Overview sui NET
Sara Bianchetti1 & Silvia Nasoni2
1SC Oncologia e 2SC Gastroenterologia ed Epatologia,, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
I tumori neuroendocrini (NET) sono patologie spesso misconosciute. Il ritardo diagnostico è dovuto a molteplici ragioni tra cui, non ultima, una scarsa familiarità dei clinici con questo tipo di patologia. Inoltre, i NET possono manifestarsi con una sintomatologia sfumata, sub-continua e aspecifica, soprattutto nei tumori non funzionanti.
Particolare attenzione si deve porre nei pazienti con anamnesi positiva per sindromi genetiche, come la MEN-1 e la VHL, che si possono associare ai NET.
La diagnosi dei NET parte, quindi, prima che da un corteo di esami specifici di tipo laboratoristico e strumentale, da un’accurata anamnesi che permetta di identificare la neoplasia in una fase precoce; un ritardo nell’inizio di una terapia adeguata, infatti, potrebbe comportare un peggioramento della prognosi nell’ambito di una classe di tumori che complessivamente hanno una prognosi migliore rispetto ai carcinomi non endocrini: la mediana di sopravvivenza di tutti i NET, infatti, considerati tutti gli stadi e grading, è di 75 mesi (1,2).
Essendo i NET un gruppo di neoplasie molto eterogeneo, si sono susseguiti molti tentativi per identificare fattori prognostici adeguati; tra tutti, il grading e lo stadio di malattia sono tra i fattori di maggiore utilità. Infatti, mentre la mediana di sopravvivenza dei NET, considerati tutti gli stadi e grading, è di 75 mesi, nei G2 e nei G3 tale valore scende rispettivamente a 64 e 10 mesi e sale a 124 mesi nei G1. Per quando riguarda lo stadio, i pazienti affetti da NET G1 o G2 con malattia localizzata e localmente avanzata hanno una sopravvivenza media rispettivamente di 223 mesi e 111 mesi. Questo dato si modifica drasticamente nei pazienti che, a parità di grading, sono in fase metastatica, arrivando fino a 33 mesi. In aggiunta, nei NET G3 localizzati la sopravvivenza mediana è pari a 34 mesi, riducendosi rispettivamente a 14 e a 5 mesi nei casi di malattia localmente avanzata e metastatica (1,2). Utilizzando la classificazione TNM, si ottengono risultati sovrapponibili: i pazienti con malattia allo stadio IV avevano sopravvivenze a 5 anni pari a 57%, un valore intermedio tra quelli con NET G2 (73.4%) e G3 (27.7%)(3,4).
Poiché una diagnosi tardiva di NET potrebbe avere importanti ripercussioni sulla prognosi, è essenziale prendere in considerazione tali neoplasie nella diagnosi differenziale fin dal momento dell’anamnesi.
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Approccio diagnostico ragionato al paziente con sospetto NET
Il sospetto di NET può sorgere in 4 scenari clinici differenti, ognuno dei quali richiede un approccio ragionato diverso:
- reperto incidentale in un paziente totalmente asintomatico (con il caso particolare dell'alterazione di laboratorio)
- paziente sintomatico per effetti locali
- paziente con sindrome iperfunzionante
- paziente con metastasi a primitività ignota.
I primi 2 scenari sono tipici dei NET non funzionanti.
Iter diagnostico ragionato nel paziente con reperto incidentale sospetto per NET
Nicola Fazio
Unità Tumori Gastrointestinali e Neuroendocrini, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Introduzione
Il sospetto di NET può nascere a seguito di un riscontro di alterazione radiologica (ecografia, TC o RM) o endoscopica in un paziente senza alcun sintomo o segno clinico di NET (1-3).
Il paziente dovrebbe essere interrogato relativamente a disturbi gastroenterici (diarrea, stipsi, acidità, reflusso) e dovrebbero essere ricercate masse palpabili, alterazioni cutanee e metaboliche suggestive per una sindrome iperfunzionante. È opportuno inoltre raccogliere un’accurata anamnesi familiare per la possibilità di una sindrome ereditaria (3).
Sospetto nato per un'alterazione endoscopica
La diagnosi incidentale di NET spesso segue l’esame istologico di una lesione polipoide riscontrata durante una procedura endoscopica eseguita in un paziente asintomatico. Altra possibilità è che un NET gastroduodenale o colorettale venga sospettato sulla base di una protrusione mucosa polipoide singola o multifocale (4-6). C’è comunque da sottolineare come nessun rilievo endoscopico sia patognomonico di NET.
La prima tappa obbligatoria è la biopsia endoscopica della lesione sospetta. Nel caso questa non sia possibile o non porti a una diagnosi, la tappa successiva sarà uno studio morfologicodi diagnostica per immagini. All’interno del team multidisciplinare dovrà poi essere discussa la possibilità di una biopsia eco/TC-guidata o laparoscopica. Infine, si potrà eseguire una diagnostica per immagini funzionale, come mezzo complementare per la stadiazione e la previsione prognostica.
Non ci sono test di laboratorio indicati per il work-up diagnostico: il rilievo di ipergastrinemia, acloridria, anemia macrocitica, deficit di vitamina B12 e/ anticorpi anti-fattore intrinseco può aiutare nell’inquadramento di un NET gastrico.
Flow-chart diagnostica per GEP-NET sospettato all’endoscopia
Sospetto nato per un'alterazione radiologica (eco/TC/RM)
Questo rilievo è di solito legato a un tumore pancreatico primitivo o a metastasi epatiche.
Il rilevo all’ecografia (anche con contrasto) di lesione ipoecogena ipervascolarizzata e/o di lesioni ben definite, e alla TC o RM di lesioni ipervascolarizzate che prendono il contrasto può far sospettare un NET pancreatico. Nelle lesioni di grandi dimensioni si possono evidenziare alterazioni cistiche, necrosi o calcificazioni (7).
Specialmente se il sospetto è nato all’ecografia, è importante che il team multidisciplinare escluda i falsi positivi: emangiomi, carcinomi pancreatici, tumori mucinosi pancreatici intra-duttali, carcinomi epatocellulari, adenomi e lesioni metastatiche (8-14).
Bisognerebbe per prima cosa prelevare un campione citologico o istologico (15,16).
Confermata la diagnosi anatomo-patologica di GEP-NET, bisogna passare alla stadiazionemorfologica e funzionale. Se la biopsia non è fattibile o non porta alla diagnosi, bisogna eseguire un altro esame di diagnostica per immagini (ecografia con contrasto, eco-endoscopia, RM con sequenze specifiche per il fegato, ecc) in relazione alla disponibilità ed esperienza locali (3).
Le lesioni metastatiche a primitività occulte richiedono un percorso specifico.
Anche se non esistono test di laboratorio raccomandati nell’iter diagnostico, livelli urinari elevati di 5-HIAAsono altamente specifici di metastasi da GEP-NET e potrebbero orientare la diagnosi in caso di biopsia non conclusiva. Nei pazienti con NET pancreatico, bisogna sempre ricercare con attenzione la presenza di vaghi sintomi e segni funzionali subclinici che possano orientare verso una sindrome funzionale; in tal caso è opportuno eseguire esami ormonali selettivi.
Flow-chart diagnostica per GEP-NET sospettato a un esame radiologico
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Iter diagnostico ragionato nel paziente che si presenta con alterazione sospetta dei dati di laboratorio
Antongiulio Faggiano
Dipartimento di Medicina e Chirurgia Clinica, Università Federico II, Napoli
Nella pratica clinica può capitare di dover valutare un paziente arrivato per alterazioni di esami di laboratorio richiesti in modo inappropriato o non sufficientemente giustificato. Qui ci concentriamo sul caso della cromogranina A, che è la situazione che può richiedere maggiore riflessione.
Il dosaggio della CgA non deve mai essere considerato un test diagnostico di prima linea. Cionostante, il sospetto di NET può nascere dal rilievo di livelli elevati di questo marcatore, richiesti sulla base di dati clinici aspecifici.
Prima di avviare un iter con esami radiologici ed endoscopici, è opportuno escludere accuratamente tutti i fattori che possono influenza il dosaggio di CgA. Prima di tutto è sempre opportuno ripetere una seconda volta il dosaggio, anche se eseguito in un laboratorio affidabile; inoltre bisogna ripetere il dosaggio dopo sospensione (se possibile) di tutti i farmaci che interferiscono nei risultati, in particolare gli inibitori di pompa, per almeno 2 settimane.
Se i livelli di CgA si confermano elevati in assenza di fattori interferenti/confondenti, è opportuno eseguire un’ecografia trans-addominale. L’eventuale iter a seguire deve essere discusso in un team multidisciplinare, oppure il paziente può essere inviato a un centro di riferimento.
Flow-chart diagnostica per il sospetto di NET insorto dopo il rilievo di elevati valori di CgA
Iter diagnostico ragionato nel paziente sintomatico per effetti locali sospetti per NET
Nicola Fazio
Unità Tumori Gastrointestinali e Neuroendocrini, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Un NET non funzionante può diventare sintomatico quando comprime o invade le strutture adiacenti o quando metastatizza. Il sospetto diagnostico può derivare da alterazioni radiologiche o endoscopiche suggestive e/o dalla progressione apparentemente lenta di una malattia neoplastica (1). Alterazioni di laboratorio (p.e. livelli francamente patologici di CgA in assenza di fattori confondenti) possono corroborare il sospetto, ma la diagnosi può essere fatta solo dal patologo (su materiale istologico o citologico)(2).
Il primo passo è l’anamnesi dettagliata con un esame obiettivo completo.
Si possono distinguere 4 differenti modalità di presentazione clinica: dolore addominale isolato, quadro subocclusivo, ittero ed emorragia gastro-enterica.
Il dolore addominale è la presentazione clinica più comune dei GEP-NET non funzionanti, in relazione al tumore primitivo o alle metastasi (3,4). Bisogna indagare accuratamente caratteristiche e localizzazione del dolore.
Dolore addominale isolato
Un dolore oppressivo e persistente ai quadranti superiori può indicare una massa pancreatica o retro-peritoneale (5,6), mentre un dolore intermittente crampiforme solitamente indica un’origine intestinale (1,7). Nel primo caso è opportuno partire con un esame radiologico, seguito da endoscopia ed eco-endoscopia per indagare lesioni pancreatiche e duodenali. Nel secondo caso è opportuno partire con un esame endoscopico (1,7). Bisogna cercare di prelevare un campione citologico o istologico della lesione sospetta ogni volta che sia possibile (fig 1)(5,6).
Un dolore addominale diffuso e mal definito può essere correlato a metastasi epatiche o linfonodali. In quel caso è opportuno eseguire un’ecografia addominale, seguita da TC total body e biopsia eco-guidata.
Figura 1
Flow-chart diagnostica per GEP-NET sospettato per dolore addominale
Quadro subocclusivo
Può essere provocato da un voluminoso NET ileale, spesso metastatico, e/o da carcinomatosi peritoneale.
In relazione alla gravità del quadro clinico, bisogna eseguire un Rx addome a vuoto e/o un’endoscopia (1,7).
Se si sospetta un’ostruzione estrinseca, è opportuno eseguire TC addominale; nel sospetto di carcinomatosi peritoneale, può essere utile la valutazione del transito con radiografia con contrasto idrosolubile (fig 2.).
Se possibile, è opportuno prelevare un campione bioptico per via endoscopica, altrimenti discutere nel team multidisciplinare l’esecuzione di una biopsia eco/TC-guidata di una lesione epatica o di un altro sito anatomico coinvolto o una laparoscopia esplorativa.
Figura 2
Flow-chart diagnostica nel sospetto di GEP-NET per quadro clinico subocclusivo
Ittero
Questa presentazione clinica fa sospettare il coinvolgimento di fegato, vie biliari o pancreas. È opportuno eseguire una valutazione di funzione e struttura del fegato attraverso esami biochimici ed ecografia, per escludere un’ostruzione biliare. Di solito la dilatazione delle vie biliari extra-epatiche suggerisce effetto compressivo da linfadenopatie o massa pancreatica, quella delle vie intra-epatiche la presenza di metastasi epatiche (5,6). In caso di ittero ostruttivo, può essere indicata l’esecuzione di colangio-RM o ERCP (che permette anche la raccolta di campioni bioptici oppure citologici per spazzolamento). La TC total body e l’endoscopia possono aiutare a definire la sede del tumore primitivo e a stadiare la malattia (fig 3).
Figura 3
Flow-chart diagnostica nel sospetto di GEP-NET per ittero
Sanguinamento gastro-intestinale
Può dipendere dagli effetti compressivi e infiltrativi di una massa tumorale. Il sanguinamento può essere massivo (ematemesi, melena, proctorragia) oppure occulto o a gemizio. Bisogna eseguire esami per valutare la crasi ematica e le riserve di ferro e un’endoscopia. Il paziente con sanguinamento massivo deve essere sempre ricoverato e può essere necessario eseguire un’angiografia (1,7). Nel caso di lesioni nello stomaco, nel duodeno, nel colon-retto o nel tratto terminale dell’ileo, si può arrivare alla diagnosi istologica attraverso una biopsia endoscopica. Se l’endoscopia è negativa, bisogna discutere nel team multidisciplinare le tappe successive, che potranno essere enteroscopia, enteroTC/RM, o capsula endoscopica, a seconda della disponibilità e dell’esperienza locale (fig 4). Per una lesione localizzata al piccolo intestino, si deve prendere in considerazione un approccio chirurgico a scopo diagnostico e terapeutico.
Figura 4
Flow-chart diagnostica nel sospetto di GEP-NET per sanguinamento gastro-intestinale
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Iter diagnostico ragionato nel paziente che si presenta con sindrome iperfunzionante
Dario Giuffrida e Ivana Puliafito
Unità operativa di Oncologia Medica - Istituto Oncologico del Mediterraneo - Viagrande (CT)
Il paziente che giunge alla nostra osservazione lamentando una sintomatologia caratterizzata da diarrea cronica secretoria, non responsiva alla terapia medica, e ripetuti episodi di flushing cutaneo con localizzazione al volto e diffusione al collo ed al tronco superiore, pone il sospetto di una sindrome da carcinoide (1). Nella forma tipica, gli episodi di flushing sono di solito di breve durata, possono verificarsi più volte nell’arco della giornata, spontaneamente o dopo sforzi, emozioni intense, pasti, assunzione di alcolici e si associano a sensazione di calore. Comuni anche le manifestazioni cardiovascolari, che consistono in insufficienza tricuspidale e stenosi polmonare, e le manifestazioni respiratorie, con episodi di broncocostrizione e tosse secca. Nella forma atipica, che caratterizza i carcinoidi secernenti istamina, il flushing è purpureo, di durata prolungata e generalizzato. Sono possibili anche ipotensione, sudorazione, scialorrea, lacrimazione (2). L’aspecificità dei sintomi richiede tuttavia un approfondimento diagnostico, come il dosaggio di alcuni analiti nel plasma e nelle urine. Marcatori generici, utili nella diagnosi e nel follow-up di malattia, includono la cromogranina A (CgA) e l’enolasi neurono-specifica (NSE)(3). Un altro test utile nel sospetto di sindrome da carcinoide è il dosaggio nelle urine delle 24 h dell’acido 5-idrossi-indolacetico (5-HIAA)(4,5).
In presenza di sintomi quali diarrea e algie addominali e di negatività del 5-HIAA, la diagnosi differenziale si pone con ulteriori due sindromi, associate solitamente a NET di origine pancreatica (pNET), la sindrome di Zollinger-Ellison e la sindrome di Verner-Morrison (6,7).
La sindrome di Zollinger-Ellison è tipica dei gastrinomi, che possono originare dalle cellule G del duodeno e del pancreas e si caratterizzano per l’ipergastrinemia, responsabile dell’ipercloridria gastrica. Clinicamente, ai sopracitati sintomi si associa la comparsa di ulcere peptiche, che tipicamente si riscontrano a livello duodenale. In questo caso le indagini di laboratorio prevedono il dosaggio della gastrina e la valutazione della secrezione acida gastrica: valori rispettivamente > 1000 pg/mL e >15 mEq/ora sono tipici del gastrinoma. Nei casi dubbi (gastrinemia < 1000 pg/mL), si ricorre al test dinamico di tipo provocativo con secretina. Il test è positivo in presenza di aumenti del valore di gastrina di almeno 120 pg/mL rispetto al basale.
La sindrome di Verner-Morrison è tipica dei VIPomi, tumori di origine pancreatica caratterizzati da iperproduzione di polipeptide intestinale vasoattivo (VIP). Clinicamente la diarrea acquosa si può complicare con disordini idro-elettrolitici e alterazioni della conduzione elettrica cardiaca, inoltre poichè il VIP inibisce la secrezione acida gastrica un incremento dei suoi livelli circolanti può facilmente associarsi ad ipocloridria o nel 50% dei casi ad acloridria. Il VIPoma si caratterizza per elevati livelli plasmatici di VIP (un incremento del 20-50% rispetto al range normale è già significativo) e per alterazioni elettrolitiche quali ipokaliemia legata alla perdita intestinale ed ipercalcemia, che dipende dalla capacità del VIP di influenzare il metabolismo osseo (8,9). Qualora non fosse possibile dosare il VIP, non è disponibile un test evocativo, ma la combinazione di diarrea acquosa profusa, ipokaliemia, acloridria, ipercalcemia può guidare la diagnosi.
Due ulteriori sindromi iperfunzionanti che si possono associare ai pNET comprendono la sindrome da Insulinoma e la sindrome di Becker. La sindrome da insulinoma è provocata da neoplasie generalmente benigne, che originano dalle ß-cellule delle insule pancreatiche, produttrici di insulina. I sintomi includono crisi ipoglicemiche a digiuno e di conseguenza tremori, sudorazione, palpitazioni, astenia che regrediscono con l’assunzione di cibo. Ipoglicemia e iperinsulinemia caratterizzano l’insulinoma, ma poiché una franca ipoglicemia potrebbe essere assente, in alcuni casi si ricorre al test del digiuno in regime ospedaliero. Il test è positivo se glicemia < 55 mg/dL (3 mmol/L), insulina ≥ 3 μU/mL (18 pmol/L), C-peptide ≥ 0.6 ng/mL (0.2 nmol/L).
