Inquadramento generale diagnostico delle malattie paratiroidee
Anatomia delle paratiroidi
Ignazio Emmolo
Chirurgia della Tiroide e delle Paratiroidi, Casa di Cura “Città di Bra” – Bra (Cuneo)
Anatomia normale
Le paratiroidi sono quattro, due per lato, distinte in superiori e inferiori. Il 3-15% delle persone presenta ghiandole soprannumerarie, di solito una, ben raramente due, eccezionalmente di più [1,2]. La paratiroide ha consistenza molle e può avere forma diversa: tondeggiante, ovale, allungata, bilobata, a goccia, a fagiolo, a frittella, ecc. Il colore è giallo-bruno più o meno intenso in base alla quantità di cellule adipose presenti dentro la ghiandola [foto A, foto B]. Il grasso può avvolgerla parzialmente o completamente [foto C, foto D]. La dimensione è di 4-5 millimetri, potendo variare in relazione alla forma. Il peso di ogni ghiandola va da 30 a 50 milligrammi, a seconda del sesso e dell’età. Nello stesso soggetto le paratiroidi possono differire tra di loro per dimensione e peso: tutte le ghiandole non pesano più di 200 milligrammi (generalmente intorno a 140 mg)[3].
Figura A. Paratiroide normale
La freccia indica la ghiandola situata a ridosso del lobo tiroideo. Essa ha colore bruno intenso che contrasta con il giallo del tessuto adiposo sul quale poggia.
Figura B. Paratiroidi normali
In questa paziente le due paratiroidi hanno colore bruno chiaro e sono poco distinguibili dal tessuto adiposo.
Figura C. Paratiroide parzialmente coperta da grasso
Figura D. Paratiroide completamente coperta da grasso
Un sottile strato di tessuto adiposo ricopre la piccola paratiroide.
L’origine embriologica delle paratiroidi rende conto sia della loro sede di impianto sia delle non rare ectopie [foto E]. Le paratiroidi superiori nascono dalla quarta tasca branchiale assieme alla porzione laterale del lobo tiroideo ed alle cellule parafollicolari. Le inferiori prendono origine dalla terza tasca, assieme al timo. Le inferiori percorrono quindi un tragitto più lungo e, di conseguenza, hanno una posizione meno costante rispetto alle superiori. Queste ultime si trovano di norma sulla superficie posteriore del lobo tiroideo, a livello della porzione medio-superiore [foto F]. Le inferiori hanno invece una sede d’impianto più variabile, il più delle volte vicina al polo tiroideo inferiore o al di sotto di esso [foto G]. In circa l’80% dei casi esiste una simmetria di sede tra i due lati [2]. Nel 15-20% dei soggetti le paratiroidi, specie le inferiori, si trovano in sede ectopica che, in ragione della migrazione embriologica, può essere compresa tra la regione sottomandibolare e quella iuxtapericardica[4]. La sede ectopica delle ghiandole superiori sarà cervicale, mentre quella delle inferiori potrà essere cervicale o mediastinica. Le paratiroidi ectopiche posso trovarsi: sopra il polo tiroideo superiore, dietro il faringe o l’esofago, nella guaina del fascio giugulo-carotideo, all’interno della tiroide, nel cellulare tireo-timico, all’interno del timo [foto H], in sede mediastinica superiore o inferiore, ecc.
Figura E. Embriologia
Il percorso di migrazione più lungo delle paratiroidi inferiori rende conto della loro sede d'impianto più variabile.
Figura F. Sede della paratiroide superiore
La paratiroide superiore sinistra normale nella sua sede tipica
Figura G. Sede della paratiroide inferiore
La paratiroide inferiore sinistra normale subito al di sotto del polo tiroideo inferiore.
Figura H. Piccolo adenoma paratiroideo ectopico intra-timico
Il corno timico superiore è stato mobilizzato ed attratto fuori dal mediastino. Al suo interno traspare, per il colore più scuro, un piccolo adenoma accompagnato dal vaso nutritizio.
Le paratiroidi sono costituite da due tipi di cellule parenchimali[5][foto I]:
- cellule principali, di piccole dimensioni, sono in numero predominante e secernono il PTH,
- cellule ossifile, di dimensioni maggiori, sono ricche di mitocondri e hanno significato biologico incerto.
Le cellule chiare, considerate una variante delle principali, sono presenti normalmente nell’infanzia.
All’interno delle paratiroidi sono contenute anche cellule adipose in quantità inversamente proporzionale all’attività secretoria ghiandolare.
Figura I. Istologia della paratiroide normale
La freccia gialla indica le cellule principali e la freccia rossa quelle ossifile. Queste ultime sono più grandi per il loro abbondante citoplasma ricco di mitocondri.
Anatomia patologica
L’iperparatiroidismo primitivo può essere dovuto a
- adenoma (circa 85% dei casi, fra i quali multiplo nel 2-5%),
- iperplasia (circa 15% dei casi),
- carcinoma (< 1% dei casi).
Negli ultimi anni alcuni autori hanno riportato una maggiore incidenza dell’adenoma singolo (90%) e minore dell’iperplasia (6%) [6].
L’iperparatiroidismo secondario è invece sostenuto sempre dall’iperplasia.
L’adenoma è in genere di forma nodulare, capsulato, di dimensioni variabili [foto L, foto M]]. Il colore è più scuro rispetto alla ghiandola normale, di solito compreso tra il bruno-rossastro ed il rosso-vinoso. Esso è riccamente costituito da cellule principali, più raramente ossifile o chiare, con scarsa o minima presenza di cellule adipose. Talvolta in periferia è presente un orletto più chiaro costituito da tessuto paratiroideo normale compresso dalla neoplasia. Esso risulta determinante per porre la diagnosi differenziale con l’iperplasia, specialmente all’esame istologico estemporaneo. Quest’ultimo può incontrare notevole difficoltà nel distinguere tra natura paratiroidea e tiroidea di un nodo con estesa proliferazione di cellule ossifile.
Foto L. Piccolo adenoma paratiroideo
L'adenoma di 12 mm, di colore rosso scuro, è adeso al lobo tiroideo.
Foto M. Grosso adenoma paratiroideo
Nonostante le cospicue dimensioni la neoplasia ha caratteristiche macroscopiche di benignità, confermata dall'esame istologico.
L’iperplasia interessa tutte le ghiandole che, per il differente grado di coinvolgimento, raramente hanno la stessa dimensione, potendo una apparire di volume anche molto superiore alle altre. La proliferazione cellulare può essere di tipo diffuso o nodulare. Non è possibile distinguere istologicamente tra iperplasia primitiva e secondaria. La diagnosi differenziale intra-operatoria (macroscopica ed istologica estemporanea) tra iperplasia ed adenoma è in genere poco affidabile con l’esame di una sola ghiandola, a meno del riscontro dell’orletto di tessuto normale (vedi sopra). Tuttavia l’esame di un’altra paratiroide permette di differenziare la malattia multi-ghiandolare da quella uni-ghiandolare.
Il carcinoma ha il più delle volte grosse dimensioni, consistenza dura, ed è aderente alle strutture contigue. Le caratteristiche macroscopiche, la presenza di atipie cellulari, l’elevata attività mitotica non costituiscono criteri di certezza per la diagnosi differenziale tra carcinoma e adenoma. Sono invece criteri di certezza l’invasione dei vasi, della capsula, dei tessuti circostanti e la presenza di metastasi a distanza, in assenza dei quali si preferisce porre diagnosi di adenoma atipico[7].
Bibliografia
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Regolazione calcio, fosforo e magnesio
Alessandro Piovesan
Endocrinologia Oncologica, AO Città della Salute e della Scienza, Torino
CALCIO
Il calcio (Ca) è fondamentale per la regolazione di numerosi processi fisiologici. Nell’adulto, rappresenta da 1 a 2 Kg del peso corporeo, distribuito nei comparti intra- ed extra-cellulare (tab 1).
Tabella 1 Comparti e funzione del calcio nell’organismo |
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Forma | Localizzazione | Quantità (% del totale) |
Funzione | |
Extra-cellulare | Solubile | Comparto extra-cellulare | 1 g (0.1%) | Coagulazione Generazione di chinine Regolazione del potenziale di membrana cellulare Esocitosi Contrattilità neuromuscolare e trasmissione nervosa |
Insolubile | Ossa e denti | 2 kg (99%) | Protezione e integrità strutturale Motilità Deposito |
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Intra-cellulare | Solubile | Citosol, Nucleo | 0.2 mg | Potenziali di azione Contrattilità e motilità Regolazione metabolica Funzioni del citoscheletro Divisione cellulare Secrezione |
Insolubile | Membrane cellulari Reticolo endoplasmatico Mitocondri Altri organelli |
9 g (0.9%) | Integrità strutturale Deposito |
Lo scheletro è il principale deposito di Ca extra-cellulare dell’organismo. Circa il 70% del peso dello scheletro è dato dai cristalli di idrossi-apatite, insolubili (parte inorganica), che garantiscono le funzioni di supporto, protezione e mobilità. La restante parte dello scheletro (organica) è costituita da collagene, proteine strutturali non collagene (proteoglicani, sialoproteine, osteocalcina, α2HS-glicoproteine) e cellule.
Il Ca extra-cellulare solubile (< 0.1% del totale) è fondamentale per la regolazione di molti processi fisiologici (tab 1). La tabella 2 ne mostra le diverse frazioni riferite ad una calcemia totale di 10 mg/dL (1-4).
Tabella 2 Frazioni del calcio extra-cellulare solubile |
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Non diffusibile: 3.5 mg/dL | Legato a albumina: 2.8 mg/dL Legato a globuline: 0.8 mg/dL |
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Diffusibile: 6.5 mg/dL | Ionizzato: 5.3 mg/dL | |
Complessato: 1.2 mg/dL | Bicarbonato: 0.6 mg/dL Citrato: 0.3 mg/dL Fosfato: 0.2 mg/dL |
I livelli sierici di Ca ionizzato (0.1% del totale) sono mantenuti in uno stretto intervallo, ottimale per lo svolgimento delle funzioni fisiologiche, attraverso una complessa regolazione metabolica ed ormonale.
Il Ca intra-cellulare è circa l’1% del totale: la componente solubile è presente nel citosol e nel nucleo, mentre quella insolubile contribuisce alla stabilità di membrane cellulari, reticolo endoplasmatico, mitocondri e granuli intra-cellulari e funge da deposito intra-cellulare. Anche il Ca intra-cellulare, è mantenuto a concentrazioni stabili attraverso la regolazione fine degli scambi intra- ed extra-cellulari con meccanismi di trasporto attivi e passivi (3,4).
FOSFORO
Il P (da 600 a 1000 g nell’organismo) è distribuito in maniera diffusa ed è essenziale per molte funzioni biologiche.
Circa il 65% del totale è contenuto nello scheletro come idrossi-apatite, mentre il 15% è nel comparto extra-scheletrico (fosfoproteine, fosfolipidi, acidi nucleici).
La concentrazione plasmatica di P (2.5-4.5 mg/dL) è controllata in maniera meno fine della calcemia ed è maggiormente influenzata dal contenuto di P nella dieta (5-6).
MAGNESIO
Il magnesio è il quarto catione nell’organismo ma il secondo catione intra-cellulare (6-8).
È essenziale per molti processi cellulari: interviene nel metabolismo proteico, nella glicolisi, nella fosforilazione ossidativa, nel metabolismo del DNA e nella stabilizzazione dell’RNA; è essenziale per i processi energetici intra-cellulari ATP-dipendenti, anche a livello mitocondriale; inibisce il rilascio di acetil-colina controllando la trasmissione neuro-sinaptica e interferisce con il rilascio di catecolamine dalla midollare surrenalica, modulando la risposta allo stress.
L’organismo adulto contiene circa 25 g di Mg, il 60% dei quali nello scheletro, il 20% nei muscoli e il 20% nei tessuti molli. Quasi tutto il Mg è presente all’interno delle cellule o nel tessuto osseo, mentre solo l’1% è circolante: il 33% del Mg è legato all’albumina, il 12% complessato con anioni e il 55% in forma libera, ionizzata e filtrabile a livello glomerulare.
I livelli sierici di Mg sono mantenuti tra 1.7 e 2.1 mg/dL, attraverso la regolazione di riassorbimento ed escrezione renale oltre che dell’assorbimento intestinale. La mobilizzazione del Mg dalle riserve scheletriche può richiedere settimane visto che il sistema di controllo ormonale sul metabolismo del Mg è poco efficiente.
Assorbimento intestinale
Il Mg è assorbito principalmente nell’intestino tenue, sia con sistemi di trasporto saturabili sia attraverso diffusione passiva. L’assorbimento dipende dall’introito alimentare: può variare dall’80% (in carenza di Mg) al 25% (dieta ricca in Mg): in media è del 35-40%. Una dieta ricca in calcio riduce l’assorbimento del Mg, mentre PTH, vitamina D e glucocorticoidi sembrano favorirne l’assorbimento intestinale.
Escrezione renale
Circa l’80% del Mg circolante è filtrato a livello glomerulare; dal 15 al 25% viene poi riassorbito passivamente nel tubulo prossimale.
La maggior parte (60-70%) del Mg è riassorbito nella parte ascendente delll’ansa di Henle, attraverso un meccanismo di diffusione passiva regolato dal gradiente elettrico che crea, nel lume, un voltaggio positivo attraverso 2 processi: riassorbimento attraverso il co-trasportatore Na-K-2Cl e riassorbimento di NaCl con riciclo dell’HCl, facilitato da 2 proteine di membrana, le claudine 16 e 19. Mutazioni di queste proteine causano l’ipomagnesiemia familiare con ipercalciuria e nefrocalcinosi.
Nel tubulo distale, il riassorbimento del 5-10% del Mg filtrato avviene attraverso un trasportatore attivo di membrana (TRPM6), le cui mutazioni inattivanti sono causa dell’ipomagnesiemia con ipocalcemia secondaria. TRPM6 è regolato da EGF, pertanto l’impiego di farmaci inibenti EGF (cetuximab e panitumumab) si accompagna ad un elevato rischio di ipomagnesiemia. L’ipermagnesiemia inibisce il riassorbimento tubulare nell’ansa ascendente, mentre l’ipomagnesiemia lo favorisce: l’escrezione frazionale urinaria del Mg può passare dal fisiologico 3-5% fino allo 0.5%. L’ipercalcemia aumenta l’escrezione urinaria di Mg, inibendone il riassorbimento con un meccanismo mediato dalle claudine 16 e 19. Nell’alcalosi metabolica il riassorbimento di Mg è aumentato, mentre tanto l’acidosi che l’ipokaliemia e la deplezione di fosfati inibiscono il riassorbimento di Mg. L’impiego cronico di diuretici tiazidici aumenta l’escrezione urinaria di Mg attraverso un co-trasportatore sensibile alla loro azione (NCC).
