Terapia radiante del craniofaringioma
Marco Losa, Filippo Gagliardi, Pietro Mortini
Reparto di Neurochirurgia, Istituto Scientifico San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano
La terapia radiante del craniofaringioma comprende due modalità principali.
L’irradiazione intra-cistica (brachiterapia) si avvantaggia della frequente presenza di una voluminosa parte cistica del tumore. Con metodica stereotassica si immette nella cisti del tumore un isotopo ß-emittente (in genere 90Yttrio o 32Fosforo). Nella maggior parte dei casi si ha una riduzione del volume della cisti, anche se alcuni pazienti mostrano o la formazione di nuove cisti o la crescita della parte solida del tumore (1, 2). In generale la brachiterapia è raramente utilizzata al giorno d’oggi.
La radioterapia frazionata (in genere alla dose di 50-56 Gy in 25-28 sedute) è utilizzabile come terapia adiuvante dopo asportazione incompleta del tumore. In questa situazione la radioterapia abbassa notevolmente il rischio di ricrescita del tumore (3, 4, 5, 6, 7). La dose radiante sembra influire sulla probabilità di controllo della crescita tumorale, poichè dosi totali < 50 Gy sono state associate ad una più alta probabilità di ricrescita tumorale (8).
La radiochirurgia stereotassica mediante Gamma Knife ha meno applicazioni nel caso del craniofaringioma rispetto ad altre patologie della regione sellare, in quanto i residui tumorali tendono a essere più vicini o addirittura aderenti alle strutture visive. Nel caso di tumori di piccole dimensioni (in genere residuati da precedenti interventi chirurgici o recidivanti), la Gamma Knife causa una riduzione del tumore nella maggior parte dei casi, mentre circa il 10-20% dei pazienti non ottiene il controllo locale della malattia (9, 10).
Bibliografia
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Terapia farmacologica del craniofaringioma
Marco Losa
Reparto di Neurochirurgia, Istituto Scientifico San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano
(aggiornato al 10 agosto 2021)
Fino a qualche anno fa i migliori risultati ottenibili con terapia farmacologica erano limitati all’instillazione nella cavità cistica del tumore di bleomicina e interferone-alfa (1,2), con l’ovvia limitazione che tale metodica presuppone comunque una manovra invasiva e la presenza di una prevalente componente cistica del tumore. Inoltre, la bleomicina può causare tossicità maggiore in caso di dispersione del chemioterapico al di fuori della cisti tumorale.
La terapia medica del craniofaringioma ha fatto importanti progressi negli ultimi anni, traendo grandi benefici dalle scoperte riguardanti i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo e della crescita di questi rari tumori.
Le alterazioni delle vie oncologiche sono specifiche a seconda del sottotipo istologico del craniofaringioma. Infatti, la variante adamantinomatosa, che è quella più frequente, è caratterizzata da mutazioni attivanti del gene CTNNB1, che codifica la proteina ß-catenina (3), mentre la variante papillare è caratterizzata dalla mutazione BRAF-V600E, che attiva l’importante via intra-cellulare di Ras-Raf-Mek-ERK1/2, un potente stimolo della proliferazione e sopravvivenza cellulare (4).
Se per la variante adamantinomatosa la mutazione della ß-catenina non ha, per il momento, portato a innovazioni terapeutiche, la mutazione BRAF-V600E, tipica della variante papillare, è un bersaglio ideale per una terapia personalizzata. Infatti, diversi istotipi di tumori umani caratterizzati dalla comune presenza della mutazione BRAF-V600E hanno mostrato una buona risposta terapeutica alla terapia medica con farmaci che bloccano la via cellulare attivata da questo tipo di mutazione (5). Negli ultimi anni è apparsa la descrizione di alcuni casi clinici che hanno descritto l’applicazione della terapia con inibitori della mutazione BRAF-V600E, con l’aggiunta in alcuni casi di farmaci che inibiscono l’attivazione della MAP-chinasi, in alcuni singoli pazienti con craniofaringioma papillare refrattario alle terapie standard di tipo chirurgico e/o radiante (6). I risultati descritti sono stati ottimi, con regressione del tumore in tutti i casi riportati, a prezzo di una tossicità in genere modesta e comunque gestibile. Non è però nota la durata della risposta ed esiste la possibilità che con il tempo si sviluppino mutazioni che annullano l’efficacia dei farmaci utilizzati (problema presente in un buon numero di pazienti con altri tumori trattati con questi stessi farmaci) e il rischio di ricrescita tumorale alla sospensione della terapia farmacologica.
La terapia farmacologica del craniofaringioma non è più, comunque, una chimera ma è, almeno per la variante papillare, una realtà, seppur circoscritta ancora a pochi casi. Studi clinici con maggior numero di pazienti ben selezionati potrebbero aiutare a progredire nella valutazione dell’efficacia della terapia medica nei pazienti con craniofaringioma (7).
Bibliografia
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- Hyman DM, Puzanov I, Subbiah V, et al. Vemurafenib in multiple nonmelanoma cancers with BRAF V600 mutations. N Eng J Med 2015, 373: 726-36.
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Classificazione dell'ipopituitarismo
Marco Bonomi, Giovanni Goggi
Dipartimento di Medicina Endocrino-Metabolica, Ospedale San Luca – IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Milano
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Università degli Studi di Milano - Milano
(aggiornamento al 14 novembre 2019)
Definizione
L’ipopituitarismo è una condizione clinica caratterizzata dalla ridotta secrezione di uno o più ormoni prodotti dall’ipofisi, che porta a un conseguente deficit funzionale delle relative ghiandole bersaglio (1).
L’ipopituitarismo può interessare sia la porzione anteriore (adeno-ipofisi) che la porzione posteriore (neuro-ipofisi) dell’ipofisi e può pertanto interessare la secrezione dei seguenti ormoni: GH, PRL, ACTH, TSH, LH, FSH, ADH.
L’ipopituitarismo può essere distinto in totale (panipopituitarismo), parziale oppure unitropico, a seconda che sia rispettivamente compromessa la secrezione di tutti, alcuni o solamente uno degli ormoni ipofisari (2).
Eziologia
L’ipopituitarismo può riconoscere diverse origini.
- Patologie espansive: i tumori ipofisari (sia secernenti che non-secernenti), rappresentano da soli la causa in assoluto più frequente (61% dei casi). Si tratta spesso di tumori benigni, mentre meno comuni sono le metastasi di tumori primitivi (localizzati soprattutto a livello di mammella, colon e prostata). Un’altra possibile causa è rappresentata da tumori ipotalamici e para-ipofisari come meningiomi, gliomi e craniofaringiomi (3).
- Patologie infettive: infiammazioni purulente del seno sfenoidale possono coinvolgere la sella turcica, la capsula e il parenchima ipofisario. L’ipofisite infettiva è oggi una condizione assai rara, dato l’ampio ventaglio di terapie anti-microbiche disponibili. Alcune patologie infettive che possono esitare in tale complicanza sono la tubercolosi, l’istoplasmosi, la meningite, la sifilide e l’AIDS (2).
- Patologie autoimmuni: l’ipofisite linfocitaria è una rara affezione autoimmune, in cui il parenchima ipofisario, infiltrato da linfociti e plasmacellule, viene progressivamente distrutto, esitando in un quadro di ipopituitarismo. È una patologia che colpisce prevalentemente il sesso femminile e che solitamente insorge durante la gravidanza o il puerperio; vista la sua natura autoimmune, è responsiva al trattamento corticosteroideo. Anche le vasculiti possono interessare la regione.
- Patologie infiltrative: la sarcoidosi e l’istiocitosi X sono due patologie granulomatose sistemiche, che possono dare localizzazioni ipotalamo-ipofisarie, determinando un quadro di ipopituitarismo totale o parziale, spesso associato a diabete insipido e iperprolattinemia da deafferentazione del fascicolo dopaminergico ipotalamo-ipofisario (2).
- Patologie metaboliche: nell’emocromatosi si verifica un significativo deposito di emosiderina all’interno dell’ipofisi, in particolare nelle cellule gonadotrope, motivo per cui la più frequente manifestazione clinica che ne deriva è l’ipogonadismo ipogonadotropo. Altre patologie con localizzazioni ipofisarie sono l’amiloidosi e la mucopolisaccaridosi (2).
- Patologie vascolari: l’apoplessia ipofisaria è una rara complicanza di un adenoma ipofisario (anche se talvolta può verificarsi nel contesto di un’ipofisi normale), determinata da ischemia o emorragia ipofisaria (3). Tali eventi possono verificarsi spontaneamente oppure essere favoriti dalla terapia radiante di un adenoma, da traumi cranici o dall’esecuzione di test di stimolo con TRH o GnRH (2). La sindrome di Sheehan, invece, è l’esito di un infarto che colpisce l’ipofisi iperplastica della donna gravida in seguito ad un’importante emorragia post-partum: l’ipotensione che ne deriva, infatti, riduce l’apporto ematico all’ipofisi (che durante la gravidanza ha triplicato il suo volume e dunque anche la sua esigenza di flusso ematico), esitando in un infarto ischemico (2). L’ipopituitarismo, inoltre, può anche essere l’esito di un ictus o di un’emorragia subaracnoidea (tipicamente nell’anziano) (1). Infine, aneurismi che originano dall’arteria cerebrale comunicante anteriore possono espandersi e determinare lesioni a carico dell’ipofisi e dei nervi ottici (2).
- Patologie psicogene: in condizioni di grave disagio affettivo, violenza fisica o deprivazione di stimoli psico-sociali, può instaurarsi un deficit funzionale di GH che determina un rallentamento della crescita, potenzialmente reversibile se l’ambiente di vita viene modificato favorevolmente (2). Invece, in donne con disturbi del comportamento alimentare, o sottoposte a importante stress fisico, si riscontrano spesso disordini del ciclo mestruale dovuti a un’alterazione della secrezione pulsatile di GnRH (2).
- Iperprolattinemia: determina un quadro di ipogonadismo centrale secondario all’aumento del tono oppioide endogeno e al conseguente blocco della secrezione pulsatile di GnRH e quindi di LH e FSH (2).
- Danni iatrogeni: la radioterapia a livello cranico è in grado di determinare un danno soprattutto ipotalamico, da cui consegue più comunemente una modesta iper-PRL, un deficit di GH e/o di gonadotropine; i deficit di ACTH e TSH si manifestano in genere più tardivamente, anche 10-15 anni dopo l’irradiazione (2). Anche le forme più moderne di radioterapia, come la radiochirurgia, introdotte per avere un bersaglio più mirato con risparmio dell’ipofisi sana, si accompagnano a ipopituitarismo, seppure con minor frequenza (4). L’ipopituitarismo per danno ipotalamico e ipofisario può comparire dopo pan-irradiazione encefalica, come nelle leucosi, o dopo irradiazione di tumori della testa-collo, ad es. tumori del rinofaringe. Tale complicanza spesso si manifesta già nei soggetti trattati in età pediatrica, ma può comparire anche tardivamente. L’ipopituitarismo iatrogeno può anche essere la conseguenza di un danno riportato durante un intervento di adenomectomia selettiva (3-10% degli interventi), che in genere è precoce e permanente (2). Infine, trattamenti prolungati con glucocorticoidi sono in grado di inibire l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, mentre l’assunzione di farmaci oppioidi, glucocorticoidi o la sospensione di steroidi anabolizzanti può determinare un quadro di ipogonadismo centrale. Neurofarmaci e psicofarmaci ad azione anti-dopaminergica, serotoninergica e anti-istaminergica possono provocare iperprolattinemia (2). Farmaci biologici (usati come terapia di patologie oncologiche o autoimmuni) possono provocare ipofisite e ipopituitarismo.
- Lesioni traumatiche: i traumi cranici possono determinare quadri di ipopituitarismo per effetto di lesioni a carico del peduncolo o della vascolarizzazione ipofisaria. Se il difetto secretivo si instaura acutamente, prevarrà un quadro clinico di iposurrenalismo acuto, mentre i deficit delle altre tropine tendono a manifestarsi più gradualmente. Nella maggior parte dei casi si verifica un deficit di gonadotropine, mentre il 5-10% dei pazienti mostra deficit isolati o combinati di ACTH, TSH e GH. È frequentemente associato il diabete insipido (2).
- Empty sella: è il reperto radiologico di una sella turcica allargata o deformata, parzialmente o completamente riempita da liquido cerebro-spinale, come conseguenza di un’erniazione dello spazio subaracnoideo sovra-sellare, che va a determinare stiramento e compressione dell’ipofisi (1).
- Patologie congenite: difetti nella formazione della tasca di Rathke possono risultare nell’agenesia o nella grave ipoplasia dell’adeno-ipofisi, condizione che normalmente è incompatibile con la vita, ma se il neonato riesce a sopravvivere, il quadro clinico è quello di un panipopituitarismo (2). Responsabili di questo quadro possono essere mutazioni a carico di geni coinvolti nell’embriogenesi ipofisaria e ipotalamica (HESX1, LHX3/4, PROP1, PUO1F1, SOX2, SOX4, OTX2, PTX2), nella differenziazione cellulare, nella trascrizione genica, oppure che codificano per mediatori ipotalamici, per ormoni ipofisari, per recettori o per effettori post-recettoriali (vedi anche capitolo dedicato a genetica ipopituitarismi). Il quadro clinico può essere un deficit isolato (ad esempio ipogonadismo con o senza anosmia) o un deficit multiplo (MPHD, multiple pituitary hormone deficiency, ad esempio deficit di GH-PRL-TSH) (5). È importante osservare che, sebbene ereditari, i quadri clinici possono rendersi talora evidenti tardivamente, ad esempio in età giovane adulta. La diagnosi eziologica di forma ereditaria consente lo screening dei familiari. Alcune di queste mutazioni sono responsabili di espressioni fenotipiche particolari, come il panipopituitarismo associato a displasia setto-ottica (HESX1) o rigidità cervicale (LHX3), malformazioni oculari (OTX2), microftalmia (SOX2) (5). La sindrome di Kallmann, invece, è una condizione di ipogonadismo ipogonadotropo associato a ipo/anosmia (2). Infine, l’assenza o un alterato sviluppo del diaframma sellare può consentire allo spazio subaracnoideo di estendersi all’interno della sella turcica, riempiendola di liquor cefalo-rachidiano e determinando così un appiattimento dell’ipofisi (sella vuota primaria) (2).
- Idiopatica. Esiste un sottogruppo di pazienti in cui la causa dell’ipopituitarismo rimane sconosciuta. Spesso si tratta di deficit isolati e si ipotizzano traumi misconosciuti, patogenesi immunologiche, alterazioni neuro-regolatorie transitorie (vedi Deficit GH nel bambino).
Accanto alla classificazione eziologica, può essere utile considerare altri criteri di classificazione:
- cronologico: accanto alle forme permanenti, si possono osservare forme di ipopituitarismo:
- transitorie o reversibili, come nei pazienti con adenoma ipofisario sottoposti ad asportazione dell'adenoma, oppure nei pazienti affetti da prolattinoma trattati con dopaminergici, in cui si può verificare, talvolta, non solo il ripristino della funzione gonadica ma anche la correzione di altri deficit;
- funzionali:
- pazienti in terapia con glucocorticoidi o L-tiroxina a dosi farmacologiche;
- durante malattie intercorrenti severe: funzione tiroidea e gonadica;
- disturbi dell'alimentazione;
- per gravità del singolo deficit, distinguendo:
- deficit conclamato;
- deficit "latente", che può essere evidenziato solo da test provocativi, ad esempio l’insufficienza surrenalica;
- per età di comparsa:
- forme pediatriche, talora evidenti già alla nascita (forme congenite);
- forme dell'adulto;
- forme dell'anziano.
Tale classificazione risulta particolarmente utile nell’approccio iniziale del paziente ipopituitarico, indirizzando verso eziologie specifiche. Nel soggetto anziano può risultare difficile distinguere tra quella che è la normale riduzione fisiologica della produzione ormonale che si manifesta con l'età (per esempio, per il testosterone) e il risultato patologico vero dipendente dalla condizione patologica.
Bibliografia
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Clinica, diagnostica e terapia dell'ipopituitarismo
Generalità di clinica, diagnostica e terapia dell'ipopituitarismo
Marco Bonomi, Giovanni Goggi
Dipartimento di Medicina Endocrino-Metabolica, Ospedale San Luca – IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Milano
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Università degli Studi di Milano - Milano
(aggiornato al 14 novembre 2019)
Epidemiologia
L’incidenza oscilla tra i 12 e i 42 nuovi casi per milione di abitanti all’anno, mentre la prevalenza è di circa 300-455 casi per milione di abitanti, senza significative differenze di genere. È probabile che tali valori siano sotto-stimati, dal momento che le manifestazioni cliniche di questa condizione sono spesso, e per lungo tempo, ambigue (1).
Manifestazioni cliniche
L’ipopituitarismo si accompagna ad aumento di morbilità e mortalità. La morbilità è evidenziata anche dal persistere di una ridotta qualità di vita nonostante le terapie ormonali sostitutive. Diversi studi retrospettivi hanno dimostrato un eccesso di mortalità, principalmente cardio-vascolare, le cui cause sono controverse: una non corretta terapia sostitutiva, in particolare mancata terapia sostitutiva del deficit di GH, inadeguata terapia sostitutiva dell’ipogonadismo, sovradosaggio della terapia sostitutiva dell’iposurrenalismo; altri fattori possono contribuire, in particolare l’utilizzo della radioterapia nei tumori ipofisari (2).
I segni e i sintomi di ipopituitarismo sono molto variabili: dipendono in primo luogo dal numero e dal tipo di deficit ormonali coinvolti, ma allo stesso tempo anche dall’età di comparsa, dalla causa e dalla velocità con cui l’ipopituitarismo si verifica (2). In genere, in presenza di un danno cronico (es. lesioni ipofisarie progressive) la compromissione secretoria segue la progressione GH -> FSH/LH -> TSH -> ACTH, il che dimostra una maggior sensibilità al danno da parte delle cellule somatotrope e gonadotrope, mentre le cellule tireotrope e corticotrope sono più resistenti (3); viceversa, in caso di un insulto acuto (es. apoplessia ipofisaria) prevale l’aspetto dell’insufficienza cortico-surrenalica acuta (3).
