamo il dato ad altre aree geografiche, come America e Nord Europa, dove le percentuali di utilizzo superano abbondantemente il 30-40% (51).
Recentemente (16/3/2022) è stato pubblicato un documento congiunto da AMD, SID e SIEDP, depositato presso il Sistema della Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (52). Viene posta la domanda: “In soggetti con DM1 è preferibile l’utilizzo di un micro-infusore di insulina o la terapia insulinica multi-iniettiva?” Il panel di esperti, con metodo GRADE, evidenzia che tali strumenti permettono in maniera inconfutabile di:

  • ridurre l’emoglobina glicata;
  • ridurre la variabilità glicemica;
  • ridurre le ipoglicemie gravi;
  • ottenere vantaggi relativi alla qualità di vita e alla soddisfazione per il trattamento.

Sulla base della revisione della letteratura, i sistemi sono giudicati costo-efficaci per l’utilizzo nel DM1. La raccomandazione che ne deriva è: “In soggetti con DM1 scompensato si raccomanda di offrire al paziente l’opzione di una terapia insulinica mediante micro-infusore rispetto alla terapia multi-iniettiva, per i vantaggi sui livelli di emoglobina glicata, le ipoglicemia severe, la qualità della vita e la soddisfazione per il trattamento”. “In soggetti con DM1 non scompensato si suggerisce di offrire al paziente l’opzione di una terapia insulinica con micro-infusore rispetto alla terapia multi-iniettiva, per i vantaggi su variabilità glicemica, qualità della vita e soddisfazione per il trattamento”.
Il secondo quesito posto è: “In soggetti con DM1 è preferibile l’utilizzo di sistemi costituiti da micro-infusore e sensore con automatismo oppure sistemi senza automatismo?” Il panel di esperti evidenzia che l’utilizzo di sistemi micro-infusionali con automatismo rispetto ai sistemi senza automatismo si accompagna a riduzione di:

  • emoglobina glicata;
  • variabilità glicemica.

Anche in questo caso il sistema è giudicato costo-efficace per l’utilizzo nel DM1. La raccomandazione che ne deriva è: “In soggetti con DM1 scompensato nonostante l’utilizzo di micro-infusore e sensore, si raccomanda l’utilizzo di sistemi costituiti da micro-infusore e sensore con automatismo rispetto all’uso di sistemi senza automatismo”.
Nel documento pubblicato da SID-AMD relativamente alla gestione del DM2 e depositato il 26/07/2021 presso il Sistema della Linee Guida dell’ISS (53), alla domanda “Nei pazienti con DM2 non adeguatamente controllati in trattamento con terapia insulinica multi-iniettiva, è utile l’uso del micro-infusore?” viene risposto che “L’utilizzo routinario del micro-infusore di insulina nei pazienti con DM2 non adeguatamente controllati non è raccomandato.” Il panel di esperti evidenzia che, oltre a non esserci evidenze di reali vantaggi derivanti dall’uso del micro-infusore nei pazienti con DM2 rispetto alla terapia multi-iniettiva, i costi per tale terapia sono molto elevati (non viene giudicata costo-efficace). La qualità delle prove degli studi clinici è comunque considerata molto bassa, con conseguente raccomandazione debole a sfavore dell’intervento.
Le indicazioni che fornisce l’American Diabetes Association negli ultimi standard di cura (2023) sono invece più estensive, poiché viene raccomandato che  sistemi infusionali con automatismo “dovrebbero essere offerti a tutti i pazienti giovani o adulti con DM1 ed altre tipologie di diabete con insulino-deficienza, che siano in grado di farne uso in sicurezza (da soli o con l’aiuto dei care-giver)”. Sistemi “stand-alone” o in “SAP-therapy” con sistemi di prevenzione dell’ipoglicemia (PLGS) possono essere offerti alle stesse tipologie di pazienti che non siano abili o che non vogliano utilizzare sistemi con automatismo. Si aggiunge (a differenza delle LG italiane) che “la terapia micro-infusionale può essere offerta per la gestione del diabete a giovani ed adulti con DM2 in terapia insulinica multi-iniettiva capaci di utilizzare in sicurezza tali dispositivi” (54).
Recentemente (2021) anche l’American Association of Clinical Endocrinology ha prodotto delle LG molto articolate sull’utilizzo delle tecnologie avanzate nella gestione del diabete. Viene suggerito che (55):

  • l’utilizzo del micro-infusore “stand-alone” possa essere proposto a pazienti con DM1 compensati con TBR a “target”, che riferiscono infrequenti episodi di ipoglicemia sintomatica e che utilizzano l’SMBG in maniera regolare;
  • l’uso di micro-infusori con CGM (in SAP-therapy) è proponibile per tutti quelli che praticano schemi di terapia insulinica intensiva (multi-iniettiva), ma preferiscono non utilizzare sistemi con algoritmi automatici (sistemi PLGS, HCL, AHCL) o non possono avere accesso a tale tecnologia;
  • i sistemi con algoritmi di attenuazione dell’ipoglicemia (LGS, PLGS) sono fortemente raccomandati per tutti i pazienti con DM1 per ridurre il rischio ipoglicemico; tali sistemi non determinano un aumento della media glicemica e comportano una maggiore confidenza e fiducia nella tecnologia, più flessibilità per i pasti e riducono lo stress legato alla patologia; quindi tutti i pazienti con frequenti crisi ipoglicemiche, ipoglicemia asintomatica e quelli con paura dell’ipoglicemia dovrebbero accedere a questa tecnologia;
  • i sistemi con automatismo (AID) sono fortemente raccomandati per tutti i soggetti con DM1, poiché il loro utilizzo aumenta il TIR, specialmente nel periodo notturno, senza determinare incremento del rischio ipoglicemico; per tale motivo tali sistemi sono da preferire rispetto a tutte le altre modalità di micro-infusione; tutti i pazienti con DM1 in controllo non ottimale, ipoglicemie asintomatiche, paura dell’ipoglicemia che porta ad un compenso non adeguato dovrebbero essere i primi beneficiari.

 

Discussione e conclusioni
Mai come oggi la rivoluzione tecnologica in atto sta cambiando le regole della gestione della terapia insulinica nel DM1. Passando attraverso gli algoritmi di prevenzione dell’ipoglicemia (sistemi LGS e PLGS) oggi siamo arrivati alla tecnologia AID, che permette un’erogazione insulinica glucosio-dipendente (fig 6).

 

 

 

Il pancreas artificiale sembra veramente materializzarsi con l’utilizzo di uno dei vari sistemi, tutti con le proprie peculiarità, che il progresso tecnologico ci sta offrendo. Osservare il micro-infusore elaborare ed erogare, sotto il controllo del proprio algoritmo, micro-boli insulinici (basale e/o correzione automatica) in accordo al CGM, allo scopo di condurre la glicemia del paziente sempre al target voluto (tutti i sistemi sono “treat-to-target”), evitando nel contempo le ipoglicemie, è per tanti diabetologi, che hanno visto l’evoluzione di questi sistemi e la loro affermazione passo dopo passo, un’esperienza eccitante. L’evoluzione di questa tecnologia si è accompagnata a sempre migliori aspettative in termini di compenso glicemico, rispetto alla terapia multi-iniettiva standard, con o senza CGM (fig 7).