La sindrome di Becker caratterizza i glucagonomi, tumori maligni poco frequenti, che derivano dalle alfa-cellule delle insule pancreatiche. L’ipersecrezione di glucagone è causa di iperglicemia e manifestazioni cutanee tipiche. Concentrazioni plasmatiche di glucagone > 500 pg/mL in associazione ad iperglicemia sono patognomoniche di glucagonoma (10, 11). Qualora non fosse possibile dosare il glucagone, non esiste un test dinamico, pertanto il riscontro combinato di diabete, eritema necrolitico migrante e comunemente di metastasi epatiche (poichè clinicamente la sindrome si manifesta tardivamente) orienta nella diagnosi differenziale.
In caso di positività dei test di laboratorio, bisognerà procedere all’individuazione del tumore primitivo e di eventuali metastasi a distanza attraverso le indagini strumentali. La TC con mdc e la RM sono in grado di individuare anche tumori di piccole dimensioni, grazie alla loro ricca vascolarizzazione, e di definire il rapporto del tumore con gli organi e le strutture vascolari vicine, utile in caso di approccio terapeutico chirurgico (12, 13). L’ecografia addominale può essere utile per la ricerca di metastasi epatiche, ma la sua validità è strettamente operatore-dipendente e l’esame può essere inficiato da condizioni come il meteorismo intestinale (14). Gli esami endoscopici consentono l’individuazione diretta della neoplasia in caso di localizzazione a livello gastro-duodenale o colo-rettale, mentre per lo studio dell’intestino tenue si ricorre al clisma del tenue (che potrebbe essere negativo negli stadi iniziali ove la lesione è ancora di piccole dimensioni, limitata alla sottomucosa), all’enteroscopia e alla videocapsula endoscopica, soprattutto quando si è di fronte ad una malattia metastatica in assenza del tumore primitivo. Tuttavia questi esami sono costosi, poco diffusi e necessitano di adeguata pulizia intestinale (15). L’eco-endoscopia è una metodica invasiva, operatore-dipendente, non eseguibile in tutti i centri, che consente di individuare lesioni pancreatiche anche millimetriche singole o multiple, o carcinoidi gastrointestinali localizzati nella parete gastrica, duodenale e colo-rettale. Dovrebbe essere usata dopo le consuete tecniche di imaging, ma i sopracitati limiti non ne consentono un uso routinario (7). Infine i NET sono caratterizzati dall’espressione di recettori per la somatostatina. La diagnostica medico-nucleare è utile nei casi di malattia metastatica da tumore primitivo sconosciuto, per definire la diffusione di malattia e per individuare pazienti candidabili alla terapia radiometabolica. La scintigrafia con Octreoscan è la metodica più diffusa. L’accumulo del radiofarmaco in organi che comunemente non esprimono i recettori per la somatostatina può essere indicativo della presenza di una neoplasia (16-18). La PET con fluorodesossiglucosio (F-FDG) trova scarsa indicazione nei NET ben differenziati per il loro lento metabolismo, mentre la PET con i peptidi Ga–DOTA-TOC, Ga-DOTA-NOC, Ga-DOTA-TATE si sta affermando con un’efficacia superiore a quella dell’Octreoscan, soprattutto nella valutazione di lesioni piccole a livello linfonodale, epatico, scheletrico. Tuttavia l’esame è ancora eseguibile solo in un numero limitato di centri (19).
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Iter diagnostico ragionato nel paziente con metastasi a primitività ignota
Franco Grimaldi
SOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine
Il tumore metastatico a primitività ignota è una condizione in cui si ha la conferma istologica o citologica di NET su una metastasi, senza evidenza del tumore primitivo, dopo un primo iter diagnostico che comprende TC toraco-addominale, Octreoscan, EGDS e colonscopia.
La frequenza di tumori ben differenziati di questo tipo varia fra il 9 e il 19% (1,2). In tutti i tipi di NET la presenza di metastasi epatiche influenza in modo importante la prognosi, che dipende dal sito di origine, dall’estensione tumorale (stadio T) e dalla differenziazione istologica (NET vs carcinoma neuroendocrino, NEC). Il tasso di sopravvivenza a 5 anni nei piccoli NET intestinali e pancreatici G1-G2 è del 54% e 27%, rispettivamente, nel database SEER (3). Inoltre, pur in presenza di metastasi epatiche, la sopravvivenza è peggiore nei pazienti in cui non è stata identificata la sede primitiva (4). Nei pazienti con metastasi epatiche la sopravvivenza è influenzata dalla presenza di sintomi ostruttivi e di quelli correlati all’ipersecrezione ormonale.
La valutazione di questi pazienti deve comprendere un’accurata anamnesi, compresa la familiare per identificare i parenti affetti e il rischio di tumore poliendocrino (MEN-1 o MEN-2) e studi biochimici e strumentali (5). I preparati istologici devono essere rivisti con colorazioni immunoistochimiche per guidare la ricerca del tumore primitivo (6,7):
- TTF-1 per il polmone e il tumore midollare della tiroide;
- CDX-2 per l’intestino;
- PAX-8, istidina-decarbossilasi, polipeptide pancreatico e glucagone per il pancreas;
- xenina per il duodeno;
- gastrina per il gastrinoma occulto.
La valutazione biochimica deve comprendere i dosaggi di gastrina, 5-HIAA e altri marcatori secondo la disponibilità locale (8).
Di recente è stato riportato che la maggior parte dei tumori metastatici a primitività ignota deriva dal pancreas e dal piccolo intestino (9). Di conseguenza, il team multiscipinare deve valutare l’esecuzione di studi di localizzazione da selezionare fra RM addome, eco-endoscopia, enteroTC/RM, PET con Ga-68, capsula endoscopica, enteroscopia a doppio pallone, in relazione al quadro clinico, alla disponibilità e all’esperienza locale (10-12). Nei NEC può essere utile la 18F-FDG-PET.
Flow-chart diagnostica nel paziente con malattia metastatica a primitività ignota
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Approccio razionale alla stadiazione dei NET
Nicola Fazio
Unità Tumori Gastrointestinali e Neuroendocrini, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
La valutazione dell’estensione di malattia ha un ruolo chiave nella pianificazione terapeutica.
La stadiazione pre-trattamento dovrebbe comprendere metodiche morfologiche e funzionali di diagnostica per immagini. Le metodiche morfologiche sono necessarie in tutti i NET, indipendentemente dal grado. Per quanto riguarda le metodiche funzionali, nei NET di grado basso-intermedio (G1-G2 secondo la classificazione WHO 2010) bisogna usare quelle basate sulla visualizzazione dei recettori per la somatostatina (Octreoscan o PET con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi), mentre la 18F-FDG-PET andrebbe riservata ai G3 e ad alcuni G2.
Per la stadiazione morfologica, bisogna usare una TC multidetettore toraco-addomino-pelvica oppure una TC toracica senza mdc associata a una RM addomino-pelvica (1). Per la stadiazione funzionale, l’Octreoscan viene attualmente considerato il gold standard. Però, dovrebbe essere usata preferenzialmente la PET/TC con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi se disponibile. In effetti, la PET manca dei dettagli anatomici richiesti perla stratificazione terapeutica (pianificazione chirurgica o calcolo della dose per la radio-embolizzazione con microsfere radio-marcate). Recentemente è stato riportato che la RM con contrasto specifico per il fegato combinata con la PET con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi sarebbe più accurata della PET/TC nella diagnosi di metastasi epatiche da GEP-NET (2). Promettenti ma ancora sperimentali sono le PET/TC con 18F-DOPA e con 11C-5HTP: il loro uso è da ipotizzare in caso di negatività di Octreoscan e PET con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi (3).
NET gastrici: l’EGDS è solitamente l’unica metodica diagnostica raccomandata nei piccoli ( 1 cm. L’EUS è utile anche nella valutazione del coinvolgimento linfonodale regionali e permette la conferma istologica con FNA. TC/RM e metodiche medico-nucleari sono necessarie nella stadiazione dei NET gastrici di tipo 2 e 3, mentre sono superflui nel tipo 1.
NET duodenali: l’EUS è utile prima della resezione delle lesioni polipoidi. Per valutare l’estensione locale e a distanza dovrebbero essere eseguiti TC multislice o RM. Nei pazienti con malattia localmente avanzata e/o metastasi epatiche, è opportuno eseguire scintigrafia ossea e RM del rachide e pelvi (4).
NET digiuno-ileali: la ricerca di metastasi a distanza deve esseere eseguita con TC multidetettore toraco-addomino-pelvica oppure con TC toracica senza mdc associata a RM addomino-pelvica, Octreoscan o PET con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi. La TC del fegsato dovrebbe essere eseguita con tecnica multislice e multifase. È opportuna l’esecuzione di una colonscopia per escludere un carcinoma colorettale sincrono (4).
NET colo-rettali: bisogna eseguire una TC multidetettore toraco-addomino-pelvica. È molto utile l’esecuzione pre-operatoria di un’ecografia endo-anale/endo-rettale per valutare la profondità dell’invasione di parete e il coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali (5).
NET pancreatici non funzionanti: per la stadiazione morfologica bisogna eseguire una TC multislice/multifase o una RM con sequenze T1 con saturazione del grasso e a contrasto ritardato e poi una EUS con biopsia (6). Poi Octreoscan o PET con Ga-68 coniugato a DOTA-peptidi.
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Sindrome carcinoide
Franco Grimaldi
SOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine
(aggiornato al 19 marzo 2017)
Definizione ed epidemiologia
La sindrome da carcinoide (SC) è un cluster di sintomi riscontrati a volte in pazienti con neoplasie neuroendocrine (NEN), tumori rari, spesso a lenta crescita. La maggior parte delle NEN è localizzata nel tratto gastrointestinale. La sindrome carcinoide si verifica in < 10% dei pazienti con NEN, di solito dopo che il tumore si è diffuso al fegato. I tumori in questi pazienti rilasciano quantità eccessive di serotonina, causando diarrea. Le complicazioni della diarrea incontrollata includono perdita di peso, malnutrizione, disidratazione e squilibrio elettrolitico.
Classificazione
La SC è classificata come:
- tipica, caratterizzata da diarrea, dolori addominali e flushing, nel 95% dei casi;
- atipica nel restante 5%, in cui il quadro clinico è variabile, a causa del tipo di sostanze bioattive secrete (serotonina, tachichinine, callicreine e prostaglandine).
Clinica
La diarrea della SC è probabilmente causata dalla serotonina, che stimola il piccolo intestino e il colon. È fondamentale eseguire un’anamnesi delle caratteristiche della diarrea, valutando l’eventuale associazione con ulteriori manifestazioni della SC. Nella SC la diarrea è cronica, prevalentemente secretoria, non migliora con il digiuno ed è associata a squilibri elettrolitici. Le feci sono solitamente acquose, in relazione a ipermotilità e ipersecrezione. La diarrea notturna e l’incompleta risposta al trattamento specifico avvalorano il sospetto di SC (1,2).
Circa metà dei pazienti con SC ha dolore addominale: è intermittente e crampiforme con coliche, oppure sordo, e non si attenua con la defecazione.
Il flushing è il sintomo più frequente, che si può accentuare con l’assunzione di cibo e alcol, con l’esercizio fisico e gli stati emotivi. Le caratteristiche del flushing sono particolari: viso, collo e parte superiore del tronco diventano di colore rosso con pelle tipicamente asciutta. Il flushing può essere associato a ipotensione transitoria e broncocostrizione. Altre cause di flushing da porre in diagnosi differenziale includono:
- feocromocitoma, menopausa (associata a sudorazione), sindrome di Zollinger-Ellison e carcinoma midollare della tiroide, solitamente associati a flushing intermittente;
- alcolismo, policitemia, stenosi mitralica, associati a flushing costante;
- possono essere implicati anche farmaci (vasodilatatori quali calcio-antagonisti, morfina e altri oppiacei) e mastocitosi (il flushing dura di più e può essere accompagnato da cefalea, dispnea, cardiopalmo)(3).
La SC atipica è associata all’iperproduzione di istamina ed è caratterizzata da rossore prolungato, broncocostrizione, cefalea, lacrimazione, dispnea e ipotensione. La dispnea può suggerire la presenza di asma, ma questa è normalmente associata a tosse, difficoltà respiratoria, senso di costrizione toracica, con sintomi che si verificano o peggiorano durante la notte e sono accentuati dall’aria fredda, dall’esercizio fisico, o dall'esposizione agli allergeni. Per riconoscere l'asma si utilizzano i test di funzionalità respiratoria (4).
La cardiopatia da carcinoide è uno degli aspetti più diffusi e critici della SC, presente nel 10-20% dei pazienti al momento della diagnosi. La SC provoca un ispessimento delle valvole cardiache, alterandone la funzione, con fibrosi cardiaca e conseguente insufficienza cardiaca destra. In 1/5 dei pazienti sono presenti affaticamento, dispnea da sforzo ed edema periferico. Fino al 50% dei decessi della SC sono dovuti all’insufficienza cardiaca (5,6).
La crisi da carcinoide è la manifestazione estrema della SC, pericolosa per la vita, indotta dal massiccio rilascio in circolo di amine dopo anestesia, procedure interventistiche o assunzione di farmaci. Le caratteristiche principali sono: ipotensione (raramente ipertensione), tachicardia, dispnea bronchiale e disfunzione del sistema nervoso centrale.
Diagnosi
La diagnosi è spesso complessa, perchè la sintomatologia percepita dal paziente potrebbe essere ascritta ad altre condizioni, in particolare a disturbi gastrointestinali. Nella diagnosi differenziale devono essere considerate ed escluse malattia infiammatoria intestinale (Crohn e rettocolite ulcerosa), colite microscopica, intolleranza alimentare e allergia, celiachia, pancreatite cronica, altre neoplasie (es. carcinoma del colon, linfoma) e altre situazioni (asma, ansia, alcolismo).
Prima di procedere nel percorso diagnostico di una NEN con SC, si consiglia di escludere attentamente le altre cause che possono determinare flushing e diarrea. La chiave di volta per una gestione ottimale è rappresentata dall’accuratezza dell’anamnesi e dell’esame obiettivo. Per una migliore valutazione delle caratteristiche della sintomatologia, potrebbe essere utile suggerire al paziente di tenere un diario per 2-4 settimane, per registrare gli aspetti qualitativi e quantitativi di flushing, sudorazione e diarrea.
Il test biochimico per confermare la presenza della SC è la determinazione urinaria dell’acido 5-OH-indolacetico (5-HIAA), metabolita della serotonina. È il test più utile nei pazienti con la SC tipica, prevalentemente nelle NEN a sede digiuno-ileale. Questo dosaggio è altamente sensibile (fino al 90%) e specifico (85-90%) per la diagnosi di SC. Nei pazienti con SC, i livelli di 5-HIAA sono di solito almeno il doppio rispetto al limite superiore della norma. Deve essere posta attenzione ai fattori che possono causare livelli falsamente positivi o negativi (tabella).
Interferenze con dosaggio di 5HIAA | |
Falsi positivi | Alimenti: banane, avocado, kiwi, ananas, frutta secca, arachidi, susine, pomodori, melanzane, caffè, tè, cacao, cioccolata, vaniglia, dolci Farmaci: paracetamolo, tranquillanti (es. diazepam), anti-tussigeni, fenobarbital, reserpina |
Falsi negativi | Acido acetilsalicilico, MAO-inibitori, alcol, eparina |
Nella SC atipica dei carcinoidi bronchiali vengono prodotti 5-idrossitriptofano e istamina anziché serotonina, poiché questi sono privi di DOPA-decarbossilasi, l’enzima che converte il 5-idrossitriptofano in serotonina. Purtroppo non sono disponibili in commercio test urinari per il 5-idrossitriptofano, mentre la determinazione dell’istamina è circoscritta a pochissimi centri.
La determinazione nel siero della serotonina non è raccomandata, in quanto può variare notevolmente a seconda dei livelli di attività e dello stress; da rilevare infine che la cromogranina è scarsamente specifica (7).
Nel momento in cui è confermata la diagnosi biochimica di SC, deve essere localizzata la sede della neoplasia. La causa più frequente è la presenza di una NEN nel piccolo intestino associata a metastasi epatiche. Le procedure di imaging dovrebbero includere entero-TC, endoscopia, Octreoscan o PET con Ga-68 ed ecocardiografia (chiedendo specificamente la valutazione delle cavità cardiache di destra) (8).
Terapia
La terapia della SC si avvale degli analoghi della somatostatina (SSA) long-acting (octreotide LAR o lanreotide autogel), sia a dosi standard che ad alte dosi (octreotide LAR 30 mg/28 gg o 40-60 mg/28 gg e lanreotide autogel 120 mg/28 gg o 180 mg/28 gg), dell’alfa-interferone alla posologia di 3-5 MUI x 3/settimana.
Il 2 marzo 2017 FDA ha approvato telotristat etiprate, inibitore dell'enzima triptofano-idrossilasi, in combinazione con SSA per il trattamento di adulti con diarrea da SC non adeguatamente controllata con SSA. La sicurezza e l’efficacia di telotristat sono state stabilite in uno studio di 12 settimane, in doppio cieco controllato con placebo, su 90 adulti con NEN metastatiche ben differenziate e diarrea da SC (4-12 scariche/die nonostante l’uso di SSA a dose stabile per almeno tre mesi). I pazienti che ricevevano la terapia con telotristat in aggiunta a SSA hanno evidenziato una riduzione maggiore nella frequenza media delle scariche (-2/die nel 33% dei trattati vs 4% del gruppo placebo) (9).