In generale, i difetti unitropici danno luogo a quadri clinici analoghi, ma più sfumati, a quelli conseguenti ai deficit delle rispettive ghiandole bersaglio (3). I pazienti panipopituitarici invece, parallelamente alla presenza di segni e sintomi riconducibili ai deficit ormonali ipofisari, si presentano con un quadro ben più complesso: sono pazienti generalmente sovrappeso, la cui cute è sottile, pallida, depigmentata e con fini rughe al volto, tale da conferire un aspetto vecchieggiante (3). I capelli sono sottili, le unghie fragili e si osserva una caduta dei peli pubici e ascellari (3). In entrambi i sessi sarà presente un quadro di ipogonadismo centrale che, se si instaura durante l’infanzia, non consentirà lo sviluppo puberale e darà luogo a un difetto di crescita (3). La forza muscolare è ridotta e i pazienti lamentano astenia e affaticabilità: tali manifestazioni sono l’effetto di anemia secondaria al deficit di ormoni tiroidei e androgeni, del venir meno degli effetti metabolici del GH e dell’ipotensione arteriosa conseguente all’iposurrenalismo (3). Vi è inoltre tendenza all’ipoglicemia a digiuno, dovuta al difetto di GH e glucocorticoidi. I pazienti panipopituitarici, infine, non presentano generalmente deficit cognitivi, ma mostrano spesso tendenza all’isolamento, abulia, insicurezza, depressione e facile permalosità (3).
Nel caso di una lesione occupante spazio, inoltre, i sintomi dell’ipopituitarismo potranno associarsi anche a quelli dati dall’effetto massa: cefalea, nausea e vomito (sintomi riconducibili a ipertensione endocranica) e difetti del campo visivo dovuti alla compressione del chiasma ottico da parte della massa, ovvero l’emianopsia bitemporale (che talvolta, però, può essere solo monolaterale) (4).
Diagnosi
La diagnosi deve essere presa in considerazione nei pazienti con un quadro clinico compatibile o con ipoglicemia e/o iposodiemia agli esami biochimici di routine, e deve essere confermata dagli appropriati specifici esami ormonali.
Indagini di laboratorio: innanzitutto vanno eseguiti esami ematochimici basali per tutti gli ormoni ipofisari e/o i loro bersagli:
- ACTH e cortisolo
- TSH e fT4
- IGF-I
- LH, FSH, testosterone totale/estradiolo
Non sono necessarie concentrazioni francamente basse degli ormoni ipofisari per porre diagnosi di ipopituitarismo, ma è sufficiente rilevare valori inappropriatamente normali a fronte di ormoni bersaglio significativamente ridotti (3).
In considerazione della variabilità legata all’ora del giorno e alla secrezione pulsatile di alcuni ormoni ipofisari, gli ormoni basali non sono sempre utili ai fini diagnostici: per tale ragione, possono essere effettuati test dinamici per confermare il difetto di alcuni specifici ormoni ipofisari: ad esempio l’ACTH test per cortisolo o il test di ipoglicemia insulinica per GH e cortisolo (4).
Indagini radiologiche: una volta stabilita la diagnosi biochimica di ipopituitarismo, la risonanza magnetica con Gadolinio è l’esame più utile per ricercarne la causa sottostante. Tale esame è in grado di visualizzare l’ipofisi e di rilevare la presenza di eventuali lesioni espansive, infiltrative o infiammatorie nel suo contesto (4).
Campo visivo: è importante valutarlo in presenza di una massa ipofisaria che rischia di comprimere il chiasma ottico (4).
Terapia
La terapia dell’ipopituitarismo deve affrontare due differenti aspetti:
- identificare e trattare la causa sottostante (ad esempio, una massa ipofisaria può essere rimossa chirurgicamente, ecc);
- avviare un’adeguata terapia ormonale sostitutiva per supplire agli ormoni ipofisari carenti (4).
Bibliografia
- Curtò L, Trimarchi F. Hypopituitarism in the elderly: a narrative review on clinical management of hypothalamic-pituary-gonadal, hypothalamic-pituitary-thyroid and hypothalamic-pituitary-adrenal axis dysfunction. J Endocrinol Invest 2016, 39: 1115-24.
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- Faglia G, Beck-Peccoz P, Spada S. Malattie del sistema endocrino e del metabolismo, 5° edizione. McGraw-Hill 2013.
- Gounden V, Jialal I. Hypopituitarism (panhypopituitarism). StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL). 2019.
Ipotiroidismo centrale
Marco Bonomi, Silvia Federici
Dipartimento di Medicina Endocrino-Metabolica, Ospedale San Luca – IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Milano
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Università degli Studi di Milano - Milano
(aggiornato al 14 novembre 2019)
Definizione, classificazione, eziofisiopatologia
Per ipotiroidismo centrale (ICe) si intende un difetto di produzione degli ormoni tiroidei dovuto a un’insufficiente stimolazione da parte del TSH di una ghiandola tiroidea altrimenti normale, come conseguenza di un’alterazione organica o funzionale dell’ipofisi e/o dell’ipotalamo.
È una condizione rara, che può interessare pazienti di ogni età, più frequentemente in forma sporadica, con una prevalenza stimata tra 1:16.000 e 1:100.000 casi (1,2) (circa 1 su 1000 dei pazienti ipotiroidei) (3). Questo dato è probabilmente sottostimato, in quanto la sola misurazione del TSH perde la sua accuratezza diagnostica in questa condizione, che risulta, così, spesso misconosciuta (1,3).
La patogenesi dell’ICe è eterogenea e in parte ancora indeterminata, ma possono essere individuati tre possibili meccanismi, spesso combinati tra loro (1,2,3):
- un difetto di stimolazione ipotalamica o un alterato feed-back agli ormoni tiroidei;
- una riduzione nella riserva di TSH (difetto quantitativo);
- una ridotta bioattività intrinseca del TSH prodotto (difetto qualitativo).
L’ICe può essere congenito o acquisito (di natura tumorale, traumatica, infiltrativa, infiammatoria). In entrambe le forme il difetto dell’asse tireotropo è nella maggior parte dei casi associato ad altri deficit ipofisari.
Le forme congenite (ereditarie o malformative) si manifestano generalmente nell’infanzia, ma in alcuni casi possono essere diagnosticate e/o esordire in età adulta. Il numero dei geni candidati per l’ICe è recentemente molto aumentato. Le loro mutazioni possono essere causa di forme isolate (TSHβ, TRH-R, TBL1X, IRS4) o combinate a deficit ipofisari multipli (i geni più frequentemente responsabili sono IGSF1, recentemente identificato, e PROP1), quindi potenzialmente associate a deficit di crescita, ritardo puberale, iposurrenalismo o difetti neurologici. Alcune forme genetiche si associano inoltre a caratteristiche cliniche peculiari, come il macrorchidismo per IGSF1 e i difetti uditivi per TBL1X (1,2,3). L’analisi genetica è raccomandata nei casi di ICe congeniti a esordio infantile o in qualsiasi età quando l’ICe rimane non spiegato. L’analisi genetica può essere eseguita con sequenziamento diretto in presenza di un fenotipo suggestivo oppure mediante pannello NGS (Next Generation Sequencing) dei geni candidati (2).
I tumori voluminosi della regione sellare e i loro trattamenti rappresentano la causa più frequente di ICe acquisito nell’adulto. Le cellule tireotrope, assieme alle cellule corticotrope, sono relativamente resistenti agli insulti rispetto alle altre cellule ipofisarie (somatotrope e gonadotrope), per cui l’ipotiroidismo in genere si associa o compare successivamente ai deficit di GH o di gonadotropine, mentre è infrequente che sia isolato.
Clinica
La sintomatologia clinica dell’ipotiroidismo centrale è sovrapponibile a quella dell’ipotiroidismo primitivo, anche se il quadro risulta generalmente più sfumato ed eventualmente accompagnato o mascherato da segni di altri deficit ipofisari (un deficit di GH o di ormoni sessuali può mascherare un ICe, mentre il loro trattamento lo slatentizza) o da sintomi collegati alla patologia di base (es. disturbi visivi nelle masse ipofisarie) (1,2,3).
Diagnosi
L’ipotiroidismo centrale deve essere sospettato in presenza di bassi valori sierici di FT4 associati a valori di TSH bassi o inappropriatamente normali. Va ricordato che i livelli di TSH nell’ICe possono essere normali o perfino leggermente aumentati (anche fino a 8-10 mU/L), in quanto il TSH prodotto in queste forme centrali risulta dotato di una ridotta bioattività per alterazioni nella glicosilazione (3). L’ICe deve, inoltre, essere indagato in tutti i casi di storia personale o familiare di disordini ipotalamo-ipofisari o con manifestazioni suggestive di una lesione sellare.
La diagnosi di ICe (vedi flow chart) si pone se, in almeno 2 determinazioni, si conferma la contemporanea presenza di bassi valori di FT4 (con intervallo di riferimento specifico per età) associati a valori bassi/inappropriatamente normali di TSH (1,2,3,4), dopo aver escluso tutte le condizioni potenzialmente confondenti, prima tra tutte una possibile interferenza nella misurazione ormonale (l’interferenza nel dosaggio del TSH può essere indagata per mezzo dei test di diluizione e recupero della immuno-reattività, mentre l’utilizzo di metodi di dosaggio diretti “two steps” consente una misura di FT4 e FT3 generalmente accurata)(1). Occorre, quindi, fare una diagnosi differenziale con le condizioni che possono presentare lo stesso quadro biochimico: forme severe di non-thyroidal illness, assunzione di farmaci o droghe inibenti il TSH (es. glucocorticoidi, cocaina), fase di recupero post-tireotossicosi o sindrome da sospensione della levo-tiroxina, ipotiroxinemia isolata della gravida, nascita pretermine o altre condizioni genetiche (1,2).
Rimane ancora controversa la diagnosi dell’ICe lieve, con FT4 nel range basso di norma. In questi casi la diagnosi può essere supportata da esami o dati aggiuntivi, come la presenza di familiarità, di manifestazioni cliniche associate all’ICe o di mutazioni in geni candidati, la presenza di altri deficit ipofisari, una risposta ridotta (TSH stimolato < 4 mU/L) o ritardata (picco dopo 60’) al test con TRH, l’alterazione di parametri indiretti di disfunzione tiroidea, la progressiva riduzione dell’FT4 (> 20% del valore iniziale) in un paziente in follow-up biochimico. In casi selezionati con sospetta forma di ICe lieve (FT4 borderline), è possibile tentare un trial terapeutico con levo-tiroxina per 3 mesi, che può essere proseguito in caso di miglioramento delle manifestazioni riconducibili a ipotiroidismo (1,2).
La diagnosi di ipotiroidismo centrale rende necessaria l'esecuzione di RM ipotalamo-ipofisaria e di uno studio ormonale completo per escludere una patologia ipotalamo-ipofisaria.
Figura 1. Flow-chart diagnostica in caso di ipotiroidismo centrale (modificata da 1)
Terapia
Prima di iniziare il trattamento deve sempre essere escluso o trattato un eventuale iposurrenalismo centrale concomitante, onde evitare di scatenare una crisi surrenalica. Il trattamento dell’ipotiroidismo centrale è basato sulla somministrazione di levo-tiroxina. Analogamente all’ipotiroidismo primitivo, per impostare la dose iniziale si devono considerare la durata e la severità dell’ipotiroidismo, l’età del paziente e la presenza di malattie concomitanti, in particolare cardiache (2,4):
- < 60 anni: 1.21–1.6 μg/kg/die;
- > 60 anni o con comorbilità cardio-vascolari: 1.0–1.2 μg/kg/die, aumentando il dosaggio gradualmente;
- > 75 anni: non è indispensabile trattare le forme lievi;
- infanzia e adolescenza: sono richieste dosi maggiori in rapporto al peso.
La dose sostitutiva finale è quindi sovrapponibile a quella utilizzata nell’ipotiroidismo primitivo, sebbene nella pratica clinica le dosi utilizzate siano spesso inferiori.
Nel monitoraggio della terapia sostitutiva dell’ICe il TSH è di scarsa rilevanza rispetto a quanto avviene nelle forme di ipotiroidismo primario in terapia (in particolare con il metodo reflex, che deve essere sempre evitato in questa condizione). In questi casi, il monitoraggio si basa sul quadro clinico e sulle concentrazioni di FT4, che devono mantenersi nella parte alta del range di riferimento. L’adeguatezza della terapia sostitutiva va verificata dopo 6–8 settimane dall’inizio, assicurandosi che il prelievo avvenga prima dell’assunzione mattutina o almeno 4 ore dopo la stessa. L’esecuzione di FT3 è utile solo per escludere il sospetto di eccesso nella terapia sostitutiva. Concentrazioni sieriche soppresse di TSH sono indicative di un’adeguata sostituzione in pazienti affetti da ICe che avevano valori di TSH pre-trattamento al di sopra del limite inferiore di riferimento, mentre un TSH > 1 mU/L suggerisce un’insufficienza della terapia sostitutiva. La determinazione del TSH è invece inutile nei pazienti che presentavano un TSH basso già prima della terapia (1,2).
Nei pazienti adulti, una volta ottenuta un’adeguata sostituzione ormonale, è raccomandato eseguire monitoraggio annuale della FT4. In caso di modifica terapeutica, è indicato rivalutare 4–6 settimane dopo la correzione. Il follow-up dei pazienti pediatrici dovrebbe essere fatto in maniera analoga ai pazienti con ipotiroidismo primario (1,2).
Bisogna infine considerare un aumento del dosaggio di levo-tiroxina in tutte le condizioni associate ad aumentato fabbisogno di ormone tiroideo (1,2):
- gravidanza;
- aumento di peso;
- sviluppo puberale;
- introduzione di terapie in grado di influire sull’assorbimento di levo-tiroxina o sul metabolismo degli ormoni tiroidei;
- introduzione di terapia sostitutiva estrogenica/contraccettivi orali;
- introduzione di terapia sostitutiva con GH (il GH promuove la conversione di T4 in T3. Il trattamento con GH del deficit di GH riduce talvolta la secrezione di TSH per incremento della secrezione somatostatinergica. Pertanto, nelle malattie ipotalamo-ipofisarie l’inizio della terapia sostitutiva con rhGH può smascherare un ipotiroidismo latente, con riduzione di TSH e soprattutto di FT4, oppure richiedere un incremento della dose nei pazienti che sono già in terapia sostitutiva con L-tiroxina) (3);
- stimolazione ovarica controllata.
Durante la gravidanza è necessario un incremento del 25-50% della dose iniziale, al fine di mantenere i livelli di fT4 nel quartile superiore del range di riferimento specifico per trimestre (2).
Una riduzione del dosaggio di L-T4 è invece indicata (1,2):
- nei pazienti anziani, soprattutto qualora siano presenti comorbilità cardio-vascolari;
- dopo il parto;
- alla menopausa;
- dopo perdita di peso;
- qualora i co-trattamenti elencati precedentemente siano interrotti.
Bibliografia
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Iposurrenalismo centrale
Marco Bonomi, Luca Giovanelli
Dipartimento di Medicina Endocrino-Metabolica, Ospedale San Luca – IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Milano
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Università degli Studi di Milano - Milano
(aggiornato al 14 novembre 2019)
Definizione, classificazione, eziofisiopatologia
Per iposurrenalismo centrale si intende un deficit della funzione corticosurrenalica secondario al deficit di ACTH.
L’ACTH viene secreto dall’adeno-ipofisi sotto lo stimolo di CRH e AVP, prodotti dall’ipotalamo, e va ad agire sul cortico-surrene, mantenendone il trofismo e stimolandone il rilascio di cortisolo e androgeni surrenalici. Pertanto, il blocco della secrezione di ACTH ha due conseguenze sul surrene:
- deficit di secrezione di glucocorticoidi (GC) e androgeni surrenalici (con conservata secrezione di mineralcorticoidi);
- ipotrofia del cortico-surrene, che si sviluppa gradualmente nel giro di alcune settimane.
L’iposurrenalismo centrale si distingue in secondario e terziario, a seconda che il deficit sia rispettivamente di origine ipofisaria o ipotalamica. Un’altra classificazione definisce secondario l’iposurrenalismo causato da una patologia ipotalamo-ipofisaria, terziario quello indotto da un eccesso di glucocorticoidi esogeni o endogeni (1,2).
La prevalenza dell’iposurrenalismo centrale, escludendo quello provocato dall’assunzione di cortico-steroidi, è stimata intorno a 150-280 per milione di abitanti.
La forma più frequente di iposurrenalismo centrale è di tipo funzionale, dovuta alla protratta inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene legata ad eccesso di glucocorticoidi, sia esogeni (terapie farmacologiche) che endogeni (s. di Cushing). In questo tipo di iposurrenalismo l’effetto più prolungato dei glucocorticoidi si verifica a livello ipotalamico. Resta tutt’oggi difficile predire l’insorgenza di iposurrenalismo iatrogeno sulla base di tipo di steroide utilizzato, dosaggio, via di somministrazione e durata del trattamento; il recupero della funzionalità dell’asse HPA può avvenire dopo settimane o mesi dalla sospensione o non avvenire mai (3,4).
A parte queste condizioni, il deficit di ACTH è raramente isolato, in quanto le cellule corticotrope sono le più resistenti agli insulti dannosi, mentre più spesso rientra in un quadro di deficit ipofisari multipli o di panipopituitarismo (fino a 1/3 dei pazienti ipopituitarici possono presentare insufficiente produzione di ACTH). Possibili cause sono rappresentate da tumori della regione ipotalamo-ipofisaria, in particolare craniofaringiomi (con una prevalenza di iposurrenalismo fino al 90% dopo intervento chirurgico) e adenomi ipofisari clinicamente non funzionanti (prevalenza pre-operatoria 50%, post-operatoria 75%), radioterapia per tumori cerebrali, traumi cranici e ipofisite linfocitaria. Esistono anche forme genetiche, in cui il deficit di ACTH può essere isolato (mutazioni a carico di POMC) o associato ad altri deficit ipofisari (1,2).
Clinica
È essenziale distinguere una forma di iposurrenalismo centrale che si sviluppa gradualmente, come ad esempio in corso di neoplasie ipotalamo-ipofisarie o per effetto di radioterapia della regione sellare, dall’iposurrenalismo acuto (crisi surrenalica), che si può osservare in corso di apoplessia o dopo sospensione brusca di glucocorticoidi esogeni o asportazione di adenomi ACTH-secernenti.
Il deficit di ACTH si può presentare nel neonato con ipoglicemia e crisi comiziali e nell’infanzia con ritardo di crescita. Nell’adulto, si può sospettare di fronte a ipotensione e iposodiemia euvolemica inspiegabili; si possono inoltre sovrapporre i sintomi legati ai concomitanti deficit di altre tropine ipofisarie. Tuttavia, il quadro clinico risulta spesso sfumato (astenia e ridotta performance fisica) e può precipitare in caso di stress intercorrenti. A differenza del morbo di Addison, manca l'iperpigmentazione cutanea e la funzione mineralcorticoide è preservata (quindi non c’è iperkaliemia) (2).
Diagnosi
Il sospetto di iposurrenalismo centrale si pone per sintomi o dati di laboratorio suggestivi (ipotensione cronica o acuta, iponatremia, ipoglicemia, ecc), oppure in corso di indagini per una lesione ipotalamo-ipofisaria nota.
Nel caso di esordio acuto, va prelevato un campione di sangue per il dosaggio della cortisolemia e, in attesa dei risultati, va immediatamente iniziata la terapia sostitutiva con idrocortisone (HC) ev. Negli altri casi vi è maggior tempo per il processo diagnostico.
