Stampa

Flavia Pugliese
Unità Operativa di Endocrinologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG)

(aggiornato al 17/3/2025)

 

DEFINIZIONE
L’ipofosfatasia (HPP) è una malattia genetica causata da mutazioni del gene ALPL, responsabile di una riduzione dell'attività della fosfatasi alcalina tessuto-non specifica (TNSALP), che determina alterazioni della mineralizzazione scheletrica.

 

EPIDEMIOLOGIA
È una malattia rara: in Europa si stima che la forma grave della patologia abbia una prevalenza di 1:300.000 nati vivi.

 

FISIOPATOLOGIA
La fosfatasi alcalina (ALP) è un enzima quasi ubiquitario, in grado di defosforilare una serie di substrati extra-cellulari. Di essa sono noti quattro iso-enzimi, codificati da quattro differenti geni, espressi in diversi tessuti:

  • intestinale, codificato dal gene ALPI;
  • placentare, codificato dal gene ALPP;
  • germinale, codificato dal gene ALPPL2;
  • tessuto non-specifico, codificato dal gene ALPL, localizzato sul cromosoma 1, espresso in molti tessuti, tra cui osso, fegato, rene, denti.

La TNSALP rappresenta il 95% dell’attività totale dell'ALP misurata nel siero. È un omodimero, composto da due subunità identiche, con siti di legame per lo zinco (catalizzatore enzimatico), per il magnesio (cofattore) e per il calcio.
Le mutazioni del gene ALPL, che determinano la riduzione dell’attività della TNSALP, provocano un accumulo dei tre substrati:

  • il pirofosfato inorganico (PPi) è un potente inibitore della mineralizzazione scheletrica e il suo accumulo da insufficiente attività della TNSALP osteoblastica determina ridotta mineralizzazione di ossa e denti, con sviluppo di rachitismo o osteomalacia di grado variabile. La ridotta mineralizzazione scheletrica può causare anche una serie di alterazioni del metabolismo minerale, in particolare ipercalcemia, con conseguente riduzione del PTH e ipercalciuria;
  • il piridossal-5-fosfato (PLP) (metabolita attivo della vitamina B6), la cui mancata defosforilazione a piridossale impedisce a questo metabolita di attraversare la barriera emato-encefalica, dove è cofattore essenziale per la sintesi dei neurotrasmettitori GABA, serotonina e dopamina. La mancanza di vitamina B6 a livello encefalico è associata a crisi epilettiche nei bambini;
  • la fosfoetanolamina (PEA), di cui determina la defosforilazione e del cui accumulo non sono note le conseguenze.

La ridotta attività della TNSALP, insieme all’eccesso di PPi e alla riduzione del PTH, possono comportare un incremento del riassorbimento renale del fosfato, causando iperfosfatemia e formazione di cristalli di pirofosfato di calcio di-idrato, che possono portare allo sviluppo di pseudo-gotta e nefrocalcinosi. TNSALP è coinvolta anche nella proliferazione e nella differenziazione delle cellule staminali neurali, nella mielinizzazione e nella crescita assonale, e nella maturazione e mantenimento delle sinapsi.

 

GENETICA
Sono state descritte più di 400 mutazioni di ALPL causanti ipofosfatasia, ereditabile come malattia autosomica recessiva o dominante:

  • le forme gravi sono più spesso sostenute da mutazioni in omozigosi o in eterozigosi composta;
  • le forme moderate sono più spesso associate a varianti missenso, con effetto dominante negativo;
  • le forme più lievi dipendono in genere da meccanismi di aplo-insufficienza.

Non esiste però una diretta correlazione genotipo-fenotipo e l’espressione clinica è variabile anche in presenza della stessa mutazione. Sono descritte inoltre numerosissime varianti di incerto significato (VUS), con un database in continua espansione e periodiche riclassificazioni per valutare i punteggi fenotipici registrati per ogni variante. In caso di mancata identificazione di una mutazione o VUS del gene ALPL, è opportuno prendere in considerazione diagnosi alternative, sebbene alcune varianti possano non essere identificate con le tecniche di sequenziamento comunemente utilizzate.