 

 

 

Si sta già lavorando su set di infusione che possano durare più a lungo (siamo già arrivati ai 7 giorni con uno dei sistemi commercializzati) e su sistemi che possano integrare cateteri e sensori, riducendo il “carico” fisico del paziente. I sensori, d’altro canto, sono sempre più precisi e non necessitano di calibrazioni. Nel futuro probabilmente parleremo di sistemi bi e tri-ormonali, con glucagone (con le sue nuove formulazioni come il dasiglucagone, solubile in acqua) e amilina che potrebbero fornire una marcia in più, rispettivamente, per ridurre ancora di più il rischio ipoglicemico (riducendo il TBR) (56) e controllare meglio la glicemia post-prandiale (57). Potrebbero quindi vedere la luce sistemi ad ansa completamente chiusa, che aumenterebbero enormemente la qualità di vita dei pazienti, riducendo il “carico” di lavoro che comunque anche un sistema integrato impone perché vengano raggiunti gli obiettivi prefissati. I pazienti non sono sempre in grado di eseguire una conta dei carboidrati corretta, cosa che si traduce in glicemie post-prandiali spesso superiori all’obiettivo desiderato. Si stanno sperimentando algoritmi che riescano a fronteggiare anche pasti non annunciati al sistema e i risultati sembrano promettenti (58).
Anche se i sistemi lavorano in automatismo, il medico oggi ha un ruolo decisivo per l’implementazione della tecnologia: deve fornire educazione e supporto ai pazienti e quindi deve essere lui “in primis” formato sull’uso delle tecnologie e motivato a consigliarle. La parte educativa e di addestramento diventano cruciali per il successo terapeutico. Anche il follow-up è fondamentale per capire se il sistema stia facendo bene il suo lavoro e se il paziente lo utilizzi secondo protocollo. Certo abbiamo ancora un sistema “ibrido”, in cui l’intervento umano è fondamentale ed è bene non dimenticarlo. Molti pazienti e perfino tanti medici potrebbero avere un concetto di pancreas artificiale che ancora non è realtà: non c’è ancora un sistema ad ansa totalmente chiusa, che possa realizzare il sogno di ottenere un TIR prossimo al 100%, con episodi ipoglicemici totalmente assenti.
Esistono numerose cause potenziali di abbandono di tale terapia: la necessità di accettare zione una soluzione comunque “protesica” per una patologia altrimenti “invisibile”, l’impegno per la gestione del cambio del “set” d’infusione, per l’applicazione e, quando richiesto, per la calibrazione del sensore, per la conta dei carboidrati e per una rapida risposta ad innumerevoli allarmi e richieste da parte del micro-infusore per poter mantenere attivo l’automatismo. Bisogna quindi affrontare preventivamente tutte queste criticità con il paziente che si approccia alle nuove tecnologie, per fargli comprendere come solo la migliore gestione della tecnologia può dare i risultati attesi. Non da meno la terapia con micro-infusori e sistemi integrati pone anche per il clinico carichi assistenziali senz’altro più gravosi: la fase di educazione e addestramento prevede di solito diversi incontri con i pazienti che devono apprendere la gestione ottimale dei sistemi proposti; anche il follow-up è più impegnativo, perché prevede a ogni visita la verifica dell’apprendimento dei diversi argomenti e del corretto utilizzo del sistema e lo scarico dei dati sensore/micro-infusore da analizzare attentamente per scoprire errori e manchevolezze. Non esistono LG codificate che definiscano le caratteristiche della struttura diabetologia e del team che si deve occupare di pazienti che utilizzano le tecnologie più evolute. Tuttavia, sarebbe utile, come suggeriva anche il documento del gruppo di studio inter-societario AMD-SID-SIEDP su “Tecnologia e Diabete”, la presenza, oltre al diabetologo e all’infermiere, anche di un dietista e di uno psicologo esperto nel campo della terapia insulinica sottocutanea (59). La pandemia da COVID-19 ci ha peraltro insegnato altre modalità di addestramento, come quella virtuale, implementate e supportate dalle stesse aziende produttrici, con risultati estremamente lusinghieri (60-61).
Tra le criticità delle nuove tecnologie non sono affatto trascurabili i costi, ancora sopportabili solo perché i pazienti con DM1 in terapia con micro-infusore in Italia, seppure in costante aumento, rappresentano una percentuale relativamente bassa (18% circa). Il carico economico che deriva dall’utilizzo dei nuovi dispositivi è significativamente più elevato rispetto all’utilizzo della terapia multi-iniettiva o anche rispetto all’uso di micro-infusore + auto-monitoraggio. D’altra parte, numerosi studi di farmaco-economia hanno dimostrato come la terapia con micro-infusore e l’utilizzo dei sensori sia costo-efficace, specialmente in sottogruppi di pazienti con elevati valori di HbA1c e alto rischio ipoglicemico (62-64); tale concetto è stato ribadito anche dalle ultime LG.
I sistemi integrati, come ormai suggerito dalle LG nazionali e internazionali, sono diventati lo standard di cura nel paziente con DM1: i benefici in termini di compenso glicemico, riduzione del rischio ipoglicemico e miglioramento della qualità di vita sono un dato solido e inconfutabile. Attualmente le priorità sono assicurare conoscenze e addestramento al personale sanitario, allo scopo di vincere l’inerzia che spesso ostacola l’inizio del percorso terapeutico e favorire opportune strategie per rendere questa tecnologia rimborsabile dai sistemi sanitari nei diversi Paesi nel mondo, garantendone l’accesso e riducendo le disparità sociali, laddove presenti (65).

 

Bibliografia

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Gabriele Zardini
UOC Medicina Generale ad indirizzo Endocrinologico, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

 

Ipoglicemizzante appartenente alla classe delle biguanidi, la metformina è l’agente farmacologico preferenziale in monoterapia nel diabete mellito di tipo 2, quando non sono sufficienti al controllo glicemico variazioni dello stile vita, nell’alimentazione e nell’attività fisica, e la riduzione del peso corporeo.
Le associazioni di Diabetologi (ADA e EASD) lo indicano come prima scelta per l’elevata efficacia, come risulta dalla riduzione della Hb glicata, il minor rischio di complicanze legate alla malattia, il basso rischio di ipoglicemia, l’azione sul peso corporeo (stabilizzante o in riduzione) e il basso costo (1).
Agisce riducendo la produzione epatica di glucosio (2); inoltre incrementa l’utilizzazione del glucosio da parte dei tessuti periferici e ha effetto anti-lipolitico, ma il meccanismo d’azione non è completamente noto a livello molecolare.
La metformina riduce la glicemia a digiuno di circa il 20% e l’Hb glicata di circa l’1.5%. Riduce inoltre i trigliceridi e gli acidi grassi liberi, e in minor misura anche il colesterolo LDL. Ne risulta che la metformina determina una riduzione di eventi cardiovascolari e la mortalità per tutte le cause (3).
L’efficacia della metformina viene mantenuta anche quando utilizzata in associazione con altri ipoglicemizzanti. Può essere combinata con sulfaniluree, inibitori delle alfa-glucosidasi, glitazoni, insulina, inibitori DPP-IV e analoghi di GLP-1.
Gli effetti collaterali maggiori sono rappresentati da diarrea e altri disturbi gastrointestinali; più rari sapore metallico, nausea e modesta anoressia. Nel 5-10% dei pazienti determina riduzione dei livelli ematici di vitamina B12. Tali effetti sono ridotti iniziando il trattamento con bassi dosaggi. Di rado è necessario sospendere il trattamento.
La terapia con metformina deve essere titolata a dosaggi crescenti (4). È consigliabile iniziare con dosaggi di 500 mg o 500 mg x 2 per ridurre gli effetti collaterali. Si incrementa poi gradualmente il dosaggio, sino alla dose  efficace, che di solito è compresa tra 1.5 e 2 g/die. La dose massima è di 1 g x 3 (oltre la quale il guadagno in efficacia è modesto).
È controindicata nei casi di insufficienza renale cronica (GFR < 60 mL/min) o in condizioni a rischio di insufficienza renale acuta, situazione predisponente ad acidosi lattica che è stata descritta in percentuale di 9/100.000 pazienti/anno. Per questo viene raccomandato il periodico controllo della funzionalità renale. Sebbene rara, l’acidosi lattica correlata all’uso di metformina determina un elevato tasso di mortalità. Altri fattori predisponenti sono rappresentati da insufficienza epatica, abuso di alcol, situazioni di ipoperfusione tessutale o instabilità emodinamica.
È consigliabile sospendere l’utilizzo di metformina nei soggetti che si sottopongono a intervento chirurgico o a esami radiologici con mezzo di contrasto iodato.