Bibliografia
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Scheda telotristat
Franco Grimaldi
SOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine
Meccanismo d’azione
Inibitore dell'enzima triptofano-idrossilasi, inibisce la produzione di serotonina da parte dei tumori carcinoidi, riducendo la frequenza della diarrea causata dalla sindrome carcinoide.
Indicazioni
Da utilizzare in combinazione con la terapia con analogo della somatostatina (SSA) nel trattamento di adulti con diarrea da sindrome carcinoide non adeguatamente controllata con la sola terapia con SSA.
Contro-indicazioni
Nessuna.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Compresse da 250 mg (Xermelo): da assumere oralmente tre volte al giorno durante i pasti.
Effetti collaterali
Nausea, cefalea, stipsi, livelli aumentati di gamma-GT, depressione, edema periferico, flatulenza, diminuzione dell’appetito, febbre.
Precauzioni d'uso
Epatopatia, depressione.
Il rischio di sviluppare stipsi può essere maggiore nei pazienti con frequenza delle scariche < 4/die. I pazienti trattati con un dosaggio più alto di quello raccomandato hanno sviluppato stipsi grave negli studi clinici. I pazienti devono essere monitorati: se si verifica stipsi grave o dolore addominale grave, persistente o che peggiora, sospendere il farmaco e contattare il proprio medico.
Limitazioni prescrittive
Non è ancora in commercio in Italia
Gastrinomi
Antongiulio Faggiano, Valeria Ramundo, Michela Del Prete, Francesca Marciello, Vincenzo Marotta
Dipartimento di Medicina e Chirurgia Clinica, Università Federico II, Napoli
Definizione, epidemiologia e clinica
Il gastrinoma è un GEP-NET funzionante, solitamente localizzato nel duodeno o nel pancreas, che secerne gastrina e provoca la sindrome di Zollinger Ellison (ZES). La ZES è caratterizzata da ipersecrezione acida, che porta a grave malattia peptica ulcerosa e malattia da reflusso gastroesofageo (GERD)(1-4).
L’incidenza di gastrinoma è di 0.5-2 casi/milione/anno. Il gastrinoma è uno dei più comuni GEP-NET funzionanti nella popolazione generale (5) e compare nel 25-40% dei pazienti affetti da MEN-1 (6,7). In questi, compare a un’età più precoce (in media 32-35 anni) che nei casi sporadici (3,6.7).
Il gastrinoma pancreatico può svilupparsi in qualunque porzione della ghiandola, mentre quello duodenale colpisce più frequentemente la prima parte del duodeno, bulbo compreso (8,9). Alla chirurgia il 70-85% dei gastrinomi viene reperito nel cosiddetto “triangolo del gastrinoma” nel quadrante superiore destro, in corrispondenza del duodeno e della testa del pancreas (8-10).
I principali sintomi classicamente associati a ZES, dovuti a ipersecrezione acida gastrica, sono dolore addominale (75-98% dei casi), diarrea (30-73%), pirosi (44-56%), sanguinamento gastroenterico (44-75%), nausea e vomito (12-30%), calo ponderale (7-53%)(3,4,11).
All’esordio clinico, oltre il 97% dei pazienti ha ipergastrinemia, l’87-90% ha marcata ipersecrezione gastrica acida (> 15 mEq/h) e il 100% pH gastrico < 2 (1,12).
Il tasso di malignità è alto e il 30-40% dei pazienti affetti ha metastasi epatiche (13).
La maggioranza dei pazienti si presenta con una singola ulcera duodenale, sintomi ulcerosi e da GERD, complicanze di ulcera e diarrea. È meno frequente oggigiorno vedere pazienti con ulcere multiple o in localizzazioni insolite (1,3-6,12,14-16). I sintomi possono essere in parte mascherati dall’ampio uso odierno di farmaci anti-secretori, come gli inibitori di pompa e gli anti-H2. La diagnosi deve essere ipotizzata sulla base di una lunga storia ulcerosa o di GERD o della loro recidiva dopo trattamento (6,12,15-17). Questo ritardo può portare alla diagnosi di gastrinoma ad uno stadio più avanzato. La malattia va quindi sempre sospettata in caso di:
- malattia ulcerosa recidivante, grave o familiare;
- malattia ulcerosa:
- senza Helicobacter pylori o altri fattori di rischio;
- associata a grave GERD;
- resistente al trattamento o associata a complicanze (penetrazione, perforazione, sanguinamento);
- associata a endocrinopatie o diarrea (che si risolve con gli inibitori di pompa);
- con pliche gastriche prominenti all’EGDS;
- MEN-1.
Diagnostica
Le prime tappe nella diagnosi di ZES sono anamnesi ed esame obiettivo. Bisogna escludere fattori confondenti, come l’uso di ASA e FANS (18).
In tutti i pazienti con ZES bisogna sempre pensare alla MEN-1, specialmente con anamnesi personale o familiare positiva per endocrinopatie, urolitiasi, altri NET (6,19). Vista l’alta penetranza dell’iperparatiroidismo primario nella MEN-1 (20), la prima tappa di screening è il dosaggio di calcemia e PTH.
Per quanto riguarda la diagnostica di laboratorio, la gastrinemia a digiuno è un eccellente test di screening, con sensibilità > 98%. Bisogna escludere accuratamente i possibili falsi positivi.
La diagnosi di ZES richiede livelli inappropriatamente alti di gastrinemia associati ad aumento della secrezione acida gastrica (> 15 mEq/h o > 5 mEq/h nei gastrectomizzati) e pH gastrico 1000 pg/mL fa la diagnosi, mentre un pH gastrico > 2 la esclude (6). Il problema sono i farmaci interferenti in un paziente pesantemente sintomatico: nei soggetti in terapia cronica gli inibitori di pompa andrebbero sospesi per almeno una settimana (il tempo ottimale teorico sarebbe di 4 settimane)(6,21). Nei pazienti che con la sospensione sarebbero a rischio di sanguinamento, disidratazione e ipopotassiemia da diarrea, visto che l’effetto degli anti-H2 sula secrezione acida è meno pronunciato (22,23), si possono sostituire gli inibitori di pompa con gli anti-H2 per almeno una settimana, sotto stretta supervisione (24,25).
Nei casi dubbi si può eseguire un test con la secretina (19,26-29), che richiede comunque un wash-out farmacologico, o un test di stimolo con calcio, con minore accuratezza diagnostica e maggiori effetti collaterali (19). Non devono più essere eseguiti i test di stimolo della secrezione acida gastrica (2).
Dopo aver fatto la diagnosi biochimica, si deve eseguire la EGDS. Nella ZES si evidenzia malattia ulcerosa distalmente al bulbo duodenale, nella parte discendente del duodeno o anche più distalmente fin nel digiuno. Le ulcere possono essere multiple a indicare evidente ipersecrezione acida (6).
Si deve poi passare alla localizzazione del tumore e alla valutazione dell’estensione di malattia, tramite TC e/o RM con contrasto, eco-endoscopia, Octreoscan o PET/TC con Gallio, angiografia con iniezione selettiva intra-arteriosa di calcio (6,19). Le stesse metodiche potranno essere usate per valutare la risposta ai trattamenti. È da notare che un’accurata localizzazione del tumore può consentire resezione chirurgica completa, diminuzione della metastatizzazione e aumento della sopravvivenza (19,30-32).
Flow-chart diagnostica per il sospetto gastrinoma
Terapia
I principali approcci terapeutici sono chirurgico e farmacologico.
Attualmente c’è consenso sull’indicazione a una chirurgia radicale curativa nei pazienti con gastrinoma sporadico potenzialmente resecabile e senza gravi controindicazioni (19). L’approccio chirurgico è l’unico con la potenzialità di guarire il paziente e deve essere proposto in prima linea ogni volta che sia possibile. Però, nei casi con malattia localmente avanzata o in presenza di tumori duodeno-pancreatici multipli (MEN-1), non è generalmente possibile la radicalità chirurgica, a meno di non adottare approcci molto aggressivi, come la duodeno-cefalo-pancreasectomia o la pancreasectomia totale, gravati da alta morbilità e mortalità e che quindi devono essere eseguiti solo in centri con grande esperienza nella chirurgia pancreatica. Non c’è più indicazione alla gastrectomia totale per il controllo sintomatologico, se non nei rari pazienti (< 1-2%) che non assumono o non tollerano la terapia anti-secretoria orale (19).
La terapia farmacologica comprende il trattamento sintomatico e i farmaci anti-tumorali. Il trattamento sintomatico mira a controllare l’ipersecrezione gastrica acida e a prevenire le complicanze ulcerose e si basa su inibitori di pompa (di prima scelta per la potenza e la lunga durata d’azione) e anti-H2 (19).
Per quanto riguarda la terapia anti-tumorale, gli analoghi della somatostatina sono considerati di prima scelta nel controllo dei sintomi dei NET iperfunzionanti, che viene ottenuto nella maggioranza dei casi. Nei gastrinomi gli analoghi long-acting sono anche in grado di controllare l’ipersecrezione acida attraverso l’inibizione della secrezione della gastrina, anche se le linee guida continuano a indicare gli inibitori di pompa per il controllo sintomatologico (19). Più di recente gli analoghi sono stati proposti come terapia anti-proliferativa di prima linea nei NET pancreatici non operabili, localmente avanzati o metastatici (33). Anche la target therapy è adesso validata nei pazienti con gastrinomi pancreatici, ove a malattia sia inoperabile o in caso di persistenza/recidiva post-chirurgica: sia everolimus, inibitore di mTOR (34), che sunitinib, inibitore di tirosin-chinasi (35), hanno prolungato la sopravvivenza libera da malattia rispetto al placebo in questa categoria di pazienti.
Altre possibili strategie terapeutiche da prendere in considerazione nei casi di malattia inoperabile in progressione sono la terapia radio-recettoriale e il trattamento loco-regionale delle metastasi epatiche, anche se non sono ancora state validate in studi randomizzati.
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Insulinomi
Antonella Paoloni, Francesca Rota, Valerio Adinolfi, Laura Rizza, Agnese Barnabei, Marialuisa Appetecchia, Roberto Baldelli
UOSD Endocrinologia, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena – IRCCS, Roma
DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
L’insulinoma è un NET che nasce dalle cellule insulino-secernenti delle insule pancreatiche (1,2). Oltre all’insulina, può dare ipersecrezione di altri ormoni e metaboliti (gastrina, ACTH, glucagone, hCG, somatostatina e acido 5-OH-indolacetico). In casi rari la sindrome dipende da iperplasia diffusa delle ß-cellule senza che vi siano tumori identificabili.
L’insulinoma rappresenta la forma più di frequente di NET del pancreas. Ha un’incidenza di 1-3 casi per milione di popolazione/anno ed è maligno in meno del 10% dei casi.
Si riscontra prevalentemente nelle donne rispetto agli uomini ed è più frequente intorno ai 50 anni di età.
Nel 10% dei casi si tratta di forme multiple e nel 5% dei casi è associato alla sindrome MEN-1 (ma la percentuale sale al 50% in caso di tumori multipli).
CLINICA
Il quadro clinico dipende dall’ipoglicemia ma può essere estremamente aspecifico e variabile, per cui spesso passa diverso tempo prima di riuscire a porre diagnosi. Caratteristicamente l'ipoglicemia secondaria a insulinoma si verifica durante il digiuno e i sintomi possono verificarsi per differenti livelli glicemici (solitamente < 55-60 mg/dL).
I sintomi sono insidiosi, ma di solito predominano quelli neuroglicopenici (tab 1), che possono mimare un'ampia varietà di disturbi neurologici e psichiatrici (3-7). È frequente che la presenza di stato confusionale o comportamenti bizzarri sia descritta con precisione dai conviventi piuttosto che dal paziente. I disturbi a carico del SNC possono progredire sino a perdita di coscienza, convulsioni e coma.
Tabella 1 Sintomi neuroglicopenici dell’ipoglicemia |
|
Neurologici | Sonnolenza Disturbi visivi (accomodazione, contrazione pupillare, ecc) Irritabilità Confusione Amnesia Parestesie Sindrome convulsiva |
Psichiatrici | Comportamento inadeguato e bizzarro Deliri Allucinazioni |
Specialmente nella fase iniziale della malattia possono coesistere sintomi e segni adrenergici, dovuti a eccesso di catecolamine (ansia, palpitazioni, tachicardia, astenia profonda, cefalea, tremori, sudorazione fredda e profusa, pallore), ma una descrizione dettagliata di questi si associa più frequentemente a ipoglicemia funzionale che non a insulinoma.
Questi pazienti imparano a convivere con la malattia, a dominare i sintomi e si abituano a un livello di glicemia molto al di sotto dei valori inferiori della norma senza mostrare sintomi.
Il sospetto clinico
L’ipoglicemia non rappresenta un problema frequente nell’adulto non diabetico. La presenza di sintomi rafforza l’importanza clinica del problema, perché in alcuni soggetti normali il digiuno prolungato può provocare ipoglicemia asintomatica. L’ipoglicemia può dipendere da molte cause oltre all’insulinoma (tab 2) (8,9).
Tabella 2 Diagnosi differenziale delle cause di ipoglicemia |
|
Farmaci | Insulina, anti-diabetici orali Chinino, pentamidina, indometacina, litio Più raramente: ACE-inibitori, levofloxacina, trimetoprim-sulfametossazolo, eparina |
Eccessivo introito alcolico | Blocco della liberazione dei depositi di glucosio |
Insufficienza epatica, renale o cardiaca | Deplezione di substrati per la gluconeogenesi |
Digiuno di lunga data (anoressia nervosa) | Deplezione di substrati per la gluconeogenesi |
Tumori non insulari | Eccessiva produzione di IGF-II che consuma il glucosio |
Chirurgia gastrica (post bypass gastrico) |
Accelerato transito e malassorbimento |
Deficit di ormoni contro-regolatori | |
Ipoglicemia autoimmune |
Il sospetto di insulinoma è forte in presenza della triade di Whipple, presente nel 75% dei casi, che comprende (10):
- sintomi di ipoglicemia;
- rilievo di ipoglicemia in corrispondenza dei sintomi;
- regressione dei sintomi con la somministrazione di glucosio.
I sintomi compaiono più frequentemente di notte o nel primo mattino e comunque durante il digiuno, anche se la comparsa di un’ipoglicemia post-prandiale non esclude la diagnosi (11,12). I sintomi possono essere peggiorati da esercizio, ingestione di alcol, dieta ipocalorica e uso di alcuni farmaci (1,2).
L’attivazione da parte dell’ipoglicemia di un riflesso vagale, che comporta la stimolazione della secrezione acida gastrica e della peristalsi e che aumenta la velocità di svuotamento gastrico, porta ad aumento dell’appetito. Il paziente affetto da insulinoma impara a mangiare ogni 2-3 ore e nel 20-40% dei casi cresce di peso (fino all’obesità).
DIAGNOSI
Il primo passo è la conferma dell'ipoglicemia con livelli inappropriati di insulina. Sono diagnostici livelli documentati di insulinemia > 3 μU/mL (18 pmol/L), in assenza di metaboliti delle sulfoniluree nel plasma o nelle urine.
Oltre al dosaggio dell’insulina, è importante la valutazione dei livelli di peptide C, che vengono considerati diagnostici se > 0.6 ng/mL (0.2 nmol/L), e, se disponibili, di proinsulina (> 5.0 pmol/L) (3,4,6,7,9,13). Nei pazienti affetti, la proinsulina arriva al 70% dell’immunoreattività dell’insulina, mentre nel soggetto normale è < 20%.
La diagnosi differenziale deve considerare anche la presenza di possibili ipoglicemie factitie:
- quelle da auto-somministrazione di insulina sono caratterizzate dalla presenza di ipoglicemia, iperinsulinemia, ridotti livelli plasmatici di peptide C e proinsulina e talvolta anche dalla presenza di anticorpi circolanti anti-insulina;
- in quelle conseguenti ad assunzione di sulfaniluree (in cui il peptide C non è basso) è necessario dimostrare la presenza del farmaco o dei suoi metaboliti nel plasma e nelle urine.
Un altro elemento importante per discriminare l’ipoglicemia iperinsulinemica da altre cause, è l’assenza di chetonuria.
Prove funzionali
La diagnosi biochimica si basa sull’incapacità dell’ipoglicemia di sopprimere la secrezione endogena di insulina (14) ovvero sui livelli di insulina inappropriatamente alti per la glicemia. Nel 95% dei casi la diagnosi si ottiene solo durante il test del digiuno protratto, che costituisce il test diagnostico (15).
In passato venivano utilizzati altri test come:
- la prova di tolleranza insulinica, in grado di valutare la sopprimibilità dei livelli plasmatici di peptide C dopo somministrazione di insulina ev (0.1 UI/kg);
- la prova al diazossido (600 mg di diazossido, farmaco con potente azione iperglicemizzante, in 250 cc di soluzione fisiologica, con dosaggio di glicemia e insulinemia ogni 15 minuti per 3 ore), il cui scopo è valutare la soppressione dei valori di insulina;
- la prova da carico orale di glucosio, con prelievi prolungati fino a 3 ore, utilizzata solo per la diagnosi differenziale con le ipoglicemie reattive;
- la prova di soppressione con octreotide (potente inibitore della secrezione di insulina e glucagone), che consiste nella somministrazione in bolo di 125 μg di octreotide seguiti da infusione costante di 250 μg/ora per 180 min.
Diagnostica per immagini
Permette una precisa localizzazione pre-operatoria del tumore e deve essere avviata dopo aver posto la diagnosi biochimica (16). Nella maggior parte dei casi è necessaria l’associazione di più metodiche.
Poiché l’80% degli insulinomi è < 2 cm, l’ecografia trans-addominale ha sensibilità < 50%. L’eco-endoscopia è positiva nel 70-95% dei casi, se eseguita da un endoscopista esperto (17). TC elicoidale e multislice e RM hanno sensibilità sovrapponibile (82-94%)(18,19).
L’Octreoscan è positivo solo nel 50% dei casi di insulinoma localizzato, a causa delle piccole dimensioni e della bassa densità o della mancanza di recettori per la somatostatina che legano l’octreotide con alta affinità (SSTR2)(20).