L’iter diagnostico prevede in prima istanza la misurazione della cortisolemia basale fra le ore 8 e 9 del mattino: nei pazienti non in fase acuta (diversa è infatti l’interpretazione della cortisolemia in condizioni acute), tenendo conto di eventuali fattori interferenti (quali lo stress da prelievo e la concomitante assunzione di estrogeni orali), valori < 3 µg/dL sono diagnostici di insufficienza surrenalica, mentre valori > 15-18 µg/dL permettono di escluderla. Per valori compresi fra 3 e 15 µg/dL è indicata una successiva valutazione dinamica della riserva corticotropa (un picco di cortisolo stimolato < 18.1 µg/dL è suggestivo per iposurrenalismo). Tale zona grigia è piuttosto ampia e quindi molti soggetti con patologia ipotalamo-ipofisaria dovrebbero essere ulteriormente indagati in accordo alla letteratura. In realtà bisogna considerare anche il contesto clinico: per esempio, nei pazienti con valori di cortisolemia ai livelli alti della cosiddetta zona grigia e preservazione delle altre funzioni ipofisarie, è altamente improbabile un deficit corticotropo. Al contrario, pazienti con deficit di altre funzioni ipofisarie oppure con evoluzione progressiva del danno ipofisario (es. per effetto di radioterapia pregressa) necessitano sicuramente di test di valutazione della funzione surrenalica qualora la cortisolemia risulti in questa zona grigia. Diversa ancora risulta l’interpretazione della cortisolemia in condizioni acute, esempio malattie intercorrenti. In tali casi è importante non dilazionare la terapia sostitutiva in attesa dei test di conferma, che possono essere eseguiti una volta risolto il problema acuto.
Il dosaggio dell’ACTH plasmatico dovrebbe poi permettere la differenziazione fra forma primitiva e centrale: in realtà, sebbene elevati valori di ACTH siano diagnostici di morbo di Addison, il rilievo di livelli bassi o inappropriatamente normali potrebbe non essere altrettanto dirimente nella diagnosi di iposurrenalismo secondario (1).
Poiché i GC sopprimono l’asse HPA e provocano interferenze nel dosaggio del cortisolo, il test di stimolo andrebbe eseguito a distanza di almeno 18-24 ore (o più nel caso di GC di sintesi) dall’ultima dose di HC (5). Il test più frequentemente utilizzato è l’ACTH test. Il razionale fisiopatologico di questo test nell'insufficienza surrenalica secondaria è basato sull'atrofia del cortico-surrene, che si verifica dopo alcune settimane dall’insulto acuto ipofisario condizionante la cessazione della secrezione di ACTH, di conseguenza dovrebbe essere effettuato dopo almeno 4-6 settimane da tale evento (6). Si è molto discusso riguardo la dose di ACTH sintetico (Synacthen) da utilizzare: la dose classica di 250 μg (disponibile in commercio) determina concentrazioni sovra-fisiologiche di ACTH (60.000 pg/mL, che in soggetti normali non si raggiungono neppure in condizioni di stress), che, superando l’atrofia surrenalica, potrebbero dare falsi negativi; pertanto ha assunto maggior importanza lo stimolo con ACTH a dosi inferiori (1 μg). Anche con tale dose le concentrazioni di ACTH diventano particolarmente elevate (1000 pg/mL) e inoltre falsi positivi e falsi negativi possono derivare dalla scorretta preparazione della soluzione da iniettare. In realtà, sia il test ad alte dosi che quello a basse dosi hanno dimostrato moderata accuratezza, primariamente dovuta alla bassa sensibilità, che risulta sovrapponibile fra i due dosaggi (7). In linea generale si può affermare che il test a basse dosi probabilmente ha una maggior sensibilità ed è quindi da preferire nei centri con personale infermieristico addestrato, mentre negli altri centri è forse preferibile continuare a utilizzare il test standard, in cui la somministrazione di ACTH può essere effettuata anche per via intramuscolare.
L’altro test utilizzabile, tradizionalmente considerato come gold standard, è l’ipoglicemia insulinica (ITT): nonostante questo test permetta di indagare anche la secrezione di GH e possa essere effettuato anche subito dopo l’insorgenza dell’iposurrenalismo, è attualmente meno impiegato per via delle controindicazioni (ad esempio patologia ischemica cardio-cerebrovascolare ed epilessia) e della necessità di stretta supervisione medica continua (6). Nella pratica clinica attuale il test viene riservato a quei casi dubbi di risposta all’ACTH test, sebbene anche in questi casi la ripetizione del test all’ACTH a distanza di tempo possa chiarire la presenza di iposurrenalismo centrale.
Questi test dinamici presentano limitazioni legate principalmente alla difficoltà di definire valori cut-off di risposta, a causa dei diversi metodi di dosaggio della cortisolemia e dei fattori interferenti sui livelli di cortisolo. Per queste ragioni, ai fini di una corretta diagnosi è essenziale considerare anche la probabilità pre-test di malattia, basata sulla valutazione del quadro clinico e biochimico basale.
Terapia
La terapia dell’iposurrenalismo centrale consiste nella sostituzione del deficit di glucocorticoidi. In ragione della limitata disponibilità di dati di efficacia e sicurezza, peraltro discordanti, la terapia sostitutiva androgenica con DHEA nelle donne non è al momento indicata nella routine clinica (8). Non vi è inoltre indicazione a trattamento con fludrocortisone (1).
Per quanto riguarda la terapia di mantenimento, è raccomandato l’uso di idrocortisone (HC) o in alternativa cortisone acetato, alla dose rispettivamente di 15-20 mg/die e 18.75 - 25 mg/die, in somministrazione orale unica o frazionata. In quest’ultimo caso si possono utilizzare:
- due somministrazioni, con 2/3 della dose somministrata al risveglio ed il rimanente 1/3 nel primo pomeriggio;
- tre somministrazioni con ½ dose al risveglio, ¼ della dose a pranzo ed il rimanente ¼ nel tardo pomeriggio.
I GC a maggior durata d’azione vanno riservati a casi selezionati (1).
Le principali criticità sono rappresentate dalla mancanza di marcatori affidabili per un’ottimale titolazione della terapia e dalla difficoltà di riprodurre il fisiologico pattern di secrezione nictemerale del cortisolo, con conseguenti problemi di sovra- e sotto-dosaggio. Solitamente si inizia con un dosaggio elevato per evitare il rischio di crisi acute e successivamente si apportano aggiustamenti sulla base della risposta clinica e delle comorbilità del paziente; la dose minima sufficiente a garantire un’adeguata sostituzione della funzione surrenalica risulta associata a migliore qualità di vita e riduzione del rischio di osteoporosi e patologie metaboliche e cardio-vascolari legato al sovra-dosaggio (1). Nessuno schema è in grado al momento di simulare fedelmente il ritmo circadiano del cortisolo, nemmeno l’idrocortisone a rilascio modificato, la cui efficacia nell’iposurrenalismo centrale è ancora da dimostrare; il regime migliore, in grado di ridurre il rischio di un’eccessiva esposizione a GC, sembra essere quello in triplice somministrazione (9).
Analogamente all’iposurrenalismo primario, fondamentale è la terapia di supporto in corso di eventi stressanti (come interventi chirurgici e infezioni, specialmente gastro-intestinali) o di situazioni di mancato assorbimento (vomito, diarrea). In questi casi l’aumentato fabbisogno di cortisolo richiede un potenziamento del dosaggio secondo schemi definiti. La crisi surrenalica va trattata con immediata somministrazione parenterale di 50-100 mg di HC associata a reidratazione. La chiave per prevenire le crisi è l’educazione del paziente, che deve essere istruito dettagliatamente sulla sua condizione, in particolare deve conoscere i possibili stress intercorrenti e le manifestazioni di una crisi imminente e deve essere in grado di gestire la terapia orale e parenterale; deve inoltre portare sempre con sé carta e kit di emergenza (fornito di idrocortisone in fiale), che garantiscano l’identificazione del soggetto e un intervento tempestivo e adeguato in caso di necessità (ad esempio un incidente stradale o una sincope) (10).
Le forme di iposurrenalismo centrale secondarie al trattamento chirurgico dell’ipercortisolismo e all’eccesso di GC esogeni continuano a costituire una grossa sfida sul piano terapeutico: nel primo caso, si tende, seguendo un approccio empirico, ad utilizzare dosi più elevate nelle prime settimane dopo l’intervento, con progressivo decalage sulla base del quadro clinico; nel secondo caso, è pratica comune ridurre gradualmente le dosi di GC (tanto più lentamente quanto maggiore è la durata di terapia) e associare HC una volta raggiunti i 5 mg di prednisone (o equivalenti), rivalutando successivamente la funzionalità dell’asse HPA (4).
Monitoraggio
Il monitoraggio della terapia si basa sulla valutazione di cenestesi, peso, pressione arteriosa, elettroliti, profilo glicemico, emocromo, funzione epatica e renale. La curva giornaliera della cortisolemia ha scarso valore nella pratica clinica, ma può essere utile nei casi di sospetto malassorbimento o aumentata clearance steroidea (11). La misurazione del cortisolo libero urinario, per via dell’ampia variabilità, è di scarsa utilità (12). Inoltre, nei pazienti con deficit ipofisari multipli, bisogna prestare attenzione alle possibili interazioni fra i GC e le altre terapie sostitutive: infatti, GH e tiroxina aumentano la clearance del cortisolo e gli estrogeni orali determinano un incremento dei livelli di CBG. Altri fattori da tenere in considerazione sono la concomitante assunzione di farmaci interferenti con il metabolismo epatico ed eventuali polimorfismi del recettore per i glucocorticoidi.
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Ipogonadismo ipogonadotropo
Marco Bonomi, Giovanni Goggi, Biagio Cangiano
Dipartimento di Medicina Endocrino-Metabolica, Ospedale San Luca – IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Milano
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Università degli Studi di Milano - Milano
(aggiornato al 14 novembre 2019)
DEFINIZIONE
L’ipogonadismo centrale o ipogonadotropo (hypogonadotropic hypogonadism, HH) è una condizione caratterizzata da specifici segni e sintomi clinici dovuti a ridotta produzione gonadica di steroidi sessuali (testosterone nel maschio ed estrogeni nella femmina) secondaria a un difetto di stimolazione gonadica da parte di ipotalamo e/o ipofisi (1).
EZIOLOGIA
Distinguiamo due principali forme di HH, correlate a forme organiche, congenite o acquisite, e forme funzionali (1) (tabella 1). Mentre la maggior parte delle forme acquisite, indipendentemente dalla loro eziologia, è responsabile di difetti secretivi ipofisari multipli o MPHD (vedi anche ipopituitarismo acquisito), le forme congenite di HH (Congenital Hypogonadotropic Hypogonadism, CHH), sono prevalentemente caratterizzate da difetti isolati (1-3), con l’eccezione delle forme di MPHD congenite e delle forme associate a iposurrenalismo congenito (vedi oltre).
Tabella 1 Cause di ipogonadismo ipogonadotropo |
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Organiche | Congenite | HH (CHH normosmico, s. di Kallmann) S. di CHARGE CHH con iposurrenalismo centrale congenito MPHD congenito Altre forme sindromiche (es. s. di Prader-Willi, s. di Bardet-Biedl, s. di Noonan) |
Acquisite | Neoplasie (es. adenomi ipofisari, craniofaringiomi, ecc) Altre malattie endocrine (es. iperPRL, ipotiroidismo, ecc) Malattie metaboliche (es. emocromatosi) Traumi cranici o eventi ischemici/emorragici Malattie infiammatorie/immunitarie (es. istiocitosi, ipofisiti, ecc) Malattie granulomatose (es. sarcoidosi) Iatrogene (es. pregressa neurochirurgia e/o radioterapia della regione ipotalamo-ipofisaria) |
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Funzionali | Malattie croniche (es. insufficienza renale, asma, …) Malnutrizione (es. disturbi del comportamento alimentare) Obesità (es. Late Onset Hypogonadism maschile) Eccessiva attività fisica Stress Terapie interferenti |
Forme organiche congenite
L’ipogonadismo ipogonadotropo congenito (CHH) è una malattia rara ed eterogenea, caratterizzata da un difetto di secrezione e/o d’azione del GnRH, che risulta 3-5 volte più frequente nei maschi (1-5). Il paziente con CHH può avere olfatto normale (CHH normosmico, nCHH) o difetti olfattivi (ipo o anosmia) che caratterizzano la sindrome di Kallmann (KS). La possibile associazione del difetto di secrezione di GnRH con il difetto olfattivo è da ricondurre alla comune origine embrionaria dei neuroni GnRH-secernenti e dei neuroni olfattivi e alla possibile implicazione di geni importanti per lo sviluppo e/o la migrazione di queste due popolazioni neuronali. Infatti, benchè la sua patogenesi non sia ancora completamente nota, è dimostrata una forte componente genetica (1,2,5-7). In passato si pensava fosse una malattia monogenica, ma è ormai noto il coinvolgimento di uno o più alleli di uno o più geni diversi (5-9). I geni implicati sono quelli responsabili dello sviluppo e/o della migrazione e/o attivazione dei neuroni GnRH-secernenti, piuttosto che il gene che codifica per il GnRH stesso o per il suo recettore (5-7). La trasmissione può essere X-linked oppure autosomica dominante o recessiva.
La sindrome CHARGE è una sindrome genetica complessa e rara, caratterizzata, oltre che da CHH e anosmia, da crescita e pubertà ritardata, associata a malformazioni oculari (coloboma), cardiopatie, atresia delle coane, anomalie renali e/o sordità. Questa condizione è dovuta a varianti alleliche del gene CHD7 (5-7). Più recentemente, sono state identificate varianti alleliche del gene CHD7 anche in pazienti che presentano solo CHH in assenza delle altre caratteristiche sopra-elencate della sindrome CHARGE (5,7).
L’iposurrenalismo centrale congenito è un’altra forma molto rara e particolare di CHH X-linked, in cui c’è un difetto combinato della secrezione gonadica e surrenalica di origine centrale, dovuta a mutazioni a carico del gene NR0B1 (prima noto come DAX1). L’associazione di CHH a difetti della secrezione surrenalica può anche essere legata a varianti alleliche dei geni POMC e NR5A1 (prima noto come SF-1) (5,8).
Altre sindromi possono presentarsi con CHH in presenza di altre caratteristiche, come la s. di Prader-Willi, la s. di Bardet-Biedl, la s. di Noonan.
Forme funzionali
In questi casi fattori esterni (tabella 1) interferiscono con la regolare attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi nel suo compartimento centrale. Appartiene a questa categoria, il cosiddetto Late Onset Hypogonadism (LOH) maschile, forma di HH che si instaura progressivamente nel tempo con ridotta funzione dei neuroni GnRH. Ha una prevalenza stimata del 2.1% della popolazione generale e solitamente non è associato ad altri difetti ipofisari ma spesso a sindrome metabolica (10,11). Si ipotizza che i meccanismi all’origine di questa disfunzione ipotalamica siano diversi:
- aumento dell’attività aromatasica nel tessuto adiposo dei soggetti obesi, che convertirebbe androstenedione e testosterone rispettivamente in estrone ed estradiolo, con potente effetto di feed-back negativo a livello ipotalamo-ipofisario (12);
- infiammazione sistemica (nel contesto di sindrome metabolica, diabete e obesità) che danneggia l’ipotalamo con minor produzione di GnRH (13);
- desensibilizzazione dei neuroni GnRH con minor produzione ipotalamica di GnRH, indotta dagli alti livelli di insulina e di leptina tipici dei pazienti obesi, con sindrome metabolica (14).
È d’altra parte possibile che alcuni di questi casi siano forme di CHH a insorgenza in età adulta, come dimostrato dalla presenza anche in questa classe di pazienti di varianti tipiche delle forme a insorgenza pre-puberale (15).
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Segni e sintomi dell’ipogonadismo variano a seconda dell’epoca di esordio.
Maschi
- Se l’ipogonadismo si instaura durante la vita fetale, i neonati possono presentare micro-pene, ipospadia e/o criptorchidismo (tipicamente bilaterale). Non troveremo mai, tuttavia, un sex-reversal: infatti, la produzione testicolare di testosterone inizia attorno all’8° settimana di gestazione per stimolo iniziale da parte della β-hCG placentare (è dunque gonadotropino-indipendente). Viceversa, la piena maturazione dell’asse GnRH-Gn-testicolo, e dunque la sua influenza sulla produzione di testosterone, si avrà solamente a partire dal II trimestre: HH non influirà, quindi, sulla determinazione del sesso fenotipico (che sarà maschile), ma solo sulla sua completa maturazione, con difetti di virilizzazione (2).
- L’ipogonadismo in età pre-pubere determina un ritardo dello sviluppo puberale: i pazienti avranno ridotto volume testicolare (< 4 mL), assenza di caratteri sessuali secondari (ridotto sviluppo pilifero, voce acuta, pene e prostata di piccole dimensioni) e potrà anche essere presente ginecomastia. Inoltre, questi soggetti tendono ad avere proporzioni eunucoidi (apertura delle braccia ≥ 5 cm rispetto all’altezza), frutto della ritardata chiusura delle epifisi delle ossa lunghe. Non andando incontro allo spurt puberale, saranno tipicamente più bassi dei loro coetanei con normale sviluppo puberale, tuttavia l’altezza finale risulta raramente compromessa. Dal punto di vista della composizione corporea, hanno ridotta massa muscolare e habitus corporeo femminile, con distribuzione del grasso più tipicamente ginoide e alterazione della maturazione ossea. Infine, sono presenti anche ridotta libido e disfunzione erettile (2).
- Negli adulti i sintomi più specifici dell’ipogonadismo sono riconducibili alla sfera sessuale: calo della libido, riduzione delle erezioni spontanee mattutine e disfunzione erettile. Il pene è di dimensioni normali, mentre i testicoli possono essere lievemente ridotti, così come anche la prostata. L’habitus è normale, tuttavia vi può essere riduzione del tono muscolare e della crescita pilifera (es. barba). Vanno ricercate inoltre la presenza di osteoporosi e di possibili alterazioni metaboliche associate, in particolare diabete, dislipidemie e obesità. Infine, questi pazienti possono riferire disturbi dell’umore, astenia, facile affaticabilità e anemia (dovuta a ridotta produzione renale di eritropoietina). Ovviamente, saranno infertili, venendo a mancare lo stimolo di FSH sulle cellule di Sertoli e la produzione di testosterone intra-testicolare indotta da LH (entrambi elementi fondamentali per una normale spermatogenesi) (1-3).
Femmine
- Un HH che si instaura già durante la vita intra-uterina non darà luogo a fenotipo patologico alla nascita: i genitali saranno quelli di una normale neonata. Infatti, la differenziazione in senso femminile dei genitali interni ed esterni avviene per assenza del gene SRY, indipendentemente dal funzionamento dell’asse GnRH-Gn-ovaio (2).