Controllo ormonale
La mancanza di un efficiente controllo ormonale dei livelli di Mg circolanti (PTH, calcitonina, glucagone, vasopressina e gli agonisti ß-adrenergici hanno un ruolo marginale) limita la risposta alle variazioni dei livelli di magnesiemia. In caso di bilancio negativo del Mg, la mobilizzazione del catione dai depositi scheletrici avviene dopo settimane.
LA REGOLAZIONE METABOLICA DI CALCEMIA, FOSFOREMIA E MAGNESIEMIA
I livelli circolanti di calcio sono mantenuti in un ristretto intervallo attraverso un complesso controllo metabolico, che coinvolge:
- l’assorbimento intestinale;
- l’escrezione e il riassorbimento renale, regolati indirettamente dai livelli plasmatici del paratormone (PTH), attraverso la vitamina D;
- il riassorbimento osseo, attraverso l’attivazione degli osteoclasti mediata dagli osteoblasti.
I livelli circolanti di P e Mg sono controllati meno rigidamente: assorbimento intestinale ed escrezione renale sono fasi essenziali ma anche l'adeguata assunzione per os di entrambi risulta fondamentale
Ruolo dell’intestino
Si considera adeguato un apporto di Ca di circa 1 g/die, quota che può aumentare in particolari condizioni fisiologiche (accrescimento, gravidanza, allattamento, menopausa).
L’assorbimento di circa il 50% del calcio introdotto con l’alimentazione avviene nell’intestino:
- a livello ileale, con meccanismi di trasporto passivo determinati dal gradiente osmotico tra lume intestinale e torrente circolatorio;
- nel piccolo intestino, attraverso trasporto attivo vitamina D-dipendente (3,4,8).
Figura 1. Scambi di calcio fra i diversi compartimenti
L'apporto raccomandato (RDA) di P è circa di 800 mg/die: il 60-80% viene assorbito, distalmente al duodeno, con meccanismi di trasporto passivo e attivo, in parte dipendenti da Ca e in parte controllati dal calcitriolo. La quota escreta nelle feci è costituita da P non assorbito e da P secreto dagli enterociti (3-5).
E’ stimato che l’apporto ottimale di Mg sia di 320-420 mg/die, di cui ne viene assorbito circa il 40% lungo tutto il tratto gastro-enterico, ma principalmente nel duodeno e nel digiuno attraverso meccanismi di trasporto passivo. L’assorbimento di Mg dipende direttamente dai livelli di Mg circolante e indirettamente dalla regolazione dell’assorbimento di Ca (4,8).
L’assorbimento intestinale di Ca, P e Mg introdotti con l’alimentazione è incompleto: nel lume intestinale si possono formare sali insolubili (ossalato di calcio, fosfato di calcio e fosfato di magnesio), inoltre sono necessari adeguati livelli di 1,25(OH)2-vitamina D (calcitriolo) perché Ca, P e, in maniera indiretta, anche Mg siano efficacemente assorbiti. Una quota di Ca, P e Mg viene attivamente secreta nel lume intestinale durante il processo digestivo ed escreta nelle feci (2-10).
Ruolo del rene
Il ruolo essenziale svolto dal rene nell’omeostasi del Ca è evidente se si considera che, a fronte dei 500 mg assorbiti a livello intestinale, ogni giorno vengono filtrati e riassorbiti dal rene oltre 10.000 mg, di cui solo 200 mg sono escreti nelle urine. Nel tubulo prossimale viene riassorbito circa il 65% del Ca filtrato e in quello distale circa il 5%, con meccanismi di scambio Na-Ca, indipendenti dal PTH. Il PTH agisce invece direttamente sul 25-30% del Ca filtrato, attraverso l’attivazione di adenilato-ciclasi, nel tubulo distale e nel segmento di connessione e attraverso fosfolipasi, nel tubulo prossimale. Oltre a ridurre l’escrezione renale di calcio (e di conseguenza la calciuria), il PTH attiva l’1α-idrossilasi, promuovendo la sintesi di calcitriolo (9,10).
Figura 2 (modificata da 10). Regolazione dell'omeostasi di Ca e vitamina D. La riduzione di Ca stimola la produzione di PTH che promuove il riassorbimento osseo (blu) e aumenta la formazione di calcitriolo (nero). Il calcitriolo stimola l'assorbimento intestinale, il riassorbimento renale e il rilascio dall'osso di Ca (verde), e inizia il feed-back negativo per evitare l'ipercalcemia (rosso)
Il ruolo del rene è fondamentale anche per l’omeostasi del P e del Mg (8).
Il riassorbimento renale è il principale meccanismo di regolazione dei livelli plasmatici di P. La capacità di riassorbimento, espressa attraverso la soglia massima di riassorbimento del fosfato in rapporto al filtrato glomerulare (TMP/VFG), nella pratica clinica, si ricava a partire da P, creatinina sierici e fosfaturia. Oltre il 90% del P circolante è filtrato a livello renale: circa l’80% è riassorbito nel tubulo convoluto prossimale. L’introito dietetico e il PTH sono i principali regolari dei livelli di P circolante. Il PTH riduce il riassorbimento di P inibendo il cotrasporto Na-P; il calcitriolo d’altra parte, riduce l’escrezione urinaria di P. Se l’introito dietetico di P e, di conseguenza, la fosforemia si riducono, vengono incrementate espressione genica e sintesi dei cotrasportatori Na–P e di calcitriolo: viene così inibita l’escrezione urinaria di P e ne risalgono i livelli plasmatici. Insulina e GH incrementano il riassorbimento prossimale del fosfato, mentre i glucocorticoidi hanno un effetto fosfaturico (8-10,12). Il FGF-23 promuove l’escrezione renale di P e ne riduce l’assorbimento intestinale (12,13).
L’escrezione urinaria di Mg segue un ritmo circadiano, essendo massima nelle ore notturne: circa il 20% del magnesio circolante è filtrato a livello glomerulare e dal 50 al 60% del totale è riassorbito nell’ansa ascendente. L’ipomagnesiemia è implicata nella patogenesi di molte malattie croniche, quali diabete e ipertensione arteriosa, oltre che nella ridotta secrezione di PTH (10,12).
Figura 3 (modificata da 12)
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PTH, calcitonina, vitamina D e FGF-23
Gregorio Guabello
Ambulatorio di Patologia Osteo-Metabolica, UO Reumatologia, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi; Ambulatorio di Endocrinologia Oncologica, IRCCS Ospedale San Raffaele; Milano
(aggiornato al 16 luglio 2019)
Gli ormoni fisiologicamente coinvolti nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico sono classicamente tre: paratormone (PTH), calcitonina (CT) e calcitriolo (1,25-di-idrossi-colecalciferolo).
Paratormone
Il paratormone (PTH), secreto dalle paratiroidi, è il principale regolatore ormonale diretto e indiretto (attraverso il calcitriolo) dei livelli di Ca e P circolante. Ca e P, a loro volta, influenzano l’assorbimento intestinale di Mg; livelli plasmatici adeguati di Mg, infine, sono indispensabili per la secrezione di PTH.
Il PTH è un polipeptide di 84 aminoacidi, con breve emivita (circa 2 min), rimosso dal circolo a livello epatico, renale e scheletrico. Il frammento NH terminale (1-34) è quello biologicamente attivo. Il PTH esercita il suo effetto, legandosi a uno specifico recettore di membrana, accoppiato a proteine G. La secrezione di PTH aumenta in risposta all’ipocalcemia e viene inibita dall’ipercalcemia, seguendo una curva sigmoidale, in cui, a minime variazioni della calcemia corrispondono ampie variazioni nella secrezione di PTH. L’ipomagnesiemia protratta riduce la sintesi e la secrezione del PTH.
L’azione a livello osseo è sugli osteoblasti, dove stimola la secrezione di RANK-L (Receptor Activator of Nuclear Factor kappa-B Ligand) e inibisce la secrezione di OPG (osteoprotegerina). In questo modo attiva il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti: RANK-L interagisce con il recettore RANK presente sulla superficie dei pre-osteoclasti, determinandone la maturazione, l’attivazione e la proliferazione in osteoclasti maturi. Livelli cronicamente elevati di PTH promuovono il riassorbimento osseo, prevalentemente corticale quale si osserva nell’iperparatiroidismo, cui consegue un rialzo della calcemia, mentre livelli appena modestamente elevati sembrano avere un effetto di stimolo dell’attività osteoblastica.
A livello renale stimola il riassorbimento tubulare di calcio e l’enzima 1-alfa-idrossilasi (responsabile dell’attivazione della vitamina D, cioè della trasformazione della 25OHD3 in 1,25OHD3, che rappresenta la forma biologicamente attiva) e inibisce il riassorbimento tubulare di fosfato, attraverso il blocco del co-trasportatore sodio-fosforo IIa e IIc, con conseguente effetto fosfaturico (1).
Calcitonina
È un polipeptide di 32 aminoacidi secreto dalle cellule para-follicolari o cellule C o cellule chiare della tiroide, in base alle variazioni della calcemia sul CaSR (Calcium Sensing Receptor). Ha un ruolo biologico non chiaro e poco influisce sui livelli di calcio. La sua azione ipocalcemizzante, di inibizione dell’attività osteoclastica e di antagonista del PTH, è importante in alcune specie animali (pesci e rettili), ma non nell’uomo, in cui la scarsa attività biologica dell’ormone è testimoniata da fatto che la tiroidectomia totale e il carcinoma midollare della tiroide non influenzano in modo significativo i livelli di calcemia (1).
Calcitriolo (2,3)
La vitamina D ha un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo di calcio, fosforo e, in misura minore, del magnesio; oltre all’assunzione per via alimentare, attraverso l’ingestione di cibi (latticini e pesci grassi) ricchi di ergocalciferolo (vitamina D2) e colecalciferolo (vitamina D3), deriva dalla foto-attivazione a livello cutaneo del 7-deidrotachisterolo in pre-vitamina D3, a sua volta rapidamente convertita in colecalciferolo. Il colecalciferolo viene rapidamente idrossilato in posizione 25 a livello epatico da uno specifico enzima citocromo p450-dipendente (CYP21R1). La 25OH-D3, pro-ormone i cui livelli ematici sono espressione della replezione di vitamina D nell’organismo, viene quindi idrossilata, principalmente a livello renale, da parte della 1-alfa idrossilasi (CYP27B1) e trasformata in calcitriolo (1,25-D3), ormone attivo con propri recettori nucleari (VDR). La 1alfa-idrossilasi è regolata, a livello genico, in senso attivante da parte del PTH e in senso inibente dal FGF-23 e dallo stesso calcitriolo. Questo feed-back inibitorio sembra particolarmente importante nella regolazione delle 1alfa-idrossilasi extra-renali (muscolari, macrofagiche, fibroblastiche). Elevati livelli di PTH promuovono una notevole conversione di 25OH-D3 in calcitriolo. La 25OH-D3 può essere idrossilata in 24 da uno specifico enzima (CYP24A1 o CYP24), trasformandosi così in una forma con ridotta attività biologica. Tali enzimi, presenti a livello renale ed extra-renale, modulano gli effetti biologici della vitamina D: la loro attività è massima negli organi bersaglio in cui si esprime l’azione del calcitriolo (10-11).
Il calcitriolo agisce principalmente a livello intestinale, dove stimola l’assorbimento di calcio a livello del digiuno e dell’ileo attraverso la sintesi di calbindina (una proteina intestinale con 4 siti di legame per il calcio), e di fosfato attraverso il co-trasportatore sodio-fosforo IIb. In assenza di vitamina D, sono assorbiti il 10-15% del calcio e il 60% del fosforo contenuti nella dieta, che aumentano rispettivamente al 40-60% e 80% in presenza di vitamina D.
Sebbene siano stati dimostrati recettori per la vitamina D sugli osteoblasti, non è ancora del tutto definita un’azione diretta a livello scheletrico del calcitriolo: si è ipotizzata una regolazione positiva sull’osteoclastogenesi attraverso la stimolazione di RANK-L e l’inibizione della sintesi di osteoprotegerina, ma anche un’azione sull’attività osteoblastica.
A livello renale stimola il riassorbimento tubulare prossimale di calcio e fosfato e inibisce l’azione dell’1α-idrossilasi renale, modulandone l’attività.
A livello paratiroideo inibisce la sintesi e la secrezione di PTH direttamente, attraverso specifici recettori, e indirettamente, incrementando la calcemia e favorendo l’espressione di VDR e CaSR.
Le azioni non classiche (extra-scheletriche) della vitamina D (attivazione della 1alfa-idrossilasi PTH-indipendente) avvengono a livello:
- muscolare: incremento del diametro e del numero delle fibre muscolari di tipo II;
- pancreatico: potenzia la secrezione insulinica e migliora l’insulino-sensibilità;
- cellule immuno-competenti (macrofagi e linfociti): modula la risposta immune a patogeni e a insulti ripetuti.
Tabella 1 Ormoni fisiologicamente coinvolti nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico |
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Osso | Rene | Intestino | |
PTH | Stimola il riassorbimento di calcio e fosforo | Stimola il riassorbimento di calcio Attiva 1-alfa-idrossilasi (conversione di 25OHD3 in 1,25OHD3) Inibisce il riassorbimento di fosfato |
- |
CT | Azione poco rilevante | Azione poco rilevante | - |
Calcitriolo | Modulazione non definita | Stimola il riassorbimento di calcio e fosforo | Stimola l’assorbimento di calcio e fosforo |
CaSR
Un ruolo centrale nella regolazione dell’omeostasi calcica ha il calcium sensing receptor, presente sulla membrana plasmatica di molte cellule dell’organismo, ove funge da “sensore” dei livelli plasmatici di calcio. In particolare, il calcio presente nel sangue attraverso il CaSR entra:
- nella cellula paratiroidea, dove esercita un feed-back negativo sulla secrezione di PTH;
- nella cellula del tubulo renale (tratto ascendente dell’ansa di Henle), dove inibisce il riassorbimento tubulare del calcio;
- negli osteoclasti, di cui inibisce la differenziazione e l’attivazione.