Risultati promettenti sono stati ottenuti con l’utilizzo di varie metodiche sperimentali PET/TC che non utilizzano i recettori della somatostatina: DOPA-PET e 111In-DOTA-exendin-4 (21, 22).
Angiografia selettiva e stimolazione intra-arteriosa con calcio gluconato
Essendo tumori molto vascolarizzati, l’arteriografia con calcio gluconato (dal momento che il calcio è in grado di stimolare il rilascio di insulina dal tessuto neoplastico e non dal tessuto normale) mediante cateterizzazione selettiva dei rami minori delle arterie gastro-duodenale, mesenterica superiore e splenica, per la ricerca di un gradiente di concentrazione, è positiva nell’88-100% dei casi, con sensibilità dell’82% e specificità del 95% (23-25). Il test è comunque poco disponibile, molto indaginoso e costoso, per cui deve essere riservato solo ai casi con diagnosi biochimica certa e negatività degli altri esami di diagnostica per immagini.
Nonostante l’esecuzione di tutte le tecniche di localizzazione sovradescritte, solo nel 60-70% dei casi si riesce a localizzare il tumore prima dell’intervento. Tra gli altri casi, i pazienti con sintomi ben controllabili con la terapia farmacologica possono essere tenuti in sorveglianza stretta, mentre i casi più gravemente sintomatici devono essere comunque avviati alla chirurgia: l’esplorazione pancreatica da parte di un chirurgo esperto e l’uso dell’ecografia intra-operatoria portano all’identificazione di un tumore in oltre il 90% dei casi (17,26).
Flow-chart diagnostica nel sospetto insulinoma
TERAPIA
Terapia farmacologica
Da utilizzare allo scopo di prevenire le ipoglicemie in pazienti selezionati prima dell’intervento chirurgico, in quelli con alto rischio operatorio e/o dove la terapia chirurgica fallisce o nelle forme maligne non resecabili (27). Esistono diversi approcci terapeutici.
Il diazossido (Proglicem, cp 25-100 mg) è in grado di ridurre l’ipersecrezione di insulina. La dose iniziale è 3 mg/kg in 2-3 dosi refratte ogni 8-12 h; il dosaggio può poi essere aggiustato in base alle necessità fino a 8 mg/kg/die. Deve essere associato a un diuretico tiazidico per controllare gli effetti avversi (edemi e iperpotassiemia)(27).
Gli analoghi della somatostatina long-acting hanno un’efficacia variabile e devono essere presi in considerazione nel trattamento dei pazienti con insulinoma sintomatico e con ipoglicemia continua, che sono refrattari al trattamento con diazossido (28).
Everolimus sembra efficace nei pazienti con insulinoma metastatico e ipoglicemia refrattaria, ma la tollerabilità è da monitorare attentamente (29,30).
Glucagone e cortisonici possono essere utili transitoriamente in condizioni di emergenza.
Nei pazienti metastatici si può utilizzare la chemioterapia (streptozotocina, tossica per le ß-cellule, 1 g/m2 ev settimanale per 4 settimane). Determina risposta parziale nel 50% e completa nel 20% dei pazienti, che aumenta al 33% se associata a 5-fluorouracile (31). Richiede il monitoraggio della funzionalità renale (proteine urinarie, creatininemia) ed epatica e dell'emocromo (potenziale tossicità ematopoietica) e non migliora la sopravvivenza.
Terapia chirurgica
È il trattamento di scelta poiché la resezione dell’insulinoma ottiene la guarigione nel 90% dei casi (32). È importante la preparazione per ridurre il rischio di ipoglicemia intra-operatoria: diazossido il giorno dell’intervento e infusione di glucosata al 10% ad almeno 100 mL/h, con monitoraggio dei livelli glicemici.
I possibili interventi sono:
- enucleazione e/o enucleoresezione
- pancreasectomia sinistra
- resezioni intermedie pancreatiche
- duodeno-cefalo-pancreasectomia (raro)
- chirurgia citoriduttiva.
Nei pazienti con MEN-1 è opportuno eseguire una pancreasectomia subtotale piuttosto che un’enucleazione, vista l’alta probabilità di tumori multipli (32,33).
Le percentuali globali di guarigione chirurgica si avvicinano al 90%. Un piccolo insulinoma singolo, localizzato in corrispondenza o in prossimità della superficie del pancreas, di solito, può essere enucleato chirurgicamente. Nel caso di un singolo adenoma di grandi dimensioni o localizzato in profondità nel corpo o nella coda del pancreas, nel caso di lesioni multiple del corpo o della coda (o di entrambi) o nel caso in cui non venga trovato alcun insulinoma (circostanza insolita), si esegue una resezione pancreatica subtotale distale. In < 1% dei casi, l'insulinoma è localizzato in una sede ectopica, nel tessuto peri-pancreatico della parete duodenale o nell'area peri-duodenale e può essere trovato soltanto con una diligente ricerca. La pancreatico-duodenectomia (intervento di Whipple) viene eseguita nei casi di insulinoma maligno resecabile del pancreas prossimale. La pancreasectomia totale viene eseguita se una precedente resezione pancreatica subtotale non si è dimostrata adeguata.
Nei pazienti con metastasi epatiche non resecabili si può prendere in considerazione la chemioterapia intra-arteriosa o l’embolizzazione dell’arteria epatica (34-37).
PROGNOSI
La maggior parte degli insulinomi sono benigni con risoluzione completa dopo resezione radicale. Le recidive compaiono nel 5% dei casi. Nelle forme maligne metastatiche la sopravvivenza è di 16-26 mesi.
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Glucagonomi
Maria Vittoria Davì1 & Chiara Martini2
1UOC Medicina Interna D, Policlinico GB Rossi, AOUI Verona
2Clinica Medica 3^, Azienda Ospedaliera-Università di Padova
Epidemiologia
I NET pancreatici secernenti glucagone (glucagonomi) sono estremamente rari, con un'incidenza stimata di 0.01-0.1 nuovi casi/106 abitanti/anno; si presentano più frequentemente come forme sporadiche, ma sono riportati nel 3% dei pazienti affetti da MEN-1.
I glucagonomi rappresentano il 2% dei tumori pancreatici insulari (1) riportati nel registro SEER. In un recente studio epidemiologico italiano rappresentano l'1.5% di tutte le forme sindromiche (2). In quanto patologia rara, sono poche in letteratura le casistiche monocentriche, tutte con un numero ristretto di pazienti (3-5).
Presentazione clinica
Le modificazioni post-traslazionali del precursore del glucagone portano alla formazione di differenti forme molecolari e non sempre le neoplasie insulari secernono forme biologicamente attive. Si dovrebbero definire glucagonomi solo le forme sindromiche. La sindrome associata al glucagonoma è caratterizzata da diabete mellito e manifestazioni muco-cutanee (eritema necrolitico migrante, distrofie ungueali, stomatite, cheilite angolare, glossite atrofica). Il quadro sindromico venne per la prima volta descritto nel 1942 (6) associato a un tumore pancreatico, ma solo nel 1966 fu documentata l'associazione fra iperglucagonemia e manifestazione cutanea (7), successivamente definita con il termine attuale (8, 9).
L'eritema necrolitico migrante è una manifestazione suggestiva ma non specifica di glucagonoma, potendosi trovare associato ad altre patologie (IBD, cirrosi epatica, morbo celiaco). È presente in circa il 70% dei pazienti con glucagonoma (3), talora come manifestazione unica, talora associata al diabete, e può precedere di anni la diagnosi della neoplasia sottostante. La sua eziopatogenesi permane tuttora un fatto speculativo, ma è probabile che sia multi-fattoriale: vengono ipotizzati un effetto diretto del glucagone, con un meccanismo tuttavia non definito, ma anche un deficit di aminoacidi, componenti del complesso vitaminico B, zinco e acidi grassi essenziali (11,12). Sia dal punto di vista clinico che istologico è assimilabile alle manifestazioni cutanee tipiche di altri stati carenziali (deficit di niacina, zinco, ecc). Da questa ipotesi scaturisce il trattamento infusionale con aminoacidi e acidi grassi suggerito da alcuni autori (13). Il quadro inizia come papule eritematose che coinvolgono prevalentemente il perineo, le pieghe inguinali, il tronco, gli arti e la regione peri-orale, con tendenza alla confluenza. Le papule evolvono, nell'arco di 7-14 giorni, in vescicole, con successiva erosione centrale dovuta alla necrosi della porzione più superficiale dell'epidermide, cui istologicamente corrispondono un'infiltrazione linfocitaria peri-vascolare associata a edema e vacuolizzazione dei cheratinociti. La guarigione inizia dalla regione centrale, tanto che le lesioni assumono un aspetto anulare con caratteristica colorazione bronzina. In genere sono intensamente pruriginose e dolorose.
Il diabete mellito, riportato nel 40-70% delle casistiche, in genere precede le manifestazioni cutanee e, almeno in parte, è secondario all'alterato rapporto fra le concentrazioni di insulina e glucagone a livello epatico, che determina un incremento della produzione epatica di glucosio; generalmente non è di difficile controllo.
Eritema necrolitico migrante associato a glucagonoma della coda del pancreas (grazie a Fernando Cirillo)
Altre manifestazioni aspecifiche ma frequenti sono anoressia e calo ponderale (70%), diarrea (30%), così come le manifestazioni trombo-emboliche(TVP agli arti inferiori, embolia polmonare) e l'anemia normocromica normocitica, verosimilmente secondaria alla malattia cronica ma anche a un effetto diretto inibitorio del glucagone sull'eritropoiesi. Sono descritte anche manifestazioni neuropsichiatriche (depressione, atassia, incontinenza, deficit visivi).
Sede e prognosi
Si localizzano prevalentemente nella regione corpo-coda del pancreas ed, essendo una patologia rara e con manifestazioni iniziali sfumate e non specifiche, sono metastatici alla diagnosi (fegato, linfonodi, osso, polmone) nel 50-100% dei casi, a seconda delle casistiche (3,10). La prognosi è in funzione dello stadio, ma in genere, a fronte del potenziale di malignità, sono tumori a lenta crescita in cui il debulking può produrre almeno un miglioramento sintomatologico. Molte delle manifestazioni della sindrome trovano ragione nell'effetto “catabolico” dell'ormone (fig 1), cui può anche contribuire una co-secrezione di polipeptide pancreatico.
Diagnosi
Per la conferma della diagnosi è fondamentale il rinvenimento di un incremento dei livelli di glucagone, che va differenziato da quello presente in altri stati fisiologici o patologici ma in assenza di neoplasia insulare (digiuno, stato settico, ipercortisolismo, insufficienza epatica e renale). In queste altre situazioni è improbabile un incremento > 500 pg/mL. La riduzione dei livelli serici di multipli aminoacidi rappresenta un riscontro di laboratorio caratteristico, anche se poco utilizzabile nella pratica clinica.
Terapia
L'approccio chirurgico rappresenta l'unico trattamento in grado di condurre a guarigione, anche se perseguibile nella minoranza dei casi a causa di una malattia localmente avanzata o frequentemente metastatica. In tali situazioni i trattamenti loco-regionali possono produrre una palliazione del quadro sindromico, obiettivo che può essere perseguito anche con il supporto nutrizionale e con il trattamento farmacologico con analoghi della somatostatina (14,15).
Bibliografia
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Somatostatinomi
Maria Vittoria Davì1 & Chiara Martini2
1UOC Medicina Interna D, Policlinico GB Rossi, AOUI Verona
2Clinica Medica 3^, Azienda Ospedaliera-Università di Padova
Epidemiologia
Il somatostatinoma rappresenta una rara forma di tumore neuroendocrino, la cui incidenza stimata è di 1 nuovo caso/40 milioni di abitanti/anno. L'età media alla diagnosi si aggira attorno ai 50 anni, senza differenza di genere.
Descritto per la prima volta nel 1977 (1,2), può localizzarsi sia a livello pancreatico, in più del 50% dei casi, che duodenale, nella regione peri-ampollare. Sono stati descritti, seppur raramente, anche a livello di vie biliari, digiuno, colon e retto (3).
In più del 90% dei casi si presenta come forma sporadica, ma può insorgere anche nell'ambito di sindromi familiari quali la neurofibromatosi di tipo 1, in cui la localizzazione più frequente è quella duodenale (4), la MEN-1 caratteristica per la presenza di metastasi, unitamente alla localizzazione pancreatica. Più del 70% delle forme pancreatiche è metastatico alla diagnosi.
Presentazione clinica
Rimane motivo di dibattito se definire somatostatinomi solo i NET in cui è manifesta la sindrome o anche quelli in cui vi sia solo la positività immuno-istochimica. Dal punto di vista clinico possono manifestarsi con una sintomatologia aspecifica, particolarmente le forme duodenali (ittero ostruttivo, algie addominali anche legate a quadri subocclusivi), e il loro riscontro può anche essere del tutto incidentale. La cosiddetta “sindrome inibitoria”, ipotizzata per la prima volta nel 1979 (5) e legata all'effetto inibitorio della somatostatina sulla funzione colecistica, sulle differenti secrezioni endocrine, esocrine e sull'assorbimento intestinale, è costituita da diabete mellito, colelitiasi e diarrea/steatorrea (6,7). Possono associarsi ipocloridria, dispepsia, anemia e calo ponderale. Il quadro sindromico è più frequente nelle forme pancreatiche (> 90%), generalmente di maggiori dimensioni e associate a una maggior produzione di somatostatina, rispetto a quelle duodenali (< 20%).
Diagnosi
Oltre che sulla clinica e sulla diagnostica per immagini, si basa sui livelli plasmatici di somatostatina e non vi è un test diagnostico provocativo attendibile di conferma (in passato utilizzata la Tolbutamide ev) (6).
Dal punto di vista istologico, le forme duodenali si caratterizzano per la presenza di corpi psammomatosi (49-68%), raramente descritti nei tumori pancreatici (8,9); l'immuno-istochimica documenta un'intensa immuno-reattività per la somatostatina in una frazione cellulare predominante, anche nei casi in cui non è clinicamente presente la sindrome.
Trattamento
La resezione chirurgica rimane l'unico strumento terapeutico in grado di portare a guarigione le forme non estesamente metastatiche al momento della diagnosi.
Bibliografia
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VIPomi
Maria Vittoria Davì1 & Chiara Martini2
1UOC Medicina Interna D, Policlinico GB Rossi, AOUI Verona
2Clinica Medica 3^, Azienda Ospedaliera-Università di Padova
Epidemiologia
Il Vipoma è un tumore neuroendocrino (NET) raro, con un’incidenza di 0.1 caso/milione di individui/anno (1). La sua prevalenza tra i NET pancreatici è dello 0.6-1% e l’età alla presentazione è tra i 48-51 anni (2-3). Nella maggior parte dei casi è sporadico, ma può presentarsi associato alla MEN-1 nell’ 8.7% dei casi. Nel 4% dei casi può essere multifocale (1).
Sede
Nella maggior parte dei casi è localizzato nel pancreas, prevalentemente alla coda, spesso di grandi dimensioni e metastatico al fegato già al momento della diagnosi. Sedi meno frequenti sono retro-peritoneo, digiuno, mediastino, polmoni e gangli simpatici (1,2).
Presentazione clinica
Il VIP (Vasoactive Intestinal Polipeptide) stimola la secrezione pancreatica e intestinale, inibisce l’assorbimento di elettroliti e acqua nell’intestino e la secrezione gastrica acida; inoltre, determina riassorbimento osseo, glicogenolisi e vasodilatazione.
Questi effetti sono responsabili della presentazione clinica del VIPoma, caratterizzata da diarrea, presente nel 100% dei casi, ipokaliemia, acloridria, perdita di peso (45%), acidosi metabolica, ipercalcemia (50%), intolleranza ai carboidrati (50%) e flushing (0-33%) (2-5). La diarrea è tipicamente secretoria, non recede con il digiuno, è caratterizzata da abbondante volume fecale (> 3 L/die di feci acquose) e non risponde al trattamento anti-diarroico. Può essere intermittente nel 57% o continua nel 47% circa dei casi (1). L’ipokaliemia può essere molto grave (< 2.5 mEq/L), con rischio di aritmie cardiache e morte improvvisa. Le metastasi sono meno frequenti (29%) nei pazienti affetti da Vipomi che originano dai gangli, e coinvolgono soprattutto i linfonodi (2).
Diagnosi
Si basa sulla caratteristica sindrome clinica e sull’aumento dei valori di VIP (4-7). Tale dosaggio ormonale non è diffusamente disponibile (nel Veneto è possibile dosarlo presso il laboratorio dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova). La Cromogranina A, un marker generale di NET, non è utile nella diagnosi di VIPoma, ma può avere un ruolo nel monitoraggio della risposta ai trattamenti (8). Inoltre possono essere cosecreti altri ormoni, come Polipeptide Pancreatico, Calcitonina, Gastrina, Glucagone, Insulina, Somatostatina, GHRH (5).
Per quanto riguarda la localizzazione del tumore, viene eseguita mediante TC o RMN addome, completata da ® Octreoscan o, se disponibile, 68Ga-DOTATOC-PET-TC per la stadiazione e la valutazione dei recettori della somatostatina.
Trattamento
Come per gli altri NET è multimodale, includendo in primis la chirurgia, con intento radicale quando è possibile o come debulking nelle forme metastatiche, e altre terapie come le loco-regionali (embolizzazione/chemio-emobolizzazione, radiofrequenza, radio-embolizzazione con microsfere) per le metastasi epatiche e la terapia radio-recettoriale con analoghi marcati della somatostatina nelle forme diffuse (9).
Un ruolo fondamentale nel controllo della sindrome è rappresentato dall’utilizzo degli analoghi della somatostatina, efficaci in > 80% dei casi.
Un’attenzione particolare deve essere rivolta alla crisi da VIPoma, che può mettere in pericolo la vita del paziente: deve essere trattata in reparto di terapia intensiva con analoghi della somatostatina anche in infusione continua, corticosteroidi e infusione di liquidi ed elettroliti.