- Come nei maschi, anche nelle femmine in età pre-pubere l’ipogonadismo darà luogo a pubertà ritardata, con assenza di telarca e inevitabilmente amenorrea primaria. Il pubarca invece mostra maggior variabilità clinica, essendo influenzato sia dal grado di ipogonadismo, sia dal contributo degli androgeni surrenalici. Come per i maschi, anche nelle femmine la statura finale è simile a quella della popolazione generale (2).
- Nelle donne adulte, la manifestazione cardine è sicuramente l’amenorrea secondaria, che si potrà accompagnare a calo della libido, infertilità, osteoporosi e alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico (2).
- In età post-menopausale la diagnosi è difficile e si pone solo a posteriori di fronte a livelli di FSH inappropriatamente basso e a RM encefalo con evidenza di lesione espansiva ipotalamo-ipofisaria.
Nelle forme congenite di HH sia maschile che femminile, inoltre, è possibile riscontrare anomalie somatiche, sensoriali o comportamentali particolari e specifiche: ad esempio, possono essere presenti anomalie neurologiche (in primis difetti dell’olfatto sotto forma di ipo/anosmia, ma anche nistagmo, sincinesie bimanuali, daltonismo o ipoacusia) o della linea mediana, quali labio-palatoschisi, agenesie/disgenesie dentali, agenesia renale unilaterale, sindattilie/polidattilie (1-3).
DIAGNOSTICA
Biochimica
Di fronte ad un quadro clinico suggestivo per ipogonadismo, dopo un’adeguata e quanto più completa raccolta anamnestica e un accurato esame obiettivo (ponendo particolare attenzione anche alla valutazione dei fenotipi associati all’HH congenito), la conferma diagnostica di HH avviene tramite specifici esami ematici.
Maschio. Il test iniziale per porre diagnosi di ipogonadismo è la determinazione del testosterone totale (TT). I livelli sierici di testosterone subiscono variazioni significative correlate ai ritmi circadiani e circannuali, alla secrezione episodica e alla variabilità nei dosaggi. Le concentrazioni dell’ormone possono essere influenzate da patologie concomitanti e da alcuni farmaci (es. glucocorticoidi), oltre che dalle alterazioni della concentrazione di SHBG. Nell’adulto il ritmo circadiano del testosterone è caratterizzato da un picco secretorio al mattino, che tende a ridursi con l’età (16). Si raccomanda pertanto di eseguire il dosaggio del TT nelle prime ore del mattino e a digiuno (16): se basso, è necessario confermare il dosaggio eseguendo una nuova determinazione. Il prelievo non deve essere eseguito in presenza di una patologia acuta o subacuta.
- Livelli di TT > 12 nmol/L (3.4 ng/mL): la diagnosi di ipogonadismo è esclusa, in assenza di alterazioni delle proteine di trasporto e di sintomi specifici.
- Livelli di TT < 8 nmol/L (2.3 ng/mL): altamente suggestivi di ipogonadismo.
- Livelli di TT compresi tra 8 e 12 nmol/L: sono considerati borderline e delineano un’area grigia di fronte alla quale è opportuno, soprattutto in presenza di sintomi specifici, procedere alla determinazione del testosterone libero calcolato (17).
Il TT sierico rappresenta la somma dell’ormone legato alle proteine (albumina e SHBG) e non legato o libero (pari allo 0.5-3%). Il termine di testosterone biologicamente attivo (biodisponibile) si riferisce alla somma della quota di testosterone legato all’albumina e di quello libero. In presenza di livelli di TT borderline (o se si sospettano alterati livelli della SHBG, come ad esempio in pazienti di età avanzata o affetti da obesità, diabete mellito, patologie croniche o tiroidee), bisognerebbe misurare le concentrazioni di testosterone libero e biologicamente attivo; il gold standard per queste determinazioni è rappresentato dalla dialisi all’equilibrio, metodo non facilmente applicabile, con costi elevati e operatore-dipendente. In alternativa, i valori calcolati con apposite formule (ad esempio la formula di Vermeulen) risultano ben correlati al gold standard (10,11,17). Il valore di testosterone libero calcolato risulta patologico e dunque compatibile con ipogonadismo se < 225 pmol.
Nell’ipogonadismo congenito maschile l’inibina B (prodotta dalle cellule di Sertoli sotto il controllo dell’FSH) è tipicamente ridotta, a indicare una scarsa popolazione di cellule di Sertoli: tale reperto è spiegato dall’assenza di stimolazione dei tubuli seminiferi, ad opera dell’FSH, durante la vita fetale e la mini-pubertà. Viceversa, i pazienti affetti da ipogonadismo acquisito, a causa di un asse GnRH-Gn-testicolo attivo durante la mini-pubertà, tendono ad avere valori di inibina B più alti. I livelli di inibina B sono correlati al volume testicolare e bassi livelli sono un fattore predittivo negativo per la fertilità (1,2).
Femmina. Nella femmina, la diagnosi di ipogonadismo è avvalorata dal riscontro di livelli bassi o indosabili di estrogeni (E2).
Per quanto riguarda il pannello degli androgeni, donne affette da HH tenderanno ad avere bassi livelli di testosterone e androstenedione, e valori normali di DHEA-S: tali valori confermano il surrene come principale fonte di androgeni circolanti, dal momento che i livelli di LH circolanti sono troppo bassi per stimolare adeguatamente le cellule della teca ovarica (2).
Donne affette da HH tendono ad avere livelli di AMH significativamente inferiori rispetto a donne sane (conseguenza di una scarsa stimolazione ovarica da parte delle gonadotropine). Tuttavia, tali valori non devono essere considerati un fattore prognostico negativo per la fertilità, poiché sia un’eventuale ripresa spontanea della secrezione pulsatile di GnRH, sia la somministrazione di gonadotropine esogene sono in grado di consentire un recupero della fertilità, portando anche ad aumento dei livelli di AMH (2).
Entrambi i sessi. Una volta posta diagnosi di ipogonadismo, occorre localizzarne l’origine andando a dosare le gonadotropine ipofisarie (LH e FSH), che nell’HH saranno basse o inappropriatamente normali e sicuramente con alterata pulsatilità. Particolare importanza riveste anche il dosaggio delle gonadotropine e degli steroidi sessuali in neonati in cui vi sia sospetto o familiarità per CHH. È infatti noto che nei primi 3-6 mesi di vita avviene la mini-pubertà, durante la quale l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi è ancora attivo prima di essere spento fino alla pubertà. Tale fase offre pertanto una finestra di opportunità per diagnosticare un HH: infatti, il riscontro di bassi livelli di gonadotropine ipofisarie (soprattutto se nel maschio si ha una concomitante clinica suggestiva) consente di riconoscerlo precocemente (2).
La principale sfida diagnostica riguardante il CHH si presenta al momento della pubertà, dove risulta particolarmente complesso distinguere le forme di vero CHH dalle forme transitorie di ritardo costituzionale di crescita e pubertà (RCCP). La loro differenziazione è auspicabile, dato che il RCCP non richiede terapia (se non in casi selezionati e per un tempo limitato), mentre il CHH è permanente e va sicuramente trattato. Se si considerano i livelli basali di ormoni, il quadro ormonale è sovrapponibile, perchè entrambe queste forme presentano bassi livelli di steroidi sessuali in presenza di livelli di gonadotropine bassi o inappropriatamente normali. L’uso del test di stimolo con GnRH si è dimostrato di scarsa utilità in questa diagnosi differenziale, in quanto la risposta al test è scarsa e ampiamente sovrapponibile tra i due gruppi di pazienti (1,2,19).
Nei quadri con sospetto deficit ipofisario multiplo, sia esso congenito o acquisito, sarà necessario eseguire una valutazione basale della funzione ipofisaria come descritto nel management dell’ipopituitarismo.
Imaging
Maschi. L’ecografia scrotale ha molta utilità nei pazienti affetti da HH, perchè consente di localizzare testicoli, epididimi e dotti deferenti, misurandone le dimensioni (in base alle quali è possibile determinare la severità del deficit di GnRH); inoltre, consente di monitorare nel tempo i progressi della maturazione testicolare durante la terapia con gonadotropine (2).
Femmine. L’ecografia pelvica o trans-vaginale può essere utile per indagare alcuni aspetti anatomici associati all’ipogonadismo. Ad esempio, nel CHH l’utero sarà di aspetto pre-pubere, cioè di piccole dimensioni e privo della rima endometriale. Inoltre, rispetto a donne sane di pari età, le pazienti affette da CHH hanno significativa riduzione del volume medio delle ovaie e del numero di follicoli antrali. Tuttavia, si rammenta come queste due caratteristiche non siano da considerarsi un fattore prognostico di scarsa fertilità, dal momento che entrambe rispondono bene alla terapia con gonadotropine (2).
Entrambi i sessi. È importante eseguire una RM della regione sellare, per escludere lesioni a livello ipotalamo-ipofisario, ma anche, nel sospetto di forma congenita, individuare eventuali difetti dei bulbi olfattori, del corpo calloso o della linea mediana.
Nel sospetto di forma congenita, è anche opportuno eseguire una ecografia addominale, per escludere un’eventuale agenesia renale monolaterale.
L’esecuzione della radiografia di mano e polso è di particolare importanza nel determinare l’età ossea dei soggetti pre-puberi e nel monitorare il quadro durante l’induzione della pubertà in soggetti con CHH.
L’esecuzione di densitometrie ossee regolari, infine, consente di valutare il grado di riduzione della densità minerale ossea, che è a rischio nei pazienti ipogonadici (2).
Altri esami
Test olfattometrico: per valutare la presenza di eventuali difetti olfattivi in un paziente con CHH.
Spermiogramma: non sempre possibile, poiché l’ipogonadismo si accompagna a disfunzione erettile e riduzione del volume dell’eiaculato. È tuttavia di fondamentale importanza ripeterlo in maniera seriata dopo l’inizio della terapia per la fertilità.
Analisi genetica: mediante l’NGS è possibile lo screening di un pannello che ad oggi conta oltre 50 geni noti, responsabili di CHH.
TERAPIA NEI MASCHI
Il trattamento dell’ipogonadismo deve essere effettuato considerando l’età del paziente, le condizioni psico-sessuali, l’epoca di insorgenza, la causa della patologia, l’eventuale presenza di altre affezioni e il desiderio di fertilità.
Neonati. Gli obiettivi principali a questa età sono l’aumento delle dimensioni del pene e la crescita testicolare. La terapia con testosterone può aumentare le dimensioni del pene e stimolare lo sviluppo dello scroto (senza alcun effetto sullo sviluppo testicolare). Nell’eventualità di criptorchidismo, si può optare per l’intervento chirurgico di orchidopessi o, in alternativa, per una terapia con hCG (con o senza spray nasale di GnRH), per favorire la discesa dei testicoli nella borsa scrotale. Più recentemente si è prospettata la possibilità di trattare i neonati affetti da CHH nati con micropene mediante iniezioni di gonadotropine esogene durante il primo anno di età, così da riprodurre la fisiologica mini-pubertà. Diversi studi suggeriscono, infatti, che tale approccio terapeutico durante il periodo neonatale possa avere effetti benefici sia sulla normalizzazione delle dimensioni del pene (che potrà raggiungere le dimensioni dell’adulto normale durante la terapia di induzione della pubertà), sia sulla funzione endocrina testicolare (aumenta la secrezione endogena di testosterone, INSL3, inibina B e AMH) e sullo sviluppo dei testicoli, andando a stimolare la proliferazione delle cellule di Sertoli e la crescita dei tubuli seminiferi, con incremento del volume testicolare (2).
Adolescenti. Gli obiettivi a questa età sono l’induzione della virilizzazione e della fertilità, il raggiungimento di una statura adulta ottimale, di un adeguato sviluppo osseo, di un’adeguata composizione corporea e di un normale sviluppo psico-sociale. Esistono due possibili modi per indurre la pubertà nei ragazzi affetti da HH.
- Testosterone a dosi crescenti, mediante la somministrazione di esteri, come l’enantato, iniziando con 50 mg im ogni 4 settimane, per poi incrementare progressivamente il dosaggio ogni 6 mesi circa, in base alla progressione puberale e all’accelerazione dell’età ossea, fino ad arrivare al dosaggio tipico dell’adulto. Più recentemente è stata dimostrata anche la validità dell’uso di testosterone gel 2%, partendo da un dosaggio di 10 mg a giorni alterni, con successivi incrementi ogni 6 mesi circa (20), ma tale modalità resta per ora “off-label”. Si è dimostrato che il testosterone, sia iniettivo che in gel, è in grado di portare a completamento lo sviluppo puberale, ma non permette alcuna stimolazione della crescita testicolare e della spermatogenesi.
- L’uso combinato delle gonadotropine esogene (attualmente considerato “off-label”) permette la maturazione puberale da un lato ma anche la stimolazione della crescita testicolare e la spermatogenesi dall’altro, ottenendo così un effetto psicologico positivo e una maggiore auto-stima nei giovani adolescenti (1-2). Non esistono al momento schemi terapeutici validati e internazionalmente riconosciuti. La maggior parte degli studi utilizza dosi costanti di FSH (ricombinante o estrattivo), per lo più 75 U x 3 volte/settimana, in associazione a dosi crescenti di hCG o LH ricombinante (1-2), partendo con 250 U x 3 volte/settimana, con progressivo incremento ogni 6 mesi fino alla dose tipica dell’adulto. Alcune evidenze suggeriscono l’utilità di un pre-trattamento con solo FSH della durata di 2-4 mesi prima di introdurre hCG (21).
Adulti. La terapia sostitutiva con testosterone nei maschi adulti ipogonadici è necessaria per mantenere normali livelli di testosterone, libido, funzione sessuale, densità minerale ossea e benessere generale (22,23). Possono essere impiegate diverse formulazioni disponibili: forme iniettive (come ad esempio l’enantato 250 mg ogni 2-4 settimane o l’undecanoato 1000 mg ogni 12-14 settimane) e forme trans-dermiche (gel 2%) da applicare quotidianamente. Vantaggi della terapia con gel sono la farmacocinetica più stabile e la non invasività, ma bisogna fare attenzione alla trasmissione cute-cute con bambini o donne. Tra le forme iniettive, invece, l’undecanoato garantisce concentrazioni di testosterone più stabili rispetto all’enantato nel corso delle settimane. Le controindicazioni assolute alla terapia con androgeni sono rappresentate dal carcinoma prostatico e mammario, mentre è possibile prescriverla, con opportuni monitoraggi, in caso d’ipertrofia prostatica benigna (22,23). In corso di terapia sostitutiva con testosterone andranno eseguiti controlli, inizialmente ogni 3-6 mesi, quindi annualmente, dei livelli di testosterone (da dosare 2-3 ore dopo l’applicazione del gel, 1 settimana prima dell’iniezione successiva di undecanoato o a metà tra l’ultima iniezione e la successiva di enantato), di ematocrito, PSA e naturalmente sintomi clinici di ipogonadismo (22,23).
TERAPIA NELLE FEMMINE
Adolescenti. Gli obiettivi in questa fascia di età sono sviluppo mammario soddisfacente, maturità dei genitali interni, esterni e di altri aspetti dell’aspetto femminile, normale sviluppo psico-sociale, raggiungimento di normale statura e massa ossea. Per indurre la pubertà si predilige l’impiego di estrogeni naturali trans-dermici, che garantiscono una buona efficacia e allo stesso tempo hanno un rischio cardio-vascolare ridotto rispetto alle formulazioni orali. La somministrazione di E2 viene iniziata a basse dosi, per poi aumentare gradualmente il dosaggio nell’arco di 30-36 mesi. La tabella 2 illustra un possibile schema di trattamento (24).
Tabella 2 Schema per l'induzione della pubertà nell'ipogonadismo femminile |
|||
Mesi | Obiettivo E2 (pg/mL) | Dose/die E2 | Note |
0 | 3-4 | 0.1 µg/kg | Applicare per 12 h al giorno durante la notte |
6 | 3-4 | 0.1 µg/kg | Applicare per tutte le 24 h, cambiando cerotto 2 volte a settimana. Dosare random E2 per verificare di essere nel range desiderato |
12 | 6-8 | 0.2 µg/kg | |
18 | 12 | 12.5 µg | Livelli di E2 inferiori potrebbero accelerare la crescita più della maturazione ossea |
24 | 25 | 25 µg | |
30 | 37 | 37.5 µg | |
36 | 50 | 50 µg | Aggiungere il progestinico (vedi indicazioni nel testo), anticipando l'aggiunta se compare sanguinamento |
42 | 75 | 75 µg | |
48 | 50-150 | 100 µg | Tipica dose della donna adulta |
Una volta raggiunto il massimo sviluppo mammario, e in genere al raggiungimento del dosaggio di E2 trans-dermico di 50 µg/die, si potrà aggiungere un progesterone ciclico per 12 giorni al mese, preferendo il progesterone naturale micronizzato (2).
Donne adulte. La terapia ormonale sostitutiva è necessaria per il mantenimento della salute dell’osso e dell’aspetto femminile, per migliorare la vita sessuale e promuovere un generale senso di benessere. L’E2 può essere assunto per os (1 o 2 mg/die) oppure per via trans-dermica (50 µg/die). In entrambi i casi la terapia estrogenica va associata a un progestinico ciclico (ad esempio progesterone micronizzato 200 µg/die) durante gli ultimi 14 giorni del ciclo, per prevenire l’iperplasia endometriale. Ovviamente quest’ultimo accorgimento non è necessario in donne isterectomizzate (2). Possono essere utilizzate le terapie combinate estro-progestiniche o le terapie sostitutive associate. La potenza biologica di 20 µg di etinil-estradiolo è paragonabile a quella di 1.25 mg di estrogeni coniugati e di 100 µg di 17ß-estradiolo per via trans-dermica. Il trattamento deve essere comunque individualizzato per ogni paziente. È importante ricordare che l’estrogeno somministrato per os viene metabolizzato per il 60-90% a livello epatico, determinando un sovraccarico epatico. La somministrazione non orale induce un metabolismo epatico solo per il 10-20% dell’estrogeno somministrato; i vantaggi di questa modalità di somministrazione determinano, da una parte una riduzione della sintesi di fattori pro-coagulanti e proteine della fase acuta come possibili fattori di rischio cardio-vascolare, e dall’altra una ridotta sintesi di SHBG. Gli estrogeni orali determinano una riduzione della concentrazione di IGF-I, che non si osserva con gli estrogeni trans-dermici (25). L’effetto negativo sui livelli di IGF-I indotto dalla terapia per os si osserva anche nelle pazienti ipopituitariche in trattamento sostitutivo con GH per GHD; nei casi in cui si sceglie di proseguire con la terapia estrogenica orale è necessario impiegare dosi di GH maggiori delle usuali per ottenere la stessa efficacia della terapia sostitutiva in termini di IGF-I.