 

Bibliografia

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  4. Bailey CJ, Turner RC. Metformin. N Engl J Med 1996, 334: 574-9.
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Gabriele Zardini1 & Barbara Pirali2
1UOC Medicina Generale ad indirizzo Endocrinologico, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
2Ambulatori Endocrinologia e Diabetologia, Humanitas Mater Domini, Castellanza (VA)

 

Meccanismo d’azione
Agisce riducendo la produzione epatica di glucosio. Inoltre incrementa l’utilizzazione del glucosio da parte dei tessuti periferici e ha effetto anti-lipolitico.

 

Indicazioni
Trattamento del DM tipo 2 negli adulti, in particolare in pazienti sovrappeso.

 

Contro-indicazioni
Ipersensibilità alla metformina.
Insufficienza renale: va sospesa per GFR < 30 60 mL/min, mentre tra 30 e 60 60 mL/min è possibile proseguirla ma a dosaggio ridotto e con regolare controllo della funzione renale.
Condizioni cliniche acute in grado di alterare la funzione renale, come disidratazione, infezione grave, shock.
Condizioni cliniche, acute o croniche, che possono determinare ipossia tessutale, come insufficienza cardiaca, insufficienza respiratoria, infarto miocardico, shock, insufficienza epatica, alcolismo.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Si assume per bocca, preferenzialmente ai pasti, con titolazione a dosi crescenti, partendo da 250-500 mg x 2-3/die sino a 3 g/die (1000 x 3).

Compresse da:

  • 500 mg: Glucophage, Metfonorm, Metforal, Metformina Accord, Metformina Aurobindo, Metformina DOC, Metformina EG, Metformina HEXAL, Metformina Mylan, Metformina Pensa, Metformina TEVA, Zuglimet
  • 850 mg: Glucophage, Metfonorm, Metforal, Metformina Accord, Metformina Almus, Metformina Aurobindo, Metformina DOC, Metformina EG, Metformina HEXAL, Metformina Mylan, Metformina Pensa, Metformina TEVA, Zuglimet
  • 1000 mg: Glucophage, Metfonorm, Metforal Mille, Metformina Accord, Metformina Almus, Metformina Aurobindo, Metformina DOC, Metformina EG, Metformina Hexal, Metformina Mylan, Metformina Pharmacare, Metformina Pensa, Metformina TEVA, Zuglimet

Compresse a rilascio prolungato (unica somministrazione giornaliera):

  • 500 mg: Glucophage Unidie, Keymet, Metformina DOC, Metformina EG, Slowmet
  • 750 mg: Glucophage Unidie, Keymet, Metformina DOC, Metformina EG, Slowmet
  • 1000 mg: Glucophage Unidie, Keymet, Metformina DOC, Metformina EG, Slowmet

Per i preparati di associazione, vedi schede gliptine, sulfaniluree, glitazoni, gliflozine.

 

Effetti collaterali
Nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, riduzione dell'appetito compaiono perlopiù all'inizio del trattamento e perlopiù regrediscono spontaneamente. La formulazione a rilascio prolungato è meglio tollerata dal punto di vista gastro-intestinale.
Comune è l'alterazione del gusto.
Molto rari sono reazioni cutanee, riduzione dell'assorbimento di vitamina B12 e acidosi lattica. Quest'ultima è potenzialmente molto grave.

 

Precauzioni
È consigliabile sospendere l’utilizzo di metformina nei soggetti che si sottopongono a intervento chirurgico o a esami radiologici con mezzo di contrasto iodato.

 

Limitazioni prescrittive
Nessuna.

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Costanza Farabegoli & Anna Vacirca
Medicina 2, Ospedale  di Imola (BO)

 

Le sulfaniluree sono gli ipoglicemizzanti orali da più tempo utilizzati nel trattamento del diabete.
Hanno azione prevalentemente secretagoga, cioè stimolante la secrezione insulinica pancreatica. Attraverso il legame a uno specifico recettore localizzato sulla superficie delle ß-cellule pancreatiche, si verifica la chiusura del canale del potassio ATP-dipendente, con successiva riduzione dell’uscita di potassio dall’interno della cellula e depolarizzazione della membrana. In conseguenza di ciò, aumenta l’ingresso di calcio e si verifica l’esocitosi dell’insulina contenuta nei granuli secretori.
L’impiego di sulfaniluree consente di aumentare la secrezione insulinica, sia a digiuno che post-prandiale, precoce e tardiva.
L’impiego di sulfaniluree in monoterapia porta a una riduzione di circa 1.5-2 punti percentuali di emoglobina glicata. L’efficacia terapeutica dipende dalla presenza di una funzione cellulare pancreatica relativamente conservata e potenzialmente non compromessa, quindi questa categoria di farmaci è poco utile nei casi di diabete dell’adulto a genesi autoimmune o di lungo decorso di malattia. In considerazione del fatto che la malattia diabetica è cronica e progressiva, l’esaurimento della ß-cellula è un processo difficilmente evitabile nel tempo, tanto che, in genere, dopo 15 anni di diabete solo il 25-30% dei pazienti inizialmente trattati con sulfaniluree riesce a mantenere un compenso glicemico adeguato. È stato anche ipotizzato che la stessa stimolazione pancreatica indotta da questa categoria di farmaci possa portare ad accelerare il processo di esaurimento pancreatico.
Le sulfaniluree si distinguono classicamente in farmaci di prima generazione ormai obsoleti (es tolbutamide, clorpropamide) e di seconda generazione (glipizide, glibenclamide, gliclazide, glimepiride, gliquidone). Le sulfaniluree di seconda generazione hanno maggiore attività ipoglicemizzante e raggiungono una dose terapeuticamente efficace a posologia ridotta, limitando il rischio di ipoglicemie rispetto ai farmaci di prima generazione.
Le numerose molecole appartenenti a questa classe presentano una struttura chimica simile, ma differiscono in termini di farmacocinetica. Alcune consentono una mono-somministrazione giornaliera, poiché dotate di una lunga emivita, altre invece necessitano di una somministrazione più volte al giorno prima dei pasti principali.
La metabolizzazione è prevalentemente epatica, con talora la formazione di metaboliti attivi, dotati di emivita ancora più lunga. L’escrezione è renale, pertanto in caso di ridotta clearance aumenta il rischio di ipoglicemia. Il gliquidone viene eliminato per via biliare, mentre gliclazide e glimepiride sono metabolizzati dal fegato in metaboliti inattivi.
Le sulfaniluree inducono un incremento ponderale, sia per effetto dell’azione anabolica sul grasso indotta dall’insulina, che per la riduzione della glicemia nella fase post-prandiale tardiva, con induzione del senso della fame e quindi dell’assunzione di cibo.
Pressoché neutra l’azione sull’assetto lipidico: la lieve riduzione dei trigliceridi risente dell’azione indiretta sul miglioramento dei livelli di glicemia.
L’effetto collaterale più frequente è l’ipoglicemia, frequente soprattutto con glibenclamide, poiché ha lunga emivita (circa 17 ore) e prolungato legame recettoriale sulle ß-cellule. Le crisi ipoglicemiche possono dipendere da eccessivo dosaggio o insufficiente alimentazione o intenso esercizio fisico, dalla coesistenza di grave insufficienza epatica e renale per potenziale accumulo del farmaco, e sono potenziate dall’associazione con insulina o con farmaci che ne incrementano l’effetto ipoglicemizzante.
Ampiamente dibattuta la possibilità di effetti collaterali sul sistema cardiovascolare. Le sulfaniluree esercitano azione sistemica di blocco sui canali del potassio ATP-dipendenti e tale effetto, potenzialmente protettivo nelle fasi di ischemia, poichè l’apertura indotta dall’ischemia favorirebbe l’apporto di ossigeno ai miociti, potrebbe risultare compromesso. Inoltre, si sospetta un effetto pro-aritmogeno, poiché prolungherebbero il tempo di ripolarizzazione della membrana cellulare, e l’induzione di ischemia da vasocostrizione. Questa ipotesi non trova sicura conferma, tuttavia i protocolli di gestione dell’evento coronarico acuto indicano la terapia insulinica come prima scelta. Glimepiride e gliclazide presentano (sia in modelli animali che in studi in vivo) una maggiore selettività di legame per i canali del potassio ATP-dipendenti delle ß-cellule pancreatiche e una minore affinità per quelli cardiaci, garantendo una minore interazione con il sistema cardiovascolare.
La clorpropamide induce fenomeni di ritenzione idrica e aumento della pressione arteriosa.
Gliclazide e glimepiride determinano minore insulinizzazione nella fase inter-prandiale, portando pertanto a minor rischio di ipoglicemie e minor incremento ponderale. La gliclazide attualmente è disponibile anche in formulazione a lento rilascio, che ne consente la mono-somministrazione quotidiana. Inoltre questa molecola mostra alcune attività farmacologiche sul sistema emocoagulativo, con azione pro-fibrinolitica e anti-trombotica indipendente dall’effetto di miglioramento del compenso gludicico.
Le sulfaniluree interferiscono con numerosi farmaci, con conseguente potenziamento o riduzione del proprio effetto:

  • l’effetto è potenziato da acido acetilsalicilico, dicumarolici, allopurinolo;
  • l’effetto è ridotto da rifampicina, barbiturici, diuretici tiazidici, difenilidantoina.