 

CLINICA
La presentazione clinica dell’HPP può essere estremamente variabile.
Le principali manifestazioni cliniche sono correlate al difetto di mineralizzazione scheletrica e alle sue conseguenze, con quadri che possono andare da gravi deformazioni scheletriche, condizionanti insufficienza respiratoria per alterazioni della gabbia toracica, a quadri di rachitismo/osteomalacia con deformità ossee, bassa statura, fratture recidivanti (specie metatarsali), fratture atipiche e pseudo-fratture. Il difetto di mineralizzazione a livello dentario comporta spesso la perdita precoce della dentatura decidua, l’edentulia precoce nell’adulto e parodontopatie ricorrenti.
Sono frequenti il dolore muscolo-scheletrico cronico e le calcificazioni ectopiche, in particolare lo sviluppo di nefro-calcinosi e condro-calcinosi.
Tra le manifestazioni neurologiche nei bambini sono tipiche le crisi epilettiche responsive a vitamina B6; negli adulti si osservano invece manifestazioni neuro-psichiatriche, con astenia/affaticamento, cefalea, disturbi del sonno, disturbi del cammino, vertigini, depressione e ansia.
Sono stati descritti anche casi pauci- o asintomatici, in cui la diagnosi è stata effettuata incidentalmente osservando bassi livelli ALP, associati a incremento dei substrati e a riscontro di mutazioni della ALPL.
L’attuale classificazione clinica dell’ipofosfatasia si base sull’età di insorgenza e sulla gravità della sintomatologia. Si distinguono quindi le forme:

  • peri-natali, con manifestazioni cliniche gravi evidenti già durante la gestazione o alla nascita, caratterizzate principalmente da deficit di mineralizzazione e importanti deformità scheletriche, cranio-sinostosi, insufficienza respiratoria, a prognosi sfavorevole;
  • neonatale, con esordio entro i primi 6 mesi di vita, con mineralizzazione e deformità scheletriche simili alla forma peri-natale, insufficienza respiratoria, ipercalcemia, crisi epilettiche, con prognosi sfavorevole;
  • pre-natale benigna, con evidenza di deficit di mineralizzazione e deformità scheletriche già durante la gestazione o alla nascita, ma senza manifestazioni cliniche gravi, in particolare con minor difetto di mineralizzazione e senza alterazioni della gabbia toracica, con prognosi favorevole;
  • infantile grave, a esordio dopo i 6 mesi di vita, con manifestazioni cliniche gravi ma senza prognosi infausta;
  • infantile lieve, con manifestazioni spesso aspecifiche, tra cui principalmente dolore muscolo-scheletrico e fratture dopo traumi lievi;
  • dell’adulto, con manifestazioni tipiche dell’osteomalacia, tra cui fratture da stress, in particolare metatarsali, pseudo-fratture, fratture femorali atipiche, osteomalacia, condro-calcinosi, artrosi, dolori ossei e muscolari, pseudo-gotta, nefro-calcinosi; possono essere presenti anomalie dentarie;
  • odonto-ipofosfatasia, caratterizzata da interessamento esclusivo dei denti, con perdita precoce dei denti decidui (prima dei 4 anni), odontopatie/parodontopatie recidivanti e edentulia precoce.

Il sospetto clinico dovrebbe sorgere in caso di ipofosfatasemia persistente o in presenza di manifestazioni cliniche tipiche della patologia, in particolare, edentulia precoce o perdita precoce della dentatura decidua (prima dei 4 anni), dolore muscolare o osseo cronico, debolezza muscolare, ritardo motorio, fratture da stress, pseudo-fratture, fratture femorali atipiche, fratture da fragilità recidivanti, nefro-calcinosi, pseudo-gotta, calcificazioni ectopiche.

 

DIAGNOSI
La diagnosi è complessa a causa dell’eterogeneità clinica e il ritardo diagnostico medio è di 5.7 anni. Si basa su una serie di parametri biochimici, radiologici e clinici.
Per la diagnosi è necessaria la dimostrazione di livelli di ALP persistentemente bassi in rapporto a età e sesso (tabella 1).