Prognosi
Dipende dalle dimensioni tumorali e dalla presenza ed estensione delle metastasi, con una sopravvivenza media a 5 anni del 60% nei pazienti con metastasi vs 94% nei pazienti senza metastasi.
Bibliografia
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GEP NEN non secernenti
Marco Toaiari1, Elisa Cosaro2, Giuseppe Francia1
1Ospedale Pederzoli, Peschiera del Garda
2MMG ULSS 9 Scaligera
(aggiornato al 1 giugno 2020)
NET NON FUNZIONANTI DEL PANCREAS
Definizione
Le neoplasie neuroendocrine pancreatiche non funzionanti (NF-pNEN) sono un gruppo a comportamento eterogeneo. Il termine “non funzionante” sta ad indicare l'assenza di sintomatologia endocrina correlata. In realtà queste neoplasie sono in grado di sintetizzare molecole ormonali, che però sono inattive o secrete in quantità insufficiente. Prodotti di secrezione tipici, importanti come marcatori diagnostici e prognostici ma privi di effetti biologici, sono la cromogranina A (CgA, 70-100%) e il polipeptide pancreatico (PP) (50-100%).
Epidemiologia
Le NF-pNEN rappresentano la maggioranza delle pNEN (60-70% vs 30-40% delle forme funzionanti) e circa il 12% dei GEP-NET. L'aumento dell'incidenza a cui si è assistito negli ultimi anni è dovuto al riscontro casuale sempre più frequente di piccole neoformazioni pancreatiche in corso di indagini radiologiche eseguite per altre finalità diagnostiche. In accordo con queste osservazioni, studi autoptici hanno riportato una frequenza di NF-pNEN pancreatiche < 1 cm oscillante tra 0.8-10% (1).
La maggior parte delle NF-pNEN sono sporadiche e singole. Le forme familiari e multiple si manifestano nell'ambito della MEN-1, dove si associano con variabile frequenza ad altre malattie endocrine, quali iperparatiroidismo primitivo e adenoma ipofisario. In questo gruppo di pazienti le NF-pNEN costituiscono la neoplasia pancreatica prevalente (dal 19% al 53% dei casi) e la causa più frequente di mortalità. Altra sindrome ereditaria dove si può osservare la presenza di NF-pNEN (13-17% dei casi) è la sindrome di Von Hippel Lindau, caratterizzata da altre neoplasie endocrine (feocromocitoma) e non endocrine (emangioblastoma cerebellare, carcinoma renale). Le pNEN possono essere anche presenti in altre due rare patologie genetiche, la neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) e la sclerosi tuberosa (TSC) (2). Al momento non sono conosciuti fattori di rischio ambientali per tali neoplasie. La stragrande maggioranza delle NF-pNEN sono bene/moderatamente differenziate (gradi G1/G2), mentre sono rari i NET G3 o i NEC.
Clinica
Nella maggior parte dei casi le lesioni scoperte incidentalmente con diametro ≤ 2 cm sono benigne o a rischio intermedio e solo il 6% manifesta un comportamento maligno (3). Anche le NF-pNEN associate a MEN 1 con diametro ≤ 2 cm hanno in genere un comportamento poco aggressivo e solo nel 16% dei casi è stato necessario un intervento chirurgico nel corso del follow-up durato 10 anni (4).
Le NF-pNEN diventano clinicamente apparenti quando raggiungono dimensioni tali da interessare gli organi adiacenti (> 5 cm nel 70% delle forme avanzate) o quando hanno causato metastasi, in genere epatiche e/o ossee. La sintomatologia è aspecifica, caratterizzata da dolore addominale (35-78% dei casi), perdita di peso (20-35%), anoressia e nausea (45%); meno frequenti sono l’ittero (17-50%) o una massa palpabile (7-40%). Al momento della diagnosi la prevalenza di metastasi epatiche oscilla tra 32 e 73% (5).
Diagnosi di laboratorio
Attualmente disponiamo di due marcatori nella diagnosi di questi tumori: la cromogranina A (CgA) e l’enolasi neurone-specifica (NSE).
La cromogranina A è una glicoproteina presente nei granuli secretori di tutti i tipi di cellule neuroendocrine e secreta all’esterno durante il comune processo di esocitosi. È elevata nella maggior parte delle pNEN (circa 70%), ma presenta ridotta specificità, potendo essere elevata anche in altri tipi di neoplasie (es. feocromocitoma o carcinoma midollare della tiroide) e in alcune situazioni non oncologiche (ipertensione arteriosa, gastrite atrofica, utilizzo di PPI, insufficienza renale cronica, epatica e cardiaca) (6). Tale molecola correla con il carico di malattia ed è particolarmente sensibile nei pazienti metastatici (7), potendo inoltre essere usata come marcatore di recidiva precoce durante il follow-up. Sebbene recentemente l’utilità clinica della CgA sia stata messa in discussione a causa della bassa specificità e della variabile sensibilità (8), le linee guida ne contemplano ancora l’uso (9).
L’NSE è un enzima glicolitico neurone-specifico, la cui determinazione si è dimostrata particolarmente utile nelle forme tumorali meno differenziate. La sua utilità clinica è comunque relativa, essendo confinata ai rari casi di tumore particolarmente aggressivo (NEC G3).
Diagnosi strumentale
TC e RM rivestono un ruolo prioritario nella diagnostica radiologica.
La TC con mezzo di contrasto resta ancora la metodica di riferimento grazie a fruibilità e diffusione. È in grado di identificare con grande accuratezza sia le lesioni primitive (usualmente ben delimitate, ipervascolarizzate e con vivace enhancement post contrastografico) che quelle secondarie, fornendo inoltre il supporto a procedure bioptiche mirate. Tale metodica, per la riproducibilità, rimane inoltre di prima scelta per il follow-up del paziente e per la valutazione dell’eventuale progressione di malattia.
La RM manifesta sensibilità e specificità sovrapponibili alla TC, con una serie aggiuntiva di vantaggi: non esposizione a radiazioni ionizzanti dei pazienti giovani che necessitano di follow-up in tempi ravvicinati; identificazione di neoplasie pancreatiche ipovascolarizzate (grazie alla possibilità di effettuare scansioni particolari, quali le sequenze DWI); identificazione di metastasi epatiche di piccole dimensioni; definizione più accurata di eventuali lesioni ossee.
L’eco-endoscopia (EUS) è diventata una metodica imprescindibile per lo studio dei pazienti con pNEN. Le lesioni si presentano usualmente tondeggianti, con margini netti, ipoecogene e con presa di contrasto vivace (10). EUS consente inoltre una stadiazione locale accurata (valutazione di linfoadenopatie o infiltrazioni di vasi e organi vicini, distanza dal dotto pancreatico) e la possibilità di eseguire prelievi citologici con ago sottile (FNA) di elevata resa diagnostica. In un recente lavoro la concordanza di Ki-67 tra prelievo ecoendoscopico e pezzo operatorio è risultata dell’84% (11).
Accanto all’imaging “morfologico”, in questi tipi di neoplasia sta assumendo sempre più importanza l’imaging “funzionale”.
La 68Ga-PET/TC è ormai diventata la metodica di riferimento, almeno per quanto riguarda NET G1 e G2, con sensibilità che varia tra 86 e 100% e specificità tra 85 e 100% (12). Tale indagine non solo permette di valutare l’espressione del recettore per la somatostatina tipo 2 (SSTR-2), in previsione di un’eventuale terapia radiometabolica, ma anche di acquisire informazioni prognostiche: l’intensa positività si associa in genere a forme meno aggressive. Da studi di confronto la PET si è anche dimostrata in grado di stimare con più accuratezza il carico di malattia rispetto a TC ed RM, consentendo una migliore diagnosi/stadiazione di malattia (13).
L’altra metodica di imaging funzionale importante, complementare alla Ga-PET è, la 18F-FDG PET/TC, che manifesta scarsa sensibilità per i NET G1 e G2 (attorno al 58%), mentre risulta molto più utile nelle forme meno differenziate (NET G3 e NEC), associandosi a fenotipi più aggressivi e prognosi peggiore. Le più recenti linee guida internazionali raccomandano l’esecuzione di 18F-FDG PET/TC nei NET G3 e NEC per la stadiazione e la stratificazione prognostica, mentre la consigliano nei NET G1 e G2 solo in precisi contesti clinici (es. progressione precoce di malattia, sospetta modifica del Ki67, inefficacia terapeutica) e comunque in un contesto multi-disciplinare (14).
Terapia chirurgica
La terapia di queste neoplasie è in prima istanza chirurgica (almeno per le forme bene o moderatamente differenziate). La via laparoscopica è, se possibile, da preferire, in quanto sembra gravata da minori complicanze.
Ai fini di una corretta strategia terapeutica, oltre che la presenza e l'entità delle metastasi, è di fondamentale importanza la situazione clinica del paziente, la resecabilità o meno della neoplasia, la valutazione anche ripetuta nel tempo dell’attività proliferativa (Ki-67) e l’espressione o meno dei recettori per la somatostatina.
Per quanto riguarda le lesioni ≤ 2 cm, pur non essendoci in merito unanimità di consenso, viene ritenuta in genere giustificata una condotta conservativa, basata su uno stretto follow-up strumentale (ogni tre mesi nel primo anno, e quindi ogni 6 mesi) (15).
Per lesioni pancreatiche > 2 cm localizzate e circoscritte l’intervento chirurgico può essere curativo e deve essere pianificato prendendo in considerazione l’età del paziente, le sue comorbilità e la sede del tumore primitivo.
L’intervento chirurgico sul primitivo è indicato anche nelle neoplasie > 2 cm localmente avanzate ma non metastatiche. In considerazione infatti dell’andamento usualmente indolente di tali neoplasie, sempre più esperienze riportano buoni risultati sulla sopravvivenza globale, soprattutto se l’intervento risulta radicale (R0/R1). L’approccio chirurgico deve comunque essere contestualizzato all’interno di un programma che preveda uno stretto follow-up e un trattamento multimodale (16). Controindicazioni assolute all’intervento sono l’infiltrazione della vena porta complicata dallo sviluppo di cavernoma portale e l’infiltrazione circonferenziale dell’arteria mesenterica superiore.
Nei pazienti con tumori primitivi resecabili ma con metastasi non resecabili le ultime esperienze sembrano suggerire che l’asportazione chirurgica della lesione primitiva può conferire un vantaggio in termini di sopravvivenza (17), anche perché può aumentare l’efficacia di eventuali successivi trattamenti (18).
La chirurgia delle metastasi epatiche resecabili è possibile solo nel 10% dei casi, data la frequente multi-focalità. Può essere presa in considerazione se sono soddisfatti i seguenti criteri (5):
- Ki 67 < 20% su campione bioptico;
- assenza di malattia extra-addominale;
- positività per recettori della somatostatina ad una metodica di imaging funzionale.
Infine, nelle metastasi epatiche diffuse, purchè di dimensioni contenute e con carico tumorale limitato, possono trovare indicazione le terapie loco-regionali quali la (chemio)embolizzazione, l'ablazione con radiofrequenza e la radio-embolizzazione, di cui però mancano tuttora studi prospettici e randomizzati. L'associazione di queste terapie con la PPRT sembra ottenere risultati sinergici, anche se le modalità di integrazione e la successione temporale di queste procedure restano ancora da definire.
Terapia chirurgica nella MEN-1
Nei pazienti affetti da MEN-1, dove le lesioni sono spesso multiple e distribuite in tutto il parenchima pancreatico, l’approccio chirurgico è ancora controverso. In alcuni casi selezionati può essere indicata una chirurgia profilattica, mentre in linea generale la chirurgia dovrebbe essere riservata a NF-pNEN di diametro ≥ 2 cm o con un aumento di dimensioni > 0.5 cm/anno, utilizzando se possibile la tecnica chirurgica che garantisca minori complicanze a lungo termine (resezioni atipiche), data la precoce insorgenza di neoplasie pancreatiche in questi soggetti e la frequente necessità di eseguire interventi multipli (4).
Terapia medica
Per quanto riguarda la terapia farmacologica nelle NF-pNEN non resecabili, gli analoghi della somatostatina (SSA) a lunga durata d'azione (octreotide e lanreotide) rappresentano l'opzione iniziale nelle forme ben differenziate (G1/G2). In un recente studio randomizzato, in doppio cieco e controllato (CLARINET), condotto su 204 pazienti con tumori neuroendocrini entero-pancreatici non funzionanti e metastatici, di grado 1-2 (Ki-67 < 10%), di cui 91 di origine pancreatica, la terapia con lanreotide autogel si è associata a un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS), indipendentemente dal carico metastatico epatico (19). Sebbene siano utilizzate frequentemente nella pratica clinica dosi elevate di SSA, una recente metanalisi ha mostrato che tale terapia si associa a miglioramento della sindrome clinica ormonale ma con effetti non chiari e univoci sulla sopravvivenza. Nel contesto clinico delle NF-pNEN tale approccio terapeutico non sembra pertanto trovare ancora raccomandazione forte (20). Gli effetti collaterali di tali farmaci sono modesti: flatulenza, dolori addominali, diarrea e nausea, peggioramento del compenso glucidico, colelitiasi e raramente bradicardia (21).
Nei pazienti con NET bene o moderatamente differenziati (G1/G2) l'armamentario farmacologico si è arricchito negli ultimi anni di due nuovi farmaci a bersaglio molecolare: l'everolimus, inibitore di mTOR, e il sunitinib, inibitore tirosin-chinasico. Tali farmaci hanno dimostrato di prolungare in maniera significativa e sovrapponibile la PFS rispetto al placebo, mentre al momento non vi sono dati a favore di un aumento significativo sulla sopravvivenza globale (OS).
L’approvazione di everolimus (EVE) nel trattamento delle pNEN si basa sui risultati dello studio RADIANT-3 (22), dove tale molecola ha mostrato raddoppio della PFS (11 vs 6 mesi) nei tumori G1 e G2, avanzati e in progressione. Studi successivi hanno inoltre evidenziato come tale beneficio si mantenga indipendentemente dalla terapia eseguita in precedenza (23). Esperienze molto recenti (24) suggeriscono un impiego più allargato di EVE anche nelle forme più aggressive (NET G3 con Ki 67 < 55%), ma questi dati incoraggianti devono ancora essere confermati. I principali effetti tossici sono stomatite, diarrea, alterazioni della crasi ematica e iperglicemia. Studi di fase II suggeriscono che l’associazione EVE + SSA possa migliorare la risposta terapeutica (25); mancano tuttavia studi prospettici su tale associazione.
Il sunitinib (SUN), è stato invece approvato grazie ad uno studio del 2011, nel quale il farmaco ha mostrato un raddoppio della PFS (11.4 mesi vs 5.5) nei pazienti con pNEN ben differenziata in progressione. Gli effetti collaterali più significativi sono stati neutropenia (12%), ipertensione (11%) eritrodisestesia palmo-plantare (6%) e disturbi gastrointestinali (6%) (26).
Terapia radiorecettoriale (PRRT)
Negli ultimi anni sta assumendo sempre di più un ruolo importante nella gestione di queste neoplasie o almeno in quelle con elevata espressione SSTR-2, valutata preliminarmente con imaging funzionale (111-In-pentetreotide o ancora meglio 68-Ga-DOTA-peptide PET/TC). Sebbene l’unico studio di fase III prospettico riguardi le NEN del piccolo intestino (NETTER-1, vedi oltre), in alcuni studi retrospettivi sono segnalate significative risposte positive anche nel sottogruppo di pazienti con pNEN, con stabilizzazione di malattia in un’alta percentuale di casi (27,28).
Chemioterapia
La chemioterapia tradizionale nelle forme G1/G2 in progressione si basava sull'associazione 5-FU + streptozotocina/doxorubicina, la cui percentuale di risposta oscilla tra il 35-40% (29). La streptozotocina tuttavia è difficilmente reperibile in Italia e quindi usata raramente, anche perchè mal tollerata.
Negli ultimi anni si sono accumulate una serie di evidenze che hanno mostrato come un regime chemioterapico a base di temozolomide e capecitabina possa ottenere il controllo di malattia in circa l’80% dei casi (30,31). Per pazienti in progressione e con performance status scaduto recentemente è stata proposta la somministrazione di temozolomide metronomica, con buoni risultati e scarsi effetti collaterali (32).
Nelle forme neoplastiche più aggressive (NET G3 o NEC) recenti studi clinici hanno dimostrato la possibilità di una maggiore “sartorializzazione” della chemioterapia. Uno studio scandinavo, infatti, ha mostrato un’importante differenza di risposta alla chemioterapia utilizzando un cut-off del 55% per il Ki67 (33).
Seppur con tutti i limiti degli studi clinici a nostra disposizione, per le neoplasie con Ki 67 > 55% la combinazione cisplatino/etoposide è ancora quella attualmente raccomandata (eventualmente modificata con carboplatino e irinotecano), mentre per le forme con Ki 67 < 55% una chemioterapia efficace sembra l’associazione temozolomide-capecitabina (più simile quindi a quella consigliata per le neoplasie ben differenziate).
Trapianto di fegato
Negli ultimi anni si è fatta strada l’ipotesi trapiantologica come ultimo approccio. Già in passato dati emersi da studi retrospettivi su casistiche limitate suggerivano un beneficio di sopravvivenza in pazienti ben selezionati. Negli ultimi anni nuovi studi hanno fornito ulteriori elementi a favore di questo approccio, che deve essere effettuato in centri altamente specializzati. Al momento il trapianto di fegato potrebbe essere preso in considerazione in pazienti con età < 60 anni, NET G1 o G2, stabile radiologicamente da almeno 6 mesi, assenza di malattia extra-epatica, con primitivo asportato e con interessamento epatico < 50% (34).