Le sulfaniluree di prima generazione sono ormai obsolete, poiché presentano emivita molto lunga con rischio di accumulo e conseguenti ipoglicemie; per le sulfaniluree di seconda generazione gli studi clinici non evidenziano netta superiorità di una sulle altre, pertanto la scelta di impiego dipende dalle caratteristiche del paziente, affinchè le differenze che le caratterizzano consentano un impiego appropriato.

 

Bibliografia

  1. Canadian Diabetes Association Clinical Pratice Guidelines Expert Committee. Canadian Diabetes Association 2013 Clinical Practice Guidelines for the prevention and management of diabetes in Canada. Can J Diabetes 2013, 37 Suppl 1: S82-6.
  2. Van Staa T, Abenhaim L, Monette J. Rates of hypoglycemia in users of sulfanylureas. J Clin Epidemiol 1997, 50: 735-41.
  3. Schernthaner G, Grimaldi A, Di Mario U, et al. GUIDE-Study: double-blind comparison of once-daily gliclazide MR and glimepiride in type 2 diabetic patients. Eur J Clin Invest 2003, 34: 535-42.
  4. Rydberg T, Jonsson A, Roder M, Melander A. Hypoglycemic activity of gliburide (glibenclamide) metabolites in humans. Diabetes Care 1994, 17: 1026-30.
  5. Zeller M, Danchin N, Simon D, et al. Impact of type of preadmission sulfonylureas on mortality and cardiovascular outcomes in diabetic patients with acute myocardial infarction. J Clin Endocrinol Metab 2010, 95: 4993-5002.
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Anna Vacirca & Costanza Farabegoli
Medicina 2, Ospedale  di Imola (BO)

 

MECCANISMO D'AZIONE
Secretagogo insulinico ß-cellulare, tramite legame con i recettori SUR 1.

 

INDICAZIONI
Diabete tipo 2

 

CONTRO-INDICAZIONI
Severa epatopatia
Severa insufficienza renale
Ipersensibilità al farmaco o ai sulfamidici
Gravidanza e allattamento
Diabete tipo 1, diabete autoimmune dell’adulto, diabete tipo 2 in fase di esaurimento della funzione pancreatica

 

PREPARAZIONI, VIA DI SOMMINISTRAZIONE E POSOLOGIA
Le sulfaniluree sono sottoforma di compresse da assumersi per os.

Glibenclamide
Va somministrata ai pasti. La posologia minima giornaliera è 1.25 mg/die, la massima 15 mg die; in genere la posologia massima utilizzata è 7.5 mg/die, poichè, avendo lunga emivita ed elevata potenza farmacologica, dosi elevate espongono ad elevato rischio di ipoglicemia.
Cp 5 mg: Daonil, Gliben, Gliboral.

In combinazione con metformina: 

  • 2.5 mg + 400 mg (Glibomet, Suguan M)
  • 5 mg + 400 mg (Glibomet)
  • 5 mg + 500 mg (Diaglimet, Gliconorm, Glicorest)

 

 

Gliclazide
Posologia: 80 mg, 1 cp ai 2 pasti principali, dose massima 320 mg/die. Per le formulazioni a lento rilascio: gliclazide 30 mg, 1-3 cp da assumersi al mattino al primo pasto, dose massima 120 mg. In caso di insufficienza renale lieve moderata è possibile mantenere lo stesso schema posologico dei pazienti con una funzionalità renale normale.

  • cp 80 mg: Diabrezide, Gliclazide DOC, Gliclazide EG, Gliclazide Molteni, Gliclazide Pensa, Gliclazide Zentiva
  • cp a rilascio modificato 30 mg: Diamicron, Dramion, Gleukos, Gliclazide Aurobindo, Gliclazide DOC, Gliclazide EG, Gliclazide KRKA, Gliclazide Mylan, Gliclazide Sandoz, Gliclazide Tecnigen, Gliclazide Teva, Gliclazide Zentiva
  • cp a rilascio modificato 60 mg: Diamicron, Dramion, Gleukos, Gliclazide Aurobindo, Gliclazide DOC, Gliclazide EG, Gliclazide KRKA, Gliclazide Sandoz, Gliclazide Tecnigen, Gliclazide Teva
  • cp a rilascio modificato 90 mg: Gliclazide KRKA

 

Glimepiride
Posologia: 1-2 mg una volta al giorno da assumere a colazione o prima del pasto principale. La posologia può essere progressivamente incrementata fino a un massimo di 6-8 mg/die.

  • cp 2 mg: Amaryl, Glimepiride Accord, Glimepiride Aurobindo, Glimepiride Sandoz, Solosa
  • cp 3 mg: Amaryl, Glimepiride Accord, Glimepiride Aurobindo, Glimepiride Sandoz, Solosa
  • cp 4 mg: Amaryl, Glimepiride Accord, Glimepiride Aurobindo, Glimepiride Sandoz, Solosa

In associazione con pioglitazone: 2 mg + 30 mg, 4 mg + 30 mg, 4 mg + 45 mg (Tandemact)

Può essere prescritta in associazione con metformina o insulina.
Durata di azione 24 ore, picco raggiunto a 2-3 ore.
Assorbimento 100%, ridotto se assunto con il cibo. Legame alle proteine di trasporto > 99.5%. Metabolismo epatico attraverso l'ossidazione attraverso la via del citocromo CYP2C9: il primo catabolita presenta circa il 33% dell'attività del composto iniziale, ulteriori processi ossidativi conducono a un metabolita inattivo. Inoltre il primo metabolita subisce un’escrezione urinaria nel 60% e attraverso le feci nel 40%, il metabolita inattivo subisce un’escrezione urinaria dall'80 al 90% e con le feci nel 70%.

 

Glipizide
Cp 5 mg: Minidiab

 

Gliquidone
Viene rapidamente assorbito a livello intestinale, raggiungendo la massima concentrazione plasmatica dopo circa 60–90 minuti e persistendo per circa 3–4 ore, al termine delle quali, viene metabolizzato a livello epatico in una serie di metaboliti inattivi, eliminati principalmente per via biliare.
La dose giornaliera oscilla tra 30 e 120 mg/die. Una condizione di insufficienza renale lieve-moderata non richiede aggiustamento posologico.
Cp 30 mg: Glurenor

 

EFFETTI COLLATERALI
Ipoglicemia
Incremento ponderale
Rarissimi: cefalea, vertigini, epigastralgie, nausea e vomito, diarrea, eruzione cutanea dopo assunzione di alcolici, ittero colestatico, epatite tossica, ritenzione idrosalina, discrasie ematiche (anemia emolitica o leucopenia)

 

PRECAUZIONI
Pazienti con deficit di 6 glucosio-fosfato-deidrogenasi possono essere esposti a maggior rischio di anemia emolitica indotta dalla sulfanilurea.
Insufficienza epatica e renale moderata.
Attenzione in pazienti che assumono farmaci che possono aumentare il rischio di ipoglicemia: ß-bloccanti, cimetidina, anti-depressivi triciclici, fluconazolo, GLP-1 agonisti, diuretici dell'ansa, MAO-inibitori, miconazolo, pegvisomant, chinolonici, ranitidina, salicilato, SSRI, derivati sulfamidici.
Attenzione in pazienti con abuso etilico e nella popolazione anziana (per l’aumentato rischio di ipoglicemie).