I polimorfismi del gene CaSR rendono ragione, in parte, della variabilità individuale nelle concentrazioni sieriche di calcio, mentre le mutazioni inattivanti sono alla base di alcune condizioni di ipercalcemia (FHH o iperparatiroidismo neonatale) (1).
Asse FGF23-Klotho
L’FGF-23 (fibroblast growth factor 23) è una glicoproteina, appartenente alla classe delle fosfatonine, prodotta in sede intra-ossea dagli osteociti e dagli osteoblasti, la cui secrezione è stimolata da numerosi fattori esogeni ed endogeni: PTH, carico di fosforo alimentare, vitamina D attiva, deficit di Klotho, asse renina-angiotensina-aldosterone, sideropenia, infiammazione e ipossia (4). FGF-23 si lega a un “signaling complex”, composto dal co-recettore α-Klotho e dal recettore per il FGF-23.
Le azioni renali di FGF-23 (Klotho-dipendenti) sono ormai note e ben definite: ha la stessa azione del PTH sul riassorbimento tubulare (blocco del co-trasportatore sodio-fosforo IIa e IIc con conseguente effetto fosfaturico) e azione opposta al PTH sull’attivazione della vitamina D (inibizione dell’attività della 1-alfa-idrossilasi renale e up-regolazione dell’attività della 24-idrossilasi, con ridotta sintesi di calcitriolo e conseguente riduzione dell’assorbimento intestinale di fosforo attraverso il co-trasportatore sodio-fosforo IIb). FGF-23 stimola inoltre il riassorbimento di calcio e sodio nel tubulo contorto distale, attraverso la up-regolazione rispettivamente del canale del calcio (TRPV5) e del co-trasportatore sodio/cloro (NCC) e inibisce la secrezione di eritropoietina (4).
Alfa-Klotho è considerato un gene anti-invecchiamento (induce resistenza allo stress ossidativo nelle cellule vascolari endoteliali, nei macrofagi della parete vasale e nelle cellule di polmone, fegato e cervello) e anti-cancro (inibisce le vie di segnale di insulina/IGF-I e di WNT-ßcatenina), è espresso a livello di diverse cellule dell’organismo (cellule del tubulo renale, cellule paratiroidee, cellule del plesso coroideo) ed è un promotore/co-recettore di membrana per l’interazione fra FGF-23 e il suo recettore (4).
Tabella 2 Fattori che influenzano il riassorbimento di fosforo nel tubulo contorto prossimale |
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Fattori che riducono il riassorbimento | PTH FGF-23 Acidosi Elevato apporto dietetico di fosforo Peptide natriuretico atriale Cortisolo Dopamina |
Fattori che aumentano il riassorbimento | Alcalosi Basso apporto dietetico di fosforo Ipoparatiroidismo Ormone tiroideo 1,25OHD3 GH-IGF-I |
Meno note sono le implicazioni fisiopatologiche di FGF-23 nella malattia renale cronica: con il progressivo deterioramento della funzione glomerulare, alla ritenzione di fosforo corrisponde un aumento consensuale di FGF-23 da parte dell’osso; i livelli plasmatici di FGF-23 iniziano ad aumentare già per valori di eGFR compresi tra 60 e 90 mL/min (rialzo molto precoce con valori fino a 1000 volte nella malattia renale cronica avanzata), mentre la fosforemia, che rimane entro il range di normalità negli stadi iniziali dell’insufficienza renale, inizia ad aumentare in modo significativo solo per valori di eGFR < 30 mL/min. Nell’insufficienza renale cronica si rendono evidenti le azioni extra-renali di FGF-23, che possono essere dipendenti e/o indipendenti da Klotho:
- effetti Klotho-indipendenti (azione recettoriale di FGF-23 che non richiede la presenza del co-recettore di membrana) (5) si esplicano a livello dei seguenti organi:
- cuore: ipertrofia dei miociti del ventricolo sinistro, in particolare FGF-23 e angiotensina II stimolano un cross-talk pro-ipertrofico e pro-fibrotico tra miociti e fibroblasti del tessuto muscolare cardiaco;
- fegato, con aumento della sintesi di citochine pro-infiammatorie;
- effetti Klotho-dipendenti si esplicano a livello dei seguenti organi:
- sistema nervoso centrale: deterioramento cognitivo, in particolare FGF-23 determina un’alterazione della morfologia neuronale e della densità sinaptica a livello cerebrale;
- sistema immunitario: deterioramento delle difese, in particolare FGF-23 determina inibizione della 1-alfa-idrossilasi nei monociti/macrofagi e inibizione del reclutamento/chemiotassi dei granulociti neutrofili;
- sistema vascolare: disfunzione endoteliale, aterosclerosi e calcificazioni vascolari, in particolare FGF-23 è in grado di modulare in senso negativo il bilancio fra ossido nitrico e radicali liberi dell’ossigeno (5).
Le suddette azioni extra-renali di FGF23, insieme all’iper-fosforemia, rendono ragione dell’aumentata mortalità del paziente affetto da malattia renale avanzata, legata all’aumentata incidenza di complicanze metaboliche e cardio-vascolari (5).
Da ultimo, è noto che da alfa-Klotho di membrana, per clivaggio endo-proteolitico del dominio extra-cellulare, si forma alfa-Klotho solubile circolante, che può essere a sua volta considerato un vero e proprio ormone con azione beta-glicosidasica, il cui recettore è rappresentato verosimilmente da monosialogangliosidi di membrana e il cui effetto biologico è rappresentato da una complessa e fine regolazione di canali/trasportatori ionici di membrana. In relazione all’omeostasi del fosforo, alfa-Klotho solubile circolante determina, al pari di FGF-23, un’inibizione del co-trasportatore sodio-fosforo IIa, con un effetto fosfaturico che è FGF-23 e PTH-indipendente. Alfa-Klotho solubile circolante esplica inoltre un effetto di cardio-protezione, mediato dalla down-regulation del canale cardiaco del calcio (TRPC6), che a sua volta media la genesi dell’ipertrofia cardiaca. Nella malattia renale cronica, già per valori di eGFR < 90 mL/min, si assiste a un progressivo decremento di alfa-Klotho circolante, che in questa tipologia di pazienti rappresenta un fattore di rischio per mortalità cardio-vascolare, indipendente dall’iperfosforemia e dagli elevati valori di FGF-23 (6).
Bibliografia
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- Lieben L, Carmeliet G, Masuyama R. Calcemic actions of vitamin D: effects on the intestine, kidney and bone. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2011, 25: 561-72.
- Holick MF. Vitamin D deficiency. N Engl J Med 2007, 357: 266-81.
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- Takashi Y, Fukumoto S. FGF23 beyond phosphotropic Hormone. Trends Endocrinol Metab 2018, 29: 755-67.
- Dalton GD, Xie J, An SW, Huang CL. New insights into the mechanism of action of soluble Klotho. Front Endocrinol (Lausanne) 2017, 8: 323.
Diagnostica biochimica e ormonale per le malattie delle paratiroidi
Marco Caputo1, Daniela Bosco2 & Andrea Frasoldati3
1UOC Laboratorio Analisi cliniche e Microbiologia, Azienda USL 9 Scaligera, Verona, Regione Veneto
2UODS di Endocrinologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma
3SC di Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
(aggiornato al 2 maggio 2017)
La Medicina di Laboratorio deve fornire le informazioni cliniche essenziali all’inquadramento diagnostico e al monitoraggio terapeutico delle alterazioni delle paratiroidi.
PTH
La determinazione dei livelli sierici del PTH non ha alcun significato clinico senza la contemporanea deterrminazione della calcemia.
Valutazione associata dei livelli di PTH e calcemia | ||
PTH | Calcemia | Patologia |
Aumentato | Aumentata | Iperparatiroidismo primitivo |
Aumentato | Normale | Iperparatiroidismo secondario Iperparatiroidismo primitivo normocalcemico |
Aumentato | Diminuita | Iperparatiroidismo secondario |
Normale/diminuito | Diminuita | Ipoparatiroidismo |
Diminuito/normale | Aumentata | Ipercalcemia neoplastica |
Per il ruolo chiave svolto nell'omeostasi del calcio, il dosaggio del PTH risulta utile nello studio di tutte le ipercalcemie e ipocalcemie. Inoltre, consente la valutazione della funzionalità delle paratiroidi in corso di insufficienza renale e nelle alterazioni del metabolismo minerale ed osseo. Un’aumentata concentrazione si riscontra in tutte le condizioni di iperfunzionalità ghiandolare. La riduzione della concentrazione plasmatica è dovuta a compromissione anatomo-funzionale delle ghiandole o a inibizione della secrezione in risposta a noxae esterne da parte di un asse conservato.
Occorre per completezza ricordare che numerosi fattori (es. età, sesso, etnia, BMI) possono esercitare un certo grado di influenza sui livelli di PTH: valori di PTH mediamente più elevati si osservano, infatti, nei soggetti anziani, nel sesso femminile, negli individui afro-americani e negli obesi.
Gli intervalli di riferimento in un soggetto adulto sono compresi tra 10-65 ng/L.
PTH intra-operatorio
La brevissima emivita del PTH circolante (< 5') consente di utilizzare il dosaggio intra-operatorio della molecola come guida alla completezza della exeresi chirurgica degli adenomi in caso di iperparatiroidismo primitivo (1) e facilitare un approccio minimamente invasivo anche a beneficio degli esiti estetici dell'intervento. Mediante una modifica del metodo originale, finalizzata a velocizzare le incubazioni a scapito della sensibilità a basse concentrazioni, si procede al dosaggio del PTH plasmatico intatto prima e dopo 5’ e 10’ dall’escissione chirurgica. Si ritiene conferma di successo una riduzione di concentrazione ≥ 50% del valore di base. La procedura analitica non supera i 20'. Per l’affidabilità complessiva è estremamente importante standardizzare i protocolli strumentali e i comportamenti operativi delle equipe coinvolte.
Calcio
Il dosaggio della concentrazione del calcio totale nel siero o plasma rappresenta la somma di tre componenti:
- calcio legato alle proteine
- calcio complessato
- calcio libero.
La calcemia totale, che è il parametro misurato di routine dalla stragrande maggioranza dei laboratori, costituisce normalmente un indicatore attendibile della disponibilità del calcio libero, con cui si trova in equilibrio. La calcemia totale può essere eseguita senza problemi su un campione prelevato per un profilo biochimico di primo livello. Tuttavia, sono consigliabili alcune precauzioni:
- effettuare la determinazione su un campione prelevato al mattino, a digiuno e da seduti, perchè la calcemia totale presenta un ritmo circadiano che riflette le variazioni dell’albuminemia e i cambiamenti di postura;
- evitare la stasi venosa da laccio emostatico (pseudoipercalcemia);
- richiedere nei casi dubbi tre determinazioni in tre giorni consecutivi.
I livelli sierici inoltre variano in relazione all’età.
Valori normali di calcemia in relazione all’età | ||
mg/dL | mmol/L | |
Adulto | 8.5 - 10.2 | 2.12 - 2.55 |
Bambino | 9 - 11 | 2.25 - 2.75 |
La quantità di calcio legato è direttamente proporzionale alla quantità di proteine. La calcemia totale subisce variazioni parallele alla concentrazione proteica, ma è importante ricordare che la concentrazione della frazione fisiologicamente attiva di calcio resta inalterata. Per mitigare gli effetti sul calcio totale di un’anomala concentrazione proteica, sono state proposte e introdotte nella pratica alcune formule matematiche, che hanno trovato vasta applicazione. Ad esempio:
Calcemia corretta = calcemia misurata (mg/dL) + [0.8 x (4-albuminemia (g/dL)].
Una formula alternativa è la seguente:
Calcemia corretta = calcemia misurata (mg/dL) /[0.6 + (Proteinemia totale (g/dL)/8.5)]
Va ricordato però che variazioni consistenti, quali le iperglobulinemie delle gammopatie monoclonali o le severe ipoalbuminemie, rendono estremamente discutibile l’attendibilità di tali formule. Questa limitazione deve essere tenuta presente, soprattutto nel paziente critico (2). In questi casi è opportuno ricorrere alla misura diretta del calcio libero, detto anche "ionizzato" (3). Il termine "ionizzato" è un misnomero, in quanto tutto il calcio presente nell'organismo, anche quello complessato, è in forma ionizzata. Oggi la determinazione del calcio libero è eseguibile di routine sulla maggior parte degli strumenti di emogasanalisi.
Il pH ematico è un determinante maggiore della proporzione di legame del calcio alle proteine: in condizioni di acidosi (pH diminuito) il legame con le proteine diminuisce, pertanto aumenta la frazione ionizzata. La causa principale è la competizione tra ioni idrogeno e ioni calcio per gli stessi siti di legame. Per dare un’idea delle dimensioni dell’effetto, ogni diminuzione di pH di 0.1 unità fa aumentare la frazione ionizzata di 0.05 mmol/L. Dato che si tratta di un semplice spostamento da una frazione all’altra, la concentrazione del calcio totale non risulterà alterata, pur in presenza di una variazione che può avere significativa conseguenze cliniche. Ecco perché anche in questi pazienti l’esame più appropriato è la misura diretta del calcio libero. Quest’ultimo si è dimostrato più accurato del calcio totale nel riflettere il reale stato metabolico nell’iperparatiroidismo lieve e in altre patologie, come l’insufficienza renale.
L’ipercalcemia, definita da valori di calcemia totale > 2.62 mmol/L (10.5 mg/dL), si incontra in clinica più spesso dell’ipocalcemia (4); le condizioni che ne determinano l'insorgenza sono essenzialmente due: l'iperparatiroidismo primitivo (oltre il 50% delle ipercalcemie) e le neoplasie solide. Una delle principali cause dell’ipercalcemia neoplastica è la secrezione da parte delle cellule tumorali di una proteina denominate peptide correlato al paratormone (PTHrP), che ha in comune con il PTH la proprietà di aumentare la calcemia per incremento del riassorbimento osseo e riduzione della calcio-escrezione, mentre, al contrario del PTH, non risente di feed-back negativo dalla concentrazione ematica del calcio ionizzato. Il dosaggio di PTHrP non è raccomandato e, in ogni caso, non è normalmente disponibile presso i laboratori ospedalieri. Presi insieme, iperparatiroidismo primitivo e neoplasia costituiscono oltre il 90% delle cause di ipercalcemia. Residue diagnosi differenziali si pongono con l’insufficienza renale cronica, l’ipertiroidismo, la sarcoidosi, la tubercolosi.