Età post-menopausa. Le indicazioni per la terapia sostitutiva nelle donne normali in questa età possono ragionevolmente essere utilizzate anche per le pazienti ipogonadiche con più di 50 anni.
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Deficit di GH nell'adulto
Ioannis Karamouzis & Gianluca Aimaretti
SCDU Endocrinologia, AOU Maggiore della Carità di Novara, Università del Piemonte Orientale
(aggiornato al 2 febbraio 2016)
Introduzione
L’ormone della crescita (GH) o ormone somatotropo, oltre alla sua attività sui processi di crescita, esercita importanti azioni metaboliche e strutturali e ha un’influenza positiva sulla qualità della vita (QOL).
La carenza di GH determina anche nell’età adulta alterazioni metaboliche, compromissioni di vari organi e sistemi e alterazioni della QOL, che caratterizzano la sindrome da deficit di GH (GHD), che comporta un aumento del rischio di morte per cause cardiovascolari.
È ampiamente dimostrato che la sindrome da GHD in età adulta può giovarsi del trattamento sostitutivo con GH biosintetico (rhGH) e tale indicazione terapeutica è stata approvata nella maggior parte delle nazioni (in Italia dal 1996).
Eziologia
Il GHD può essere espressione di un difetto isolato della funzione ipofisaria (più frequente in età pediatrica), oppure essere parte di un ipopituitarismo multiplo o totale (più frequente in età adulta). Tali difetti possono essere congeniti oppure acquisiti in età pediatrica o in età adulta.
Il GHD acquisito è tipico in età adulta in pazienti con patologie od interventi terapeutici che coinvolgono l’area ipotalamo-ipofisaria (neoplasie sellari e parasellari, processi granulomatosi o infiammatori, neurochirurgia, radioterapia). Un deficit di GH può inoltre manifestarsi in soggetti con pregresso trauma cranico o ictus (emorragia sub-aracnoidea o ischemia).
Il GHD si manifesta frequentemente come primo e talvolta unico segno di un’alterata funzione ipofisaria.
Quadro clinico
Il GHD in età adulta non è definito da un caratteristico quadro sintomatologico, poichè i segni e sintomi sono aspecifici, spesso sfumati e trascurabili o difficilmente riferibili alla carenza di GH se considerati singolarmente. Il GHD presenta inoltre una stretta analogia con la sindrome metabolica, per la presenza di alcune comuni alterazioni metaboliche e della composizione corporea, oltre all’aumento dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari.
I segni e sintomi sono rappresentati da:
- astenia;
- aumento della massa grassa, specie addominale, con aumento del rapporto vita/fianchi;
- riduzione della massa magra;
- ipotrofia della cute e degli annessi cutanei;
- riduzione della “performance” durante esercizio fisico;
- riduzione dell’efficienza miocardica, soprattutto sotto sforzo;
- alterazioni del metabolismo lipidico (aumento di colesterolo totale e LDL, riduzione di HDL, aumento di fibrinogeno e PAI-I) associate ad aumento della resistenza periferica all’insulina;
- riduzione della densità minerale ossea;
- minore socievolezza e peggioramento della QOL.
Diagnosi
La diagnosi di GHD in età adulta si basa principalmente sulla documentazione, all’interno dell’appropriato contesto clinico, di una ridotta risposta del GH ai test di stimolo. Le recenti “consensus conference” internazionali hanno stabilito che, nell’adulto, sono parimenti affidabili i seguenti test di stimolo: 1) test con insulina (ITT); 2) test con GHRH + arginina; 3) test con GHRH + secretagoghi del GH (GHRP-6); 4) test con glucagone. Va ricordato che l’obesità e valori elevati di BMI determinano la riduzione della risposta di GH a vari stimoli provocativi e pertanto il valore soglia (cut-off) che separa la popolazione normale da quella con GHD varia in rapporto al grado di obesità e deve essere rideterminato, per ogni singolo test, in rapporto al grado di BMI.
La determinazione dell’IGF-I è un test di “screening” indicativo per la presenza di GHD, ma non permette di escludere il GHD quando il valore rientra nei limiti normali per età e sesso, specialmente nei pazienti di età più avanzata.
Test con insulina (ITT). È tuttora considerato il test di stimolo storico di riferimento per la diagnosi di GHD. Presenta limiti di riferimento ben definiti ma ha una scarsa riproducibilità. È stato documentato che il limite minimo delle risposte picco normali è 5 µg/L (3° percentile), ma una risposta picco di GH di 3 µg/L (1° percentile) è stata arbitrariamente considerata come “cut-off” per identificare con certezza i pazienti con GHD severo; tali limiti di riferimento sono stati recentemente confermati utilizzando metodologie statistiche più raffinate (curve ROC). Un paziente che mostri una risposta di GH all’ITT < 3 µg/L viene pertanto definito affetto da severo GHD e necessita di appropriata terapia sostitutiva con GH biosintetico.
Test con GHRH+arginina. Le risposte del GH a questo test sono riproducibili, non variano nel corso della vita, non presentano significative differenze nei due sessi. Il test evidenzia un’elevata specifità e sensibilità con chiari limiti di normalità; è stato documentato che il limite minimo delle risposte picco di GH nei soggetti adulti normali è 16.5 µg/L (3° percentile), ma è stato stabilito che i pazienti definibili con severo GHD debbano evidenziare un picco di GH < 9 µg/L (1° percentile). Sono stati quindi calcolati, usando la metodologia ROC, anche i “cut-off” in riferimento a tre classi di BMI:
- per soggetti in normopeso (BMI < 25 kg/m2), picco di GH = 11.5 µg/L
- per soggetti in sovrappeso (25 < BMI < 30 kg/m2), picco di GH = 8.0 µg/L
- per soggetti obesi (BMI > 30 kg/m2), picco di GH = 4.2 µg/L.
Tali valori di riferimento sono stati ora accolti dalla nota 39 AIFA nella sua ultima revisione di luglio 2014.
Sono meno utilizzati in Italia i test con GHRH + GHRP-6 (significato analogo al test con GHRH + arginina, con limite minimo delle risposte picco di GH = 15 µg/L nei soggetti adulti normali e = 5 µg/L negli obesi) e con glucagone (affidabile in età adulta, con “cut-off” di risposte picco di GH che separa i soggetti normali dai pazienti con GHD = 3 µg/L).
Risultati della terapia
Come già ricordato nel paragrafo quadro clinico precedente, il paziente adulto con GHD è un paziente con caratteristiche cliniche e rilievi obiettivi tipici della sindrome metabolica: in altre parole è un paziente a rischio di complicanze cardio-cerebrovascolari, con aumentata mortalità e morbilità. Fin dai primi studi su tale sindrome nei primi anni ’90 si è dimostrato che proprio la carenza della sostituzione con rhGH (a fronte dell’ottimizzazione e sostituzione di tutte le altre tropine ipofisarie) fosse la causa dell’aumentata mortalità cardio-cerebrovascolare dei pazienti con GHD. Pertanto, l’obiettivo principale della terapia sostitutiva con ormone somatotropo è rappresentato dal dimostrare la sua efficacia nell’attenuare tale aumentata mortalità.
Gli studi a oggi presenti non hanno ancora fornito risposte certe a tale quesito, sebbene alcune recenti metanalisi evidenzino come il trattamento sostitutivo produca un miglioramento significativo del profilo cardiovascolare globale, inducendo però un peggioramento del quadro glico-metabolico. Un lavoro recente derivante dall’analisi del Database KIMS della Pfizer (5) dimostra come già entro 2 anni dall’inizio della terapia con rhGH sia osservabile una riduzione del 50% degli indici di rischio cardiovascolare (Framingham, PROCAM, ESCscore), che permangono poi stabili e significativamente inferiori dopo altri 2 anni rispetto a una popolazione di controllo non GHD. Tale effetto è evidente, in particolare, in pazienti GHD di sesso maschile e con alti livelli di colesterolo totale e bassi di HDL. Tali dati richiedono però dimostrazioni solide e robuste e soprattutto studi su ampie casistiche che dimostrino una riduzione significativa della mortalità cardio-cerebrovascolare.
In pazienti con GHD, la QOL è generalmente compromessa. Per tale motivo la raccolta di un’accurata storia clinica e la compilazione di specifici questionari da parte del paziente sono raccomandate sia prima che in corso di terapia sostitutiva, in quanto possono essere un valido aiuto al monitoraggio della risposta alla terapia stessa. Quest’ultimo aspetto, certamente sottostimato nella pratica clinica endocrinologica italiana, riveste un ruolo fondamentale (“sine qua non”) nella pratica clinica anglosassone. Infatti, secondo le linee guida NICE la terapia con rhGH può essere prescritta solo in presenza di una documentata e chiara compromissione della “quality of life”. Il questionario più specifico, validato anche nella versione italiana (AGHDA-QOL), non è purtroppo liberamente disponibile: soggetto a copyright, con necessità di pagare una quota anche per l'utilizzo clinico nelle casistiche private.
Gli adulti con GHD presentano un rischio aumentato di sviluppare osteopenia e osteoporosi, rischio maggiore tanto più giovane è il paziente affetto da GHD, mentre nel paziente anziano tale rischio è minimo. La preservazione della massa ossea rappresenta uno degli obiettivi terapeutici durante trattamento con GH in questi pazienti. Sebbene durante il primo anno di terapia la densità minerale ossea possa ridursi per aumento del rimodellamento osseo, questo parametro tende a migliorare sensibilmente durante trattamento; viene quindi raccomandata l’esecuzione di un’indagine densitometrica (MOC/DEXA) prima di iniziare la terapia sostitutiva e periodicamente ogni 2 anni nel corso del trattamento.
INDICAZIONI PER LA PRATICA CLINICA
Quando iniziare la terapia con GH
La terapia sostitutiva con rhGH deve essere iniziata in pazienti in cui le terapie sostitutive dei deficit endocrini concomitanti siano già state impostate e ottimizzate.
Il trattamento con GH è controindicato nei pazienti affetti da neoplasia maligna in fase di attività clinica.
Come iniziare la terapia con GH, quali dosi impiegare e come monitorarne l’efficacia
La terapia con rhGH nel paziente adulto va iniziata a dosi basse (0.1-0.2 mg/die, pari a 1.25-2.5 µg/kg/die) e successivamente deve essere titolata ad intervalli di 1-2 mesi sulla base dei livelli di IGF-I (che dovranno rientrare nei limiti di norma per età, con valori ottimali compresi tra 25° e 75° centile) e sull'efficacia clinica nel determinare la remissione di sintomi e segni clinici.
Esiste una spiccata variabilità inter-individuale nella sensibilità al GH biosintetico e ciò spiega perché le dosi di mantenimento siano assai variabili. Le dosi medie di mantenimento variano nelle diverse fasi della vita:
- nel paziente giovane-adulto 5-10 µg/kg/die
- nel paziente adulto 2.5-5.0 µg/kg/die
- nel paziente anziano 1.25-2.5 µg/kg/die.
La dose di rhGH richiesta per la terapia sostitutiva nelle pazienti di sesso femminile è mediamente superiore rispetto al sesso maschile, sia se normalmente mestruate, sia soprattutto se assumono terapia sostitutiva estro-progestinica per via orale.
Cosa controllare e quando
Una volta raggiunti livelli normali di IGF-I, l'efficacia del trattamento andrà monitorata a intervalli regolari. Inoltre, è consigliato fin dall’inizio della terapia dosare FT4 e cortisolemia, per la possibile riduzione della desiodazione della T4 e della conversione di cortisone a cortisolo, che potrebbe determinare la comparsa o il peggioramento di una condizione, rispettivamente, di ipotiroidismo e/o di iposurrenalismo centrale.
Benché tale trattamento appaia relativamente sicuro, le linee guida circa la gestione del paziente con GHD raccomandano un attento e periodico monitoraggio ogni 6-12 mesi e una sorveglianza a lungo termine delle possibili complicanze. In ogni paziente è fondamentale innanzitutto l’esecuzione di un attento esame clinico, con particolare attenzione a peso, altezza, BMI e rapporto vita/fianchi, parametri antropometrici che dovranno essere rivalutati ad ogni controllo per monitorare l’efficacia della terapia sostitutiva. La comparsa di retinopatia in corso di trattamento è un evento estremamente raro.
Numerosi studi hanno dimostrato che il trattamento sostitutivo con GH nell’adulto non incrementa il rischio di recidive in pazienti con residuo post-chirurgico di tumore ipotalamo-ipofisario, né aumenta il rischio di insorgenza di nuova neoplasia. Per tale motivo, non si raccomanda un’intensificazione del follow-up nei pazienti trattati con GH, ma in caso di residuo è utile l’esecuzione periodica di RMN ipofisaria con timing sovrapponibile a quello dei pazienti non sottoposti a trattamento sostitutivo con GH, per monitorare le dimensioni della lesione, e in tutti i pazienti si suggerisce l’esecuzione di indagini di screening, come quelle applicate per la popolazione generale in base a sesso ed età. È stato pubblicato recentemente un “position statement” su trattamento con GH e sicurezza della terapia, che ha documentato che il trattamento sostitutivo con GH nell’adulto e nel bambino non aumenta il rischio di nuovi casi del tumore primario; peraltro dati disponibili nei bambini non indicano un aumento del rischio di recidive del tumore primario nei pazienti GH-trattati, mentre i dati attualmente disponibili sull’adulto per tumori maligni sono insufficienti. Infine, questo “position statement” ha indicato che i dati circa il rischio di sviluppare un secondo tumore in pazienti GH-trattati, “survivors” dei tumori pediatrici o tumori esorditi in età adulta, sono insufficienti per raggiungere una conclusione.
Inoltre in questi pazienti è raccomandato il monitoraggio periodico di pressione arteriosa, profilo lipidico, frequenza cardiaca e l’esecuzione di un elettrocardiogramma, mentre le indagini più invasive e costose, come l’ecocardiogramma o l’ecodoppler dei tronchi sovra-aortici, sono da riservare solo a casi selezionati.
Per le stesse ragioni, dovrebbero essere valutati annualmente anche i valori di glicemia a digiuno ed emoglobina glicata. Il trattamento con GH dei pazienti diabetici può richiedere un adeguamento del trattamento ipoglicemizzante in corso.
Per quanto riguarda tutti i fattori di rischio citati, i target terapeutici sono gli stessi della popolazione generale, in relazione a sesso ed età.
Bibliografia di riferimento
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Deficit di GH in età transizionale
Roberto Lanzi
Unità di Endocrinologia, Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60, 20132 MIlano.
Le conseguenze del deficit di ormone della crescita (GHD) variano nelle diverse età della vita. Durante l’infanzia e la pubertà il GH promuove l’accrescimento lineare e il GHD si associa a ipostaturismo armonico, mentre in età adulta comporta alterata composizione corporea e ridotta qualità di vita.
Solo una parte dei soggetti trattati con GH in età pediatrica richiede terapia sostitutiva nell’età adulta.
- Nei nati piccoli per età gestazionale (SGA), così come negli affetti da sindrome di Turner, insufficienza renale cronica o sindrome di Prader-Willi l’indicazione alla terapia cessa al raggiungimento della statura definitiva.
- Tra i soggetti con vero GHD la prosecuzione della terapia in età adulta è limitata ai casi in cui il difetto ormonale persiste al completamento dell’accrescimento lineare.
La probabilità di persistenza del GHD è particolarmente elevata in caso di deficit multiplo di almeno tre ormoni ante-ipofisari o di ridotti livelli di IGF-I (in sospensione di terapia e in assenza di condizioni cataboliche o terapia estroprogestinica), quando associati a mutazione genetica (PIT-1, PROP-1, HESX-1, LHX3/4, recettore del GHRH, ecc), anomalia strutturale congenita (ipoplasia del nervo ottico, displasia setto-ottica, ectopia della neuroipofisi, ipoplasia ipofisaria), patologie della regione ipotalamo-ipofisaria (es. craniofaringiomi), pregressa chirurgia o radioterapia encefalica (patologie sellari, cerebrali o sistemiche), oltre che in caso di GHD severo (1). E’ meno probabile nelle forme idiopatiche, isolate o nei difetti parziali. La probabilità di regressione non sembra invece influenzata dal sesso o dall’insorgenza del GHD prima o durante la pubertà (2).
La variabilità del difetto ormonale e la diversità dei criteri diagnostici di GHD nelle differenti età rendono necessario rivalutare i soggetti trattati con GH al completamento dell’accrescimento lineare. La fase di passaggio dall’infanzia all’età adulta, compresa tra il raggiungimento della statura definitiva e i 25 anni, è definita età di transizione. La nota AIFA 39 prevede il “retesting” per tutti i candidati a terapia con GH in età transizionale, con l’esclusione dei soggetti con documentata mutazione genetica o con deficit multiplo di almeno tre ormoni anteipofisari, per i quali è prevista la prosecuzione della terapia senza interruzione, adeguando il dosaggio all’età. In questi casi il riscontro di livelli circolanti di IGF-I ridotti per sesso ed età è sufficiente a confermare la persistenza del GHD, sebbene la normalità dei valori di IGF-I non ne escluda la diagnosi, suggerendo peraltro il “retesting” (1). Il “retesting” è indicato al raggiungimento della cosiddetta “near-adult height”, quando la velocità di crescita si riduce a meno di 2-2.5 cm per anno, l’altezza approccia il 98-99% di quella definitiva e corrisponde in genere una età ossea di 14-15 anni nella femmina e 16-17 nel maschio (3). Il test di stimolazione deve essere eseguito almeno un mese dopo la sospensione della terapia con GH, sebbene questa indicazione poggi, in mancanza di studi specifici, su esperienze personali. Per la diagnosi di GHD in età transizionale alcuni studi suggeriscono livelli soglia di GH più elevati rispetto all’età adulta, rispettivamente 6.1 e 19 µg/L per il test all’ipoglicemia insulinica (ITT) e arginina+GHRH (4,5); 6 e 19 µg/L sono anche i limiti di risposta ai due tests indicati dalla nota AIFA 39 per la diagnosi di GHD in età transizionale. Poiché il GHRH agisce a livello ipofisario, soggetti che sviluppano GHD di origine ipotalamica a seguito di terapia radiante possono mostrare una risposta falsamente normale al test arginina+GHRH, particolarmente nei 10 anni successivi all’irradiazione (6). Negli stessi soggetti il “retesting” in età transizionale, anche mediante stimoli diversi da arginina+GHRH, può non essere conclusivo in caso di normale risposta; possono essere indicate successive rivalutazioni della secrezione di GH per svelare casi di GHD a sviluppo tardivo. I limiti di risposta del GH allo stimolo GHRH+arginina in relazione all’indice di massa corporea (BMI) sono definiti nel soggetto adulto ma rimangono imprecisati nell’età transizionale. E' quindi richiesta cautela nell’interpretazione del test in soggetti sovrappeso o obesi. Il concomitante riscontro di ridotti valori di IGF-I può aiutare a distinguere soggetti con vero GHD da quelli con ridotta risposta del GH indotta dall’elevato BMI (1). Stimoli alternativi, come il glucagone, non sono ancora validati nel giovane adulto. Alcuni autori hanno proposto la valutazione della secrezione spontanea notturna di GH nei casi di anomalia strutturale della regione ipotalamo-ipofisaria (ectopia della neuroipofisi lungo il peduncolo ipofisario), atti a svelare casi di GHD parziale con normale risposta all’ITT (7). I criteri per la diagnosi di GHD parziale nel giovane adulto rimangono comunque tuttora imprecisati, così come rimangono aperti quesiti circa l’interpretazione di stati di discordanza tra risposta del GH ai test di stimolo e livelli circolanti di IGF-I (es. normale IGF-I con alterata risposta del GH o ridotta IGF-I con normale risposta del GH).