 

LIMITAZIONI PRESCRITTIVE
No

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Anna Vacirca & Costanza Farabegoli
Medicina 2, Ospedale  di Imola (BO)

 

Le glinidi sono ipoglicemizzanti orali secretagoghi, distinti dalle sulfaniluree. Alla classe appartengono repaglinide (derivato dell’acido benzoico) e nateglinide (derivato della fenilalanina), ma in Italia è in commercio solo la prima.
Sebbene presentino struttura chimica differente rispetto alle sulfaniluree, anch’esse svolgono attività secretagoga. La stimolazione della secrezione insulinica da parte delle ß-cellule si esplica attraverso la chiusura dei canali del potassio ATP-dipendenti, con conseguente apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti.
I siti di legame sulla ß-cellula identificati per la repaglinide sono tre, uno dei quali è il recettore per le sulfaniluree. La repaglinide ha una cinetica di legame più rapida rispetto alle sulfaniluree, con emivita di circa 30 minuti e durata di azione di 5-7 ore. Inoltre, per esplicare la propria azione, richiede la presenza di glucosio. In considerazioni delle suddette caratteristiche, la sua somministrazione comporta un rapido ma breve rilascio di insulina da parte delle ß-cellule pancreatiche. La sua rapidità d’azione rappresenta un vantaggio nella correzione del picco iperglicemico post-prandiale, senza contemporaneamente incrementare l’insulinizzazione basale e quindi limitando il rischio di ipoglicemie tardive, particolarmente dannose nei soggetti anziani o nei cardiopatici.
In termini di miglioramento del controllo metabolico, gli studi finora condotti non mostrano alcun vantaggio rispetto alle sulfaniluree, poiché la riduzione attesa dei valori glicemici a digiuno durante monoterapia con repaglinide è di 50-60 mg/dL e dell’emoglobina glicata di 1.5-2 punti percentuali.
Per le caratteristiche farmacocinetiche, la repaglinide deve essere assunta tre volte al giorno, ai pasti principali. È particolarmente utile per i pazienti che richiedono maggiore flessibilità dell’orario ai pasti, poiché consente un buon controllo sulle iperglicemie post-prandiali.
È trasformato nel fegato in metaboliti attivi ed è escreto per via biliare, rappresentando così un potenziale vantaggio nel trattamento dei pazienti diabetici con insufficienza renale.
La nateglinide ha una durata di azione di circa 3-5 ore, con minore effetto rispetto alla repaglinide sulla glicemia a digiuno, ma risulta molto efficace nel ridurre le escursioni glicemiche post-prandiali.
Le glinidi possono essere associate sia al trattamento con metformina che con insulina basale.
L’ipoglicemia è il principale effetto collaterale documentato nei pazienti trattati con glinidi, sebbene il rischio sia inferiore rispetto a quello osservato durante il trattamento con sulfaniluree.
I pazienti senza precedente terapia farmacologica, trattati con repaglinide hanno mostrato un aumento del peso pari a circa il 3%, mentre il passaggio dalla terapia con sulfaniluree a quella con repaglinide non ha comportato alcun incremento ponderale.
Poiché il 90% della repaglinide è elimitato per via biliare, tale farmaco è controindicato in caso di grave epatopatia. Nei pazienti con insufficienza renale moderato-grave si raccomanda un adeguamento del dosaggio.
Deve essere evitata l’associazione di repaglinide con gemfibrozil, in quanto questo fibrato è un inibitore dell’isoforma CYP3A4 del citocromo P450, responsabile della metabolizzazione della repaglinide, determinando un potenziamento dell’azione ipoglicemizzante.

 

Bibliografia

  1. Canadian Diabetes Association Clinical Pratice guideliness Expert committee. Canadian Diabetes Association 2013 Clinical Practise Guidelines for the prevention and management of diabetes in Canada. Can J Diabetes 2013, 37 suppl 1.
  2. Wolffenbuttel BHR, Landgraf R. A multicenter randomized double-blind comparison of repaglinide and glyburide for the treatment of type 2 diabetes. Diabetes Care 1999, 22: 463-7.
  3. Niemi M, Backman JT, Neuvonen M, et al. Effects of gemfibrozil, itraconazole and their combination on the pharmacokinetics and pharmacodynamics of repaglinide: potenzially hazardous interaction between gemfibrozil and repaglinide. Diabetologia 2003, 46: 347-51.
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Anna Vacirca & Costanza Farabegoli
Medicina 2, Ospedale  di Imola (BO)

 

In Italia è in commercio solo la repaglinide.

 

Meccanismo d’azione
Azione secretagoga: la stimolazione della secrezione insulinica avviene per un legame recettoriale sulla ß-cellula pancreatica, a seguito del quale avviene la chiusura dei canali del potassio ATP-dipendenti, con successiva apertura dei canali del calcio ed esocitosi di insulina.

 

Indicazioni
Diabete tipo 2 non in fase di chetoacidosi o di fallimento pancreatico secondario.

 

Contro-indicazioni
Diabete tipo 1
Gravidanza e allattamento
Grave insufficienza epatica

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Il farmaco è sottoforma di compresse, va assunto per os prima dei pasti principali, fino a 30 minuti precedenti. La posologia va da 0.5 mg/die fino alla dose massima di 16 mg/die.

  • cp 0.5 mg: Glicam, Novonorm, Repaglinide Accord, Repaglinide Aurobindo, Repaglinide DOC, Repaglinide EG, Repaglinide KRKA, Repaglinide Mylan, Repaglinide Pensa, Repaglinide Sandoz, Repaglinide Teva, Repaglinide Zentiva, Theroflan
  • cp 1 mg: Glicam, Novonorm, Repaglinide Accord, Repaglinide Aurobindo, Repaglinide DOC, Repaglinide EG, Repaglinide KRKA, Repaglinide Mylan, Repaglinide Pensa, Repaglinide Sandoz, Repaglinide Teva, Repaglinide Zentiva, Theroflan
  • cp 2 mg: Glicam, Novonorm, Repaglinide Aurobindo, Repaglinide DOC, Repaglinide EG, Repaglinide KRKA, Repaglinide Mylan, Repaglinide Pensa, Repaglinide Sandoz, Repaglinide Teva, Repaglinide Zentiva.

La posologia iniziale abituale di repaglinide in pazienti che non hanno mai assunto ipoglicemizzanti può essere di 0.5 mg prima del pasto e può essere incrementata fino ad un massimo di 4 mg prima di ogni pasto.
La repaglinide è principalmente metabolizzata dal fegato e meno del 10% è escreta a livello renale, pertanto può essere somministrata in presenza di insufficienza renale moderata (fino a 20-30 mL/min/1.73 m2) senza necessità di modificare la dose.
La nateglinide (non in commercio in Italia), essendo in parte escreta con le urine come i suoi metaboliti, comporta un aumentato rischio di ipoglicemia nelle fasi di maggiore compromissione della funzione renale. La posologia iniziale di nateglinide è di 120 mg.

 

Effetti collaterali
Ipoglicemia: più comune
Allergia
Incremento ponderale

 

Precauzioni
Non impiegare in soggetti di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 75 anni, poichè non è stato studiato in queste fasce d'età.
Evitare in pazienti in terapia con gemfibrozil.