La causa più frequente di ipocalcemia, [calcemia < 2.10 mmol/L, (8.5 mg/dL)] è l’insufficienza renale, ma subito dopo si trova l’ipoparatiroidismo, quasi sempre iatrogeno, raramente autoimmune, seguito dal deficit grave di vitamina D (5).
Determinazione del calcio libero. In ambito clinico, la sua misurazione, oltre ad essere sempre raccomandata nel paziente critico, può essere utile nella diagnostica differenziale non emergenziale dei quadri di iper- ed ipocalcemia. Infatti, diverse condizioni quali l’ipoparatiroidismo, il rachitismo vitamina D-dipendente, l’insufficienza renale, l’ipoalbuminemia o l’ipovitaminosi D, possono causare ipocalcemia totale, ma soltanto l'ipoparatiroidismo e/o l'alcalosi sono in grado di causare una diminuzione del calcio libero. Analogamente, diverse patologie possono causare ipercalcemia, ma solo iperparatiroidismo primitivo, neoplasie maligne e/o acidosi aumentano la concentrazione del calcio libero.
Valori normali di calcemia libera in relazione all’età | ||
mg/dL | mmol/L | |
Adulto | 4.1 - 5.3 | 1.02 - 1.32 |
Bambino | 4.8 - 4.92 | 1.2 - 1.23 |
Calciuria
Sul piano clinico, la determinazione della calciuria trova applicazione nelle diagnosi differenziali dell’ipocalcemia/ipercalcemia, nel sospetto di tubulopatie e nella valutazione dell’assorbimento intestinale.
L’escrezione urinaria di calcio è classicamente valutata dosando il calcio nelle urine delle 24 h. La raccolta delle urine delle 24 ore, fastidiosissima per il paziente, è spesso inattendibile per la difficoltà a raccogliere l’intero volume, la necessità di acidificare le urine per evitare la precipitazione dei sali di calcio, e la difficoltà di interpretare i risultati, dato che gli intervalli di riferimento sono strettamente dieta-dipendenti. Nell’eseguire tale valutazione, occorre ricordare che la calciuria varia fisiologicamente in rapporto all’età e al sesso. Inoltre, nel valutare i livelli di calciuria, è importante un’attenta anamnesi farmacologica: i pazienti in trattamento con diuretici dell’ansa possono presentare un’ipercalciuria conseguente alla natriuresi secondaria al farmaco. Nella pratica clinica, i problemi più frequenti, comunque, derivano dalla scarsa accuratezza della raccolta. Il metodo corretto consiste nello scartare le urine dell’ora di inizio della raccolta e nel conservare le urine dell’ora di chiusura delle 24 ore. Un fattore importante ma spesso sottovalutato nell'interpretazione del risultato della calciuria è la concomitante escrezione urinaria di sodio. Una sodiuria normale in pazienti con aumentata escrezione urinaria di calcio caratterizza la cosiddetta "dispersione renale di calcio", condizione in grado di provocare un’aumentata secrezione di PTH, ma che può essere corretta da somministrazione di diuretici tiazidici e non va confusa con l'iperparatiroidismo normocalcemico, essendo invece una varietà di iperparatiroidismo secondario. Una modalità alternativa per valutare l’escrezione urinaria di calcio nella diagnosi differenziale con l’ipercalcemia ipocalciurica familiare, è quella di calcolare su un campione a digiuno il rapporto tra le concentrazioni urinarie di calcio e di creatinina (espresse in mg/dL); in presenza di ipercalciuria il rapporto è > 0.11.
Valori normali di calciuria nelle urine 24h | ||
mg/24h | ||
Adulto | donna | 100-250 |
uomo | 100-300 | |
Bambino | 30-150 |
Funzionalità renale
La valutazione della funzionalità renale è indispensabile per inquadrare correttamente le possibili alterazioni del metabolismo delle paratiroidi. Oggi si indica come mezzo più semplice e affidabile, accanto al rapporto Albumina/Creatinina (ACR, normale < 30 mg/g), la stima del filtrato glomerulare (estimated glomerular filtration rate, eGFR, normale > 90 mL/min/1.73 m2) che si ricava dalla creatininemia misurata con metodo tracciato, corretta tramite equazione CKD-EPI, che appare oggi offrire maggiori garanzie di accuratezza per i valori tra 90 e 60 mL/min rispetto all'attuale MDRD, per i principali fattori interferenti (6).
25-OH vitamina D
Rappresenta il parametro più attendibile dei depositi di questo ormone nell’organismo, comprendendo sia la quota assorbita con la dieta che quella di derivazione cutanea (7). La sua concentrazione ematica è in correlazione inversa con quella di PTH, almeno fino a un valore soglia oltre il quale i valori di PTH restano sostanzialmente stabili; tale soglia è servita a definire i limiti al di sotto del quale si può ragionevolmente sospettare uno stato di insufficienza ormonale.
Il suo dosaggio ha conosciuto grande popolarità in seguito alla convinzione, poi non confermata, che una sua carenza facilitasse l’insorgenza di neoplasie e una serie pressochè infinita di altre condizioni patologiche per le quali non si è ad oggi trovata alcuna evidenza convincente. L’inarrestabile popolarità di questo esame è verosimilmente legata alla disponibilità attuale di un metodo in chemiluminescenza molto pratico e completamente automatizzabile. È un ulteriore esempio di come, in sanità, un eccesso di offerta possa generare una domanda non sempre appropriata.
La soglia per definire l’insufficienza di vitamina D è di solito posta a 75 nmol/L (30 ng/mL). I rischi di un eventuale “sovradosaggio” sono stati documentati soltanto in concomitanza con assunzioni nettamente sovramassimali, e sono oggi ritenuti essere del tutto trascurabili.
La 25-OH vitamina D (emivita 10-19 giorni) rappresenta il principale metabolita presente in circolo, in concentrazioni da 100 a 1000 volte superiori a quelle dell’1,25-(OH)2 vitamina D (emivita 2-4 ore)(8).
L’indicazione appropriata del dosaggio ematico di 25-OH vit. D è riservata ai soggetti a rischio di ipovitaminosi (9-11).
La metodica di analisi più affidabile è la cromatografia liquida abbinata a doppia spettrometria di massa (LC/Tandem MS), che permette di misurare separatamente le frazioni D2 (ergocalciferolo, di derivazione vegetale), D3 (colecalciferolo, di derivazione animale) ed eventuali metaboliti intermedi della vitamina D.
Valori normali di 25-OH colecalciferolo | |
Adulto | 75-250 nmol/L (30-100 ng/mL) |
Neonato | 12.5-105 nmol/L (5-42 ng/mL) |
Bambino | 25-137 nmol/L (10-55 ng/mL) |
La definizione dei valori di riferimento nella popolazione si basa proprio sui livelli in grado di stabilizzare il valore del paratormone.
Classificazione clinica dei livelli di 25-OH-vitamina D | |
Livello | Interpretazione |
< 20 nmol/L (12 ng/mL) | Deficit grave |
20-52.5 nmol/L (12-20 ng/mL) | Deficit |
52.5 - 72.5 nmol/L (21-29 ng/mL) | Insufficienza |
> 75 nmol/L (30 ng/mL) | Depositi adeguati |
Fonte: Endocrine Society (popolazione a rischio deficit) |
Non ci sono evidenze dell’utilità di uno screening di popolazione per la concentrazione ematica di 25-OH vit. D. Quadri clinici di intossicazione sono rarissimi e legati ad assunzioni abnormi di ormone (12).
Determinazione di 1, 25-(OH)2 vitamina D
Ha minore importanza clinica, oltre a presentare maggiori difficoltà analitiche e incertezze nell’interpretazione dei risultati, in quanto i suoi livelli sono direttamente condizionati da quelli del suo precursore 25-idrossilato: se la 25-OH-vit D si riduce, il PTH aumenta e stimola l’idrossilazione renale, con conseguente aumento di calcitriolo che non diminuirà se non con l’esaurimento estremo dei depositi di vitamina D. Nella campagna "Choosing Wisely" dell'American Board of Internal Medicine, l'Endocrine Society e l'AACE raccomandano contro la richiesta di dosaggio di 1,25-(OH)2 vit. D in assenza di ipercalcemia e ridotta funzionalità renale. Il dosaggio è stato utilizzato nella diagnostica differenziale dei rachitismi vitamina D-dipendenti:
- tipo I, da deficit di 1α-idrossilasi, con riduzione dei livelli di 1-25 (OH)2 vitamina D;
- tipo II, Hereditary Vitamin D-Resistant Rickets, con aumento dei livelli di 1-25 (OH)2 vitamina D.
Valori normali di calcitriolo | |
Adulto | 20-60 pg/mL |
Neonato | 8-72 pg/mL |
Bambino | 15-90 pg/mL |
Fosfatemia e fosfaturia
Determinazione della fosfatemia. Nelle malattie osteometaboliche, così come nelle alterazioni dell’equilibrio acido-base, la determinazione della fosfatemia è solitamente utilizzata in associazione alla calcemia (13). Deve essere eseguita a digiuno ed evitando una stasi prolungata. Il metodo utilizzato è quello colorimetrico (spettrofotometria con blu di molibdeno).
I valori della fosfatemia sono fisiologicamente più alti nei bambini e negli adolescenti, mentre non presentano differenze significative nei due sessi.
Valori normali di fosfatemia | |
Adulto | 2.5-4.1 mg/dL |
Neonato alla nascita | 5.0-7.8 mg/dL |
Bambino a 1 anno | 3.8-6.2 mg/dL |
Adolescente | 3.1-5.1 mg/dL |
Fattori che influenzano i livelli di fosforo sono l’assunzione di carboidrati, la terapia con insulina, l’attività fisica e l’iperventilazione.
Indicazioni alla determinazione della fosfatemia | |
Iperparatiroidismo Diagnosi differenziale delle ipocalcemie Tubulopatie renali Monitoraggio insufficienza renale Malattie gastroenteriche croniche con malassorbimento Turbe dell’equilibrio acido-base |
Determinazione della fosfaturia. Viene eseguita in genere con metodo spettrofotometrico su urine raccolte in ambiente acido. Tale parametro riveste utilità limitata, essendo condizionata dall’apporto alimentare, dai numerosi fattori che intervengono sul riassorbimento renale e dai problemi inerenti la corretta raccolta del campione.
Valori normali di fosfaturia | |
Adulto | 400-1000 mg/24h |
Neonato | < 0.07 mg/kg/24h |
Bambino | 500-840 mg/24h |
Più attendibile è il calcolo della clearance dei fosfati (normale 8.1-13.5 mL/min) e del rapporto tra clearance dei fosfati e clearance della creatinina
Cl P/Cl Cr= Pu/Ps x Crs/Cru
In condizioni fisiologiche, tale rapporto è compreso tra 0.05 e 0.15.
Il parametro può anche essere espresso in forma percentuale (riassorbimento tubulare del fosfato, TRP%); il range di normalità del TRP% corrisponde a 85-95%.
L’accuratezza di queste determinazioni aumenta se il paziente segue per un periodo di almeno 3 giorni una dieta ipofosforica, prima di procedere al prelievo per la determinazione di creatininemia e fosfatemia e alla raccolta del campione di urine (2 ore) per creatinuria e fosfaturia.
Sono infine disponibili appositi nomogrammi (es. nomogramma di Walton e Bijvoet) che permettono sulla base dei valori di fosforemia e TRP di risalire alla cosiddetta “soglia renale teorica” del fosfato, cioè la quantità (mg) di fosforo riassorbita dal tubulo nell’unità di tempo, per un filtrato glomerulare di 100 mL. Il range di normalità di tale parametro corrisponde a 2.5-4.2 mg/100 mL (14).
Bibliografia
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- Wolton RJ, Bijvoet OL. Nomogram for derivation of renal threshold phosphate concentration. Lancet 1975, 2 (7929): 309-10.
Diagnostica strumentale per le paratiroidi
Federica Saponaro
Dipartimento di Patologia Clinica, Università di Pisa
(aggiornato al 10 marzo 2020)
Con il recente sviluppo di tecniche chirurgiche sempre più mini-invasive, l’imaging paratiroideo assume un ruolo sempre più rilevante nel garantire un’accurata localizzazione pre-chirurgica del tessuto paratiroideo iperfunzionante nell’iperparatiroidismo primario (1-3).
Non esiste attualmente un algoritmo universalmente accettato per la scelta delle tecniche di imaging delle paratiroidi e sostanzialmente l’approccio dipende dall’esperienza del radiologo, chirurgo ed endocrinologo in ogni singolo centro. Nella pratica, l’ecografia e la scintigrafia sono tradizionalmente le metodiche di più largo utilizzo. Tuttavia, più recentemente SPECT-TC, TC-4D e RM hanno acquisito sempre maggiore spazio, soprattutto negli scenari più complessi, come la malattia multi-ghiandolare o la persistenza/recidiva di iperparatiroidismo (4).
Scintigrafia delle paratiroidi
Bibliografia
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Ecografia delle paratiroidi
Andrea Frasoldati1 & Federica Saponaro2
1Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
2Dipartimento di Patologia Clinica, Università di Pisa
(aggiornato al 10 marzo 2020)
L’ecografia resta attualmente l’indagine di primo livello nell’imaging delle paratiroidi. Si tratta, infatti, di indagine non invasiva che non comporta impiego di radiazioni e può essere eseguita direttamente dal clinico, endocrinologo o chirurgo, che ha la gestione clinica del paziente. Fornisce indicazioni accurate relative al quadrante anatomico (superiore o inferiore) sede dell’adenoma e alle caratteristiche della ghiandola tiroidea, elementi utili per la pianificazione del tipo di chirurgia, in particolare di quella mini-invasiva. La facilità di impiego dell’ecografia e l’accresciuta diffusione degli ecografi negli ambulatori medici fa sì che l’ecografia non sia oggi riservata esclusivamente alla fase dello studio pre-operatorio del paziente con indicazione chirurgica, ma venga anticipata alla fase del work-up diagnostico, concorrendo al processo decisionale che orienta verso la scelta terapeutica.
In una metanalisi che ha valutato la sensibilità ed il potere predittivo positivo (PPV) delle tecniche radiologiche applicate all’IP, la sensibilità totale dell’ecografia si attestava intorno al 78.9% e il PPV intorno al 93.2% (1,2).