 

Tabella 1
Limite inferiore di normalità dell'ALP
Età U/L (M/F)
< 1 mese 60
1-11 mesi 70
1-3 anni 125
4-11 anni 150
12-13 anni 160/110
14-15 anni 130/55
16-19 anni 60/40
> 20 anni 40

 

Gli altri parametri biochimici, radiologici e clinici sono presenti invece in una percentuale variabile. Recentemente l’HPP International Working Group ha identificato una serie di criteri diagnostici, distinti in maggiori (se descritti in più del 50% dei casi clinici pubblicati o raccomandati da più del 50% degli studi) e minori (tabella 2).

Tabella 2
Criteri diagnostici
Adulti Criteri maggiori
  • Mutazioni ALPL
  • Incremento substrati
  • Fratture femorali atipiche/pseudo-fratture
  • Fratture metatarsali recidivanti
Criteri minori
  • Scarso consolidamento delle fratture
  • Dolore cronico muscolo-scheletrico
  • Edentulia precoce
  • Condro-calcinosi
  • Nefro-calcinosi
Bambini Criteri maggiori
  • Mutazioni ALPL
  • Incremento substrati
  • Perdita precoce dei denti decidui
  • Segni radiologici di rachitismo
Criteri minori
  • Bassa statura o ritardo di crescita lineare
  • Ritardo motorio
  • Cranio-sinostosi
  • Nefro-calcinosi
  • Convulsioni responsive a vitamina B6

 

In particolare, tra i parametri biochimici tipici della patologia vi sono l’incremento dei substrati, tra cui la vitamina B6 plasmatica (da dosare previa sospensione di eventuali supplementazioni per almeno una settimana), la PEA e il PPi urinari. L’ipercalcemia con PTH soppresso, l’ipercalciuria e l’iperfosfatemia possono essere osservate ma non rappresentano un criterio diagnostico di HPP. L’identificazione di una mutazione del gene ALPL può confermare la diagnosi.

Gli esami radiologici possono mostrare più tipicamente segni di rachitismo, fratture femorali atipiche, pseudo-fratture, fratture da stress (in particolare metatarsali), scarso consolidamento delle fratture, condro-calcinosi, nefro-calcinosi. Non sono invece tipiche dell’HPP bassa massa ossea o fratture vertebrali.

  • Forma in utero: può essere individuata ecograficamente durante il secondo trimestre di gestazione; alla radiografia è presente una quasi totale mancanza di mineralizzazione ossea e/o alterazioni tipiche del rachitismo.
  • Ipofosfatasia del lattante: l’esame radiologico mostra demineralizzazione scheletrica generalizzata e progressiva, e i segni tipici del rachitismo.
  • Pazienti pediatrici: le radiografie delle ossa lunghe possono mostrare difetti nella cartilagine a livello metafisario, denominate lingue; inoltre, in presenza di cranio-sinostosi, il cranio può avere un aspetto a “rame battuto”.
  • Forma dell’adulto: la radiologia può mostrare pseudo-fratture indicative di osteomalacia, osteopenia generalizzata e condro-calcinosi. La densitometria (DEXA) può evidenziare la presenza di bassa massa ossea nel femore e nella colonna vertebrale.
  • Odonto-ipofosfatasia: la radiografia dentale mostra ridotto osso alveolare, camere pulpari e canali radicolari allargati.

Dal punto di vista clinico, i sintomi più frequentemente descritti, che possono essere utilizzati come criterio diagnostico, sono l’edentulia precoce o la perdita precoce dei denti decidui, il dolore muscolo-scheletrico cronico (per quanto aspecifico), le convulsioni responsive a vitamina B6, il ritardo di crescita e il ritardo motorio.
L’HPP International Working Group propone quindi che, in soggetti con valori persistentemente bassi di ALP, la diagnosi di HPP possa essere posta in presenza di 2 criteri maggiori oppure di 1 criterio maggiore + 2 criteri minori (tabella 1).