 

Limitazioni prescrittive
No

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Gabriele Zardini
UOC Medicina Generale ad indirizzo Endocrinologico, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

 

I tiazolidinedioni (anche denominati glitazoni) hanno come effetto principale il miglioramento dell’azione dell’insulina. Il meccanismo d’azione si esplica agendo su tessuto adiposo, fegato e muscolo scheletrico, nei quali aumenta l’utilizzazione di glucosio e ne riduce la produzione (1). I glitazonici inoltre possono migliorare i livelli glicemici preservando la funzione delle ß-cellule pancreatiche.
L’efficacia del glitazoni è dimostrata sia in monoterapia sia in terapia di combinazione. In monoterapia, l’efficacia è simile a quella della metformina. Tuttavia, questa è preferibile per i minori effetti collaterali e il minor costo. La riduzione dell’Hb glicata in corso di trattamento con glitazoni è stimata dello 0.5-1.4% (2).
I glitazonici sono stati studiati in associazione con sulfaniluree, insulina e metformina e, rispetto all’uso in monoterapia, sembrano avere maggiore efficacia in combinazione con altri agenti ipoglicemizzanti che hanno meccanismi d’azione differenti (3). Inoltre, riguardo l’assetto lipidico il pioglitazione aumenta il colesterolo HDL e riduce i trigliceridi. Inoltre determina una riduzione di eventi cardiovascolari (4).
Riguardo il profilo di sicurezza, il pioglitazone in monoterapia è causa di ipoglicemia meno spesso rispetto a insulina e sulfaniluree. Gli effetti collaterali principali consistono in aumento del peso corporeo, che è dose- e tempo–dipendente. In parte questo è dovuto alla ritenzione di liquidi con edema periferico, che si rileva nel 4-6% dei pazienti trattati e può precipitare una situazione di scompenso cardiaco. Ci sono evidenze che i glitazonici possono determinare riduzione della densità ossea e aumentare il rischio di fratture. Queste si verificano perlopiù nelle parti distali degli arti e sono più frequenti nelle donne. Infine, con l’uso di pioglitazione vengono segnalati casi di neoplasia vescicale, epatotossicità ed edema maculare.
È controindicato nello scompenso cardiaco e nelle condizioni ad elevato rischio di scompenso, nell’insufficienza epatica, nell’osteoporosi.
Attualmente in Italia è disponibile solo un farmaco di questa classe, il pioglitazone (il rosiglitazone è stato sospeso dall’EMA nel 2010). La dose consigliata di pioglitazone è 15-30 mg una volta al dì, aumentabili a 45 mg/die. Può essere assunto a qualsiasi ora. Esplica il pieno effetto sulla glicemia tra 6 e 12 settimane.
Non è ottimale come monoterapia di prima scelta per gli effetti collaterali e il costo. È da prendere in considerazione come terapia di associazione, in casi individuali, specialmente se metformina o sulfaniluree sono controindicate o non tollerate o se il trattamento insulinico non viene accettato dal paziente.

 

Bibliografia

  1. Yki-Jarvinen H. Thiazolidinediones. N Engl J Med 2004, 351: 1106-18.
  2. Aronoff S, Rosenblatt S, Braithwaite S, et al. Pioglitazone hydrochloride monotherapy improves glycemic control in the treatment of patients with type 2 diabetes: a 6-month randomized placebo-controlled dose-response study. The Pioglitazone 001 Study Group. Diabetes Care 2000, 23: 1605-11.
  3. Nathan DM, Buse JB, Davidson MB, et al. Management of hyperglycemia in type 2 diabetes: a consensus algorithm for the initiation and adjustment of therapy. A consensus statement from the American Diabetes Association and the European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 2006, 29: 1963-72.
  4. Dormandy JA, Charbonnel B, Eckland DJ, et al. Secondary prevention of macrovascular events in patients with type 2 diabetes in the PROactive Study (PROspective pioglitAzone Clinical Trial In macroVascular Events): a randomised controlled trial. Lancet 2005, 366: 1279-89.
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Gabriele Zardini
UOC Medicina Generale ad indirizzo Endocrinologico, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

 

Meccanismo d’azione
Aumenta l’utilizzazione di glucosio nel tessuto adiposo, fegato e muscolo scheletrico; inoltre riduce la produzione di glucosio.

 

Indicazioni
Trattamento di seconda o terza linea per il DM tipo 2:

  • sia in monoterapia, in pazienti adulti, in particolare in sovrappeso, nei quali la metformina è controindicata o non tollerata
  • sia in terapia combinata con metformina, in pazienti adulti, in particolare in sovrappeso, nei quali la massima dose tollerata di metformina non raggiunge controlli glicemici sufficienti oppure con sulfanilurea da sola o in triplice combinazione con metformina o ancora in combinazione con insulina se metformina è controindicata o non tollerata

 

Contro-indicazioni
Ipersensibilità
Insufficienza cardiaca o anamnesi di insufficienza cardiaca
Insufficienza epatica
Chetoacidosi diabetica
Carcinoma della vescica o anamnesi positiva per carcinoma vescicale
Ematuria non accertata

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Compresse da assumere per bocca una volta al giorno, cominciando con 15 o 30 mg; la dose può essere aumentata sino a 45 mg. 

  • cp 15 mg: Actos, Pioglitazone Accord, Pioglitazone Aurobindo, Pioglitazone DOC, Pioglitazone Mylan, Pioglitazone Zentiva
  • cp 30 mg: Actos, Pioglitazone Accord, Pioglitazone Aurobindo, Pioglitazone DOC, Pioglitazone Mylan, Pioglitazone Zentiva
  • cp 45 mg: Actos, Pioglitazone Accord, Pioglitazone Tecnigen

In associazione a:

  • metformina: 15 mg + 850 mg (Competact, pioglitazone e metformina Aristo, pioglitazone e metformina Docgen, pioglitazone e metformina EG, pioglitazone e metformina TEVA);
  • glimepiride: 30 mg + 2 mg, 30 mg + 4 mg, 45 mg + 4 mg (Tandemact)
  • alogliptin: 30 mg + 12.5 mg, 30 mg + 25 mg, 45 mg + 12.5 mg, 45 mg + 25 mg (Incresync).

 

 

Effetti collaterali
Comuni: aumento ponderale, ritenzione idrica, fratture ossee (arti) nel sesso femminile, infezioni delle vie aeree superiori, ipoestesia.
Non comuni: carcinoma della vescica, edema maculare, sinusite.

 

Limitazioni prescrittive
È indicato solo come trattamento di seconda o terza linea
Interruzione del trattamento se non si registra risposta adeguata
Prescrizione in continuità di terapia ospedale-territorio (h-t)

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Agonisti GLP-1

Inibitori DPP-4

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Maurizio Poggi1, Rossella Dionisio2, Emanuele Spreafico3 & Barbara Pirali4
1AO Sant’Andrea, Roma
2
UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
3UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio
4Ambulatori Endocrinologia e Diabetologia, Humanitas Mater Domini, Castellanza (VA)

(aggiornato al 2 febbraio 2020)

 

Gli agonisti del GLP-1 sono una classe di farmaci, di recente introduzione, appartenenti alla classe delle incretine, sistema caratterizzato dall’azione, fondamentalmente, di due ormoni intestinali: il GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon Like Peptide – 1). Questo sistema è responsabile del 70% della secrezione insulinica post-prandiale, rivestendo un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi glucidica (1).
Ad oggi sono disponibili due classi di famaci classificabili come agonisti del GLP-1:

  • analoghi: exenatide, lixisenatide;
  • agonisti del recettore: liraglutide, albiglutide, dulaglutide, semaglutide.