L’ecografia non consente di visualizzare le paratiroidi normali. Poiché le paratiroidi presentano un diametro massimo di 2-3 mm, non inferiore alla risoluzione ecografica, si ritiene che siano le caratteristiche eco-strutturali del tessuto paratiroideo normale a impedirne la visualizzazione rispetto al connettivo peri-tiroideo o allo stesso parenchima tiroideo. L’individuazione all’ecografia di una struttura di verosimile pertinenza paratiroidea indica pertanto un reperto anomalo e suggerisce la possibilità di un’alterazione funzionale.
L’aspetto tipico dell’adenoma paratiroideo è quello di una formazione ovalare, omogeneamente ipoecogena, a margini netti, clivata dal lobo tiroideo, con diametro longitudinale il più delle volte compreso tra 10 e 15 mm (figure 1A e 1B) (3,4).
Figura 1A e B. Adenoma paratiroideo: tipica immagine ovalare ipoecogena localizzata in corrispondenza del margine posteriore del lobo tiroideo, al III medio. La formazione appare chiaramente clivata dal parenchima tiroideo
L’organizzazione vascolare può essere di tipo polare (o ilare) o diffuso (a reticolo o canestro) (figura 2).
Figura 2. Immagine ecografica di adenoma paratiroideo caratterizzato da un evidente polo vascolare
Noduli tiroidei e linfonodi del compartimento centrale, in qualche caso laterale, del collo costituiscono le strutture cervicali che solitamente entrano nella diagnostica differenziale dell’adenoma paratiroideo (5).
Non esistono criteri ecografici utili a definire con sicurezza il profilo istologico di una lesione paratiroidea. Nel paziente con IP, le lesioni iperplastiche presentano dimensioni mediamente più ridotte rispetto agli adenomi. Viceversa, il raro carcinoma paratiroideo presenta in genere dimensioni importanti (diametro > 3-4 cm), ecostruttura disomogenea e margini irregolari, talora a carattere policiclico. Tutte queste caratteristiche possono tuttavia appartenere anche ad adenomi di grandi dimensioni. L'ecografia non viene pertanto considerata una tecnica specifica per l'identificazione pre-chirurgica del carcinoma paratiroideo (6-8).
Tecnica:
- impiego di sonde lineari multi-frequenza (10-13 MHz);
- corretto posizionamento del paziente sul lettino (supino);
- scansione di approccio trasversale (assiale), con iniziale focalizzazione sull’area delimitata anteriormente dal margine posteriore del lobo tiroideo e della carotide, medialmente dalla parete tracheale, posteriormente dall’esofago e dal muscolo lungo del collo. Nella maggior parte dei casi, l’identificazione dell’adenoma avviene in tale sede ed è estremamente rapida. Qualora la prima esplorazione sia negativa, occorre estendere l’indagine all’intero distretto cervicale e mediastinico superiore. Può inoltre essere utile ricorrere ad alcuni accorgimenti: far ruotare il capo, far deglutire o far eseguire la manovra di Valsalva, che talora permette di visualizzare parzialmente adenomi a sede retro-tracheale;
- la scansione longitudinale (sagittale) serve principalmente a definire profilo, dimensioni e rapporti anatomici della lesione (fig 3). Le paratiroidi superiori sono tipicamente localizzate al passaggio tra III medio e III superiore del lobo tiroideo, appena al di sotto del suo margine posteriore, quelle inferiori in prossimità del polo tiroideo inferiore o in posizione ad esso caudale, a una distanza che può essere di pochi mm ma talora raggiunge i 2 cm. Inoltre, le paratiroidi superiori hanno in genere sede più profonda, mentre quelle inferiori giungono spesso a contatto con i piani superficiali;
- nei casi difficili, l’esplorazione deve essere estesa al VII livello cervicale e al compartimento laterale del collo (localizzazioni peri-carotidee, peri-vagali o all’angolo mandibolare). Non deve essere dimenticata la pur rara possibilità di localizzazioni intra-tiroidee (fig 4);
- l’utilizzo dell’ecocolor-doppler può aiutarci nell’indirizzare lo studio di localizzazione paratiroideo: infatti, nella maggior parte dei casi, l’adenoma presenta una riconoscibile organizzazione vascolare, talora di tipo diffuso o “a canestro”, talora più limitata (pattern “ilare”) e non dissimile da quella propria dei linfonodi (fig 2). L’assenza di un’evidente vascolarizzazione è appannaggio di una quota minoritaria ma non trascurabile (5-10%) di adenomi; in tali casi, viene da alcuni autori raccomandato l’impiego dell’ecografia con mezzo di contrasto (5,9).
Figura 3. Rappresentazione schematica (scansione longitudinale) della sede tipica degli adenomi a sviluppo dalle paratiroidi (PT) superiore ed inferiore, in rapporto al lobo tiroideo. L'area tratteggiata indica l'ambito delle possibili localizzazioni cranio-caudali e/o antero-posteriori. Oltre che per la sede solitamente in stretto rapporto col polo inferiore del lobo, e talora di 1-2 cm più caudale, gli adenomi che originano dalle paratiroidi inferiori si caratterizzano per una localizzazione più superficiale.
Figura 4. Immagine di un adenoma paratiroideo a localizzazione intra-tiroidea. Si tratta di una eventualità rara, alla quale bisogna comunque pensare quando gli studi di localizzazione non evidenziano adenomi nelle sedi consuete. L'esame citologico completato da dosaggio intralesionale di PTH (FNA-PTH) è in questi casi fondamentale per la diagnosi.
Vantaggi:
- assenza di radiazioni ionizzanti;
- tecnica rapida, non invasiva, poco costosa;
- consente di valutare in contemporanea la presenza di eventuali lesioni tiroidee;
- può essere utilizzata anche direttamente dal chirurgo subito prima dell’intervento;
- può essere utilizzata, nei casi particolari in cui questa sia richiesta, per guidare l’ago-biopsia con ago sottile associata al dosaggio del PTH nel liquido di lavaggio (10,11).
Svantaggi:
- contemporanea presenza di noduli della tiroide o linfonodi reattivi, che può entrare in diagnosi differenziale con l’adenoma paratiroideo e ridurre la sensibilità della metodica (12);
- difficoltà/impossibilità di visualizzare ghiandole in sede ectopica (mediastino, retro-faringe, retro-esofago) (13);
- bassa sensibilità per lesioni paratiroidee di piccole dimensioni e nella malattia multi-ghiandolare;
- influenza dell’habitus corporeo (esempio obesità) sulla sensibilità della metodica (14).
Localizzazione ecografica negativa: possibili cause
Localizzazione atipica dell’adenoma. Il 20-30% degli adenomi paratiroidei inferiori e il 10-15% dei superiori si localizza in una sede non tipica (15). Ciò non implica necessariamente una difficile visualizzazione ecografica, poiché la maggior parte di tali localizzazioni anomale resta in sedi accessibili all’ecografia. Le localizzazioni che causano i problemi maggiori all’esplorazione ecografica sono quelle retro-tracheale e retro-esofagea, e le localizzazioni mediastiniche più caudali e profonde (posteriori), in genere proprie di adenomi che si sviluppano a carico delle paratiroidi superiori. Altri casi meno frequenti di ectopia (es. ioidea, sotto-mandibolare, intra-vagale, latero-cervicale, intra-tiroidea) non causano problemi di visualizzazione della lesione, quanto piuttosto di corretta identificazione come paratiroide.
Coesistenza di struma plurinodulare. In presenza di noduli tiroidei c’è una significativa riduzione della sensibilità dell’ecografia paratiroidea (dall'85-100% al 47-84%) (16), anche se nella maggior parte dei casi la patologia nodulare tiroidea non crea ostacoli maggiori alla visualizzazione ecografica dell’adenoma; strumi voluminosi, ad approfondamento mediastinico, rendono solitamente inaccessibile all’ecografia l’adenoma paratiroideo.
Aspetto ecografico atipico dell’adenoma paratiroideo. Una percentuale non trascurabile (~ 20-30%) di adenomi paratiroidei può presentare una morfologia o un'ecostruttura inconsueta rispetto al tipico aspetto ecografico (17). In tali casi gioca un ruolo chiave l’esperienza dell’operatore, unitamente all’impiego dell’agobiopsia.
Iperplasia paratiroidea multi-ghiandolare. È presente in una quota minoritaria (5-7%) dei casi di IP, ed è un’importante causa di falsi negativi, sia ecografici sia scintigrafici. In tutti i pazienti con quadro biochimico indicativo di IP e imaging completamente e persistentemente negativo, occorre sempre considerare l’eventualità di una patologia multi-ghiandolare.
I falsi positivi ecografici
Come già detto, l’immagine ecografica di un adenoma paratiroideo si presta ad essere confusa con quella di linfonodo o di un nodulo (o pseudo-nodulo) tiroideo a sede posteriore. L’accentuazione della trama connettivale, con la conseguente sepimentazione del parenchima ghiandolare, e il profilo lobulato del margine posteriore tiroideo, aspetti ecografici tipici della m. di Hashimoto, possono originare aspetti pseudo-nodulari in grado di suggerire un possibile adenoma paratiroideo (figura 5). Inoltre, i pazienti con tiroidite cronica autoimmune spesso presentano nel compartimento centrale linfonodi reattivi indistinguibili da un piccolo adenoma paratiroideo. Infine, è possibile anche da parte di operatori molto esperti l’attribuzione paratiroidea di lesioni cervicali di più raro riscontro, come gli schwannomi (figura 6).
Figura 5. Tiroidite cronica autoimmune: scansione trasversale del lobo destro, caratterizzato nella sua porzione posteriore da un'area ovalare a più profonda ipoecogenicità, apparentemente clivata dal tessuto tiroideo. L'immagine, corrispondente ad una zolla pseudonodulare del parenchima tiroideo, può causare problemi di diagnostica differenziale con un adenoma paratiroideo.
Figura 6. Ampia formazione ipoecogena localizzata in corrispondenza della porzione profonda del lobo tiroideo e da esso clivata. Il paziente, del tutto asintomatico, non presentava evidenza biochimica di iperparatiroidismo primitivo. L'esame citologico completato da dosaggio intra-lesionale di PTH escluse l'ipotesi di un adenoma o cisti paratiroidea, ma risultò non diagnostico. La formazione venne escissa chirurgicamente e risultò corrispondere a schwannoma.
Update
Elastosonografia. La tecnica “2-dimensional shear wave elastography (SWE)” è una metodica in grado di quantificare la rigidità (stiffness) di un tessuto e dati preliminari suggeriscono che possa avere una qualche utilità nell’imaging delle paratiroidi. Alcuni studi ne suggeriscono l’utilizzo per discriminare l’adenoma paratiroideo dal tessuto tiroideo benigno o dall’iperplasia delle paratiroidi, rispetto ai quali dimostrerebbe una stiffness maggiore (18). La metodica è ancora ai primordi nell’ambito della valutazione paratiroidea, ma potrebbe rappresentare un valido ausilio nella localizzazione pre-operatoria.
Agobiopsia e dosaggio di PTH nel liquido di lavaggio (FNA-PTH)
L’identificazione ecografica di una lesione paratiroidea non si associa mai a una specifità del 100%: diversi reperti cervicali (noduli tiroidei, linfonodi e altre lesioni) possono infatti corrispondere a immagini ecografiche che suggeriscono erroneamente una lesione paratiroidea. La concordanza tra reperto ecografico e scintigrafico incrementa la probabilità di una corretta localizzazione; tuttavia, in molti casi, e soprattutto in presenza di patologia nodulare tiroidea, può essere necessario ricorrere alla conferma dell’identificazione ecografica mediante ago-aspirazione eco-guidata.
L’agoaspirato paratiroideo non presenta sotto il profilo tecnico sostanziali differenze rispetto a quello tiroideo, e si esegue in genere con aghi spinali di calibro corrispondente a 23-25 G.
La citologia paratiroidea presenta una quota rilevante (35-55%) di risultati non diagnostici o incerti per compatibilità con materiale di provenienza tiroidea (19) e rende necessario ricorrere al dosaggio di PTH su liquido di lavaggio (FNA-PTH). Il materiale presente nel cono dell’ago viene risciacquato in un volume noto (in genere corrispondente a 2 mL) di soluzione fisiologica e raccolto in una provetta da inviare al laboratorio. Tale metodica è caratterizzata da elevata accuratezza (specificità e sensibilità > 95%) (20,21) e il risultato è in genere di agevole interpretazione, poiché i valori di FNA-PTH provenienti dall’ago-aspirazione di una lesione paratiroidea sono nettamente più elevati rispetto a quelli osservati quando viene campionato tessuto tiroideo o linfonodale (es. 10.000-50.000 pg/mL vs. 10-50 pg/mL). In oltre il 90% degli agoaspirati di adenomi paratiroidei si ottengono valori > 1000 pg/mL (20,21). Il dosaggio di FNA-PTH ha comunque un significato semi-quantitativo, poiché il volume di materiale campionato è una variabile non conosciuta e quindi, a parità di volume di diluizione, due agobiopsie condotte in successione sulla medesima ghiandola paratiroidea dallo stesso operatore possono dare luogo a dosaggi differenti di FNA-PTH. Stante l’assenza di cut-off diagnostici validati, è consigliabile che ogni centro costruisca un appropriato standard analitico. Oltre ai comprensibili limiti della metodica, legati alla scarsa accessibilità bioptica delle lesioni più profonde, la determinazione dei livelli intra-lesionali di PTH può talora originare un esito falsamente negativo per un artefatto laboratoristico noto come “effetto gancio” (hook effect): quando l’antigene è presente in concentrazione molto elevata, viene saturata la capacità di legame dell'anticorpo legante e dell'anticorpo marcato, con conseguente sottostima della lettura. Il ricorso a semplici diluizioni del campione consente una lettura corretta. Al contrario, l’agoaspirazione di lesioni paratiroidee a contenuto cistico può dar luogo a valori di FNA-PTH falsamente ridotti per verosimile eccesso di diluizione dell’analita.
L’agobiopsia paratiroidea è indagine assolutamente sicura e ben tollerata dal paziente; possono talora osservarsi soffusioni emorragiche peri-lesionali, a carattere auto-limitante. Secondo alcuni autori, tali sanguinamenti possono causare una reazione fibrotica in grado di rendere più problematica l’exeresi chirurgica e la successiva valutazione isto-patologica della lesione (22). È stata aneddoticamente descritta in corso di agobiopsia di un carcinoma paratiroideo la frammentazione del tessuto neoplastico e la conseguente diseminazione cellulare nei tessuti circostanti (paratiromatosi), ma tale osservazione non risulta essere mai stata replicata.