La terapia con GH in pazienti con GH a esordio in età pediatrica (cGHD) consente il raggiungimento di una altezza normale, sebbene circa 1 deviazione standard sotto la media della popolazione generale (8,9). A fronte di ciò, la massa magra e grassa e il contenuto minerale osseo dei pazienti con cGHD permangono significativamente ridotti rispetto ai pazienti con GHD a esordio in età adulta (aGHD) (9), evidenziando una discrepanza tra l’accrescimento mono e tridimensionale. Ciò può essere attribuito al fatto che l'incremento della massa magra (10), la variazione della distribuzione del grasso corporeo (11) e l'incremento della massa ossea fino alla fase di picco (12), processi sotto il controllo del GH, proseguono fisiologicamente oltre il termine dell’accrescimento lineare, quando tradizionalmente viene interrotta la terapia con GH. A due anni dalla sospensione della terapia, incremento della massa grassa e riduzione della massa magra sono stati documentati sia in soggetti con persistente GHD che in quelli divenuti sufficienti, ma nei primi la percentuale di massa grassa e il grasso tronculare sono risultati superiori del 50% rispetto ai controlli sani (13). Nello stesso studio i pazienti affetti da GHD hanno evidenziato il mancato fisiologico incremento della forza muscolare correlato all’età, osservato nei pazienti sufficienti per GH. Diversi studi hanno valutato gli effetti della terapia con GH nel periodo di transizione, documentando benefici effetti tanto sulla massa magra che sulla massa grassa (14, 15). A due anni dall’inizio della terapia con GH, l’utilizzo di dosi pediatriche non ha indotto significativi vantaggi rispetto all’uso di dosi per l’età adulta (15). Altri studi suggeriscono invece un effetto dose-dipendente della terapia, in particolare sulla percentuale di massa grassa corporea e sul grasso tronculare (16). Studi eseguiti su soggetti particolarmente giovani e con prevalente deficit idiopatico non hanno evidenziato significativi vantaggi della terapia (17). Incremento della densità minerale ossea è stato documentato da svariati studi (16, 18, 19), alcuni dei quali hanno evidenziato un effetto dose-dipendente del GH (16, 18) non confermato da altri (19). In uno studio recente la ripresa della terapia con GH in età transizionale ha indotto aumento dello spessore dell’osso corticale per crescita endostale (20). Benefici effetti della terapia con GH in età transizionale sono riportati sul profilo lipidico (15, 21, 22), mentre quelli sull’insulino-resistenza (14, 17), sulla morfologia e sulla funzione cardiaca rimangono controversi (14, 22). La qualità di vita nei pazienti con cGHD è in genere meno compromessa che nei soggetti con aGHD (23). Il grado di miglioramento dopo terapia è in genere proporzionale alla gravità della compromissione (24). L’insieme di questi dati supporta l'indicazione alla prosecuzione della terapia con GH in età transizionale, che al momento rimane peraltro possibile, auspicabile ma non assolutamente necessaria.
La terapia con GH deve essere iniziata a dosi di 0.2-0.3 mg/die e modificata sulla base dei livelli di IGF-I, determinati dopo 2 e 6 mesi dall’inizio della terapia e successivamente a cadenza annuale. I valori di IGF-I devono essere mantenuti nella metà superiore dell’intervallo di normalità per età e sesso, sebbene in pazienti con GHD severo insorto in età pediatrica la normalizzazione dei livelli di IGF-I non sia sempre ottenibile. E’ indicato il periodico monitoraggio dei valori di cortisolo per il noto effetto del GH sul metabolismo dei glucocorticoidi (25); anche gli indici di funzione tiroidea richiedono il periodico controllo, per il possibile smascheramento di quadri di ipotiroidismo o per adeguare la terapia sostitutiva in caso di deficit pre-esistente (26).
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Scheda GH
Renato Cozzi1 & Roberto Attanasio2
Endocrinologia, 1Ospedale Niguarda & 2Istituto Galeazzi, Milano
Meccanismo d’azione
Sostituzione del deficit di GH
Indicazioni
Deficit GH nel bambino, S. di Turner, allorchè la statura cade sotto il quinto percentile, S. di Prader-Willi (in presenza di deficit dell'accrescimento), insufficienza renale cronica, Small for Gestational Age (SGA), secondo i criteri adottati in tale patologia.
GHD in età adulta, nei pazienti con patologia ipotalamo-ipofisaria (adenoma ipofisario, precedente adenomectomia ipofisaria chirurgica, lesioni ipotalamiche - craniofaringioma, lesioni granulomatose -, danno al parenchima cerebrale e/o alla regione ipotalamo-ipofisaria da radioterapia, ipopituitarismo idiopatico, post-traumatico, da neoplasie parasellari). Limitazioni: soggetti con livelli di GH < 3 µg/L dopo stimolo con ipoglicemia insulinica o, in presenza di controindicazioni al test di ipoglicemia insulinica, con picco inadeguato di GH dopo stimoli alternativi (il test con GHRH+Arginina è la prima scelta e con questo test viene utilizzato il picco di GH < 9 µg/L).
Contro-indicazioni e precauzioni
Controindicazioni assolute: neoplasia maligna in fase attiva, ipertensione endocranica benigna, retinopatia diabetica proliferativa e pre-proliferativa.
Controindicazioni relative: diabete mellito tipo 2 di difficile controllo glicometabolico.
Precauzioni: il trattamento con estrogeni orali (ma non transdermici) riduce la risposta dell’IGF-I al GH (di conseguenza va tenuto conto della sua presenza allorchè si valuta la risposta alla terapia sostitutiva, perchè non consente di valutare pienamente l'efficacia della terapia sostitutiva con GH). Al contrario quello con androgeni, normalizzando il tasso androgenico, è indispensabile per avere la risposta corretta allo stimolo, che sarebbe minore in presenza di ipogonadismo non corretto.
Monitoraggio della sicurezza
Controlli periodici (inizialmente una volta al mese, poi ogni 6 mesi) dei parametri glicemici; esame oculare nei pazienti diabetici o all'occorrenza in caso di riduzione visiva, monitoraggio neuroradiologico (inizialmente dopo 12 mesi, poi in rapporto al contesto clinico) di eventuali residui neoplastici ipofisari.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Azione rapida:
- Genotropin (Miniquick 0.2 mg, 0.4 mg, 0.6 mg, 0.8 mg, 1.0 mg, 1.2 mg, 1.4 mg, 1.6 mg, 1.8 mg, 2.0 mg e Soluzione iniettabile 5.3 mg e 12 mg)
- Humatrope (6 mg, 12 mg, 24 mg)
- Norditropin (5 mg, 10 mg, 15 mg)
- Omnitrope (10 mg)
- Saizen (6 mg, 8 mg)
- Zomacton (4 mg)
(vedi scheda dispositivi di somministrazione)
Long-acting:
- lonapegsomatropin (Skytrofa 3 mg, 3.6 mg, 4.3 mg, 5.2 mg, 6.3 mg, 7.6 mg, 9.1 mg, 11 mg, 13.3 mg)
Attenzione
Conservare in frigo
Effetti collaterali
Nei casi di sovradosaggio, simili ai sintomi da eccesso di GH
Limitazioni prescrittive
Ricetta RRL, classe A, piano terapeutico, nota AIFA 39
Gli strumenti per la somministrazione di GH nel GHD
Anna Tortora
AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, Università di Salerno, Scuola Medica Salernitana
(aggiornato al 9 marzo 2020)
La natura proteica del GH ne impedisce l’assorbimento per via orale e ne rende necessaria la somministrazione per via sottocutanea. Nella pratica clinica la scelta di un dispositivo per il trattamento con GH rappresenta un aspetto “tecnico” di grande importanza. Sono disponibili differenti dispositivi per la somministrazione, con alcune peculiarità circa il dosaggio in mg della soluzione, la necessità o meno di ricostituire il farmaco, la modalità di erogazione (con o senza ago), l’entità degli scatti tra un dosaggio e l’altro, le condizioni patologiche per i quali ne è approvato l’utilizzo in scheda tecnica, i dispositivi accessori che favoriscono la compliance (copri-ago) o consentono di monitorare l’aderenza.
Al momento, la somministrazione dell’ormone è giornaliera serale, con la formulazione settimanale ancora in via di approvazione.
Qui vengono schematicamente descritti i vari dispositivi in uso presentati secondo l’ordine alfabetico del farmaco, per facilitare l’individuazione del device che meglio si adatta al singolo paziente, specie in età pediatrica.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI GENOTROPIN (Pfizer)
GENOTROPIN GO QUICK (https://www.youtube.com/watch?v=VSzy4ac7Ib4)
Caratteristiche salienti:
- penna pre-riempita multi-dose mono-uso a due diversi dosaggi;
- 5.3 mg: range da 0.1 a 1.5 mg, scatto = 0.05 mg;
- 12 mg: range da 0.3 a 4.5 mg, scatto = 0.15 mg;
- necessita di training;
- necessita di priming per eliminare eventuale residuo d’aria (solo all’inizio di ogni penna);
- la cartuccia è mono-uso e la sua ricostituzione avviene all’inizio della nuova penna;
- l’impostazione del dosaggio va fatta all’inizio e non tutte le sere;
- dispone di finestra di “memoria” (confrontabile con dose prelevata);
- disponibile accessorio copri-ago;
- conservabile prima della ricostituzione per 1 mese fino a 25°C, per 2 anni tra +2° e +8°C;
- ogni penna può essere usata fino a 28 giorni dopo la ricostituzione, mantenendola a T tra 2° e 8°C (non congelare);
- non necessita di batteria.
Come si usa:
- avvitare l'ago sul porta-cartucce;
- ruotare il porta-cartuccia sulla penna;
- miscelare e controllare la ricostituzione;
- girare il selettore nero e impostare la dose;
- ruotare il selettore grigio per prelevare la dose;
- iniettare, tenendo premuto per alcuni secondi;
- rimuovere l’ago dalla cute;
- a esaurimento della cartuccia, cestinare tutto il dispositivo (usa e getta).
GENOTROPIN MINIQUICK
Caratteristiche salienti:
- dispositivo di iniezione pre-riempito (tubofiale a 2 comparti) mono-dose e mono-uso;
- non necessita di training;
- disponibili dosaggi già pronti da 0.2 mg, 0.4 mg, 0.6 mg, 0.8 mg, 1 mg, 1.2 mg, 1.4 mg, 1.6 mg, 1.8 mg, 2 mg (non sono disponibili i dosaggi intermedi);
- non contiene conservanti né alcool benzilico né fenolo, né (meta)cresolo;
- non necessita di priming per eliminare eventuale residuo d’aria;
- non necessita della catena del freddo dopo la consegna al paziente: la confezione integra si può conservare e/o trasportare per 6 mesi a T fino a 25°C, per 2 anni a T tra +2° e +8°C (non congelare);
- la soluzione ricostituita è stabile per 24 ore se conservata tra +2° e + 8°C.
Come si usa:
- avvitare l'ago;
- girare lo stantuffo;
- attendere e controllare la ricostituzione;
- iniettare integralmente nel sottocute, tenendo premuto per alcuni secondi;
- smaltire il dispositivo usato.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI HUMATROPE (Lilly)
HUMATROPEN (https://www.youtube.com/watch?v=PQgGZqF77uk)
Caratteristiche salienti:
- richiede il training pre-utilizzo (ogni cartuccia va inserita nell’apposita penna = colore e dose diversa);
- ampio range di dosaggi:
- penna da 6 mg: ogni scatto corrisponde a 0.025 mg;
- penna da 12 mg: ogni scatto corrisponde a 0.05 mg;
- penna da 24 mg: ogni scatto corrisponde a 0.1 mg;
- il priming per eliminare eventuale residuo d’aria va fatto solo all’inizio di una nuova cartuccia;
- non necessita di batterie;
- confezione integra: la cartuccia ha validità 3 anni se conservata tra +2° e + 8°C; stabile per un mese se conservata a T non > 25°C;
- il prodotto, una volta ricostituito, può essere conservato fino a un massimo di 28 giorni a temperatura compresa tra +2° e +8°C (non va congelato) al riparo dalla luce. L’esposizione a temperatura ambiente non deve superare i 30 minuti giornalieri;
- si consiglia di memorizzare la data del primo utilizzo, in quanto la penna va sostituita dopo 3 anni dal primo utilizzo.
Come si usa:
- ricostituire usando il kit Humatrope (device esterno: connettore-siringa pre-riempita con solvente);
- capovolgere delicatamente la cartuccia più volte per discioglierne il contenuto;
- inserire la cartuccia;
- attaccare l’ago (copri-ago opzionale);
- priming per eliminare eventuale residuo d’aria e controllo dell’aria rimasta;
- impostare la dose con il selettore;
- iniettare, tenendo premuto per 5 secondi;
- dopo l’iniezione, la dose nella finestra deve ritornare sullo 0.00;
- riporre il device.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI NORDITROPIN (Novo Nordisk)
NORDIFLEX (https://www.norditropin.com/how-to-take-it/giving-an-injection.html)
Caratteristiche salienti:
- due tipi di cartucce disponibili: ogni cartuccia va inserita nell’apposita penna (colore e dose diversa):
- 5 mg: tappo giallo arancio, dose massima 1.25 mg; ogni scatto: 0.025 mg;
- 15 mg tappo verde, dose massima 4 mg; ogni scatto: 0.075 mg;
- non memoria della dose (impostare la dose a ogni somministrazione);
- non necessita di batterie;
- liquido, senza ricostituzione (non necessita di miscelazione);
- priming, per eliminare eventuale residuo d’aria, utile ma non necessario;
- accessorio per l’inserimento automatico dell'ago e nascondi-ago (Nordi-PenMate®);
- la confezione integra ha validità di 2 anni se conservata tra +2° e +8°C;
- dopo la prima apertura: conservazione fino a 21 giorni a T ≤ 25°C e fino a 28 giorni tra +2° e +8°C (non congelare).
Come si usa:
- togliere il cappuccio;
- svitare l’alloggiamento della cartuccia;
- resettare l’asta del pistone;
- caricare la cartuccia nella penna apposita, controllando la corrispondenza dei colori (e dosaggi) diversi tra tappo della cartuccia e penna: 5 mg = giallo arancio; 15 mg = verde;
- inserire l’ago (applicare l’accessorio opzionale per nascondere l’ago, non incluso);
- fare uscire l’aria (priming utile, ma non necessario);
- impostare la dose prescritta;
- iniettare e tenere premuto per almeno 6 secondi;
- svitare l’ago e rimettere il cappuccio;
- conservare il dispositivo (fuori dal frigo fino a 25°C).
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI NUTROPIN AQ (Ipsen)
NUTROPIN AQ PEN (http://www.digifreak.tv/video/nutropen/)
Caratteristiche salienti:
- NutropinAq è fornito come soluzione multi-dose contenente 2 mL di soluzione iniettabile: 1 cartuccia contiene 10 mg (30 UI) di somatropina e 1 mL contiene 5 mg di somatropina;
- effettuare il training pre-utilizzo;
- consente di somministrare dosi da 0.1 a 4 mg, con incrementi minimi di 0.1 mg;
- la cartuccia è già ricostituita (non è necessaria la miscelazione) e non va rimossa dal dispositivo fra una somministrazione e l’altra;
- controllo/sostituzione batteria;
- copri-ago (opzionale);
- display digitale per visualizzare la dose;
- la confezione integra ha validità di 2 anni se conservata tra +2° e +8°C;
- una volta ricostituito, si può tenere a temperatura ambiente fino a 45 minuti prima dell’uso e al massimo per un’ora al giorno; può essere conservato per un massimo di 28 giorni a temperatura compresa tra +2°C e +8°C (non va congelato) al riparo dalla luce.
Come si usa:
- rimuovere il cappuccio;
- svitare il supporto per la cartuccia;
- premere il pulsante (bianco) di reset;
- ruotare il pulsante nero fino alla posizione di start;
- caricare la cartuccia;
- attaccare l’ago;
- fare priming per eliminare eventuale residuo d’aria (pulsante nero);
- premere il pulsante bianco di reset;
- impostare la dose (i mg vengono mostrati su schermo digitale);
- iniettare (pulsante nero) e tenere premuto per 5 secondi;
- rimuovere l’ago;
- conservare il device.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI OMNITROPE (Sandoz)
SUREPAL (https://vimeo.com/120579331)
Caratteristiche salienti:
- Omnitrope è un medicinale biosimilare, quindi a più basso costo e strutturalmente molto simile al medicinale biologico di riferimento Genotropin;
- richiede training;
- utilizzare la cartuccia nella penna contrassegnata dal dosaggio corrispondente;
- disponibili cartucce da 5 mg, 10 mg, 15 mg pronte all'uso: nessuna ricostituzione necessaria;
- ogni scatto è pari a 0.1 mg;
- memoria della dose: registra il dosaggio del paziente;
- pulsante scorrevole: minima forza di iniezione anche per mani piccole;
- nessun priming per eliminare eventuale residuo d’aria: penna pronta per l’uso;
- copri-ago: riduce l’ansia nel paziente;
- non richiede l’uso di batterie;
- può essere conservato tra 2° e 8°C (non congelare) al riparo da luce fino a 28 giorni;
- la penna può essere utilizzata per 2 anni dal primo utilizzo.
Come si usa:
- impostare la memoria della dose (solo quando c’è un cambio di dosaggio);
- inserire la cartuccia pre-assemblata e collegare l’anello di chiusura a SurePal™;
- inserire un ago;
- richiamare la dose memorizzata, ruotando il perno della dose;
- appoggiare il device sulla cute;
- effettuare l’iniezione, mantenendo il pulsante in basso per 10 secondi dopo che il perno ha smesso di ruotare;
- rimuovere l’ago;
- riporre SurePal nella custodia senza togliere la cartuccia.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI SAIZEN (Merck-Serono)
ALUETTA (https://vimeo.com/342624430)
Caratteristiche salienti:
- richiede training;
- cartucce di differenti dosaggi (penna e cartuccia di differenti colori per i diversi dosaggi):
- 6 mg: dose minima somministrabile 0.15 mg, incremento minimo di dosaggio 0.05 mg;
- 12 mg: dose minima somministrabile 0.5 mg, incremento minimo di dosaggio 0.1 mg;
- 20 mg: dose minima somministrabile 0.8 mg, incremento minimo di dosaggio 0.1 mg;
- necessita di ricostituzione (fiala + solvente);
- conservare fra 10° e 40°C;
- effusore e stantuffo vanno sostituiti ogni 7 giorni, l’intero apparecchio ogni 3 anni.