Entrambe le molecole, differentemente dagli inibitori del DPP-4, sono caratterizzate da una somministrazione per via sottocutanea (una o due volte al giorno o settimanale, a seconda della molecola).
Nella farmacopea italiana sono disponibili sia GLP-1-RA short-acting (exenatide, liraglutide) che long-acting (exenatide LAR, albiglutide, dulaglutide). Numerose altre molecole long-acting sono attualmente in fase di sperimentazione, tra cui la semaglutide, nuovo GLP-1-RA a somministrazione settimanale, la cui struttura è simile a quella della liraglutide dalla quale si differenzia per l’emivita, di ben 160 ore (2,3).
L’efficacia di queste molecole nel controllo glico-metabolico è ormai dimostrata essere molto importante. Si osservano diminuzione di HbA1c fino a 1.6% e recupero dell’insulino-sensibilità e, soprattutto, un importante impatto benefico sul peso corporeo (stimato mediamente in una diminuzione fino a 6 kg, con diminuzione dell’adiposità addominale negli studi con durata oltre le 30 settimane e con percentuali di riduzione del peso > 10% in più del 35% dei soggetti trattati) (4-6).
Oltre a questi importanti effetti, questa classe di farmaci ha mostrato di possedere un particolare impatto positivo sul profilo di rischio cardio-vascolare (CV), con diminuzione dei valori di pressione arteriosa, miglioramento della contrattilità miocardica ed effetto positivo sul profilo lipidico (diminuzione trigliceridi, aumento HDL), anche correlato alla diminuzione del peso corporeo (7-10).
In particolare sono stati recentemente pubblicati i risultati dello studio LEADER (Liraglutide Effect and Action in Diabetes-Evaluation of CArdiovascular Outcome Results), che ha mostrato un importante e significativo beneficio CV di liraglutide: nei pazienti con DM2 ad alto rischio ha ridotto il rischio di morte per cause CV, infarto miocardico non fatale e ictus (11).
Nello studio REWIND (Researching CV Event with a Weekly Incretin in Diabetes) il trattamento con dulaglutide si associa a minore incidenza di eventi CV rispetto al placebo, in una popolazione più eterogenea di quelle finora studiate; questi benefici sono ugualmente osservabili sia in prevenzione secondaria che in prevenzione primaria (12).
Nello studio SUSTAIN 6 (Trial to Evaluate Cardiovascular and Other Long-term Outcomes with Semaglutide in Subjects with Type 2 Diabetes), nel gruppo trattato con semaglutide è stato riscontrato un rischio significativamente minore, rispetto al placebo, di un end-point primario composito di morte CV, prima comparsa di IM non fatale o ictus non fatale; in dettaglio è stata evidenziata una diminuzione del 39% di ictus non fatale e del 26% (non significativa) di IM non fatale. La mortalità per cause CV è risultata simile nei due gruppi (13).
Non abbiamo ancora molti studi che abbiano comparato l’efficacia delle differenti molecole di questa classe. Nello studio LEAD-6 (liraglutide vs exenatide), la riduzione di HbA1c sembrerebbe maggiore con liraglutide, così come migliori sembrano gli effetti su glicemia a digiuno, quadro lipidico, diminuzione del peso corporeo e pressione sistolica.
Per quanto riguarda lixisenatide, un recente studio della durata di 26 settimane ha mostrato una maggiore riduzione di HbA1c con liraglutide rispetto a lixisenatide quando aggiunta a metformina, con effetti simili su peso, ipoglicemia ed effetti collaterali gastrointestinali (14). La sicurezza e l’efficacia di dulaglutide sono state valutate in sei studi clinici (AWARD) randomizzati controllati di fase 3, che hanno evidenziato efficacia (come riduzione di HbA1c) superiore vs exenatide (2/die) e sitagliptin e non inferiore a liraglutide (1.8 mg/die)(15).
Gli effetti collaterali maggiormente segnalati sono nausea e vomito, che possono causare l’abbandono della terapia fino al 15% dei pazienti (14). Anche questi effetti non desiderabili sembrano minori con liraglutide vs exenatide in ragione della mono-somministrazione giornaliera. L'uso degli analoghi LAR potrebbe migliorare ulteriormente l’adesione a questo tipo di terapie (16).
La possibilità da parte di queste molecole di poter agire da induttori di processi sia infiammatori che neoplastici a carico del pancreas sembra essere più teorica che pratica. Per fare luce su questo aspetto, recentemente la Canadian Network for observational Drug Effect Studies ha disegnato un ampio studio multicentrico internazionale su una coorte di 972.384 pazienti, nel quale le incretine non sono state associate a un aumentato rischio di neoplasia pancreatica rispetto alle sulfaniluree. Anche se tale potenziale reazione avversa avrà bisogno di un monitoraggio a lungo termine, questi risultati forniscono comunque una certa rassicurazione sulla sicurezza di utilizzo di tali farmaci (17).
Nella nostra realtà clinica assistenziale, i dati del monitoraggio AIFA (18) hanno evidenziato come, nell’esperienza pratica quotidiana, il tipo e l’entità delle reazioni avverse sono risultati in linea con gli studi registrativi e con i dati della letteratura, particolarmente rassicuranti.

 

Bibliografia

  1. Gautier JF, et al. Physiology of incretins (GIP and GLP-1) and abnormalities in type 2 diabetes. Diabetes Metab 2008, 34 (suppl 2): S65–72.
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  6. Vilsboll T, et al. Effects of glucagon-like peptide-1 receptor agonists on weight loss: systematic review and meta-analyses of randomised controlled trials. BMJ 2012, 344: d7771.
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  18. Azoulay L, Filion KB, Platt RW, et al. Incretin based drugs and the risk of pancreatric cancer: internationalmulticentre cohort study. BMJ 2016, 352: i581.
  19. Agenzia Italiana del Farmaco. Il diabete. Stato dell’arte della cura farmacologica in Italia. Focus specifico sulle incretine. 2012.
Stampa

Maurizio Poggi1, Rossella Dionisio2, Emanuele Spreafico3 & Barbara Pirali4
1AO Sant’Andrea, Roma
2
UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
3UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio
4Ambulatori Endocrinologia e Diabetologia, Humanitas Mater Domini, Castellanza (VA)



Meccanismo d’azione
Legame con il recettore del GLP-1 (famiglia delle G-protein) presente su pancreas, cervello, ipotalamo, polmone, stomaco, cuore, intestino e rene. L'aumento dell'azione del GLP-1 (sia attraverso l'uso di un analogo che attraverso un agonista del recettore) determina:

  • miglior lavoro della ß-cellula in modo glucosio-dipendente;
  • soppressione della secrezione di glucagone.

 

Indicazioni
DMT2 in non adeguato compenso con modifiche dello stile di vita, in fallimento alla terapia con metformina e/o altri farmaci ipoglicemizzanti orali.
Possono essere associati a metformina, sulfaniluree, glitazoni, insulina.

 

Contro-indicazioni
Cautela in caso di pregresse pancreatiti, uso abituale di alcool, importante ipertrigliceridemia.

 

Precauzioni in caso di insufficienza renale
Exenatide:
nei pazienti con compromissione renale lieve (GFR 50-80 mL/min/1.73 m2) non è necessario un aggiustamento della dose. Nei pazienti con compromissione renale moderata (GFR 30-50 mL/min/1.73 m2) l’incremento di dose da 5 µg a 10 µg deve essere effettuato con cautela. Exenatide non è consigliata per l’uso in pazienti con malattia renale in stadio terminale o con compromissione renale severa (GFR < 30 mL/min/1.73 m2).
Exenatide LAR: non sono necessari aggiustamenti della dose per i pazienti con danno renale lieve (GFR 50-80 mL/min/1.73 m2). L’esperienza clinica nei pazienti con danno renale moderato (GFR 30-50 mL/min/1.73 m2) è limitata), per cui l’uso non è raccomandato in questi pazienti, né in quelli con malattia renale in stadio terminale o con danno renale severo (GFR < 30 mL/min/1.73 m2).
Liraglutide, semaglutide e dulaglutide: non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio in pazienti affetti da compromissione renale lieve, moderata o severa (eGFR fino a 15 mL/min/1.73 m2). L’esperienza in pazienti con malattia renale allo stadio terminale (< 15 mL/min/1.73 m2) è molto limitata, perciò l’uso non può essere raccomandato in questi pazienti.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Tutti somministrabili per via sottocutanea (arriverà a breve sul mercato semaglutide orale).

Exenatide:

  • Byetta (penna pre-riempita da 5 µg e 10 µg). Iniziare con 5 µg nei 60 minuti prima del pasto della mattina e della sera (non dopo i pasti), aumentabile a 10 µg x 2 dopo un mese.
  • Bydureon (penna pre-riempita 2 mg e kit polvere e solvente da ricostituire 2 mg) da somministrare una volta alla settimana, indipendentemente dai pasti.