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Scintigrafia delle paratiroidi
Annibale Versari e Vincenzo De Biasi
Struttura Complessa di Medicina Nucleare, Arcispedale Santa Maria Nuova IRCCS, Reggio Emilia
(aggiornato al 17 ottobre 2017)
INTRODUZIONE
Nell’iperparatiroidismo, l’imaging solitamente non è usato per la diagnosi ma per la localizzazione di paratiroidi patologiche.
L’imaging paratiroideo si avvale di varie tecniche, che vanno dall’ecografia alla scintigrafia, alla TC e alla RM. L’ecografia e la scintigrafia rappresentano le metodiche maggiormente impiegate, con un ruolo complementare (1). Peraltro, l’interpretazione combinata delle due da parte dello stesso medico o la discussione diretta fra gli specialisti nella stessa seduta è superiore all’interpretazione separata. Il confronto delle informazioni fornite da modalità di tipo metabolico (come la scintigrafia) e di tipo morfologico (come ecografia, TC e RM) rappresenta sicuramente un valore aggiunto nella gestione clinico-terapeutica del paziente.
METODICA
Il primo concetto da tenere presente per la corretta interpretazione del risultato di una scintigrafia paratiroidea è che a tutt’oggi non sono disponibili traccianti specifici per il tessuto paratiroideo.
I radiotraccianti comunemente impiegati (99mTc-2-metossi-isobutil-isonitrile [sestaMIBI], 99mTc-Tetrofosmin) vengono captati anche dal tessuto tiroideo. In particolare, il 99mTc-sestaMIBI, il radiofarmaco di prevalente utilizzo, è un indicatore di cellularità, e l’entità della sua captazione dipende principalmente dal numero di cellule metabolicamente attive e dal flusso ematico parenchimale. Di qui la proprietà del tracciante di concentrarsi elettivamente nella paratiroide “iperfunzionante”, il cui profilo deve tuttavia essere differenziato dal parenchima tiroideo limitrofo.
A tal fine, vengono tradizionalmente utilizzate due modalità di indagine: procedura a “sottrazione di immagine con doppio tracciante” e procedura a “doppia fase” (2).
A - Procedura a “sottrazione di immagine con doppio tracciante”
Questa procedura è basata sul confronto delle immagini ottenute con 99mTc-pertecnetato o 123I, con accumulo solo nel parenchima tiroideo, e con 99mTc-sestaMIBI (o, in alternativa, 99mTc-Tetrofosmin) che si accumula in entrambi i parenchimi. La distribuzione dei due traccianti viene prima comparata visivamente e poi mediante sottrazione digitale dell’immagine tiroidea (99mTc-pertecnetato o 123I) da quella “tiroide+paratiroidi” (99mTc-sestaMIBI), con il risultato di migliorare nettamente la visualizzazione del tessuto paratiroideo patologico. Le paratiroidi normali non vengono visualizzate, in quanto inferiori ai limiti di risoluzione della metodica.
È richiesta una preparazione per evitare la saturazione del pool iodico: astenersi dalla somministrazione di mezzi di contrasto iodati per 4-6 settimane, sospendere eventuale terapia sostitutiva tiroidea per 2-3 settimane e terapia con metimazolo o propiltiouracile per 1 settimana.
La procedura può essere diversa sia in rapporto ai radiofarmaci impiegati che a motivi organizzativi. In ogni caso si basa sulla rilevazione della distribuzione dei 2 traccianti in modo sequenziale (99mTc-sestaMIBI + 99mTc-pertecnetato o viceversa) o simultaneo (99mTc-sestaMIBI + 123I), con paziente nella stessa posizione per un’ottimale sottrazione di immagini.
Indicazioni (2,3)
- Diagnosi di recidiva o persistenza di malattia nell’iperparatiroidismo sia primitivo che secondario (figura 1 e 2)
- Maggiori informazioni per la chirurgia iniziale nell’iperparatiroidismo primitivo
- Selezione dei pazienti con iperparatiroidismo primitivo candidati alla chirurgia unilaterale o mirata, invece della convenzionale esplorazione bilaterale del collo (alta sensibilità nella rilevazione di patologia paratiroidea multighiandolare)
- Localizzazione di paratiroidi iperfunzionanti in pazienti con iperparatiroidismo secondario (se refrattari alla terapia farmacologica) o terziario.
- Raccomandata in fase pre-operatoria nelle recidive/persistenze di malattia dopo paratiroidectomia.
Figura 1
Scintigrafia a sottrazione di immagine con doppio tracciante
Iperparatiroidismo primitivo
A- 99mTc SestaMIBI; B - 99mTc SestaMIBI + 99mTc pertecnetato; C – nell’immagine di sottrazione si evidenzia area ipercaptante il SestaMIBI (freccia) riferibile ad adenoma della paratiroide inferiore dx.
Figura 2
Scintigrafia a sottrazione di immagine con doppio tracciante
Iperparatiroidismo secondario
In alto a sinistra - 99mTc SestaMIBI; in alto a destra - 99mTc SestaMIBI + 99mTc pertecnetato; in basso – immagine di sottrazione: si evidenziano le 4 paratiroidi ipercaptanti il SestaMIBI (frecce) per iperplasia.
Controindicazioni (3)
- Gravidanza
- Allattamento (sospensione per 24 h)
- Incapacità del paziente a cooperare per l’esecuzione della procedura
Quadri scintigrafici e interpretazione
Sostanzialmente, tale procedura porta a due diverse tipologie di risultato:
- aree di elevata captazione del 99mTc-sestaMIBI corrispondenti ad aree di captazione normale, aumentata o ridotta del 99mTc-pertecnetato o 123I. Le aree focali che persistono dopo sottrazione sono sospette per adenomi paratiroidei. La valutazione dell’immagine tiroidea può essere molto utile nella diagnosi differenziale fra nodulo tiroideo e adenoma paratiroideo. Il tipico falso positivo è, infatti, rappresentato da noduli tiroidei funzionalmente autonomi (“caldi”) o da noduli tiroidei neoplastici;
- captazione di sestaMIBI in aree chiaramente clivate dal profilo tiroideo o decisamente ectopiche rispetto alla regione paratiroidea. In questa eventualità, la positività scintigrafica può considerarsi sufficientemente specifica. Tuttavia, è bene sottolineare che anche strutture extra-tiroidee come i linfonodi o il tessuto timico possono dar luogo a falsi positivi, specie nel caso di patologia flogistica o linfo-proliferativa.
B - Procedura a “doppia fase”
Si basa sulla differenza di wash-out del tracciante nel tessuto tiroideo e paratiroideo. L’indagine prevede l’iniezione ev di un solo tracciante e il 99mTc sestaMIBI è quello di scelta. Viene eseguita una rilevazione precoce (10-15 minuti dopo l’iniezione) e una tardiva (1.5-2.5 ore); in caso di lento wash-out tiroideo, può essere utile anche una rilevazione più tardiva (4 ore).
Per la diagnosi di iperfunzione patologica delle paratiroidi il wash-out del tracciante dalla/e paratiroide/i deve essere più lento rispetto a quello del tessuto tiroideo: quindi si presenta come un’area (o aree) di aumentata captazione a relativo progressivo incremento nel tempo oppure ipercaptazione fissa persistente nella rilevazione tardiva (2).
È indicata in pazienti con iperparatiroidismo primitivo o secondario per:
- localizzazione di paratiroidi iperfunzionanti in fase pre-operatoria
- diagnosi di recidiva o persistenza di malattia.
La metodica offre alcuni vantaggi, quali maggiore semplicità ed economicità, minore dose di radioattività impiegata, e possibilità di utilizzo anche in quadri di alterata funzionalità tiroidea. Inoltre non richiede nessuna preparazione del paziente.
SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography)
L’impiego della SPECT, oggi sempre più diffuso, è in grado di aumentare la sensibilità della scintigrafia paratiroidea e soprattutto di fornire una più accurata localizzazione topografica della lesione, mediante la ricostruzione di immagini tridimensionali e una miglior demarcazione delle lesioni ectopiche.
Lo studio SPECT dovrebbe essere eseguito subito dopo le acquisizioni planari precoci, per evitare false negatività in caso di adenomi paratiroidei a rapido wash-out.
L’uso di un collimatore “pinhole” anziché un collimatore a fori paralleli, sia in planare che in SPECT, migliora la sensibilità, specialmente in caso di adenomi di piccole dimensioni o poco attivi (4).
SPECT/TC
La recente introduzione di apparecchiature ibride, come la SPECT/TC, permette la perfetta fusione delle immagini tomoscintigrafiche con quelle TC e quindi di collocare l’informazione metabolica in un preciso contesto morfologico, che facilita l’interpretazione delle immagini ed è di particolare utilità nel planning chirurgico (figura 3) (5), nella localizzazione di ectopia ghiandolare, concomitante tireopatia nodulare, recidiva/persistenza dopo paratiroidectomia (3) e nella diagnosi di patologia iperplastica multighiandolare (6). In particolare la sensibilità, specificità e accuratezza dell’applicazione combinata di US e SPECT/CT sono superiori alle due metodiche separate (7) (rispettivamente 93% vs 81% e 85%; 61% vs 47% e 58%; 97% vs 82% e 89%).
Figura 3
Studio SPECT/TC con 99mTc SestaMIBI
Adenoma della paratiroide inferiore sinistra.
A - immagine tridimensionale; B - immagine TC; C, D, E – immagini di fusione SPECT/TC rispettivamente in sagittale, coronale e trans-assiale
APPLICAZIONI CLINICHE
Perché ricorrere alla scintigrafia quando è già stata eseguita l’ecografia?
Qualora si adotti l’ecografia come studio di primo approccio, riservando alla scintigrafia un ruolo complementare, lo studio scintigrafico può fornire alcune importanti indicazioni:
- nel paziente con prima valutazione ecografica negativa, per guidare un successivo studio ecografico e/o mediante TC o RM nel caso di captazioni ectopiche;
- nel paziente con presunta localizzazione ecografica (agobiopsia non eseguita), per confermare la localizzazione;
- nel paziente con localizzazione ecografica certa (conferma mediante agobiopsia o quadro ecografico assolutamente tipico), per escludere un quadro di patologia multighiandolare (es. doppio adenoma). Ciò è particolarmente utile in un’ottica di pianificazione dell’intervento, specie qualora non sia disponibile la misurazione intra-operatoria del PTH.
I falsi negativi della scintigrafia paratiroidea
Possibili fattori limitanti l’individuazione scintigrafica di un adenoma paratiroideo sono:
- quadri di iperplasia paratiroidea multighiandolare;
- ridotte dimensioni della lesione: adenomi ≤ 5 mm (corrispondenti al grammo di peso) non sono in genere rilevabili;
- istologia “a cellule principali” dell’adenoma (30-40% di falsi negativi);
- ridotto indice di proliferazione cellulare;
- ridotta attività dell’adenoma, rispecchiata da un quadro biochimico di iperparatiroidismo meno severo;
- sviluppo dell’adenoma dalle paratiroidi superiori, peggio visualizzate alla scintigrafia rispetto alle inferiori;
- ridotta esperienza dell’operatore.
L’uso della SPECT/TC migliora la specificità ma sfortunatamente non la sensibilità.
Chirurgia radioguidata dell’iperparatiroidismo
La paratiroidectomia mini-invasiva è una tecnica chirurgica che permette di effettuare la paratiroidectomia mediante una incisione più piccola (meno di 2-3 cm). Tale tecnica è possibile dopo una chiara identificazione pre-operatoria dell’adenoma paratiroideo mediante imaging, soprattutto scintigrafia con sestaMIBI o ecografia. Il successo della metodica può essere migliorato con l’uso di una sonda intra-operatoria, che facilita l’esplorazione chirurgica e l’identificazione della lesione mediante la rilevazione della radioattività captata dalla lesione stessa (8). La descrizione della metodica è oggetto di trattazione specifica. L’esito a lungo termine della chirurgia della paratiroidi dipende dall’abilità di resecare completamente i tumori iperfunzionanti e identificare malattie multighiandolari e ghiandole ectopiche. La rilevazione pre-operatoria delle ghiandole patologiche eviterebbe una chirurgia inappropriata e riduce il tasso di recidiva. Le immagini SPECT/TC sono di grande valore per la localizzazione anatomica e dovrebbero essere ottenute prima dell’intervento chirurgico per identificare ghiandole ectopiche (9).
CONCLUSIONI
Nell’iperparatiroidismo, l’imaging, sia morfologico che funzionale, usualmente non serve per la diagnosi, ma per la localizzazione di paratiroidi patologiche. Il dosaggio del calcio e del paratormone stabiliscono la diagnosi di iperparatiroidismo. L’imaging identifica le paratiroidi anormali e non rileva le ghiandole sane perché troppo piccole (20-50 mg) per essere identificate. Il successo dell’intervento di paratiroidectomia dipende dall’individuazione e dall’exeresi di tutte le paratiroidi iperfunzionanti, che siano in sede o ectopiche. Lo statement AME del 2012 recita: Tenendo conto che l’Imaging non è usato per la diagnosi, si raccomanda esecuzione di imaging in tutti i PHPT confermati dalla biochimica, con l’uso combinato di US e Scintigrafia (possibilmente integrata con tecnica SPECT) come prima linea (10).
Deve essere inoltre sottolineato che, sia pure in minor misura rispetto all’ecografia, l’accuratezza diagnostica della scintigrafia paratiroidea dipende certamente dalla strumentazione disponibile, ma anche dalla presenza di operatori esperti e dedicati. È molto importante il grado di attenzione riservato al posizionamento del paziente e ai suoi movimenti, allo stretto rispetto dei tempi di somministrazione e di rilevazione, alle tecniche di elaborazione e interpretazione delle immagini.
BIBLIOGRAFIA
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TC e RM delle paratiroidi
Federica Saponaro
Dipartimento di Patologia Clinica, Università di Pisa
(aggiornato al 10 marzo 2020)
Ecografia e scintigrafia, metodiche di largo accesso e di costo contenuto, garantiscono un alto margine di successo della localizzazione del tessuto paratiroideo iperfunzionante nei pazienti con iperparatiroidismo primario (IP); pertanto TC e RM, almeno fino ad alcuni anni fa, ricoprivano un ruolo più marginale. Nelle casistiche pubblicate, le due metodiche presentano una buona performance diagnostica, caratterizzata da sensibilità del 65-95% e specificità del 75-88%, anche se complessivamente sovrapponibili a quelle dell’imaging di primo livello (1). Tuttavia, l’evoluzione verso tecniche sempre più raffinate e moderne ha aperto negli ultimi anni nuovi scenari per l’utilizzo di queste metodiche. In particolare, risultano di grande aiuto in alcuni casi particolari e difficili, come la negatività dell’imaging di primo livello, la malattia multi-ghiandolare e soprattutto le forme familiari di IP e la recidiva/persistenza di IP (2).
TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA
La TC multifase in 4 dimensioni (4D-TC) è una metodica relativamente recente nel campo dell’imaging delle paratiroidi, dove è stata sperimentata per la prima volta nel 2006 (3). Concettualmente è una metodica simile alla angio-TC, con il nome che deriva dall’associazione delle tre dimensioni spaziali della TC tridimensionale con la quarta dimensione del tempo, rappresentata dal tempo di perfusione del mezzo di contrasto. Nel caso delle paratiroidi questa metodica fornisce immagini anatomicamente molto dettagliate e consente la visualizzazione delle differenze di perfusione tra il tessuto paratiroideo normale e iperfunzionante (per esempio rapido uptake e rapido washout) e con altri tessuti del collo. In questo modo è possibile coniugare l’informazione anatomica con quella funzionale (3,4).
L’aspetto caratteristico di un adenoma delle paratiroidi alla 4D-TC è una lesione solida nodulare, con caratteristico incremento dell’enhancement contrastografico in fase arteriosa e progressiva riduzione in fase venosa. Spesso è possibile riconoscere il polo vascolare e raramente una caratteristica degenerazione cistica della lesione.
Vantaggi:
- tempi rapidi di acquisizione e dunque ridotto bias legato al movimento;
- informazioni anatomiche accurate e dettagliate;
- sensibilità più elevata rispetto alle metodiche di imaging di I livello, soprattutto nell’identificare ghiandole di piccole dimensioni, nella malattia multi-ghiandolare e nella persistenza/recidiva.
Svantaggi:
- la dose di radiazioni nel protocollo classico è circa il doppio dell’esposizione durante una tomografia tradizionale, anche se con i nuovi protocolli “dual energy CT scan” l’esposizione è ridotta di circa il 50%;
- rischi legati alla somministrazione endovenosa del mezzo di contrasto e allergie;
- artefatti (metalli, concentrazione del contrasto nei vasi venosi del collo, …).
Update
Alcuni studi recenti hanno proposto un sistema di punteggi sulla base delle caratteristiche di enhancement contrastografico delle lesioni alla 4D-CT, che renderebbe tali lesioni compatibili con tessuto paratiroideo, sospette o solo possibili. Tale sistema deve essere ancora validato, ma risulterebbe un valido ausilio nell’interpretazione univoca delle immagini paratiroidee 4D-TC (5).
Figura 1. Immagine TC di adenoma paratiroideo localizzato nel mediastino superiore, medialmente al profilo postero-laterale dx della trachea e con l'esofago, posteriormente a D1-D2, lateralmente all'apice polmonare dx. Anteriormente, un piano di clivaggio adiposo separa la formazione dall'arteria succlavia dx.
Figura 2a e 2 b. Immagine TC di adenoma paratiroideo, diametro 12 mm (freccia) localizzato in prossimità del polo inferiore del lobo tiroideo destro, in sede posteriore alla trachea.
RISONANZA MAGNETICA
L’utilizzo della RM nell’imaging delle paratiroidi è stato finora piuttosto limitato. L’implementazione di nuove sequenze, tecnologie e tecniche consentirà nel prossimo futuro di ottenere informazioni più accurate dalle immagini RM. Al momento la RM delle paratiroidi rimane comunque un esame di II o III livello, riservato a casi particolari e soprattutto nella localizzazione per il reintervento o laddove non sia possibile utilizzare le altre metodiche.
I protocolli utilizzati includono sia sequenze T1 che T2 pesate e l’adenoma delle paratiroidi tipicamente presenta un alto segnale nelle sequenze T2, con la tipica caratteristica della lesione definita “marbled” (marmorizzata) (6).
La sensibilità della metodica è ampiamente variabile in letteratura, a seconda del centro e dell’esperienza degli operatori, e si attesta tra il 43% e il 94%.
Vantaggi:
- assenza di radiazioni ionizzanti;
- per le sequenze paratiroidee non è necessario mezzo di contrasto e dunque questa metodica può essere utilizzata nelle donne in gravidanza, in pazienti con insufficienza renale o in coloro che presentino allergie al mezzo di contrasto.
Svantaggi
- metodica lenta e costosa;
- è controindicata in pazienti che presentino dispositivi metallici o pacemaker;
- ha scarsa specificità per le lesioni paratiroidee, poiché linfonodi e noduli tiroidei spesso presentano lo stesso segnale.
Figura 3. Immagine RM di adenoma paratiroideo a sede ectopica, diametro 9 mm, localizzato 1 cm al di sopra del manubrio sternale, posteriormente all'inserzione sternale del m. sternocleidomastoideo
BIBLIOGRAFIA
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PET per le paratiroidi
Annibale Versari e Vincenzo De Biasi
Struttura Complessa di Medicina Nucleare, Arcispedale Santa Maria Nuova IRCCS, Reggio Emilia
(aggiornato al 17 ottobre 2017)
L’uso della PET e PET/TC nello studio dell’iperparatiroidismo risulta ancora sporadico e poco definito. Le esperienze riportate in letteratura valutano diversi radiofarmaci: 18F-fluorodesossi-glucosio (18F-FDG), 11C-Metionina, 18F- o 11C-Colina.
18F-FDG
Con 18F-FDG sono stati identificati adenomi paratiroidei sia intra- sia extra-tiroidei, ma poiché il numero di pazienti studiati è esiguo e di solito si tratta di reperti occasionali, è impossibile trarre conclusioni (1-3). Il suo uso è stato descritto anche nel carcinoma delle paratiroidi in stadiazione, nella ricerca di recidiva e nella valutazione di malattia residua dopo trattamento. In questi pazienti la FDG-PET va considerata una tecnica complementare all’imaging convenzionale, anche se vanno tenuti in considerazione alcuni limiti legati ad eventuali piccole dimensioni delle lesioni, soprattutto nella stadiazione precoce (4).
11C-Metionina
In uno studio retrospettivo (5), è stato valutato il valore clinico della PET con 11C-Metionina (MET-PET) per la diagnosi e la localizzazione degli adenomi delle paratiroidi in 41 pazienti non operati. Sono stati valutati 49 studi PET, che hanno portato a una sensibilità complessiva della PET del 54%, 49% e 35% rispettivamente per lesione, lato e posizione. La sensibilità della MET-PET era inferiore rispetto a ecografia (50% vs 93%), scintigrafia con sestaMIBI (53% vs 74%) e imaging morfologico (52% vs 74%). L'analisi per sottogruppi ha rivelato una maggiore sensibilità della MET-PET nell’iperparatiroidismo secondario rispetto al primario (62% vs 43%; base lato). Gli autori concludono che la MET-PET non può essere raccomandata per la localizzazione degli adenomi paratiroidei, ma riconoscono il limite di aver usato una PET e non una PET/TC e suggeriscono uno studio prospettico con PET/TC che utilizza immagini anatomo-metaboliche.
In uno studio di 33 pazienti sottoposti a paratiroidectomia per iperparatiroidismo primario (6), i risultati della PET/TC con 11C-Metionina (MET-PET/TC) sono stati confrontati con i reperti istologici. La sensibilità era dell’83% per gli adenomi monoghiandolari e del 67% per la malattia multighiandolare. La MET-PET/TC ha correttamente localizzato l'83% degli adenomi singoli delle paratiroidi, ma è rimasta difficile la localizzazione pre-operatoria della malattia multighiandolare (adenomi multipli o iperplasia).
In un’indagine retrospettiva (7) sono state confrontate le indagini pre-operatorie di 60 pazienti con iperparatiroidismo primario (n = 56) e secondario (n = 4): in 25/60 pazienti (gruppo 1), sono state effettuate solo scansioni planari, in 35/60 pazienti (gruppo 2) sono state eseguite SPECT e SPECT-TC, 8/60 pazienti (gruppo 3) sono stati sottoposti a PET e PET-TC con 11C-Metionina. I risultati sono stati:
- nelle scansioni planari (gruppo 1) veri positivi in 19/25 pazienti e falsi negativi in 6/25 pazienti (sensibilità per paziente, 76%). L'esame istopatologico ha confermato 27 adenomi e due iperplasie. L’imaging planare ha identificato 20/29 di queste patologie, mentre 9/29 sono stati mancati (sensibilità per adenoma, 69%);
- con SPECT (gruppo 2) veri positivi in 34/35 pazienti e falsi negativi in un solo caso (sensibilità per paziente, 97%). In un’analisi per lesione, sono stati identificati 38 adenomi e ne sono stati persi due (sensibilità per adenoma, 95%);
- con 11C-Metionina PET (gruppo 3) veri positivi in tutti gli otto pazienti. In un caso, la chirurgia ha confermato due adenomi omolaterali, solo uno dei quali è stato identificato dalla PET (sensibilità per paziente, 100%; per adenoma, 88.9%).
Gli autori concludono che la SPECT è superiore all'imaging planare, la SPECT-TC ha una sensibilità identica rispetto alla SPECT da sola, ma fornisce ulteriori informazioni topografiche; la sensibilità della PET risulta essere ancora più elevata rispetto alla SPECT. In caso di risultati scintigrafici negativi e iperparatiroidismo documentato, si raccomanda un approfondimento mediante 11C-Metionina PET o PET-TC.
18F/11C-Colina
Alcuni autori hanno studiato l’iperparatiroidismo mediante PET-TC con 18F- o 11C-Colina (8,9), sottoponendo a indagine PET 17 pazienti che avevano imaging ecografico e scintigrafico discordante o equivoco. Hanno confermato che l’indagine PET-TC è un adeguato strumento diagnostico in pazienti con iperparatiroidismo primario e secondario. La sensibilità è maggiore dell’ecografia e non inferiore alla scintigrafia. Sempre lo stesso gruppo di autori in uno studio precedente aveva ottenuto valori di detection rate e di sensibilità rispettivamente del 92% e 89% che risultano molto promettenti, ma il campione era di soli 12 pazienti (10).
Non ci sono ancora sufficienti studi per raccomandare l’utilizzo di routine della MET-PET/TC o Colina-PET/TC. Anche se può essere utile in casi di imaging di prima linea negativo, discordante o equivoco (11), lo statement AME del 2012 suggerisce di sottoporre il paziente preferibilmentea indagine morfologica TC o RM (12).
In conclusione, la PET/TC può essere utile in presenza di problemi nell’identificazione di paratiroidi patologiche all’imaging convenzionale, specialmente quando si tratta di pazienti già operati oppure di sospetta localizzazione ectopica (figura).
18F-FDG PET/TC
A – TC; B – PET; C – fusione PET/TC; D – Immagine total-body tridimensionale
Ipercaptazione del FDG al mediastino anteriore (frecce), riferibile ad adenoma paratiroideo ectopico
Bibliografia
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Iperparatiroidismo primario
Classificazione dell'iperparatiroidismo primario
Giorgio Borretta
Endocrinologia, AO S Croce e Carle, Cuneo
La forma sporadica di PHPT è la più frequente (95% dei casi); a tutt’oggi non sono stati identificati sicuri fattori di rischio, anche se possono avere un ruolo predisponente una pregressa irradiazione della regione del capo/collo e il trattamento protratto con sali di litio (1,2).
Le forme ereditarie di PHPT (3,4), le cui caratteristiche genetiche sono riportate in tabella, non superano in totale il 5% dei casi. La più comune è la MEN 1 (> 80% dei casi), caratterizzata da neoplasie multiple, endocrine e non endocrine, in cui il PHPT è la manifestazione più frequente, con una penetranza completa entro la 5° decade di vita. Nella MEN 2A, in cui il PHPT si associa a feocromocitoma e carcinoma midollare della tiroide, la penetranza del PHPT è del 20-30%. Altre forme ereditarie comprendono:
- PHPT-Jaw tumor syndrome (PHPT-JT), in cui PHPT è associato a tumore ossificante della mandibola, tumori renali e uterini e non raramente è sostenuto da carcinoma paratiroideo (15-20%);
- PHPT familiare isolato (FIPHPT), in cui la malattia non è associata ad altre manifestazioni sindromiche;
- PHPT neonatale, forma rara e molto grave, caratterizzata da ipercalcemia severa;
- ipercalcemia ipocalciurica familiare (FHH), forma benigna, caratterizzata da ipocalciuria relativa (rapporto tra calciuria e creatininuria delle 24 ore < 0.01).
L’adenoma paratiroideo singolo è responsabile di circa l’85% dei casi di PHPT, mentre nei restanti la malattia è plurighiandolare (adenomi multipli o iperplasia ghiandolare diffusa). Quest’ultima è di riscontro più frequente nelle forme ereditarie di PHPT. Il carcinoma paratiroideo è invece molto raro (< 0.5%) (5).
La classificazione clinica oggi più comunemente utilizzata distingue tra PHPT sintomatico, caratterizzato da manifestazioni specifiche della malattia quali nefrolitiasi, osteite fibroso-cistica, sintomi di ipercalcemia, e PHPT asintomatico, in cui le manifestazioni tipiche della malattia sono assenti.
La presentazione clinica del PHPT è profondamente cambiata negli ultimi decenni, soprattutto nei paesi occidentali, ove la forma asintomatica è attualmente quella più frequentemente diagnosticata.
Meno chiaramente definita è la distinzione tra forme lievi e severe di PHPT. Alcuni infatti considerano lieve la forma asintomatica, altri invece fanno riferimento al grado di ipercalcemia e definiscono lieve il PHPT quando la calcemia è < 12 mg/dL (6).
Una recente consensus italiana (7) ha proposto di definire "mild" i pazienti con PHPT asintomatico che non presentano criteri per la scelta del trattamento chirurgico.
Recentemente, infine, è stata identificata una nuova forma di malattia, il PHPT normocalcemico, la cui diagnosi è fondata sulla esclusione di tutte le cause conosciute di iperparatiroidismo secondario. Epidemiologia, storia naturale e potenziali complicanze del PHPT normocalcemico sono poco conosciute, né risulta definito l’approccio clinico più appropriato a questa tipologia di pazienti (8).