Analisi molecolare
Con il sequenziamento, sono state identificate circa il 95% delle mutazioni responsabili delle forme gravi (perinatale e neonatale) della malattia. La consulenza genetica è complicata da variabilità della trasmissione (autosomica dominante o autosomica recessiva), dall'esistenza della forma prenatale benigna e dalla penetranza incompleta del gene-malattia. L'analisi mutazionale del DNA sui villi coriali rende possibile la diagnosi prenatale dell'ipofosfatasia grave.

 

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Dal punto di vista clinico/radiologico, la diagnosi differenziale dipende molto dalle manifestazioni del soggetto. In base all’età di insorgenza e all’entità del danno osseo e dei sintomi associati, la diagnosi differenziale si pone in genere con altre forme di rachitismo (da deficit di vitamina D, da ipofosfatemia), con l’osteogenesi imperfetta, con l’osteoporosi, tutte forme che in genere, a differenza dell’HPP, presentano livelli di ALP normali o incrementati.
Dal punto di vista biochimico, è necessario escludere altre condizioni associate a bassi livelli di ALP (ipofosfatasemia), le cui principali cause sono elencate nella tabella 3.

 

Tabella 3
Cause di ipofosfatasemia
Farmaci Anti-riassorbitivi
Chemioterapici
Vitamina D (intossicazione)
Malattie endocrinologiche Ipoparatiroidismo
Ipotiroidismo
Ipercortisolismo
Ritardo di crescita
Malattie ematologiche Anemia perniciosa
Trasfusioni massive
Malattie mielo-proliferative
Mieloma multiplo
Deficit nutrizionali Magnesio
Zinco
Vitamina C
Vitamina B6
Vitamina B12
Folati (?)
Malattia celiaca
Alterazioni laboratoristiche EDTA/citrato/ossalato nella provetta (perché legano il Mg)
Emolisi
Altro Osteodistrofia renale con osso adinamico
Malattie acute gravi
Traumi o chirurgia maggiore
Malattia di Wilson
Acondroplasia

 

 

Una ipofosfatasemia transitoria è comune in caso di condizioni acute, tra cui sepsi, interventi chirurgici maggiori, traumi. Ipofosfatasemia persistente si osserva in alcune patologie endocrinologiche misconosciute e quindi non in trattamento (ipoparatiroidismo, ipotiroidismo, ipercortisolismo), patologie associate a malassorbimento, deficit di zinco o di magnesio, patologie ematologiche, malattia di Wilson; bassi livelli di ALP possono essere causati da terapia con anti-riassorbitivi, chemioterapici e da intossicazione da vitamina D.

 

Tabella 4
Diagnosi differenziale biochimica
  Ipofosfatasia

Rachitismo nutrizionale

Rachitismo ipofosfatemico X-linked Osteogenesi imperfetta Osteoporosi primaria
ALP diminuita aumentata aumentata = normale
Calcemia aumentata/= ridotta normale = normale
Fosfatemia aumentata/= ridotta ridotta = normale
PTH diminuito/= aumentato aumentato/= = normale
Vitamina D = ridotta ridotta/= = normale

 

 