Follow-up
Le modalità sono ancora controverse. Le ultime linee guida ENETS forniscono raccomandazioni abbastanza stringenti sulla tempistica dell’imaging morfologica ma più deboli sulla tempistica e l’utilità dell’imaging funzionale. Al momento pertanto si consiglia:
- pazienti con pNET G1 e G2 TC/RM ogni 6-9 mesi (9);
- neoplasie a maggiore aggressività (NEC G3) TC/RM ogni 3 mesi (35).
Per quanto riguarda l’imaging funzionale:
- NET G1 o G2: ricerca dei recettori della somatostatina consigliata ogni 2 anni (o prima se si sospetta una progressione di malattia);
- NETG3/NEC: FDG consigliata solo se l’imaging convenzionale risulta equivoca.
Lavori recenti tuttavia propongono un utilizzo più frequente di tali metodiche funzionali (ogni anno), dato che in ampie casistiche retrospettive tale approccio ha dimostrato di modificare il management del paziente in circa il 75% dei casi (36).
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NET GASTRICI NON FUNZIONANTI
Classificazione, epidemiologia e patologia
I NET dello stomaco (carcinoidi gastrici) originano dalle cellule enterochromaffin-like (ECL) della mucosa oxintica del fondo e corpo gastrico. Rappresentano il 23% di tutte le neoplasie del tratto gastro-intestinale (1).
Se ne distinguono tre tipi.
Tipo 1 (70-80%), associato a gastrite cronica atrofica del corpo e fondo, può riconoscere eziologia autoimmune o in rari casi sorgere su una infezione cronica da Helicobacter Pylori (2). L’ipergastrinemia, secondaria all’acloridria, è il movente eziopatogenetico di questa forma, in quanto fattore di stimolo alla proliferazione delle ECL. Le lesioni sono in genere piccole (< 1 cm) e multiple, di aspetto spesso polipoide, confinate alla mucosa e sottomucosa. L’indice proliferativo è in genere < 2% (NET G1). Sono molto rare (< 2.5% dei casi) le metastasi a linfonodi regionali e fegato. Marcatore immunitario della gastrite atrofica è la positività degli anticorpi anti-cellule parietali gastriche (APCA). È possibile la coesistenza di altre malattie autoimmuni, quali tiroidite autoimmune e diabete mellito tipo 1, che configurano il quadro della sindrome poliendocrina tipo III. Tipica è l'associazione con anemia perniciosa, da malassorbimento di vitamina B12 per deficit del fattore intrinseco.
Tipo 2 (5-8%) è anch’esso gastrina-dipendente. L’ormone è secreto in maniera autonoma da NET duodenali e/o pancreatici (sindrome di Zollinger Ellison). La mutazione del gene della MEN-1 sembra contribuire all'insorgenza di queste neoplasie. Le lesioni sono multiple, di dimensioni < 1 cm e limitate a mucosa-sottomucosa (Grado 1/2, Ki-67 < 2%). Esse tuttavia manifestano un comportamento più aggressivo del tipo 1, con una frequenza di metastasi linfonodali fino al 30% ed epatiche fino al 10%.
Tipo 3 (15-20%), non è associato a ipergastrinemia ed è singolo, sporadico, di dimensioni > 1 cm nel 70% dei casi. Il comportamento è aggressivo (usualmente NET G3): la neoplasia invade la parete nel 75% dei casi e metastatizza ai linfonodi e al fegato fino al 70% dei casi.
È stata infine descritta una forma scarsamente differenziata molto rara (nota come carcinoide tipo 4), localizzata in sede antrale, di grandi dimensioni (> 4 cm), caratterizzata da comportamento francamente maligno (Grado 3, Ki-67 > 15%) e prognosi infausta (3).
Quadro clinico
La sintomatologia del tipo 1 è aspecifica. Nella maggior parte dei casi la gastrite atrofica autoimmune è asintomatica o associata a vaghi disturbi dispeptici e viene diagnosticata per sintomi correlati al malassorbimento di ferro (anemia sideropenica) e vitamina B12. Possibile, anche se rara, è la diarrea da colonizzazione batterica del piccolo intestino conseguente all’acloridria.
Nel tipo 2 possono essere prevalenti i sintomi correlati all'ipergastrinemia primitiva, quali i dolori addominali simil-ulcerosi e la diarrea.
Infine, nei tipi 3 e 4 la sintomatologia può essere assai grave, caratterizzata da dolore addominale, diarrea, emorragia gastrica, perdita di peso ed episodi di ostruzione gastrica con vomito.
La sindrome da carcinoide, di carattere atipico e di tipo istaminergico (flushing, edema facciale, lacrimazione, rinorrea) è rarissima (< 1%) e si associa in genere al tipo 3.
Diagnosi
La diagnosi avviene spesso accidentalmente in corso di esami endoscopici eseguiti per altri motivi.
L’EGDS permette di definire l’eventuale multi-focalità delle lesioni, di eseguire biopsie per la conferma istologica e per valutare la presenza di ulteriori lesioni mucosali.
Nelle lesioni > 1 cm è indicata l’eco-endoscopia (EUS), che permette di chiarire il grado di infiltrazione di parete e la presenza di eventuali lesioni linfonodali.
In casi selezionati e nelle forme più aggressive può essere utile l’imaging morfologico (TC o RM) o funzionale (PET con Ga-68).
Trattamento
È controverso e dipende dal tipo di NET e dalle dimensioni e numero dei polipi.
Le lesioni < 1 cm possono essere controllate periodicamente (EGDS ogni 12 o 24 mesi) o sottoposte a rimozione endoscopica in casi selezionati.
Nelle lesioni di tipo 1 o tipo 2 > 1 cm è consigliabile eseguire EUS prima della dissezione sottomucosa (ESD) o della resezione mucosale endoscopica (EMR). Non esistono al momento studi di confronto tra le due metodiche, che pertanto possono essere utilizzate indifferentemente tenendo conto dell’esperienza dell’operatore.
L'analogo della somatostatina si è dimostrato in grado di far regredire i polipi in serie limitate di pazienti, ma vista l’assenza di studi prospettici rispetto alla sorveglianza endoscopica il suo impiego non è ad oggi raccomandato di routine per i NET G1. Il suo utilizzo in questo tipo di neoplasie può essere preso in considerazione in casi selezionati che presentano frequenti recidive, nelle forme multiple (> 6) e dopo numerose bonifiche endoscopiche (4).
Nei tumori di tipo 2 è sufficiente in genere l'escissione locale (ESD o EMR), mentre l'analogo della somatostatina può essere indicato per il controllo della sindrome di Zollinger-Ellison (insieme ovviamente ai PPI) e nei polipi multipli.
Le lesioni di tipo 3, che manifestano un comportamento biologico simile a quello dell'adenocarcinoma gastrico, richiedono invece un trattamento chirurgico radicale (gastrectomia + dissezione linfonodale) ed eventualmente chemioterapia neoadiuvante con schemi a base di platino (5).
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NET NON FUNZIONANTI DEL DIGIUNO-ILEO
CLASSIFICAZIONE, EPIDEMIOLOGIA E PATOLOGIA
Le NEN intestinali derivano dalle cellule neuroendocrine dell’intestino che producono serotonina. Sono le più comuni NEN gastro-intestinali (30%) e rappresentano il 35% delle neoplasie del piccolo intestino. La loro prevalenza oscilla da un minimo di 0.32/100.000 in Inghilterra (1) a un massimo di 1.12/100.000 in Svezia (2), con lieve prevalenza nel sesso maschile e negli afro-americani (3). L'età media alla diagnosi si colloca verso la fine della 5° decade, con prevalenza nella 7° decade (4).
Nella maggior parte dei casi sono localizzate nel tratto terminale del tenue e nel 25% dei casi possono essere multi-focali.
Dal punto di vista del comportamento biologico, queste neoplasie sono nella maggior parte dei casi di basso grado (G1 o G2) e spesso indolenti, mentre i NET G3 sono di riscontro eccezionale.
La prognosi dipende sia dallo stadio (TNM) che dal grading (Ki-67). Considerando lo stadio alla diagnosi, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 100% per gli stadi I e II, del 97.1% per lo stadio III e dell’84.8% per lo stadio IV (5). Fattori prognostici indipendenti sono la presenza di metastasi linfonodali, il carico tumorale epatico e la presenza di metastasi extra-addominali.
Non sono ancora state definitivamente accertate alterazioni genetiche specifiche nelle NEN del piccolo intestino; tuttavia, recenti studi hanno dimostrato la presenza di alcune associazioni familiari che potrebbero suggerire una predisposizione genetica (6,7).
CLINICA
Le forme non funzionanti di NEN intestinali (70%) non si associano per definizione alla sindrome carcinoide e sono spesso diagnosticate già in fase metastatica (48% dei casi) o localmente avanzata (36% dei casi). Il sintomo più frequente descritto nelle casistiche multicentriche è il dolore addominale diffuso, che può essere sottovalutato per anni ed attribuito erroneamente a colon irritabile (8). Col progredire della malattia il dolore addominale può diventare più intenso e di tipo colico (per complicanze ostruttive o ischemiche), associandosi a nausea e vomito, fino al classico quadro di occlusione intestinale. Altri sintomi aspecifici sono astenia e, raramente, febbre di origine sconosciuta. Occasionalmente tali tumori si possono manifestare con melena o rettorragia per sanguinamento enterico o con un quadro di ittero ingravescente, se presenti lesioni epatiche diffuse.
DIAGNOSI
Gli strumenti diagnostici del laboratorio sono limitati, potendo contare sostanzialmente solo sulla cromogranina A, con i limiti di sensibilità e specificità già descritti.
Imaging morfologico
Le metodiche radiologiche convenzionali (TC e RM) giocano un ruolo fondamentale nella diagnosi e stadiazione di queste neoplasie, essendo provviste di elevata specificità e sensibilità. Tuttavia, il problema diagnostico della ricerca del primitivo in presenza di secondarismi di non chiara origine rimane ancora frequente, in relazione alla capacità metastatizzante di lesioni anche molto piccole (< 1 cm), di difficile identificazione. In tale contesto clinico recenti studi pongono un’attenzione particolare all’entero-TC, che ha dimostrato una sensibilità diagnostica che varia dall’86 al 100% (9,10), soprattutto per lesioni > 1 cm, e che può essere di grande aiuto dove le metodiche più “tradizionali” sono negative o di non univoca interpretazione.
Altre metodiche diagnostiche sono la colonscopia (utile nel caso in cui la neoplasia prolassi attraverso la valvola ileo-cecale) o altre più complesse e meno usufruibili, quali la video-capsula o l’enteroscopia a doppio pallone (11).
Imaging funzionale
Negli ultimi anni ha assunto sempre più importanza nella gestione di questi tipi di neoplasia. La 68Ga-PET/TC ormai è diventata una metodica fondamentale, in quanto raggiunge livelli di sensibilità del 90-95%, sia per quanto riguarda la localizzazione del tumore primitivo, sia per la quantificazione del carico di malattia (secondarismi linfonodali, epatici e ossei). Tale indagine risulta fondamentale sia nella fase diagnostica sia nel follow-up ed è fortemente raccomandata in tutti i casi di NEN G1 o G2, soprattutto in presenza di piccole lesioni digiuno-ileali, così come in fase pre-operatoria, per escludere la presenza di metastasi a distanza non individuate con altre metodiche radiologiche convenzionali (12). La PET con 18F-FDG risulta invece una metodica in generale meno utile, essendo indicata solo nei rari casi di lesioni poco differenziate (NEN G3), dove ha una valenza prognostica oltre che diagnostica.
TERAPIA CHIRURGICA
Sulla base dell'estensione della malattia e del contesto clinico, l'intervento chirurgico può essere curativo o avere un significato solo palliativo. L’approccio laparoscopico non è sempre attuabile date la possibile infiltrazione tumorale e la reazione desmoplastica spesso associata. La scelta della tecnica chirurgica dipende, quindi, dall’esperienza dell’operatore e dall’estensione di malattia.
Chirurgia nel paziente non metastatico
Per le NEN del piccolo intestino resecabili e in assenza di metastasi a distanza la terapia è sempre chirurgica e consiste nella resezione del tratto intestinale coinvolto associata ad ampia linfadenectomia, che spesso coinvolge la radice del mesentere. Tale procedura ha dimostrato in ampie casistiche di migliorare significativamente la sopravvivenza a lungo termine (13,14). Qualora la neoplasia coinvolga l’ileo terminale, è spesso necessario eseguire anche emicolectomia destra, con lo scopo di ottenere la maggiore radicalità chirurgica. È raccomandata la colecistectomia a scopo profilattico in corso di intervento, in special modo nei pazienti candidati a terapia con SSA, per prevenire lo sviluppo di calcolosi (15).
Chirurgia del paziente metastatico
In questa situazione si distinguono essenzialmente 3 situazioni:
- paziente con presenza di lesioni epatiche sincrone e resecabili, in cui l’intervento chirurgico sul duplice sito ha dimostrato beneficio clinico evidente (16);
- paziente con metastasi non resecabili ma sintomatico (occlusione o sanguinamento intestinale), in cui l’intervento chirurgico ha sostanzialmente finalità palliative;
- pazienti asintomatici ma con metastasi non resecabili, in cui l’intervento chirurgico sul tumore primitivo appare discutibile. In questo contesto l’approccio chirurgico sul primitivo è contemplato dalle recenti linee guida (17), sebbene fortemente dibattuto visti i risultati contrastanti nelle diverse casistiche (18,19).
Data la complessità di queste situazioni, l’opzione chirurgica implica un’attenta selezione dei pazienti e dei centri chirurgici cui fare riferimento, che devono essere caratterizzati da un elevato volume di interventi e dalla possibilità di una gestione multi-disciplinare.
In presenza di metastasi epatiche diffuse possono trovare indicazione le terapie loco-regionali, quali (chemio)embolizzazione e ablazione con radiofrequenza, per cui però mancano tuttora studi prospettici randomizzati.
Da ultimo in pazienti selezionati con metastasi epatiche diffuse si può considerare l’approccio trapiantologico, da effettuare in casi specifici e in centri altamente specializzati (vedi paragrafo delle NEN pancreatiche).
TERAPIA FARMACOLOGICA
Gli analoghi della somatostatina (SSA) octreotide e lanreotide rappresentano la terapia medica elettiva dei GEP-NET, sia funzionanti che non funzionanti. Anche se già negli anni precedenti molti studi retrospettivi avevano segnalato il possibile effetto anti-proliferativo di tali farmaci, il loro utilizzo si è definitivamente affermato nella pratica clinica dopo la pubblicazione degli studi PROMID e CLARINET.
Nello studio PROMID (fase III, randomizzato vs placebo in doppio cieco) condotto su 85 pazienti con tumori neuroendocrini del midgut ben differenziati, metastatici e in progressione, l’octreotide LAR (30 mg ogni 4 settimane) ha dimostrato di raddoppiare il tempo alla progressione della malattia (14.3 mesi vs 6 mesi) nelle forme con tumore primitivo resecato e con basso carico metastatico epatico (< 10%) (20).
Nello studio CLARINET (fase III, randomizzato vs placebo, in doppio cieco) condotto su 204 pazienti con GEP-NET di grado 1 e 2 (Ki-67 < 10%), non funzionanti e metastatici, lanreotide autogel (120 mg ogni 4 settimane) ha ottenuto un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da progressione (PFS), indipendentemente dal carico metastatico epatico (21).
Farmaci a bersaglio molecolare
Sebbene al momento attuale nessun farmaco a bersaglio molecolare sia registrato in Italia per la terapia delle NEN del piccolo intestino, everolimus ha dato prova di efficacia in 2 importanti studi.
Il RADIANT-2 è uno studio prospettico randomizzato di fase III, in doppio cieco, placebo-controllato, che ha valutato l’efficacia di everolimus 10 mg/die in pazienti con sindrome carcinoide associata a NEN avanzata, in progressione e trattati con octreotide LAR 30 mg ogni 4 settimane. Lo studio ha dimostrato un miglioramento della PFS mediana (16.4 vs 11.3 mesi), che tuttavia non ha raggiunto per poco la significatività statistica. Sebbene lo studio in senso stretto sia da considerarsi negativo, il beneficio clinico era comunque presente (22).
Il RADIANT-4 è uno studio prospettico, randomizzato, di fase III, internazionale, multicentrico, in doppio cieco, volto a valutare efficacia e sicurezza di everolimus 10 mg/die contro placebo in pazienti con NET G1-G2 del tratto gastro-intestinale o polmonare. I NET del piccolo intestino rappresentavano il 32% della popolazione arruolata. La PFS mediana è risultata di 11 mesi nei trattati con everolimus vs 3.9 mesi nel gruppo placebo (23).
In base ai risultati del RADIANT-4, FDA e EMA hanno approvato everolimus nel trattamento delle NEN a partenza gastro-intestinale e polmonare, mentre in Italia il farmaco è prescrivibile nei NET ben differenziati del tratto intestinale o del polmone secondo la Legge 648/96 (lista farmaci malattie rare).
Gli effetti avversi di grado 3 e 4 sono stati infrequenti in questi studi: stomatite (9%), diarrea (7%), infezioni (7%), anemia (4%), fatigue (3%) e iperglicemia (3%).
Chemioterapia
Nei NET G1 e G2 non vi sono attualmente evidenze di chiara efficacia delle terapie citotossiche. Le mono-chemioterapie hanno mostrato tassi di risposta obiettiva < 15% e pertanto vengono utilizzate solo in pazienti pre-trattati o in caso di condizioni cliniche generali scadute. I regimi poli-chemioterapici hanno mostrato, invece, una maggiore attività, anche se ad oggi non esistono schemi terapeutici ben codificati. Al netto delle evidenze scientifiche, schemi contenenti fluoropirimidine (5-FU o capecitabina) e oxaliplatino sembrano dare il maggior tasso di risposta con tossicità accettabile (24), mentre la temozolomide, molto efficace nelle NEN pancreatiche, ha prodotto scarsi risultati sui primitivi intestinali (25).