Forme ereditarie di PHPT | ||
Malattia | Gene responsabile | Effetto della mutazione |
MEN 1 | Menina, CDKN1B | Perdita di funzione |
MEN 2 | RET | Aumento di funzione |
PHPT-JT | CDC73 (prima noto come HRTP) | Perdita di funzione |
FHPHPT | Menina, CaSR, CDC73, CDKN1B | Perdita di funzione |
FHH | CaSR, GNA11, AP2S1 | Perdita di funzione |
PHPT neonatale severo | CaSR | Perdita di funzione |
Bibliografia
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Epidemiologia dell'iperparatiroidismo primario
Giorgio Borretta
Endocrinologia, AO S Croce e Carle, Cuneo
Il PHPT è la causa più frequente di ipercalcemia (1).
Il profilo epidemiologico del PHPT è profondamente cambiato negli ultimi decenni. Fino agli anni '70-'80 del secolo scorso il PHPT era considerato abbastanza raro; in seguito, grazie alla diffusione del dosaggio automatico della calcemia mediante esami multicanale, la diagnosi di malattia è divenuta più frequente e oggi il PHPT si colloca al terzo posto tra le endocrinopatie di più frequente riscontro dopo diabete e tireopatie.
Attualmente si stimano una incidenza di circa 20 casi/100.000/anno e una prevalenza tra 0.1 e 0.4%, che supera il 2% nelle donne dopo i 55 anni, con un picco nella settima decade di vita (2-3).
Il PHPT è più frequente nelle donne rispetto ai maschi, con un rapporto di 3 a 1, che aumenta a 5 a 1 nella popolazione anziana europea. L’incidenza di malattia è invece simile nei due sessi prima dei 45 anni di età (4). Una recente indagine epidemiologica condotta in USA (5) conferma l'aumentata incidenza della malattia (1-3/1000 nei maschi e 6/1000 nelle femmine), con predominanza nei neri rispetto ad altri gruppi razziali.
Nella popolazione di Rochester, Minnesota (USA), è stato rilevato un nuovo picco di incidenza del PHPT (86.2 per 100.000 persone/anno) a partire dal 1998, coincidente con una maggiore diffusione del dosaggio di PTH e, soprattutto, della misurazione della massa ossea nelle donne (6).
Infine, studi di popolazione hanno rilevato una prevalenza di PHPT normocalcemico oscillante tra 0.4 e 3.1% (7).
Bibliografia
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Storia naturale dell'iperparatiroidismo primario
Giorgio Borretta
Endocrinologia, AO S Croce e Carle, Cuneo
Nei pazienti con PHPT sintomatico sono stati documentati ampiamente i benefici della paratiroidectomia (PTX) sulle complicanze classiche e non classiche della malattia e sul rischio di mortalità cardiovascolare (1); i pazienti non operati vanno invece incontro alla progressione di malattia, di cui la nefrolitiasi recidivante è l’espressione più frequente (2).
Nel PHPT asintomatico studi osservazionali (3-5) hanno evidenziato nella maggioranza dei pazienti non operati una sostanziale stabilità della malattia a lungo termine (8-10 anni); in circa 1/3 dei pazienti invece è stata osservata una progressione di malattia, con peggioramento di ipercalcemia, ipercalciuria e declino della massa ossea. La giovane età alla diagnosi e la lunga durata di malattia sono fattori di rischio per la progressione clinica del PHPT asintomatico (3,4).
Non è tuttora chiaro se il PHPT asintomatico aumenti il rischio di frattura; sono inoltre emerse discordanze, riguardo la distribuzione delle fratture nei differenti siti, tra i risultati di studi clinici, che riportano una aumentata incidenza di fratture vertebrali, e i dati degli studi densitometrici che invece documentano una maggiore compromissione dei siti scheletrici in cui prevale l'osso compatto (6).
Studi controllati hanno dimostrato un rapido recupero di massa ossea nel PHPT asintomatico dopo PTX, ma al momento mancano prove circa i benefici della PTX e/o della terapia medica sul rischio di frattura (6).
Rimane invece controversa l’efficacia di PTX nel migliorare le manifestazioni cardiovascolari e neuropsichiche nei pazienti asintomatici (7,8). Gli studi più recenti sembrerebbero escludere benefici di PTX sulle alterazioni cardiovascolari, mentre non è escluso che qualche paziente possa beneficiare della terapia chirurgica sul piano neuropsichico (6).
La storia naturale del PHPT normocalcemico è poco nota; tuttavia sono stati riportati una progressione in ipercalcemia, a breve-medio termine, in circa 1/5 dei pazienti (9) e, più recentemente, un rapido recupero di massa ossea dopo PTX (10).
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Clinica e diagnostica dell'iperparatiroidismo primario
Manifestazioni renali dell'iperparatiroidismo primario
Laura Gianotti
Endocrinologia, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo
Le principali manifestazioni renali del PHPT, nella forma sintomatica, sono la nefrolitiasi e la nefrocalcinosi. Queste manifestazioni oggi sono diventate meno frequenti e nelle casistiche moderne prevale la forma asintomatica della malattia.
La nefrolitiasi è presente nell’8-20% dei pazienti (in casistiche antecedenti gli anni '80 raggiungeva il 60%) e può essere asintomatica nel 7-11% dei pazienti con PHPT asintomatico, a seconda della casistiche (1,2). In particolare, un recente studio italiano (2) ha mostrato una prevalenza di nefrolitiasi silente in soggetti con PHPT asintomatico significativamente superiore rispetto a un gruppo di controllo (11.3% vs 2.1%). Tale studio indica inoltre che i soggetti con nefrolitiasi silente presentano forme di PHPT più severe rispetto a pazienti senza calcolosi (2). Tra i pazienti con nefrolitiasi conclamata, la coesistenza di PHPT si stima intorno al 2-8% (3).
I fattori di rischio per lo sviluppo della nefrolitiasi risultano il sesso maschile, la giovane età alla diagnosi e caratteristiche biochimiche quali ipercalciuria, aumentata escrezione di ossalati, nonché pH urinario (4), ma la relazione precisa tra PHPT e calcolosi non è ancora completamente chiarita. Studi di genetica identificano un particolare polimorfismo del CaSR associato a un rischio aumentato di calcolosi (5).
I calcoli nel PHPT sono perlopiù composti da fosfato di calcio e ossalato di calcio, mentre sono meno comuni quelli di urato.
Il rischio di calcolosi renale si riduce dopo l’intervento di paratiroidectomia (PTX), sebbene rimanga presente sino a 10 anni dopo la PTX (6). I fattori di rischio per la persistenza/recidiva di calcolosi sono stati individuati nella giovane età e nella presenza di stenosi ureterali (6).
Poiché non vi sono studi mirati alla prevenzione della recidiva di calcolosi renale nel PHPT, si consiglia di gestire i pazienti in modo simile ai calcolotici idiopatici. Il IV workshop del 2013 sulla gestione del PHPT asintomatico indica opportuno lo screening della nefrolitiasi in tutti i pazienti con PHPT (7), come già suggerito dal Position Statement AME sul PHPT (8) e come recentemente confermato dalla Consensus Statement della Società Italiana Endocrinologia (9) che raccomanda lo studio ecografico renale per individuare calcoli renali silenti e la morfologia renale, nonché la misurazione dell'escrezione urinaria di calcio nelle 24 ore e suggerisce la valutazione del profilo di rischio calcolotico urinario sulle urine delle 24 ore in presenza di calciuria > 400 mg/24 h (con la misurazione di calciuria, fosfaturia, ossaluria, uricuria e pH urinario).
L’ecografia renale come screening della nefrolitiasi presenta molti vantaggi, tra cui il basso costo, l’ampia disponibilità e l’assenza di radiazioni, quando confrontata con la tomografia computerizzata, che nella modalità senza contrasto costituisce però l’indagine radiologica più sensibile per l’individuazione della litiasi. L’ecografia presenta, infatti, una bassa specificità in presenza di microlitiasi (falsi positivi possono essere costituiti dalle calcificazioni arteriose delle arterie arcuate), ma è proponibile nella prima valutazione del paziente al momento della diagnosi (10-12).
La nefrocalcinosi è raramente descritta nel PHPT (3% dei pazienti). Consegue alla formazione e deposizione di sali di calcio nel tessuto renale, con accumulo diffuso sulle papille, determinando la formazione di voluminose concrezioni. La nefrocalcinosi è comune nell'acidosi tubulare distale ereditaria e in altri tipi di ipercalciuria severa come in corso di PHPT. I fattori di rischio non sono noti e l’effetto della PTX è modesto (3).
Un’altra manifestazione renale del PHPT è rappresentata dall’insufficienza renale cronica (IRC): una riduzione del filtrato glomerulare (GFR) è di non rara osservazione nel PHPT e può conseguire alla nefrolitiasi o all’ipercalcemia o ancora più raramente alla nefrocalcinosi. La prevalenza dell’IRC varia a seconda delle casistiche, ma studi recenti riportano una prevalenza del 20-30% (13,14). La riduzione della funzione renale, anche se lieve, può peggiorare l’espressione clinica del PHPT, associandosi a ipertensione, aumentata frequenza di diabete e danno osseo (15) anche nelle forme asintomatiche di PHPT. Il valore di GFR < 60 mL/min è associato a una peculiare alterazione istomorfometrica di alterato rimodellamento osseo (16) e, pur non associandosi ad una peculiare attività di malattia in termini di PTH e calcemia (16,17), è stato scelto come uno dei criteri per l’invio del paziente alla terapia chirurgica (18,19), confermato anche nell'ultimo workshop del 2013 (7) e condiviso dal recente consensus statement italiano SIE (9). La funzione renale mostra una riduzione progressiva nei pazienti con PHPT sintomatico, mentre nelle forme lievi/mild la creatinina è riportata stabile o addirittura in riduzione nei pazienti non operati in follow-up (20).
Per il calcolo del GFR le linee guida del National Kidney Foundation’s Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (K-DOQI) raccomandano di utilizzare l’equazione MDRD o Cockroft-Gault o CKD-EPI, facilmente recuperabili online (21).
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Manifestazioni ossee dell'iperparatiroidismo primario
Laura Gianotti
Endocrinologia, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo
Nella forma sintomatica/classica di malattia le manifestazioni scheletriche tipiche sono definite con il termine di osteite fibroso-cistica. Quest'ultima è caratterizzata clinicamente da dolore osseo e radiograficamente dal riassorbimento osseo sub-periostale a livello falangeo, dall’aspetto a sale-pepe del cranio, dalla presenza di cisti ossee e tumori bruni. Questi ultimi possono formarsi in qualunque parte dello scheletro, ma si osservano peculiarmente a livello costale, clavicolare, pelvico e mandibolare, con aspetti che talora necessitano di un’attenta diagnosi differenziale con le localizzazioni ossee metastatiche. Raramente è stata descritta nel PHPT un’osteosclerosi diffusa (1). Queste manifestazioni sono rare nella forma moderna di PHPT; talora si associano ad un'elevata attività di malattia come nel carcinoma paratiroideo. Non è proponibile lo studio radiografico delle falangi, del cranio e delle ossa lunghe a tutti i soggetti con nuova diagnosi, salvo in caso di sintomatologia suggestiva.
L’osteoporosi è altresì molto frequente nella forma moderna di PHPT e rappresenta la porta di ingresso per molte nuove diagnosi di PHPT, in particolare nelle donne dopo la menopausa che presentano una bassa BMD. L’osteoporosi nel PHPT ha una prevalenza stimata > 20% (l’osteopenia > 40%) e la sua presenza costituisce uno dei criteri per la scelta terapeutica chirurgica nei pazienti asintomatici (2). In tutti i soggetti alla diagnosi è raccomandata la misurazione della BMD mediante densitometria (3-6).
Il pattern della perdita ossea nel PHPT è diverso da quello osservato nell’osteoporosi post-menopausale: nel PHPT il deficit di BMD è rilevante a livello corticale (polso), mentre l’osso trabecolare (colonna) è relativamente risparmiato, anche se non è nota l’esatta spiegazione fisiopatologica di questo comportamento (3,4). Talora, nelle donne in menopausa vi può essere una sovrapposizione tra il deficit di BMD dell'osso trabecolare associato all'ipoestrogenismo e dunque il tipico pattern densitometrico del PHPT non è confermato. Il deficit di BMD nel PHPT è aggravato dalla concomitanza di insufficienza renale cronica, anche di grado modesto (7), e dall’ipovitaminosi D (8). Ad oggi le indicazioni più recenti del IV workshop di Firenze 2013 (5) e della consensus italiana della SIE (6) raccomandano di eseguire la densitometria sui 3 siti (colonna lombare, femore e polso) e di ricercare le fratture vertebrali mediante la morfometria (attraverso la DXA piuttosto che la radiografia), in particolare nelle donne in post-menopausa, in soggetti oltre i 65 anni e/o con bassa BMD (T score < -2.5) ad un sito almeno, così come nel sospetto clinico di una frattura vertebrale (dolore, calo di statura). Studi controllati (9-11) riportano infatti un aumentato rischio di fratture vertebrali, che giustifica la loro ricerca anche nella forma asintomatica. È inoltre dimostrato che l'incidenza di fratture vertebrali nel PHPT correla inversamente con i livelli di calcemia, giustificando così la ricerca sistematica delle fratture anche nelle forme di PHPT mild/asintomatico (11-13). Recentemente l'applicazione del TBS (trabecular bone score) ha permesso di individuare una peculiare alterazione dell'osso trabecolare nel PHPT (14).
La presenza di osteoporosi (T score < -2.5 su almeno un sito) e/o la presenza di fratture osteoporotiche è stata individuata come criterio determinante per la scelta terapeutica chirurgica nei pazienti con PHPT asintomatico (4-6). In effetti, dopo l’intervento di PTX è riportato un significativo recupero di BMD, specie a livello lombare, e una riduzione del rischio di frattura (15,16). Va detto peraltro che in uno studio randomizzato-controllato condotto per 3 anni e recentemente esteso a 5 anni, l’efficacia della PTX sulla BMD è risultata paragonabile a quella della terapia medica con bisfosfonati (17,18). Inoltre, nei pazienti con PHPT asintomatico non operati, la frequenza di comparsa di nuove fratture non risulta significativamente diversa rispetto a quella dei pazienti operati (18). Negli studi osservazionali di follow-up condotti a lungo termine (10 e 15 anni), è riportata una sostanziale stabilità della BMD nella maggior parte dei pazienti con PHPT asintomatico non sottoposti a PTX (19,20). I limiti di questi studi, in primo luogo la numerosità esigua del campione, non permettono di condividere con certezza questo andamento e pertanto è raccomandata la sorveglianza densitometrica sui 3 siti (vertebrale, femorale, polso) ogni 24 mesi (5,6).
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