TRATTAMENTO
L’obiettivo è il controllo della sintomatologia e la prevenzione o il trattamento delle complicanze.
Il trattamento deve essere individualizzato in base al quadro clinico: il paziente deve quindi essere seguito in un centro specializzato in malattie osteo-metaboliche, che possa garantire un approccio multi-disciplinare, con il coinvolgimento di diversi specialisti (endocrinologo, ortopedico, odontoiatra, fisiatra e, nelle forme gravi infantili, anche pneumologo, neurologo, neurochirurgo).
I trattamenti di supporto più frequentemente utilizzati sono rappresentati da fisioterapia, riabilitazione, terapia occupazionale, farmaci anti-infiammatori/anti-dolorifici. I livelli di vitamina D devono essere mantenuti nel range di normalità (> 30 ng/mL) per prevenire lo sviluppo di iperparatiroidismo secondario; deve però essere evitato l’eccesso di supplementazione per ridurre il rischio di ipercalcemia e ipercalciuria. Nei soggetti ipercalcemici a volte può essere necessaria una dieta ipocalcica. Nei soggetti con manifestazioni epilettiche può essere utilizzata la piridossina. In base alla evoluzione del quadro clinico possono essere necessari supporto respiratorio, trattamenti ortopedici, trattamenti chirurgici per la cranio-sinostosi.
Nel 2015 è stata approvata per il trattamento dell’ipofosfatasia una terapia enzimatica sostitutiva. Asfotase alfa è una forma di TNSALP umana ricombinante, a somministrazione sotto-cutanea. Il farmaco si è dimostrato efficace nelle forme gravi, determinando miglioramento di sopravvivenza, funzionalità respiratoria, funzionalità motoria, crescita, qualità di vita, dolore, mineralizzazione scheletrica, oltre a miglioramento dei parametri radiologici. I benefici della terapia enzimatica sostitutiva sono stati dimostrati sia per forme a esordio infantile che per le forme gravi dell’adulto. Ancora discusso è invece l’utilizzo di Asfotase alfa nelle forme più lievi, in cui deve essere sempre valutato il rapporto costo/rischio/beneficio, in considerazione anche dei potenziali effetti collaterali della terapia, i più frequenti dei quali sono le calcificazioni ectopiche, le reazioni in sede di iniezione (in particolare lipodistrofia), l’ipocalcemia.
I pazienti in trattamento devono essere monitorati a 3 e 12 mesi, quindi annualmente. Il monitoraggio comprende:

  • dosaggio di ALP, che risulta elevata durante il trattamento, come indice di aderenza alla terapia, ma non deve essere usata per la titolazione del trattamento;
  • dosaggio di vitamina B6, la cui riduzione dimostra l’efficacia del trattamento;
  • dosaggio di calcemia e PTH, per monitorare l’eventuale sviluppo di ipocalcemia da sindrome dell’osso affamato;
  • dosaggio di vitamina D per mantenere livelli adeguati e ridurre il rischio di sviluppare ipocalcemia;
  • dosaggio fosfatemia per monitorare l’eventuale sviluppo di iperfosfatemia (descritto durante terapia con Asfotase alfa) e ridurre il rischio di calcificazioni ectopiche;
  • valutazione di funzione renale ed epatica, emocromo, elettroliti;
  • valutazioni cliniche del dolore (con questionari specifici), della funzione motoria (ad esempio test del cammino), della forza muscolare;
  • monitoraggio radiologico dell’età ossea e dei segni di rachitismo;
  • nei bambini monitoraggio della crescita e delle tappe di sviluppo motorio;
  • monitoraggio della funzionalità respiratoria;
  • imaging renale e valutazioni oculistiche per valutare lo sviluppo di calcificazioni ectopiche;
  • monitoraggio della salute dentale.

La risposta al trattamento è valutata osservando il miglioramento della mineralizzazione scheletrica e dei sintomi clinici, con riduzione dei valori di vitamina B6 e tendenziale incremento del PTH. Rappresentano segni di undertreatment valori persistentemente elevati di vitamina B6, calcemia, calciuria e PTH soppresso, oltre che la scarsa risposta radiologica nei bambini; segni di overtreatment, più difficili da evidenziare, possono essere rappresentati dallo sviluppo di calcificazioni ectopiche.
Negli adulti con ipofosfatasia sono stati utilizzati off-label anche il teriparatide e il romosozumab. Il teriparatide ha mostrato in alcuni casi un incremento degli indici di turn-over scheletrico e della densità minerale ossea e più rapida guarigione delle fratture. Anche il romosozumab ha determinato incremento dei marcatori di osteosintesi e della densità minerale ossea. Tali benefici restano tuttavia limitati al periodo di somministrazione del farmaco e non è noto l’effetto di un utilizzo prolungato e della loro sospensione.
Nei soggetti con ipofosfatasia sono assolutamente controindicati i farmaci anti-riassorbitivi (bisfosfonati, denosumab), che determinano peggioramento della sintomatologia, della mineralizzazione scheletrica e incremento del rischio di fratture atipiche femorali.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Montero-Lopez R, et al. Challenges in hypophosphatasia: suspicion, diagnosis, genetics, managementi and follow up. Horm Res Paediatr 2024, DOI: 10.1159/000540692.
  • Salles Reis F, Lazaretti-Castro M. Hypophosphatasia: from birth to adulthood. Arch Endocrinol Metab 2023, 67: e000626.
Stampa