Come si usa:
- accendere
- impostare la dose;
- applicare il connettore alla cartuccia ricostituita;
- inserire il connettore nel device;
- aspirare la soluzione ruotando il device;
- posizionare sulla cute;
- praticare l’iniezione premendo il bottone di rilascio (attendere alcuni secondi);
- quando l’indicatore segna 0 si può rimuovere il device;
- rimuovere il beccuccio di iniezione e riporre il device.
EASYPOD (https://manualzz.com/doc/5690720/scarica-la-guida---clickservice-online)
Caratteristiche salienti:
- penna pre-riempita multi-dose;
- necessita di training;
- cartucce di differenti dosaggi:
- 6 mg: dose minima somministrabile 0.15 mg, incremento minimo di dosaggio 0.05 mg;
- 12 mg: dose minima somministrabile 0.5 mg, incremento minimo di dosaggio 0.1 mg;
- 20 mg: dose minima somministrabile 0.8 mg, incremento minimo di dosaggio 0.1 mg;
- inserimento automatico di vari tipi di cartuccia e ago e del copri-ago;
- priming per eliminare eventuale residuo d’aria non richiesto;
- controllo elettronico di cartuccia e corretto posizionamento ago:
- si può pre-impostare (e memorizzare): tempo, velocità e profondità di iniezione e dose (in base a peso o superficie corporea);
- inibizione della somministrazione se il device non è poggiato sulla pelle grazie a un sensore cutaneo;
- registra la cronologia delle somministrazioni precedenti (compliance);
- il device indica il numero di giorni di terapia previsti con la cartuccia in corso;
- possibilità di inviare i dati a distanza grazie al trasmettitore “easypod connect” e al software dedicato;
- le cartucce integre durano 3 anni a T < 25°C;
- le cartucce, una volta utilizzate e conservate a T tra +2° e +8°C (non congelare), durano 28 giorni;
- tenere lontano da apparecchiature elettro-magnetiche;
- controllo/sostituzione batterie.
Come si usa:
- accendere;
- controllare la carica della batteria;
- impostare la dose (all’inizio e poi solo in caso di modifiche della dose);
- ricostituire (con dispositivo Click-Easy) e caricare la cartuccia;
- inserire l’ago (inserimento automatico di ago e copri-ago): il dispositivo emetterà un segnale acustico due volte;
- rimuovere il cappuccio dell’ago;
- posizionare sulla cute, attendere un beep e la luce verde e premere il pulsante di iniezione;
- la luce verde lampeggia, attendere che la luce si spenga e il device emetta un segnale acustico per due volte (tempo di iniezione: circa 5’’); allontanare il device dalla cute;
- rimuovere l’ago;
- spegnere il device.
PER LA SOMMINISTRAZIONE DI ZOMACTON (Ferring)
FERRING 33 PEN (4 mg)
Caratteristiche salienti:
- necessita di training;
- necessita di reimpostare la dose;
- permette di iniettare dosi da 0.03 mg a un massimo di 2 mg con una singola somministrazione;
- ago innovativo (sottile, 33 G/5 mm, conico all’esterno e all’interno);
- corpo esterno in alluminio anodizzato, altamente resistente;
- dopo la ricostituzione, il farmaco può essere conservato, in posizione verticale nell’astuccio, per un massimo di 14 giorni fra +2° e +8°C (non va congelato), al riparo dalla luce.
Come si usa:
- rimuovere il cappuccio protettivo della penna;
- ricostituire la cartuccia/fiala con apposito adattatore (3.3 mg/mL);
- svitare il contenitore della cartuccia e inserire la cartuccia ricostituita;
- avvitare di nuovo il contenitore della cartuccia al dispositivo;
- agganciare l’ago alla penna;
- impostare la dose;
- effettuare il priming per eliminare eventuale residuo d’aria;
- inserire l’ago nel sottocute e iniettare premendo lentamente il pulsante fino in fondo (tenere premuto per 8-10 secondi);
- scaricare il device e riporlo.
ZOMAJET (https://vimeo.com/106478539)
Caratteristiche salienti:
- è un dispositivo composto da penna, testina (3 tipi - A, B, C - di diverse dimensioni) e adattatore/flaconcino, che permette di eseguire l’iniezione senza ago (sotto pressione) nel sottocute. La testina di iniezione (senz’ago) è valida per 1 settimana;
- richiede training pre-utilizzo;
- dose: da 0.03 mg a 1.66 mg; scatto: 0.03 mg;
- non necessita di batterie;
- necessita di ricostituzione (flaconcino in polvere da 4 mg + fiala solvente da 3.5 mL);
- la confezione integra si può conservare per 2 anni tra +2° e +8°C;
- dopo la ricostituzione può essere conservato, in posizione verticale nell’astuccio, per un massimo di 14 giorni fra +2° e +8°C (non va congelato) al riparo dalla luce.
Come si usa:
- ricostituire il flaconcino/fiala;
- rimuovere il tappo del flaconcino;
- collegare l'adattatore del flaconcino alla penna;
- ruotare la penna;
- caricare la dose di priming;
- rimuovere l'adattatore e il flaconcino;
- fare priming per eliminare eventuale residuo d’aria;
- rimontare adattatore e flaconcino;
- riempire fino alla dose corretta;
- iniettare (tenendo premuto per diversi secondi);
- scaricare il device e riporlo.
Comparazione sinottica dispositivi | ||||||||
Device | Cartuccia (mg) | Scatto (mg) | Ago/ copri-ago | Soluzione da ricostituire | Priming | Memoria dose | Training |
Batterie |
Aluetta | 6/12/20 | 0.05/0.1/0.1 | sì/sì | sì | no | no | sì | sì |
Easypod | 6/12/20 | 0.05/0.1/0.1 | sì/sì | sì | no | sì | sì | sì |
Ferring 33 Pen | 4/2 | 0.03 | sì | sì | sì | no | sì | no |
Genotropin Go Quick | 5.3/12 | 0.05/0.15 | sì/sì | sì | inizio penna | inizio cartuccia | sì | no |
Genotropin MiniQuick | 0.2-0.4-0.6-0.8-1.0- 1.2-1.4-1.6-1.8-2.0 |
monodose | sì | sì | no | monodose | no | no |
Humatro-Pen | 6-12-24 | 0.025/0.05 | sì/opz | sì | inizio cartuccia | no | sì | no |
Nordiflex | 5-15 | 0.025/0.075 | sì/opz | no | no | no | sì | no |
Nutropin AQ Pen |
10 | 0.1 | sì/opz | no | sì | no | sì | sì |
SurePal | 5-10-15 | 0.1 | sì/sì | no | no | sì | sì | no |
Zomajet |
4 | 0.03 | sì | sì | sì | no | sì | no |
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Bambini
Indicazioni e dosaggi:
- disturbi della crescita dovuti a GHD: 0.025-0.035 mg/kg/die oppure 0.7-1.0 mg/m2/die (autorizzati Genotropin, Humatrope, Norditropin, Nutropinaq, Omnitrope, Saizen, Zomacton);
- disturbi della crescita associati a sindrome di Turner: 0.045-0.050 mg/kg/die oppure 1.4 mg/m2/die (autorizzati Genotropin, Humatrope, Norditropin, Nutropinaq, Omnitrope, Saizen, Zomacton);
- disturbi della crescita in bambini di bassa statura nati piccoli per l'età gestazionale, che non hanno presentato recupero di crescita entro l'età di 4 anni o oltre: 0.035 mg/kg/die oppure 1 mg/m2/die (autorizzati Genotropin, Humatrope, Norditropin, Omnitrope, Saizen);
- sindrome di Prader-Willi per il miglioramento della crescita e della composizione corporea: 0.035 mg/kg/die oppure 1 mg/m2/die (non deve essere superata la dose di 2.7 mg/die) (autorizzato solo Genotropin);
- pazienti in età pediatrica con alterata funzione del gene SHOX: 0.045-0-050 mg/kg/die (autorizzato solo Humatrope).
Adulti
Trattamento sostitutivo nei pazienti adulti con GHD:
- già trattati in età pediatrica e che proseguono la terapia con GH: dosaggio 0.2-0.5 mg/die (autorizzati Genotropin, Norditropin, Nutropinaq, Omnitrope);
- con insorgenza di GHD in età adulta: la terapia va iniziata al dosaggio di 0.15-0.3 mg/die e la dose di mantenimento raramente supera 1 mg/die (autorizzati Genotropin, Humatrope, Norditropin, Nutropinaq, Omnitrope, Saizen).
CONCLUSIONI
Non esiste un device perfetto: tutti hanno pregi (molti) e qualche limite.
Il device andrebbe valutato (insieme al paziente e ai familiari) scegliendolo in base alle varie esigenze:
- la confezione mono-dose sembra più indicata nei pazienti non considerati affidabili per l’uso della penna o in quelli con problemi di intolleranza ai conservanti;
- le confezioni pluri-dose garantiscono maggiore flessibilità e precisione di dosaggio, grazie alla somministrazione con penna; esistono confezioni pluri-dose già ricostituite.
Grazie al copri-ago, si registrano raramente casi di avversione al trattamento con ago: nei pochi casi con vera e propria “agofobia”, prendere in considerazione l’uso di dispositivi senza ago.
Nella valutazione della risposta del paziente al trattamento, considerare sempre l’aspetto “tecnico” legato alla somministrazione del farmaco. Il training è un elemento importante per ottenere la compliance desiderata.
BIBLIOGRAFIA
- Molitch ME, Clemmons D R, Malozowski S, et al. Evaluation and treatment of adult growth hormone deficiency: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 1587-609.
- Bozzola M, Meazza C. Growth hormone deficiency: diagnosis and therapy in children. Expert Rev Endocrinol Metab 2010, 5: 273-84.
- Collett-Solberg PF, Ambler G, Backeljauw PF, et al. Diagnosis, genetics, and therapy of short stature in children: a Growth Hormone Research Society international perspective. Hormone Res Paediatr 2019, 92: 1-14.
- Agenzia italiana del farmaco. Determinazione alla nota 39 616 del 19/06/2014.
Classificazione del diabete insipido
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
Il diabete insipido (DI) è una condizione morbosa, nel complesso rara, caratterizzata da poliuria ipotonica. La malattia compare per effetto dell'incapacità a concentrare le urine nonostante l’aumento dell’osmolalità plasmatica.
I principali meccanismi fisiopatologici in grado di produrre DI sono due:
- l’incapacità di secernere, e spesso anche sintetizzare, l’ormone ipotalamico arginin-vasopressina (DI centrale o ipotalamico);
- l’inappropriata risposta renale all’arginin-vasopressina (DI nefrogenico).
Esiste poi una rara e peculiare condizione morbosa, che non sarà ripresa nella successiva trattazione, il DI transitorio della gravidanza, che si manifesta allorchè i livelli di vasopressinasi sono assai più elevati di quelli riscontrati normalmente in gravidanza, con conseguente degradazione della vasopressina endogena e diabete insipido. La vasopressinasi è l’enzima (cisteina-aminopeptidasi) deputato alla degradazione dell’ormone. Nel DI transitorio della gravidanza non è rara l’associazione con altre condizioni morbose, anch’esse transitorie, tipiche della gravidanza, come la pre-eclampsia, le coagulopatie e l’epatosteatosi acuta. L’ipotesi che i prodotti di degradazione della vasopressina siano direttamente coinvolti anche nella pre-eclampsia non ha trovato unanimi consensi. Tuttavia, uno stretto legame tra queste due condizioni morbose sembra esistere, dal momento che sono stati riportati casi di donne con DI della gravidanza e pre-eclampsia che non hanno sviluppato DI in successive gravidanze non complicate da pre-eclampsia. La terapia del DI transitorio della gravidanza è la desmopressina, per contrastare l’accelerata clearance dell’arginin-vasopressina (1).
La tabella riporta la classificazione eziopatogenetica del DI.
Classificazione eziopatogenetica del diabete insipido | ||
Centrale (o ipotalamico) | Ereditario | autosomico dominante |
autosomico recessivo (sindrome di Wolfram, ecc) | ||
recessivo, legato al cromosoma X | ||
Acquisito | tumori primitivi: craniofaringioma, germinoma, pinealoma, astrocitoma, linfoma primitivo del SNC | |
tumori secondari: metastasi nella regione sellare, leucemie | ||
malattie infiammatorie e granulomatose: ipofisiti, istiocitosi a cellule di Langerhans, granulomatosi di Wegener, sarcoidosi, tubercolosi, sifilide | ||
traumi cranici | ||
neurochirurgia (trans-sfenoidale o trans-cranica) | ||
idiopatico | ||
apoplessia ipofisaria (parziale o completa) | ||
Nefrogenico | Congenito | recessivo legato al cromosoma X (mutazioni del recettore V2 di AVP) |
autosomico recessivo (mutazioni di acquaporina-2) | ||
Acquisito | malattie renali che alterano l’architettura renale (rene policistico, infarto renale, malattie infiltrative) | |
perdita del gradiente midollare (eccessivo introito d’acqua, eliminazione eccessiva di sodio e acqua per uso di diuretici, …) | ||
ridotta concentrazione di urea nella midollare (dieta molto povera di proteine) | ||
ridotta espressione di acquaporina-2 (deplezione di potassio, ipercalcemia, dieta povera di proteine, ostruzione bilaterale delle vie escretrici renali) | ||
farmaci (sali di litio, demeclociclina) | ||
Transitorio della gravidanza |
Bibliografia
- Fenske W & Allolio B. Current state and future perspectives in the diagnosis of diabetes insipidus: a clinical review. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 3426-37.
Diagnostica del diabete insipido
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
La diagnosi di diabete insipido s’inserisce nell’ampio capitolo delle sindromi poliuriche/polidipsiche.
Una volta confermata la poliuria mediante la raccolta delle urine durante le 24 ore (> 2 L/m2), occorre anzitutto escludere le poliurie dovute a malattia renale e quelle di origine osmotica, di cui il diabete mellito costituisce la forma paradigmatica; entrambe sono facilmente rilevabili mediante esami di routine. Se il paziente presenta poliuria con urine ipotoniche in assenza di malattia renale, occorre poi differenziare il diabete insipido, in cui la polidipsia è secondaria alla poliuria, dalla polidipsia primaria. Come vedremo, inoltre, in alcune forme particolari di diabete insipido la polidipsia può mancare, complicando ulteriormente l’approccio diagnostico. Da qui la necessità di considerare alcuni principi fondamentali di fisiopatologia clinica, che aiuteranno alla comprensione dei test diagnostici.
In condizioni fisiologiche, l’acqua corporea totale e l’omeostasi dell’acqua sono regolate essenzialmente dal fine sistema che controlla la secrezione di AVP, incentrato sull’osmolalità plasmatica e sul volume arterioso efficace a stimolare i barocettori. Sia l’aumento dell’osmolalità plasmatica sia, in misura minore, l’ipovolemia (intesa come deplezione del volume extra-cellulare) sono in grado di stimolare la secrezione di AVP nella circolazione ematica. Raggiunto il recettore V2, posto sulla membrana baso-laterale delle cellule principali del dotto collettore, AVP induce l’inserzione dei canali dell’acqua acquaporina-2 sulla membrana apicale di tali cellule, determinando così un aumento della permeabilità all’acqua, che è così riassorbita seguendo il gradiente di concentrazione della midollare renale. La sete è indispensabile per mantenere l’omeostasi dell’acqua quando il meccanismo mediato da AVP appare insufficiente, per l’inadeguatezza intrinseca di questo sistema (diabete insipido) o per impossibilità a concentrare ulteriormente l’urina. Pertanto, se la perdita d’acqua dal rene nel paziente con diabete insipido (poliuria ipotonica) è compensata dall’introito di acqua per effetto della sensazione intatta della sete (polidipsia secondaria compensatoria), l’osmolalità plasmatica e la sodiemia potrebbero rimanere normali a lungo. Tuttavia, qualora il paziente abbia perduto il senso della sete (ad esempio per effetto di lesioni dell’ipotalamo) oppure non abbia libero accesso all’acqua (come può verificarsi, ad esempio, per un ridotto stato di vigilanza o durante la nutrizione parenterale o enterale in cui non sia previsto un adeguato apporto d’acqua in considerazione della condizione patologica di diabete insipido), l’equilibrio ben presto si altera e compare un incremento dell’osmolalità plasmatica e della sodiemia, a indicare il rischio di incipiente disidratazione intra-cellulare.
Nella polidipsia primaria l’impulso a bere non è dettato da una ridotta secrezione o attività di AVP, bensì da un difetto del meccanismo che controlla la sete o da un’aumentata sensazione della sete (diabete insipido dipsogenico) oppure, più frequentemente, da disordini psichiatrici che si accompagnano a un bisogno compulsivo di bere (polidipsia psicogena). La diagnosi differenziale tra polidipsia primaria e secondaria è essenziale per le ripercussioni terapeutiche che una diagnosi errata comporta: infatti, somministrare quotidianamente desmopressina quale presidio terapeutico a un soggetto con polidipsia primaria, erroneamente considerato affetto da DI centrale, significa aumentare notevolmente il rischio di sviluppare intossicazione d’acqua (iponatremia ipotonica severa).
Il test di disidratazione (o test di privazione d’acqua), con poche modifiche rispetto alla prima standardizzazione proposta da Miller nel 1970, è tuttora utilizzato come test diagnostico, seppure non sia dotato di elevata sensibilità e specificità (1).
- Nel DI centrale severo le urine rimangono ipotoniche (bassa osmolarità urinaria) durante il test di disidratazione, ma dopo la somministrazione di desmopressina l’osmolalità urinaria aumenta almeno del 50% (spesso oltre il 100%) e la vasopressina non è dosabile.
- Nel DI nefrogenico severo le urine possono non essere completamente diluite al termine del test, ma non aumentano in maniera rilevante dopo la somministrazione di desmopressina e le concentrazioni di AVP sono generalmente superiori a 5 pg/mL.