Liraglutide: Victoza (penna pre-riempita da 3 mL contenente 6 mg/mL). Iniziare con 0.6 mg una volta al giorno, aumentabile a 1.2 mg dopo una settimana e a 1.8 mg (dose max) dopo un’altra settimana, indipendentemente dai pasti

Lixisenatide: Lyxumia (penna pre-riempita da 10 µg e 20 µg). Iniziare con 10 µg una volta al giorno (prima di un pasto), aumentabile a 20 µg dopo 2 settimane.

Dulaglutide: Trulicity (penna pre-riempita da 0.75 mg, 1.5 mg, 3 mg, 4.5 mg). Dose raccomandata 1.5 mg una volta alla settimana in qualsiasi momento della giornata, indipendentemente dal pasto. È consigliabile usare 0.75 mg come dosaggio iniziale in alcune popolazioni speciali, compresi i pazienti > 75 anni o in monoterapia (non rimborsabile).

Albiglutide: Eperzan (penna con polvere e solvente da ricostituire da 30 mg/0.5 mL e 50 mg/0.5 mL) da somministrare una volta a settimana, indipendentemente dal pasto. Iniziare con la dose di 30 mg, aumentabile a 50 mg sulla base della risposta glicemica individuale. Non è più in commercio.

Semaglutide:

  • Ozempic (penna pre-riempita da 0.25 mg, 0.5 mg, 1 mg, 1.34 mg)
  • Rybelsus (cp 3 mg, 7 mg, 14 mg)

 

Prodotti di combinazione con insulina

  • Liraglutide con insulina degludec: Xultophy (penna pre-riempita da 3.6 mg + 100 U).
  • Lixisenatide con insulina glargine: Suliqua (penna pre-riempita da 33 o 50 µg + 100 U). 

 

Effetti collaterali
Possibile comparsa di nausea e vomito, che di solito regrediscono dopo le prime settimane di terapia.

 

Limitazioni prescrittive
Nota 100.

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Maurizio Poggi1, Rossella Dionisio2 & Emanuele Spreafico3
1AO Sant’Andrea, Roma
2
UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
3UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio

(aggiornato al 4 maggio 2017)

 

Gli inibitori della DDP-4 sono una classe di farmaci, di recente introduzione, appartenenti al gruppo delle incretine, sistema costituito fondamentalmente da due ormoni intestinali: il GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon Like Peptide – 1). Questo sistema, responsabile del 70% della secrezione insulinica post-prandiale, riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi glucidica (1).
Alla classe degli inibitori della DPP-4 appartengono molecole che, differentemente dagli analoghi del GLP-1, sono caratterizzate dalla somministrazione orale (in mono o doppia dose giornaliera). Pur se con alcune sfumature, riguardo selettività e potenza di affinità recettoriale, tutte le molecole attualmente disponibili (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin e alogliptin) non sembrerebbero avere significative differenze nell’efficacia clinica (2). Un’importante differenza che potrebbe orientare le scelte terapeutiche, specie in pazienti spesso complicati come quelli affetti da DMT2, è la metabolizzazione e l’escrezione del farmaco (3). Queste sono:

  • prevalentemente per via renale per sitagliptin, vildagliptin, alogliptin e saxagliptin;
  • prevalentemente epatica nel linagliptin.

Questo aspetto suggerisce delle considerazioni significative alla luce dell’alta incidenza di compromissione della funzione renale in soggetti affetti da DMT2 (vedi capitolo diabete e insufficienza renale per le modificazioni di dosaggio)(4).
Una delle caratteristiche più significative di questa classe di farmaci è la loro azione ed efficacia, strettamente glucosio-dipendente (5). Questo fa sì che la possibilità di incorrere in crisi ipoglicemiche, una delle più frequenti e temibili complicanze acute delle comuni terapie ipoglicemizzanti, non si verifichi con questa classe di farmaci, con ricadute notevoli sia in termini di compliance che di safety per il paziente. Importanti inoltre le ripercussioni positive in termini economici, per il risparmio derivante dal possibile abbattimento delle spese sostenute dal Sistema Sanitario a causa dell'alto numero di accessi in Pronto Soccorso a causa delle temibili crisi ipoglicemiche.
Riguardo l’efficacia sul controllo gluco-metabolico, numerosi sono ormai i lavori che hanno mostrato come questa classe di farmaci sia dotata di una buona efficacia, in termini di riduzione di HbA1c, sia in monoterapia che in aggiunta ad altro farmaco (6,7). L’efficacia è migliore rispetto sia a metformina che alle sulfaniluree o pioglitazone, considerata la migliore durability (aspetto cruciale, vista la cronicità e l’evolutività della malattia) come pure il profilo di sicurezza (8). Inoltre, cosa molto importante nel paziente diabetico, questa classe di farmaci sembra avere un effetto assolutamente neutro sul peso corporeo e addirittura positivo quando associata a metformina (6). Riguardo invece all’impatto diretto sul profilo di rischio cardio-vascolare (CV), tutte le molecole presenti in commercio sembrerebbero essere neutre (9-11).
Tre recenti trial, SAVOR-TIMI 53, EXAMINE e TECOS, condotti rispettivamente con saxagliptin, alogliptin e sitagliptin confrontati con placebo, hanno valutato la sicurezza CV delle gliptine (12-14). In nessuno dei tre studi si è osservata alcuna differenza rispetto al placebo nell’incidenza di eventi CV maggiori o nella mortalità CV, confermando la sicurezza CV complessiva di questa classe di farmaci. Nello studio SAVOR-TIMI53, il trattamento con saxagliptin è risultato associato a un aumento, modesto ma significativo, dell’incidenza di ricovero per scompenso cardiaco, senza differenze nella mortalità specifica (12); un analogo trend, seppure non significativo, è stato osservato nello studio EXAMINE con alogliptin (15), mentre nessun segnale di rischio è emerso nello studio TECOS con sitagliptin (14). Due recenti studi osservazionali su coorti multiple condotti su un’ampia coorte di pazienti non hanno confermato un maggior rischio di scompenso cardiaco nei pazienti in terapia con inibitori del DPP-4 rispetto alle altri classi di ipoglicemizzanti orali (16-17).
In aggiunta a quanto detto riguardo al minor rischio di ipoglicemie, questi farmaci mostrano un ottimo profilo di tollerabilità (7). I problemi più frequentemente riferiti, a carico dell’apparato gastrointestinale, sono minimi e inferiori rispetto a quanto mostrato da altre terapie ipoglicemizzanti (18).
Molto si è discusso, infine, per la sicurezza di questi farmaci riguardo la possibile induzione di episodi di pancreatite e/o neoplasie del pancreas. L’aumento di questi eventi, segnalato dal registro della FDA statunitense in soggetti in terapia con inibitori del DPP-4, non sembra essere confermato da studi e metanalisi successive. In una metanalisi di studi clinici randomizzati di durata > 12 settimane in cui sono stati inclusi 109 trial, con un’esposizione di 45.239 pazienti-anno, il trattamento con gliptine non era associato a un incremento dei casi di pancreatite rispetto al gruppo di controllo (19). Futuri studi potranno sicuramente fare ancora più chiarezza su questi aspetti, specialmente con le nuovissime molecole come linagliptin e alogliptin.
Riguardo, invece, al ruolo dei DPP-4 nella risposta immune e nel conseguente rischio di aumento di episodi infettivi (specie vie aeree superiori), recenti metanalisi non sembrerebbero confermare questo rischio. Solo sitagliptin sembrerebbe essere associato a un lieve incremento di episodi di rino-faringite.
Nella nostra realtà clinica assistenziale, i dati del monitoraggio AIFA (20) hanno evidenziato come, nell’esperienza pratica quotidiana, il tipo e l’entità delle reazioni avverse è risultato in linea con gli studi registrativi e con i dati della letteratura.

 

Bibliografia

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  20. Agenzia Italiana del Farmaco. Il diabete. Stato dell’arte della cura farmacologica in Italia. Focus specifico sulle incretine. 2012.