Fabio Vescini, Antonio Stefano Salcuni & Alessandro Brunetti
SOC Endocrinologia, Azienda Sanitaria Universitaria – Friuli Centrale

(aggiornato al 20 dicembre 2023)

 

Meccanismo d’azione
È un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro la sclerostina, una glicoproteina secreta dagli osteociti che agisce prevalentemente come inibitore dell’osteoblastogenesi. L’inibizione della sclerostina determina un potente effetto anabolico, ma romosozumab ha dimostrato anche un effetto anti-riassorbitivo, inibendo l’attivazione degli osteoclasti da parte di osteoblasti ed osteociti. Pertanto, romosozumab è attualmente l’unico farmaco disponibile nella pratica clinica dalla duplice azione anabolica ed anti-riassorbitiva. Nello studio clinico randomizzato FRAME (Fracture Study in Postmenopausal Women with Osteoporosis), effettuato su circa 7200 donne con osteoporosi post-menopausale, il trattamento per 12 mesi con romosozumab ha ridotto del 73% le fratture vertebrali e del 36% le fratture cliniche in qualsiasi sede rispetto al placebo (1). Sulla base di tale studio, il farmaco è stato approvato nel 2019 sia dalla Food and Drug Administration (FDA) che dalla European Medicines Agency (EMA) per il trattamento dell’osteoporosi nella donna in post-menopausa.

 

Indicazioni
Attualmente l’uso del farmaco è approvato solo nelle donne in post-menopausa, nonostante alcuni studi evidenzino risultati promettenti anche nella popolazione maschile (2,3).

 

Modalità di somministrazione
La somministrazione è sottocutanea al dosaggio di 210 mg mensili, indipendentemente del peso corporeo. Attualmente il farmaco è commercializzato in penne pre-riempite da 105 mg (Evenity); è necessario, pertanto, effettuare due somministrazioni simultanee ogni mese. Il periodo di trattamento previsto è di massimo 12 mesi, poiché non è stato dimostrato un aumento significativo della BMD per un periodo più prolungato. Al termine del trattamento, è necessario avviare una terapia anti-riassorbitiva per mantenere l’incremento della BMD e ridurre ulteriormente il rischio fratturativo.

 

Effetti avversi e controindicazioni
Gli effetti avversi comunemente riportati sono per lo più lievi (reazioni nel sito d‘iniezione, artralgie, cefalea, reazioni cutanee). Tuttavia, due importanti trial clinici, BRIDGE (Study to Compare the Safety and Efficacy of Romosozumab  Versus Placebo in Men With Osteoporosis) e ARCH (Active-Controlled Fracture Study in Postmenopausal Women With Osteoporosis at High Risk), hanno dimostrato un incremento degli eventi cardio-vascolari e cerebro-vascolari, rispettivamente negli uomini trattati con romosozumab vs placebo e nelle donne trattate con romosozumab vs alendronato (2,4). Pertanto, il farmaco è attualmente controindicato nei pazienti con storia di infarto del miocardio o ictus ischemico, o comunque ad alto rischio CV.

 

Limitazioni prescrittive
Con l’ultimo aggiornamento della nota AIFA 79 del 7/2/2023, romosozumab è stato incluso nei trattamenti per l’osteoporosi rimborsabili da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). La rimborsabilità a carico del SSN dipende dalle seguenti condizioni:

  • T-score colonna o femore < -2.5 DS associato ad almeno una condizione tra:
    • ≥ 1 frattura vertebrale moderata o grave;
    • ≥ 2 fratture vertebrali lievi;
    • ≥ 2 fratture non vertebrali;
    • frattura di femore;
  • T-score colonna o femore < -2.0 DS associato ad almeno una condizione tra:
    • 2 fratture vertebrali moderate o gravi;
    • frattura di femore nei 2 anni precedenti.