- Nel DI centrale parziale, la risposta al test di disidratazione può essere non molto dissimile da quella del soggetto con polidipsia primaria, e questo costituisce indubbiamente il maggiore limite del test. In entrambe queste condizioni l’osmolalità urinaria tende ad aumentare durante il test e supera spesso il valore dell’osmolalità plasmatica, senza raggiungere, tuttavia, il valore che si registra nel soggetto normale (800-1000 mOsm/kg). La risposta dell’osmolalità urinaria alla somministrazione di desmopressina è generalmente presente, seppure ridotta (10-50%), nel DI centrale parziale, mentre tende a essere pressoché nulla nella polidipsia primaria. In realtà, questa differenza può rivelarsi talora fittizia e ingannevole: soggetti con polidipsia primaria possono rispondere alla desmopressina e, d’altra parte, pazienti con DI centrale parziale possono non rispondere alla desmopressina al termine della fase di prolungata disidratazione durante la quale hanno mantenuto la capacità di secernere vasopressina, raggiungendo la massima osmolarità urinaria loro permessa e non più incrementabile dalla desmopressina esogena.
Nasce da questa indeterminatezza del test per le forme parziali di DI la necessità di individuare nuove strategie diagnostiche. Recentemente, è stato proposto di impiegare il dosaggio della copeptina – la glicoproteina C-terminale del pro-ormone AVP - come surrogato della secrezione di AVP durante il test di disidratazione con privazione d’acqua. I primi risultati sono certamente incoraggianti (2), ma attendono verifiche da studi su larga scala.
Infine, va detto che più che da un singolo test diagnostico, la diagnosi corretta del disordine che sta alla base della sindrome poliurica/polidipsia va spesso condotta sulla scorta di un insieme di dati clinici e di laboratorio. Il dato neuroradiologico (RM) può, seppure di rado, essere di aiuto, soprattutto in alcune forme pediatriche di DI centrale.
Bibliografia
- Fenske W, Allolio B. Current state and future perspectives in the diagnosis of diabetes insipidus: a clinical review. J Clin Endocrinol Metab 2012, 97: 3426-37.
- Fenske W, Quinkler M, Lorenz D, et al. Copeptin in the differential diagnosis of the polydipsia-polyuria syndrome – revisiting the direct and indirect water deprivation tests. J Clin Endocrinol Metab 2011, 96: 1506-15.
Clinica e terapia del diabete insipido
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
Diabete insipido (DI) centrale e DI nefrogenico condividono la sindrome poliurico/polidipsica con urine ipotoniche quale cardine del quadro clinico, fatte salve alcune rare eccezioni in cui questa classica sintomatologia può risultare sfumata o assente per un danno primitivo o secondario del centro ipotalamico della sete. Se il senso della sete è conservato e il paziente ha libero accesso all'acqua, difficilmente si avranno alterazioni elettrolitiche rilevanti e il paziente rimarrà paucisintomatico. In particolare, la sodiemia e l'osmolalità plasmatiche rimarranno a lungo normali o ai limiti superiori di norma, nonostante la persistente ipostenuria. In alcune circostanze, tuttavia, questo equilibrio può interrompersi, per la severità del DI o per la concomitanza di fattori esterni che concorrono a questo evento (mancato accesso all'acqua, errata convinzione che la poliuria si corregga introducendo meno liquidi, stato di coma, ecc). In questi casi, può comparire disidratazione anche grave, accompagnata da incremento dell'osmolalità plasmatica e della sodiemia. Il sistema nervono centrale è il primo a risentire della disidratazione intracellulare. Irritabilità, riduzione dello stato di coscienza, crisi epilettiche e coma possono esitare in una emergenza medica severa. A fronte di queste innegabili analogie, esistono, comunque, differenze sostanziali che separano le due forme di DI, che saranno pertanto trattate in sezioni distinte.
Clinica e terapia del diabete insipido centrale
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
Il DI centrale è la conseguenza della mancata sintesi e/o secrezione di AVP da parte dei neuroni magnocellulari ipotalamici del nucleo sopraottico e paraventricolare. Un danno limitato alla neuroipofisi non sempre conduce a DI conclamato; tuttavia, forme parziali di DI centrale possono avere questa patogenesi. Forme ereditarie e forme acquisite di DI possono aversi sia nel DI centrale sia nel DI nefrogenico (cfr classificazione).
DI CENTRALE EREDITARIO
Notoriamente più rare delle forme acquisite, quelle ereditarie solitamente non compaiono alla nascita, bensì mesi o anche anni dopo. Questa latenza si spiega con il fatto che le mutazioni che sottendono al difetto genetico (nella maggior parte dei casi trasmesse con modalità autosomica dominante) sono localizzate nella regione che codifica il peptide del pre-pro-ormone, più spesso a livello dell'estremità carbossi-terminale del sito di clivaggio della neurofisina dall'ormone. Si ritiene che l'accumulo intra-neuronale (nel reticolo endoplasmatico) di questo precursore anomalo possa causare apoptosi e ciò spiegherebbe la latenza e la lenta progressione della malattia (1). In realtà, il meccanismo che porta a morte cellulare non è del tutto chiaro; d’altra parte, la ridotta disponibilità di vasopressina non è sempre la conseguenza di morte cellulare.
I rarissimi casi di DI centrale ereditario trasmesso con modalità autosomica recessiva, similmente alle forme autosomiche dominanti, non si manifestano alla nascita, bensì nella prima infanzia. In alcune famiglie il difetto genetico riguarda il gene della vasopressina e produce una molecola con ridotta attività biologica e, quindi, non completamente inefficace. In altri casi, la trasmissione autosomica recessiva s'inserisce nel più ampio quadro sindromico conosciuto come sindrome di Wolfram (2), nota anche con l'acronimo DIDMOAD (diabetes insipidus, diabetes mellitus, optic atrophy, deafness). Mediamente, il diabete mellito compare come prima manifestazione di malattia attorno ai 6 anni di età, mentre il DI si manifesta per lo più nella seconda decade, in oltre il 70% dei casi. Si tratta di una malattia ereditaria neurodegenerativa progressiva alquanto rara, che porta solitamente a morte precoce (età media della morte: 30 anni), con una prevalenza variabile da un massimo di 1:68.000 (stimata su una popolazione libanese con alto tasso di consanguineità) a un minimo di 1:770.000 (stimata su un'ampia popolazione del Regno Unito). Inizialmente interpretata come possibile malattia mitocondriale, la patogenesi è stata in seguito chiarita. La mutazione riguarda il gene WFS1, che codifica per la wolframina, una proteina trans-membrana del reticolo endoplasmatico (3). Recentemente, è stato identificato un altro gene (CISD1), responsabile di una forma particolare di sindrome di Wolfram, in cui manca il diabete insipido, ma sono presenti altre alterazioni (insufficienza renale, ipogonadismo, ulcere gastrointestinali, ecc.).
DI CENTRALE ACQUISITO
Eziopatogenesi
Alcune neoplasie primitive della regione sovrasellare (soprattutto craniofaringioma, germinoma, pinealoma) presentano non raramente sin dall’esordio di malattia il diabete insipido, spesso associato a segni e sintomi d’ipopituitarismo anteriore e/o a deficit visivo (4). Molti casi compaiono nei bambini. Tuttavia, non è raro che, ad esempio, il craniofaringioma possa esordire con il DI anche nell’adulto.
Le metastasi ipofisarie, in generale alquanto rare, coinvolgono preferibilmente l’ipofisi posteriore e il peduncolo ipofisario, più raramente l’ipofisi anteriore. Pertanto, la poliuria e la polidipsia ne rappresentano spesso i sintomi d’esordio, troppe volte a lungo dimenticati. Duole, infatti, riconoscere la scarsa importanza riservata, nel paziente neoplastico, alla sindrome poliurica/polidipsica, raramente indagata anche semplicemente con indagini di primo livello (raccolta urine delle 24 ore, osmolarità urinaria).
Linfomi (soprattutto le forme primitive del SNC) e leucemie (soprattutto le forme non-linfocitiche) possono associarsi a DI. Il meccanismo responsabile del deficit di AVP non è sempre l’infiltrazione dell’ipotalamo da parte di tessuto patologico. Infatti, a volte la RM non mostra un danno diretto; in questi casi, è stato ipotizzato un meccanismo mediato dalla vasculite.
Le ipofisiti si associano spesso a DI, poiché coinvolgono solitamente la regione infundibolare. Qualche volta il DI insipido può essere transitorio e regredire spontaneamente dopo qualche settimana dall’esordio.
Le malattie granulomatose (istiocitosi a cellule di Langerhans, granulomatosi di Wegener, sarcoidosi, tubercolosi, sifilide) si associano a DI con frequenza variabile. In qualche caso, la diagnosi di DI precede quella della malattia granulomatosa sistemica.
La chirurgia trans-sfenoidale costituisce una causa importante di DI centrale, probabilmente la principale (4). In particolare, la chirurgia del craniofaringioma e di altri tumori della regione sovrasellare (astrocitoma, glioma, germinoma, pinealoma, cordoma, ecc) non raramente si complica con DI centrale permanente. Ancora più frequenti sono le forme transitorie di DI post-operatorio, che solitamente regrediscono spontaneamente in qualche giorno o settimana. La chirurgia tradizionale per via craniotomica dei tumori della regione sellare/sovrasellare e la chirurgia vascolare del SNC (soprattutto quella degli aneurismi dell’arteria comunicante anteriore) possono talvolta complicarsi con DI.
I traumi cranici, soprattutto quelli di una certa entità, possono associarsi a DI centrale e/o a ipopituitarismo anteriore. Nonostante la reale prevalenza del DI post-traumatico non sia completamente nota, non v’è dubbio che il paziente con trauma cranico debba essere attentamente valutato anche sotto il profilo dell’equilibrio idro-salino.
In qualche caso, la diagnosi di DI centrale rimane senza una causa evidente (DI centrale idiopatico); l’origine autoimmunitaria è stata più volte suggerita, e appare effettivamente verosimile in questi casi. Tuttavia, si tratta di un gruppo di pazienti eterogeneo e tuttora manca una spiegazione unitaria.
Quadro clinico e terapia
In generale, a parte la classica sintomatologia d’esordio caratterizzata da poliuria (> 2L/m2/die) e polidipsia, il maggior rischio per il paziente con DI è la severa disidratazione con encefalopatia ipernatremica (ottundimento del sensorio, crisi epilettiche, coma, emorragie cerebrali), secondaria alla disidratazione del tessuto cerebrale, evenienza fortunatamente alquanto rara se il paziente conserva il senso della sete e ha libero accesso all’acqua. Un adeguato apporto d’acqua è pertanto essenziale per la salute del paziente. Quest’affermazione può sembrare superflua, ma non è raro, ad esempio, che i genitori di bambini affetti da DI tendano a limitare l’apporto d’acqua, nell’erroneo convincimento di evitare così la poliuria. Ciò detto, occorre aggiungere che, almeno nel caso del DI centrale, disponiamo fortunatamente anche di una terapia sostitutiva efficace, la desmopressina, oggi disponibile anche in capsule sublinguali da 30 e 60 µg oltre che nella classica formulazione in spray nasale. In pazienti ospedalizzati, può essere utilizzata, in casi particolari, la formulazione in fiale somministrabili per via parenterale (im, sc, in bolo ev), da 5 a 20 volte più potente della formulazione per spray nasale. La terapia domiciliare con desmopressina per via sublinguale va strettamente personalizzata e il compenso (diuresi < 2 L/die) può richiedere dosi molto diverse (da 30 a 180-240 µg/die).
Follow-up
L’esame urine, il volume urinario e la sodiemia sono indagini biochimiche utili per il follow-up e possono essere richieste con cadenza variabile (6-12 mesi nel paziente compensato; 2-4 settimane nel paziente ambulatoriale che ha appena iniziato la terapia). L’osmolalità urinaria, non disponibile in tutti i centri, può essere di ausilio qualora si abbia la percezione, per la contrazione del volume urinario o il riscontro d’iponatremia, che la dose di desmopressina sia eccessiva. Se la diagnosi di DI centrale è corretta, il rischio d’iponatremia grave è modesto. Tuttavia, nelle fasi iniziali del trattamento tale rischio è reale, soprattutto nei pazienti sottoposti di recente a chirurgia trans-sfenoidale con sezione chirurgica del peduncolo ipofisario. Questa rara eventualità realizza un quadro clinico particolare, noto come diabete insipido trifasico, caratterizzato da una prima fase (di solito della durata di 7-8 giorni) di evidente diabete insipido centrale, seguito da una seconda fase (anch’essa generalmente di una settimana) in cui viene dismessa AVP precedentemente accumulata dalle terminazioni assonali beanti e la diuresi tende a contrarsi, e infine da una terza fase di DI permanente. Nella seconda fase, la liberazione endogena di AVP si aggiunge alla desmopressina esogena e il paziente rischia di sviluppare iponatremia ipotonica, se il medico non è a conoscenza di questa rara condizione.
BIBLIOGRAFIA
- Siggaard C, Rittig S, Corydon TJ, et al. Clinical and molecular evidence of abnormal processing and trafficking of the vasopressin preprohormone in a large kindred with familial neurohypophyseal diabetes insipidus due to a signal peptide mutation. J Clin Endocrinol Metab 1999, 84: 2933-41.
- Barrett TG, Bundey SE, Macleod AF. Neurodegeneration and diabetes: UK nationwide study of Wolfram (DIDMOAD) syndrome. Lancet 1995, 346: 1458-63.
- Inoue H. Tanizawa Y, Wasson J, et al. A gene encoding a transmembrane protein is mutated in patients with diabetes mellitus and optic atrophy (Wolfram syndrome). Nat Genet 1998, 20: 143-8.
- Faustini-Fustini M, Frank G. Diabetes insipidus. In Laws ER Jr, Ezzat S, SL Asa, Rio LM, et al (eds). Pituitary Disorders: Diagnosis and Management. Wiley-Blackwell, Oxford, UK, 2012: 281.
Clinica e terapia del diabete insipido nefrogenico
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
L’inadeguata risposta renale all’arginin-vasopressina (AVP) caratterizza il DI nefrogenico.
DI nefrogenico congenito
Le forme genetiche realizzano certamente i quadri clinici più gravi di DI nefrogenico e si presentano fin dalla nascita, diversamente dalle forme ereditarie di DI centrale. I casi severi si accompagnano a ipernatremia nei primi giorni di vita se l’apporto di acqua non è adeguato. La diagnosi di DI nefrogenico ereditario non è, tuttavia, esclusivo appannaggio del pediatra. Recentemente, e non si tratta di un evento isolato, è stato riportato un caso diagnosticato all’età di 57 anni con una poliuria di 12 litri al giorno (1).
Le mutazioni del gene che codifica il recettore V2 di AVP (VR2), trasmesse con modalità recessiva legata al cromosoma X, sono la causa più frequente (circa 90%). Le oltre 200 mutazioni del gene VR2 finora riportate realizzano differenti aspetti fenotipici:
- ridotta affinità di legame con AVP;
- difettoso ripiegamento nello spazio della proteina nel versante di membrana rivolto all’interno della cellula, con alterazione del traffico intra-cellulare;
- ridotta o assente trascrizione del recettore (per delezione del gene o complessi riarrangiamenti genomici);
- improprio splicing dell’RNA messaggero (2).
Nel restante 10% dei casi le mutazioni riguardano il gene AQP2, che codifica il canale dell’acqua acquaporina-2 (situato sulle cellule principali del dotto collettore renale , similmente al recettore V2 di AVP) e si trasmettono con modalità autosomica recessiva. Tutte le mutazioni del gene AQP2 riguardano la codifica della regione citosolica carbossi-terminale di AQP2, essenziale per il corretto funzionamento meccanico del canale verso la membrana apicale (2).
DI nefrogenico acquisito
Meno severo, ma certamente più frequente, della forma congenita, il DI nefrogenico acquisito si caratterizza per la capacità di mantenere, seppure solo parzialmente, la capacità a concentrare le urine, così che la diuresi giornaliera generalmente non supera i 3-4 litri.
Le condizioni che possono portare allo sviluppo di DI nefrogenico acquisito possono essere diverse:
- malattie renali in grado di alterare l’architettura renale (rene policistico, malattie infiltrative, infarto renale, ecc);
- condizioni che portano alla perdita del gradiente midollare (eccessivo introito d’acqua, uso prolungato di diuretici) o alla ridotta concentrazione di urea nella midollare (dieta gravemente ipoproteica);
- ridotta espressione di acquaporina-2 nelle cellule principali del dotto collettore (deplezione di potassio, ipercalcemia, ostruzione bilaterale delle vie escretrici renali, dieta ipoproteica, acidosi metabolica, ecc);
- farmaci (sali di litio, demeclociclina, ecc…).
Il litio, causa frequente di DI nefrogenico, entra nelle cellule principali del dotto collettore attraverso i canali epiteliali del sodio nella membrana apicale, accumulandosi nel citoplasma, dove favorisce indirettamente l’escrezione locale di prostaglandina E2, che a sua volta favorisce l’endocitosi dei canali acquaporina-2 dalla membrana plasmatica. L’ovvia conseguenza è la ridotta capacità della cellula principale del dotto collettore a concentrare le urine.
Terapia del DI nefrogenico
Non esiste tuttora una terapia specifica per il DI nefrogenico.
Assicurare un adeguato apporto d’acqua è ovviamente un punto fermo nella terapia del DI nefrogenico. L’uso combinato di una dieta povera di sodio e di diuretici tiazidici, che bloccano l’assorbimento di sodio nella corticale renale, può essere di una certa utilità, poiché il risultato complessivo è una modesta ipovolemia, che stimola il riassorbimento prossimale isotonico di soluti a livello del tubulo prossimale e diminuisce l’arrivo di soluti alla parte distale del nefrone. Nel complesso, questi eventi diminuiscono la clearance dell’acqua libera indipendentemente dall’azione di AVP, riducendo così la poliuria (3).
Un adeguato apporto di potassio è necessario in caso d’ipopotassiemia.
Un’attenzione particolare deve essere posta nei pazienti in terapia con sali di litio in cui si propone la terapia con tiazidici, poichè la riduzione della volemia, aumentando il riassorbimento prossimale tubulare, può determinare un aumento delle concentrazioni di litio a livelli potenzialmente tossici. In questo caso, può essere preferibile l’uso di amiloride.
Come farmaci adiuvanti nella terapia del DI nefrogenico sono stati proposti anche gli agenti anti-infiammatori non steroidei, i quali, bloccando la sintesi renale di prostaglandine (che aumentano il flusso midollare renale e riducono la concentrazione di soluti nella midollare), possono aumentare il riassorbimento di acqua non mediato da AVP e ridurre la diluizione delle urine attraverso la riduzione della clearance di acqua libera.
Bibliografia
- Boselt I, Tramma D, Kalamitsou S, et al. Functional characterization of novel loss-of-function mutations in the vasopressin type 2 receptor gene causing nephrogenic diabetes insipidus. Nephrol Dial Transplant 2012, 27: 1521-8.
- Fujiwara TM, Bichet DG. Molecular biology of hereditary diabetes insipidus. J Am Soc Nephrol 2005, 16: 2836-46.
- Magaldi AJ. New insights into the paradoxical effect of thiazides in diabete insipidus therapy. Nephrol Dial Transplant 2000, 15: 1903-5.