Per i rarissimi NET G3 (soprattutto Ki67 > 55%) può essere ragionevole uno schema a base di cisplatino ed etoposide (o irinotecano), simile a quello impiegato per le neoplasie a partenza pancreatica.
Dopo una chirurgia con intento curativo non è indicata alcuna terapia adiuvante, così come non vi è alcun ruolo per eventuali terapie mediche neo-adiuvanti.
TERAPIA RADIORECETTORIALE
La terapia radiometabolica è una forma di radioterapia sistemica che permette di trasferire i radionuclidi all’interno delle cellule esprimenti i recettori per la somatostatina. Sono stati pubblicati molti studi retrospettivi, prospettici e casi clinici sull’efficacia di tale approccio (26). Con lo studio NETTER-1 la terapia radiometabolica con Lutezio-177 si è imposta definitivamente con livello di evidenza elevato in questi tipi di neoplasia (27). In questo importante studio di fase III, multicentrico, randomizzato, in aperto, la terapia radiometabolica con Lutezio 177-DOTA-TATE è stata confrontata con SSA ad alte dosi (octreotide LAR 60 mg ogni 4 settimane) su 229 pazienti affetti da NEN del piccolo intestino non resecabili, metastatiche e in progressione con l’analogo freddo a dosi convenzionali. La percentuale stimata di PFS a 20 mesi è stata del 65.2% con la terapia radiorecettoriale e del 10.8% nel gruppo di controllo, con una riduzione del rischio di progressione del 79% nei pazienti sottoposti a terapia con Lutezio, a fronte di effetti collaterali ematologici e renali modesti.
FOLLOW-UP
Nei pazienti con NET G1 o G2 sottoposti ad intervento curativo i controlli dovrebbero essere effettuati ogni 6-12 mesi, ad eccezione dei NEC G3 dove il follow-up deve essere più ravvicinato (ogni 3 mesi). Nei pazienti con persistenza tumorale a bassa velocità di crescita il miglior approccio sembra un follow-up semestrale (17).
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NET NON FUNZIONANTI DELL’APPENDICE
Epidemiologia
Le neoplasie neuroendocrine dell’appendice sono relativamente frequenti, con incidenza oscillante tra 0.15-0.6/100.000/anno (1) e riscontro in circa lo 0.3-0.5% delle appendicectomie effettuate per altre cause.
La prevalenza è maggiore nel sesso femminile (rapporto F:M = 2:1).
La neoplasia si può sviluppare in qualunque epoca della vita, compresa l'età infantile, con mediana intorno alla 4° decade (2).
La prognosi usualmente è eccellente qualora il tumore sia asportato in uno stadio precoce (sopravvivenza 95-100% a 5 anni), mentre nei rari casi di tumore avanzato la sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 25% circa (3).
Sono stati identificati due sottotipi di NEN dell'appendice:
- tipico: deriva dalle cellule neuroendocrine subepiteliali situate nella lamina propria;
- a “goblet cells” (cellule caliciformi mucipare): sono tumori assai rari (0.01-0.05/100.000) a fenotipo misto, con parziale differenziazione neuroendocrina e ghiandolare mucinosa (4). Si possono quindi considerare come MiNEN (neoplasie neuroendocrine miste) e negli stadi avanzati (5) il potenziale maligno è maggiore di quello del classico NET appendicolare, con comportamento clinico più simile a quello dell'adenocarcinoma.
Clinica e terapia
Quasi tutte queste neoplasie sono clinicamente silenti, scoperte come reperto occasionale in appendici asportate chirurgicamente per vari motivi. La sindrome carcinoide è estremamente rara e dovrebbe far sorgere il sospetto di una diffusione metastatica. In qualche caso si può avere dolore/senso di peso in fossa iliaca destra.
Le dimensioni sono in genere piccole (< 1 cm) e solo raramente superano il diametro di 2 cm. La maggior parte delle lesioni (70%) è localizzata all'estremità dell'appendice, con un’attività proliferativa in genere bassa. Le metastasi, molto rare, interessano in genere i linfonodi; assai meno frequenti sono le metastasi a distanza.
La diagnosi viene quindi effettuata molto spesso in corso di laparotomia o laparoscopia, anche se talvolta può essere sospettata grazie all'ecografia pre-operatoria. Le indagini radiologiche convenzionali (TC e RM) possono essere utili in caso di riscontro accidentale pre-operatorio per la stadiazione addominale della neoplasia. Le metodiche scintigrafiche (68-Ga-PET) dovrebbero essere riservate ai casi in cui si sospettino localizzazioni a distanza.
La terapia è sostanzialmente chirurgica e dipende essenzialmente da dimensione, invasione e sede precisa della neoplasia (6):
- per neoplasie < 1 cm la resezione appendicolare è usualmente sufficiente a garantire una resezione completa, vista l’eccezionalità del rischio metastatico;
- per neoplasie tra 1 e 2 cm il rischio metastatico arriva fino al 25%, per cui la scelta terapeutica è più dibattuta. In generale, oltre all’appendicectomia, l’intervento dovrebbe prevedere emicolectomia destra qualora fossero presenti linfoangio-invasione, localizzazione alla base appendicolare, infiltrazione del meso-appendice per più di 3 mm ed esame istologico compatibile con NET G2 (7);
- per neoplasie > 2 cm o macroscopicamente invasive, è raccomandata una resezione più ampia, che comprende il colon di destra ed eventualmente gli organi coinvolti, in quanto la frequenza delle metastasi arriva anche al 40%.
Approcci farmacologici e oncologici, raramente necessari visto la prognosi eccellente di queste neoplasie, sono comunque comuni con le linee guida delle NEN intestinali e sono riservati a pazienti con malattia avanzata.
Follow-up
Lesioni < 1 cm asportate radicalmente (con o senza emicolectomia) e lesioni tra 1 e 2 cm sottoposte a chirurgia radicale: non è necessario follow-up.
Neoplasia tra 1 e 2 cm, in cui le caratteristiche cliniche del paziente o del tumore rappresentino fattori di rischio particolari (es. metastasi linfonodali, istologia aggressiva) e lesioni > 2 cm: è raccomandato follow-up con TC o RM ogni 6-12 mesi, sebbene non validato da studi clinici (6).
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NEN NON FUNZIONANTI DEL COLON-RETTO
Le NEN del colon hanno un’incidenza di circa 0.2 casi/100.000/anno e rappresentano circa il 17% delle NEN gastro-intestinali (1). Sembrano più frequenti nell’etnia afro-americana e hanno età media alla diagnosi di circa 60 anni.
Vista l’asintomaticità di tali neoplasie nelle fasi precoci, si riscontrano secondarismi nel 30% dei casi, con una sopravvivenza generale a 5 anni del 50% (2).
Il retto rappresenta la seconda sede più frequente di NEN gastro-intestinale (27.4%) dopo il piccolo intestino, con incidenza di 0.86 casi/100.000/anno. L’età media alla diagnosi è 56 anni e questa localizzazione sembrerebbe più frequente nella popolazione asiatica (3). La prognosi è in genere favorevole, con una sopravvivenza a 5 anni dell'88% circa nelle forme localizzate (4), che rappresentano la maggioranza (78%). La presenza di metastasi ai linfonodi regionali o a distanza riduce la percentuale di sopravvivenza a 5 anni, rispettivamente al 41% e al 25%. La sindrome carcinoide è estremamente rara.
Nella maggioranza dei casi le NEN del colon-retto sono asintomatiche (5) e non infrequentemente il riscontro è occasionale, nel corso di un esame endoscopico eseguito per altri motivi o per screening. Quando presenti, i sintomi più frequenti sono tenesmo, rettorragia, diarrea e perdita di peso, mentre è rara l'occlusione intestinale dato il calibro del retto e del colon. Frequentemente tali tumori vengono diagnosticati nel corso di accertamenti per il riscontro di secondarismi epatici da primitivo sconosciuto.
La tecnica diagnostica d’elezione è la colonscopia. Tuttavia, recenti studi hanno mostrato che in pazienti anziani e fragili o in presenza di colonscopie di difficile esecuzione e in caso di pulizia incompleta, la colonscopia virtuale tramite TC multistrato rappresenta una tecnica molto utile, non invasiva, con sensibilità sovrapponibile alla colonscopia tradizionale. Nei casi metastatici la TC e la RM integrate con l’imaging funzionale (68-Ga-PET/TC) sono fondamentali per la corretta stadiazione. In particolare, per le neoplasie rettali, la RM ha dimostrato di essere molto utile nella stadiazione locale della neoplasia e fondamentale per pianificare la strategia chirurgica (6). Di grande importanza è anche la l’eco-endoscopia, che permette di dettagliare in maniera precisa l’infiltrazione della mucosa (7).
Terapia chirurgica
NEN colon. Lesioni < 2 cm possono essere asportate endoscopicamente mediante polipectomia o resezione mucosa endoscopica (EMR), mentre le lesioni > 2 cm e/o con istologia aggressiva (G3) e/o con riscontro istologico di invasione della muscolaris mucosae richiedono un intervento più radicale di colectomia.
NEN retto. Nelle neoplasie < 1 cm la resezione endoscopica è in genere curativa, mentre per quelle > 2 cm l’intervento di riferimento è la resezione anteriore bassa. Per le neoplasie di dimensione intermedia (1-2 cm), è suggerito un atteggiamento più aggressivo in presenza di cellule con elevato indice replicativo (G3), invasione della muscolaris mucosae e presenza di linfoadenopatie.
Terapia farmacologica
Gli analoghi della somatostatina così come la terapia radiometabolica possono avere un ruolo, anche se sono molto ridotti i dati circa la loro efficacia anti-proliferativa in questi specifici tipi di tumori.
La chemioterapia a base di streptozotocina + 5-FU o doxorubicina è stata utilizzata per molti anni, pur con tassi di risposta piuttosto bassi (intorno al 25%). Un recente studio italiano ha dimostrato un beneficio clinico (risposta parziale + stabilizzazione di malattia) in circa l’80% dei casi con l’associazione capecitabina + oxaliplatino (8).
Follow-up
Le lesioni < 1 cm senza ulteriori fattori di rischio non necessitano di follow-up dopo l’asportazione, mentre per lesioni > 2 cm (G1-G2) dovrebbe essere programmata colonscopia/rettosigmoidoscopia annuale insieme a TC o RM pelvi. In presenza di neoplasie ad andamento più aggressivo (G3), dovrebbe essere programmato controllo endoscopico e radiologico ogni 4-6 mesi (9).
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NET toracici
Sara Pusceddu
Oncologia Medica 1, ENET Center of Excellence, Fondazione IRCCS Istituto Tumori Milano
CLASSIFICAZIONE, EPIDEMIOLOGIA E CLINICA
Le neoplasie neuroendocrine (NET) del polmone sono un gruppo eterogeneo di tumori, con differenti aspetti morfologici e diversi livelli di aggressività clinica. La definizione patologica secondo i criteri diagnostici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rappresenta il “gold standard” nella diagnostica dei NET polmonari. La terminologia da usare per descrivere i NET polmonari è quella contenuta nella classificazione OMS, edizione 2004, che identifica quattro varianti morfologiche (tabella) (1).
Classificazione NET polmonari secondo OMS 2004 |
Carcinoide tipico (CT) Carcinoide atipico (CA) Carcinoma NE a grandi cellule (large cell neuroendocrine carcinoma, LCNEC) Carcinoma a piccole cellule (small cell neuroendocrine carcinoma, SCLC) |
Dati epidemiologici indicano un aumento dell’incidenza di CT e CA, dovuto sia ad una migliorata consapevolezza diagnostica che all’uso sistematico delle colorazioni immuno-istochimiche, mentre i SCLC appaiono in declino, verosimilmente per la progressiva riduzione dell’abitudine tabagica (2). Dati epidemiologici sui LCNEC scarseggiano, ma essi appaiono sempre più frequentemente diagnosticati.
I NET polmonari rappresentano l’1–2% di tutti i tumori maligni polmonari e il 10–30% di tutte le neoplasie neuroendocrine. Spesso la diagnosi è occasionale, ma quando la malattia si manifesta in forma sintomatica, i sintomi d’esordio più frequenti sono rappresentati dall’ostruzione delle vie aeree, quindi tosse, dispnea, emottisi e stridore (3).
Queste neoplasie sono raramente funzionanti (1-5% dei casi) e quando la sindrome è manifesta, essa è maggiormente correlata alla secrezione ectopica di ACTH piuttosto che di serotonina. Nel 5-15% dei casi NET bronchiali e timici possono far parte di sindromi endocrine multiple (MEN-1) (4).
Dati epidemiologici, genetici, patologici e clinici indicano che i CT sono tumori maligni di basso grado, i CA tumori maligni di grado intermedio e LCNEC/SCLC tumori maligni di alto grado, con caratteristiche prognostiche differenti. CT e CA rappresentano un gruppo di tumori ben differenziati (WD-NET) a comportamento clinico indolente, in contrapposizione a LCNEC e SCLC che sono carcinomi scarsamente differenziati (PD-NEC) caratterizzati da andamento clinico aggressivo e rapidamente evolutivo. Nell’attuale classificazione non è accettato un sistema di “grading” a tre livelli (G1, G2, G3), che è invece “ il fondamento” della classificazione morfologica OMS dei GEP-NET sulla scorta di Ki-67 e conta mitotica.
Il ruolo del KI-67 non è ancora ben codificato nei NET polmonari (4). Tuttavia, i suoi ambiti d’utilizzo possono essere esemplificati come segue:
- utilità nel distinguere CT e CA da NEC scarsamente differenziati, in particolare SCLC, nel materiale diagnostico limitato (citologia e biopsie) (5);
- possibilità di usare il Ki-67 come criterio prognostico (in letteratura sono stati proposti vari “cut-off”) nell’ambito dei carcinoidi, anche con valore indipendente in analisi multivariata, mentre non vi sono dati in tale senso nei NEC scarsamente differenziati.
TRATTAMENTO
Analoghi della somatostatina (SSA)
Gli SSA producono un miglioramento della sintomatologia clinica in oltre il 60% dei casi, stabilizzazione della crescita tumorale nel 30-50% e solo in rari casi determinano una regressione parziale del tumore. In generale, le linee guida internazionali raccomandano l’uso degli SSA nei NET sindromici e nei NET a basso grado di malignità non funzionanti se evolutivi (6).
L’evidenza di un effetto anti-proliferativo degli SSA nei NET toracici deriva essenzialmente da studi retrospettivi su casistiche eterogenee di pazienti e da studi clinici prospettici condotti sui GEP-NET (7-8). Unico studio prospettico dedicato ai NET polmonari è lo studio internazionale LUNA, di fase II. Tale studio, prospettico, multicentrico, randomizzato, valuterà l’attività di Pasireotide (SSA che si lega a 4 dei 5 sottotipi recettoriali della somatostatina) ed Everolimus da soli (single arm) oppure in combinazione (Everolimus + Pasireotide) nei NET toracici ben differenziati. Lo studio è al momento in corso di reclutamento e i risultati non sono ancora disponibili (9).Il trattamento adiuvante con SSA nei pazienti con carcinoidi polmonari o timici radicalmente resecati non è stato sufficientemente studiato e non è al momento indicato. A tale scopo sono necessari studi randomizzati specificamente disegnati e con adeguato potere statistico.
Everolimus
Lo studio Italiano di Righi et al, ha analizzato l’espressione in vitro di mTOR fosforilato (p-mTOR) e del suo downstream p70-S6K (p-S6K) e 4EBP1 (p-4EBP1) in un’ampia serie di 218 NET polmonari resecati (24 CT, 73 CA, 60 LCNEC e 61 SCLC). L’analisi ha evidenziato elevati livelli immunoistochimici di p-mTOR e di p-S6K (indicatori di attivazione della via di segnale di m-TOR) nelle forme a basso grado (CT e CA) rispetto alle forme ad alto grado. Inoltre p-mTOR risultava positivamente associato all’espressione dei recettori della somatostatina (10). In analogia, studi pre-clinici hanno confermato l’attività anti-proliferativa di Everolimus su linee cellulari di carcinoidi polmonari (11).
Contrariamente all’esperienza pre-clinica, l’esperienza clinica sull’uso di Everolimus nei NET toracici è molto eterogenea, per assenza di dati relativi a studi retrospettivi o prospettici dedicati a questo sottogruppo di pazienti; inoltre, i dati sono di difficile valutazione nel limitato numero di pazienti arruolati in studi clinici controllati. Lo studio di fase III, multicentrico, internazionale (RADIANT-2), che ha confrontato Everolimus più Octreotide LAR versus placebo più Octreotide LAR in 429 pazienti affetti da NET ben differenziato, funzionante, ha arruolato 44 NET di origine polmonare. Non essendo stata prevista dall’inizio una stratificazione per sede della neoplasia primitiva, la distribuzione dei pazienti è risultata sbilanciata nei due bracci di trattamento (11 pazienti nel braccio placebo e 33 pazienti nel braccio everolimus). L’analisi per sottogruppo, effettuata dopo la pubblicazione dei dati dello studio RADIANT-2, ha confermato, in analogia ai dati complessivi dello studio, un beneficio clinico nei NET toracici trattati con Everolimus rispetto al placebo (miglioramento di 2.4 volte rispetto a placebo della sopravvivenza libera da malattia – mPFS –, da 5.6 a 13.6 mesi) seppur in assenza di una significatività statistica (12).Seppur più limitata, una differente popolazione di NET toracici è stata recentemente valutata nello studio di fase II, RAMSETE: 22 NET toracici non funzionanti a basso grado di malignità, in progressione, sono stati arruolati con l’intento di valutare l’attività di Everolimus in monoterapia, dimostrando un controllo della crescita tumorale nel 60% dei casi (13).
Sulla scorta di tali evidenze, nel 2011 è stato disegnato lo studio RADIANT-4, prospettico, randomizzato, placebo-controllato, in doppio cieco, di fase III, includente pazienti affetti da NET non funzionante sia GEP sia polmonare. L’arruolamento dello studio si è concluso nel settembre 2013 e i risultati non sono ancora disponibili (14).