In aggiunta le pazienti devono soddisfare questi ulteriori requisiti:

  • rischio di frattura a 10 anni ≥ 20% (determinato con calcolatore validato);
  • impossibilità a eseguire altri trattamenti efficaci (intolleranza, inefficacia o scadenza del periodo di impiego autorizzato).

 

Bibliografia

  1. Cosman F, et al. Romosozumab treatment in postmenopausal women with osteoporosis. N Engl J Med 2016, 375: 1532–43.
  2. Lewiecki EM, et al. A phase III randomized placebo-controlled trial to evaluate efficacy and safety of romosozumab in men with osteoporosis. J Clin Endocrinol Metab 2018, 103: 3183–93.
  3. Padhi D, et al. Multiple doses of sclerostin antibody romosozumab in healthy men and postmenopausal women with low bone mass: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. J Clin Pharmacol 2014, 54: 168–78.
  4. Saag KG, et al. Romosozumab or alendronate for fracture prevention in women with osteoporosis. N Engl J Med 2017, 377: 1417–27.
Stampa

Gregorio Guabello
Ambulatorio di Patologia Osteo-Metabolica, UO Reumatologia, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi; Ambulatorio di Endocrinologia Oncologica, IRCCS Ospedale San Raffaele; Milano

 

Meccanismo di azione
Anticorpo monoclonale anti-FGF23, che ne contrasta l’effetto fosfaturico determinando un aumento della fosfatemia.

 

Indicazioni
Trattamento dell’ipofosfatemia X-linked (XLH) con evidenza radiografica di malattia ossea, nei bambini di età > 1 anno e negli adolescenti con sistema scheletrico in crescita.

 

Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Somministrazione concomitante con fosfato e analoghi della vitamina D attiva per via orale.
Fosfatemia a digiuno superiore all’intervallo della norma per l’età, a causa del rischio di iperfosfatemia.
Pazienti con compromissione renale severa o malattia renale in fase terminale.

 

Preparazioni, vie di somministrazione, posologia
Crysvita, flac 10, 20, 30 mg.
La dose iniziale raccomandata è 0.8 mg/kg, somministrati ogni due settimane. Le dosi devono essere arrotondate ai 10 mg più vicini. La dose massima è 90 mg. È necessario un aggiustamento del dosaggio in base ai livelli di fosfatemia in corso di terapia.

 

Effetti collaterali
Quelli segnalati più comunemente (> 10%) nei pazienti pediatrici trattati per un periodo fino a 64 settimane durante gli studi clinici sono stati: reazioni in sede di iniezione (56%), tosse (56%), cefalea (50%), piressia (43%), dolore alle estremità (40%), vomito (39%), ascesso dentario (35%), diminuzione della vitamina D (32%), diarrea (25%), eruzione cutanea (24%), nausea (15%), stipsi (11%), carie dentaria (11%), mialgia (11%).

 

Limitazioni prescrittive
Classe H, obbligatoria compilazione scheda di monitoraggio.

Stampa

Fabio Vescini, Antonio Stefano Salcuni & Alessandro Brunetti
SOC Endocrinologia, Azienda Sanitaria Universitaria – Friuli Centrale

(aggiornato al 20 dicembre 2023)

 

Meccanismo d’azione
Abaloparatide è un analogo sintetico della Parathyroid Hormone-related Protein (PTHrP), in grado di attivare la via di segnale del recettore 1 del paratormone, esercitando sull’osso un effetto anabolico. L’efficacia di abaloparatide è stata dimostrata nello studio Abaloparatide Comparator Trial in Vertebral Endpoints (ACTIVE), un RCT di fase 3 di confronto fra abaloparatide e teriparatide in circa 2000 donne in post-menopausa. Dopo 18 mesi di trattamento, la riduzione delle fratture vertebrali e l’aumento della BMD era simile nelle pazienti dei due bracci, mentre l’efficacia sulla BMD femorale è risultata maggiore con abaloparatide rispetto a teriparatide (+4.2% vs +3.3%, p < 0.01) (1). Sulla base di tali risultati, nel 2017 il farmaco è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dell’osteoporosi. Tuttavia, la European Medical Agency (EMA) ha inizialmente negato l’approvazione a causa della mancata riduzione significativa delle fratture non vertebrali e del riscontro di aumento della frequenza cardiaca (3). Studi successivi e analisi post-hoc sulle pazienti dello studio ACTIVE hanno comunque confermato l’efficacia di abaloparatide nella riduzione sia delle fratture vertebrali che non-vertebrali e la sostanziale sicurezza dal punto di vista CV (3).

 

Indicazioni
Il farmaco è stato approvato per il trattamento dell’osteoporosi dall’EMA nel 2022 e successivamente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) all’inizio del 2023.

 

Modalità di somministrazione
La dose consigliata di Eladynos è di 80 μg/die somministrata mediante iniezione sottocutanea, per un periodo massimo di 18 mesi, al termine del quale è consigliato avviare un trattamento anti-riassorbitivo.

 

Effetti avversi
Sono per lo più sovrapponibili a quelli di teriparatide, anche se per abaloparatide è stata documentata una minore incidenza di ipercalcemia (1).

 

Limitazioni prescrittive
Attualmente non è ancora prevista la rimborsabilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale.

 

Bibliografia

  1. Miller PD, et al. Effect of abaloparatide vs placebo on new vertebral fractures in postmenopausal women with osteoporosis: a randomized clinical trial. JAMA 2016, 316: 722–33.
  2. Miller PD, et al. Bone mineral density response rates are greater in patients treated with abaloparatide compared with those treated with placebo or teriparatide: results from the ACTIVE phase 3 trial. Bone 2019, 120: 137–40.
  3. Brent MB. Abaloparatide: a review of preclinical and clinical studies. Eur J Pharmacol 2021, 909: 174409.
Stampa

Fabio Vescini
SOC Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia, Udine

 

Meccanismo d’azione
In vitro il ranelato di stronzio ha indotto un aumento sia della replicazione dei precursori osteoblastici, sia della sintesi del collagene; inoltre, è risultata incrementata la produzione di osteoprotegerina, con conseguente inibizione del reclutamento dei precursori osteoclastici. In vivo sono state osservate modificazioni speculari dei marcatori di turn-over osseo (incremento di quelli di formazione e diminuzione di quelli di riassorbimento), ma l’ampiezza della variazione è stata di modesta entità. Alcuni aspetti del meccanismo d’azione di questo farmaco non sono ancora completamente chiariti.

 

Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Osseor, Protelos (bustine da 2 grammi): 1 bustina/die, non sono più disponibili.

 

Indicazioni
Trattamento dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa, per ridurre il rischio di fratture vertebrali e del femore.

 

Contro-indicazioni
Bambini e adolescenti
Gravidanza e allattamento
Donne di età > 80 anni
Tromboembolia venosa
Pazienti che abbiano presentato reazioni da ipersensibilità, anche ad altri farmaci
Insufficienza renale di grado severo (VFG < 30 mL/min)

 

Effetti collaterali
Nausea, diarrea

 

Precauzioni d’uso
Il farmaco è registrato esclusivamente per l’uso in donne in menopausa
Non assumere in vicinanza dei pasti (attendere almeno 2 ore dalla cena in quanto i cibi possono ridurre l’assorbimento intestinale del farmaco del 50-60%)
Utilizzare con cautela nelle pazienti con aumentato rischio di tromboembolia venosa, incluse quelle con anamnesi positiva per TEV
In caso di comparsa di rash cutaneo sospendere immediatamente il trattamento
In caso di comparsa di rash associato a febbre, eosinofilia, adenopatia, epatite, nefropatia e pneumopatia interstiziali (sindrome di DRESS) sospendere immediatamente il trattamento ed istituire opportuna terapia steroidea

 

Limitazioni prescrittive
Nota AIFA 79