L’unico studio prospettico specifico per carcinoidi polmonari e timici è lo studio LUNA, già sopra citato (9).
Chemioterapia nei NET toracici a basso grado
La chemioterapia sistemica è riservata ai casi di malattia localmente avanzata o a distanza. Considerata la rarità clinica e la mancanza di adeguati livelli di evidenza, a causa dell’assenza di studi prospettici e retrospettivi sui NET polmonari, al momento non esiste uno schema chemioterapico standard di riferimento da raccomandare nella pratica clinica. Inoltre, data la loro bassa attività proliferativa, i carcinoidi sono da ritenersi in generale neoplasie chemio-resistenti (15).
Le terapie basate su un singolo agente chemioterapico hanno dimostrato tassi di risposta obiettiva generalmente non > 20%, pertanto si tende a riservare una mono-chemioterapia a pazienti pre-trattati o a pazienti con scarso performance status o comorbilità di rilievo. I farmaci più frequentemente utilizzati in mono-chemioterapia sono stati 5-fluoro-uracile, cisplatino, carboplatino, irinotecan, temozolomide, gemcitabina, etoposide, doxorubicina, streptozotocina, dacarbazina, paclitaxel, docetaxel, pemetrexed.
I regimi di poli-chemioterapia hanno mostrato maggiore attività, come emerge da analisi retrospettive e studi di fase II e pertanto sono da preferire, in assenza di controindicazioni. La poli-chemioterapia è in grado di determinare risposte parziali (RP) radiologiche nel 5-10%, stabilità di malattia (SD) nel 30-50%, risposte sintomatiche nel 40-60% dei casi. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che tali risultati sono estrapolati da studi condotti su pazienti affetti da NET di qualsiasi sede anatomica e in cui sono inseriti anche i pazienti con carcinoidi bronchiali e timici. Questo ovviamente ci porta a dover ridurre i livelli di evidenza degli studi, anche per studi ben condotti e con bassa probabilità di bias.
Tra alchilanti e anti-metaboliti la temozolomide è il farmaco più innovativo e meno tossico. La somministrazione orale e la possibilità di essere associata ad altri citostatici rendono temozolomide preferibile a dacarbazina, con cui condivide alcuni metaboliti. La temozolomide è inoltre in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e può essere utilizzata per lunghi periodi di tempo. Schemi contenenti temozolomide possono essere di beneficio per il trattamento dei carcinoidi in fase avanzata. In uno studio retrospettivo condotto su 36 pazienti affetti da NET, di cui 7 carcinoidi timici e 13 carcinoidi bronchiali, la somministrazione di temozolomide da sola ha determinato RP nel 14% dei pazienti e SD nel 53%. La mPFS è stata di 7 mesi e la tossicità più rilevante è stata ematologica (piastrinopenia di grado 3 e 4) nel 14% dei casi (16).
Un secondo studio retrospettivo ha valutato l’attività di temozolomide in 31 pazienti affetti da carcinoidi bronchiali metastatici, riportando RP nel 14% dei casi e SD nel 52% dei casi. La tossicità di grado 3 e 4 maggiormente riscontrata è stata, come atteso, la trombocitopenia (17).
Recenti evidenze sembrerebbero identificare la metil-guanin-metil-transferasi (MGMT) nelle cellule tumorali, come fattore predittivo di risposta al trattamento con temozolomide. MGMT è l’enzima responsabile della riparazione del DNA dai danni causati da agenti alchilanti come la temozolomide: alti livelli intra-cellulari di enzima ostacolerebbero l’attività del farmaco. Da un’analisi retrospettiva su 97 pazienti con NET avanzato (pancreas, intestino e polmone) trattati con temozolomide è emerso che la metilazione genica di MGMT (che abbassa i livelli di enzima intra-cellulare) è più frequente nelle neoplasie pancreatiche rispetto ai carcinoidi, così come il tasso di RP al trattamento con temozolomide (34% nei NET pancreatici vs 2% nei carcinoidi) (18).Al momento l’utilizzo di temozolomide non è vincolato dalla determinazione di MGMT, poiché è necessaria una maggiore validazione di questo test e una divulgazione della metodologia per la sua misurazione, oggi prerogativa di pochi centri.
Derivati del platino
Nelle casistiche più datate i carcinoidi bronchiali venivano trattati con lo stesso schema utilizzato per i NET polmonari più aggressivi, in analogia allo schema standard utilizzato nel microcitoma polmonare (Cisplatino-Etoposide).
In realtà i carcinoidi, caratterizzati da una più bassa attività replicativa, sono risultati meno sensibili all'azione di tale regime (19). Inoltre, il cisplatino non era mai stato sistematicamente testato per il trattamento di prima linea in un gruppo omogeneo di NET ben differenziati. Da segnalare, tuttavia, esperienze più recenti, seppur su casistiche limitate, sull’utilizzo di schemi di trattamento contenenti platino. In particolare, nel 2010 sono stati resi noti i risultati di uno studio di fase 2, in cui 98 pazienti affetti da NET ben differenziati, avanzati (8 carcinoidi polmonari) sono stati trattati con un regime polichemioterapico contenente cisplatino, 5-fluoro-uracile e streptozotocina (20). Sono state ottenute RP nel 25% dei casi extra-pancreatici e nel 25% dei carcinoidi polmonari, con SD globalmente nel 51% dei casi. mPFS e sopravvivenza complessiva sono state rispettivamente di 9.1 mesi e 31.5 mesi.
Nel 2006 un gruppo di ricercatori Italiani ha valutato l’attività del regime XELOX (capecitabina + oxaliplatino), nei pazienti affetti da NET a basso e alto grado di malignità sia GEP che toracici. Tra i 27 pazienti valutati, 5 erano affetti da carcinoide polmonare. L’analisi dei risultati ha evidenziato RP nel 27.5% dei casi e SD nel 35% dei casi, con mPFS di 18 mesi. In particolare, gli autori segnalavano un elevato tasso di risposte obiettive e stabilizzazioni di malattia nell’80% dei pazienti affetti da carcinoidi polmonari, riportando viceversa una scarsa risposta clinica nei pazienti affetti dalle forme scarsamente differenziate(21).
Concludendo, in assenza di studi clinici, prospettici, randomizzati, disegnati ad hoc per i NET del distretto toracico, nella pratica quotidiana dobbiamo prediligere il regime chemioterapico esclusivamente sulla base di un ragionamento clinico, tenendo conto di caratteristiche del paziente ed istologia, considerando sempre come prerogativa valida, quando fattibile, l’inserimento del paziente nell’ambito di un trial clinico.
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NET rari
Fernando Cirillo
Dipartimento di Chirurgia Generale, Unità di Chirurgia Generale, Gruppo Tumori Ormonali Rari, AO Istituti Ospitalieri, Cremona
I Tumori Neuroendocrini (NET) rari rappresentano un piccolo gruppo di neoplasie di osservazione quasi aneddotica se confrontata con quella dei più comuni NET. Al gruppo appartengono principalmente i carcinomi epiteliali con differenziazione NE e i tumori con fenotipo NE – che chiameremo “puri” – cresciuti in distretti considerati insoliti per questo tumore; completano il gruppo i paragangliomi e le associazioni fra NET ed altri tumori rari.
Dal momento che le segnalazioni in letteratura sono per lo più aneddotiche, i riferimenti alla diagnosi e alla terapia mancano di un consenso tipico delle più ampie casistiche. In linea del tutto generale, la diagnosi di questi tumori è del tutto casuale: l’imaging radiologico, nella maggior parte dei casi, provvede a descrivere lesioni non-funzionanti nonostante i caratteri ormonali di questi tumori. Il trattamento standard è chirurgico nelle forme primitive; la chemioterapia è di necessità nelle forme avanzate a differenziazione NE per le caratteristiche biologiche che li avvicinano alla controparte epiteliale. L’uso aneddotico di altre molecole (analoghi della somatostatina, inibitori di mTOR, inibitori di VEGFR, terapia radio-recettoriale) non ha offerto risposte definitive. Poco descritto in letteratura il ruolo del follow-up.
CARCINOMI CON DIFFERENZIAZIONE NE
La classificazione WHO relativa ai tumori del sistema digestivo pubblicata nel 2010 (1) descrive un gruppo di tumori misti, dove la componente esocrina ed endocrina deve essere rappresentata arbitrariamente con una quota pari al 30%; quando la componente endocrina sia presente con una quota < 30%, è possibile utilizzare il termine di carcinoma epiteliale a differenziazione NE. La metodica immunoistochimica utilizzata e il diverso grado di sensibilità possono influenzare la diagnosi sul preparato istologico (2).
La presenza di una differenziazione in senso NE può avere un riflesso prognostico diverso a seconda dei distretti interessati. Ad esempio, tale condizione non sembra influenzare la prognosi per il carcinoma mammario e del colon-retto; diverso è il caso del carcinoma gastrico, prostatico e appendicolare, dove tale differenziazione si associa ad una prognosi sfavorevole; infine, per il carcinoma pancreatico la prognosi è fortemente influenzata dalla componente esocrina (3). È stata anche segnalata una prognosi peggiore nei tumori esofago-gastrici e del retto con differenziazione NE radio-chemio trattati (3). Nel distretto respiratorio esiste un’area di sovrapposizione, rappresentata dai tumori squamosi (non oat cell) con differenziazione NE, che costituisce una quota significativa pari al 15-20% dei casi (4). Tale condizione non sembra influenzare in maniera significativa la prognosi.
In tutte le situazioni descritte sintomi e segni clinici non sono per nulla differenti rispetto alla controparte epiteliale. Il ruolo del patologo in tutti questi casi è cruciale, perché le informazioni destinate al clinico, integrate con la diagnostica PET (68Ga e 18F-FDG), saranno fondamentali per la strategia terapeutica.
TUMORI CON FENOTIPO NE (“puri”)
Per questi tumori la letteratura è relativamente scarsa. Tale carenza può essere spiegata per la loro frequente sintomaticità e per l’estrema distribuzione in più distretti dell’organismo. I NET “puri” presentano incidenza < 1% e corrispondono circa al 10-15% di tutti i NET (5). In relazione alla sede, possono essere suddivisi in: testa/collo, timo, mammella, gonadi, rene, vescica, prostata e pancreas.
Testa/collo – Laringe. I tumori NE del laringe coprono circa l’1% di tutte le neoplasie laringee e insorgono più di frequente in maschi anziani fumatori. Sintomi caratteristici sono dolore, disfagia, raucedine e dispnea. Si tratta di una neoplasia rara e aggressiva, con una sopravvivenza spesso non correlata alla radicalità della chirurgia, dove le metastasi a distanza rappresentano la causa di decesso (6). Sono stati pubblicati 127 casi di carcinoide atipico del laringe, argirofilo nel 97% dei casi, con prognosi severa nei pazienti metastatici o con lesione primitiva con diametro > 1 cm (7). L’istotipo a piccole cellule rappresenta una forma inusuale, pari allo 0.5% di tutti i carcinomi laringei. Nel 73% dei casi il decesso è secondario alla malattia metastatica; radio e chemioterapia portano la sopravvivenza al 5% a 5 anni (8). I tumori NE dell’esofago rappresentano lo 0.05% di tutte le neoplasie gastro-esofagee: interessano il terzo inferiore dell’esofago e insorgono di solito nei maschi dopo la 6° decade di vita. Disfagia, dolore, reflusso gastro-esofageo e calo ponderale sono i segni e sintomi più frequenti. La diagnosi è strumentale. Le caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche sono quelle caratteristiche dei tumori NE, con espressione di cromogranina A e NSE (5).
Timo. Le neoplasie NE del timo rappresentano una quota < 3% rispetto al numero totale dei NET. Asintomatici al momento della diagnosi in 1/3 dei casi (9), si presentano già metastatici nel 30% dei casi (5). Possono essere a carattere sporadico o nell’ambito di una MEN-1 nel 5% dei casi (5,10). Le forme sporadiche presentano sintomi locali da compressione (tosse stizzosa, sindrome da compressione venosa) o sindromi paraneoplastiche, in particolare la sindrome di Cushing in 1/3 dei casi osservati (11), ma anche la polimiosite e le cardiomiopatie. La diagnosi è strumentale: la RMN descrive questa neoplasia come una massa a contorni policiclici e irregolari e con presenza di calcificazioni. L’elevata aggressività del tumore richiede il provvedimento chirurgico, con prognosi infausta nel 60% dei casi (12,13).
Mammella. Si tratta di un’entità rara, pari al 5% di tutte le neoplasie mammarie (14). La neoplasia esprime i recettori estrogenici, cromogranina A e B, sinaptofisina e NSE. La fascia di età colpita è molto ampia (38-87 anni) (5). L’obiettività mammaria non è diversa da quella del comune carcinoma epiteliale: questi tumori possono essere, infatti, unici, multifocali e bilaterali. L’aspetto macroscopico non è considerato caratteristico. Non si conosce la sindrome da carcinoide neppure in presenza di malattia disseminata. Sono stati invece riportati rari casi di sindrome di Cushing associata (15). I dati di follow-up su 30 casi indicano la tendenza ad un buon andamento della malattia (mediana di sopravvivenza libera da malattia di 48 mesi) (16). Questa neoplasia è stata segnalata in un maschio di 80 anni associata a una componente papillare con localizzazioni ascellari (17). La terapia è chirurgica in tutte le forme primitive descritte.
Gonadi. Nel sesso femminile, il carcinoma NE ovarico, che assomma a circa il 2% di tutte le neoplasie ginecologiche (18), si presenta di solito come localizzazione monolaterale, unica, non invasiva, talvolta associata a elementi teratomatosi. È presente la sindrome da carcinoide nel 30% dei casi (5): di questa, in una casistica di 329 casi è riportata una diversa incidenza per il tipo “insulare” (39%) rispetto a quello trabecolare (8%) (19). La prognosi è favorevole nella malattia localizzata. Nelle localizzazioni secondarie da NET digestivo il comportamento è invece più aggressivo (5). In questi casi il trattamento medico prevede l’uso di analoghi della somatostatina, IFNα, inibitori di mTOR, embolizzazione epatica e terapia radio-recettoriale (18). È riportato il caso di un carcinoma NE a grandi cellule del corpo dell’utero in una paziente di 52 anni (20) e il caso di un carcinoma NE della cervice uterina. Per quest’ultimo istotipo, le metastasi loco-regionali sono precoci nel 68% dei casi con recidiva nella metà dei casi (21). Nel maschio, il carcinoma NE del testicolo colpisce un’ampia fascia di età, fino oltre gli 80 anni. Insorge prevalentemente nel testicolo sinistro come massa localizzata che determina turgore dello scroto, dolore spontaneo e rischio di torsione (5). Sono segnalati 57 casi con caratteristiche prevalentemente argirofile e l’associazione col teratoma in 43 casi. Un maggior potenziale metastatico è correlato con le dimensioni del tumore e con la sindrome da carcinoide (22). La diagnosi è clinica e strumentale, la terapia chirurgica (5). Raro è il carcinoide “puro” della prostata, mentre sono di numero maggiore le segnalazioni di una differenziazione NE come dimostrato dall’espressione dei marcatori tipici di malattia. Dal momento che la terapia ormonale ablativa non è in grado di controllare la crescita neoplastica della popolazione cellulare con fenotipo NE, i cloni cellulari con recettori androgeno – negativi proliferano con modalità del tutto autonome (23). Ciò si correla con una prognosi peggiore (23, 24) che implica diverse soluzioni terapeutiche. Infine, è stato segnalato il caso di un carcinoide dell’epididimo sottoposto ad orchiectomia bilaterale (25).
Rene. Ancora meno frequente è la localizzazione renale, di cui sono segnalati 14 casi (26).
Vescica. Sono stati segnalati 1 caso con istotipo a piccole cellule (0.35-0.70% di tutte le neoplasie vescicali) (27) e 1 caso con istotipo a grandi cellule (28). La macroematuria rappresenta l’insorgenza clinica della malattia. La terapia è combinata.
Pancreas. Soga ha segnalato 156 casi di carcinoide “puro” del pancreas, pari all’1.4% di tutti i NET registrati nel Niigata Registry for Gut-Pancreatic Endocrinomas, di cui 144 tipici e 12 atipici. Essi presentano un elevato trend metastatico (66.7%), hanno un diametro medio (68.6 mm) e una incidenza della sindrome da carcinoide (23.3%) superiori rispetto a tutti gli altri NET (29).
Il paraganglioma deriva dal tessuto cromaffine extra-surrenalico e può interessare sia il sistema nervoso simpatico che parasimpatico. Si tratta di un tumore con aspetti NE che, quando funzionante, può determinare sintomi tipici del feocromocitoma, comprese le severe complicanze cardio-vascolari. In letteratura sono segnalati casi sporadici di paraganglioma a carico di differenti distretti. Sono 28 i casi riportati a carico del collo (bulbo carotideo, nervo vago, vena giugulare, laringe) (30), 9 a carico della tiroide (31), 1 in sede intra-pericardica (32), 80 casi di paraganglioma gangliocitico pancreatico (33), 6 casi a carico della prostata (34), infine 1 caso localizzato nella regione pelvica (35). La terapia è chirurgica nelle fasi iniziali. Va considerato il trattamento dell’ipertensione arteriosa, con le associazioni α-litico e β-bloccante nelle forme funzionanti e la chemioterapia negli stadi avanzati della malattia. In un caso osservato, il trattamento con sunitinib ha consentito una discreta risposta obiettiva in un giovane paziente già sottoposto a numerosi e differenti trattamenti (36).
NET E ASSOCIAZIONE CON ALTRI TUMORI RARI
In casi del tutto eccezionali si possono osservare associazioni fra NET e altre neoplasie rare, prevalentemente epiteliali. Di queste, sono segnalati 4 casi con una percentuale di osservazione pari all’1.3% (37). L’asportazione della lesione è lo standard terapeutico. Il follow-up deve considerare tempi stretti. In casi selezionati la terapia è farmacologica.
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