Genetica
Agonisti GLP-1
Maurizio Poggi1, Rossella Dionisio2, Emanuele Spreafico3 & Barbara Pirali4
1AO Sant’Andrea, Roma
2UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
3UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio
4Ambulatori Endocrinologia e Diabetologia, Humanitas Mater Domini, Castellanza (VA)
(aggiornato al 2 febbraio 2020) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
Gli agonisti del GLP-1 sono una classe di farmaci, di recente introduzione, appartenenti alla classe delle incretine, sistema caratterizzato dall’azione, fondamentalmente, di due ormoni intestinali: il GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon Like Peptide – 1). Questo sistema è responsabile del 70% della secrezione insulinica post-prandiale, rivestendo un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi glucidica (1).
Ad oggi sono disponibili due classi di famaci classificabili come agonisti del GLP-1:
- analoghi: exenatide, lixisenatide;
- agonisti del recettore: liraglutide, albiglutide, dulaglutide, semaglutide.
Entrambe le molecole, differentemente dagli inibitori del DPP-4, sono caratterizzate da una somministrazione per via sottocutanea (una o due volte al giorno o settimanale, a seconda della molecola).
Nella farmacopea italiana sono disponibili sia GLP-1-RA short-acting (exenatide, liraglutide) che long-acting (exenatide LAR, albiglutide, dulaglutide). Numerose altre molecole long-acting sono attualmente in fase di sperimentazione, tra cui la semaglutide, nuovo GLP-1-RA a somministrazione settimanale, la cui struttura è simile a quella della liraglutide dalla quale si differenzia per l’emivita, di ben 160 ore (2,3).
L’efficacia di queste molecole nel controllo glico-metabolico è ormai dimostrata essere molto importante. Si osservano diminuzione di HbA1c fino a 1.6% e recupero dell’insulino-sensibilità e, soprattutto, un importante impatto benefico sul peso corporeo (stimato mediamente in una diminuzione fino a 6 kg, con diminuzione dell’adiposità addominale negli studi con durata oltre le 30 settimane e con percentuali di riduzione del peso > 10% in più del 35% dei soggetti trattati) (4-6).
Oltre a questi importanti effetti, questa classe di farmaci ha mostrato di possedere un particolare impatto positivo sul profilo di rischio cardio-vascolare (CV), con diminuzione dei valori di pressione arteriosa, miglioramento della contrattilità miocardica ed effetto positivo sul profilo lipidico (diminuzione trigliceridi, aumento HDL), anche correlato alla diminuzione del peso corporeo (7-10).
In particolare sono stati recentemente pubblicati i risultati dello studio LEADER (Liraglutide Effect and Action in Diabetes-Evaluation of CArdiovascular Outcome Results), che ha mostrato un importante e significativo beneficio CV di liraglutide: nei pazienti con DM2 ad alto rischio ha ridotto il rischio di morte per cause CV, infarto miocardico non fatale e ictus (11).
Nello studio REWIND (Researching CV Event with a Weekly Incretin in Diabetes) il trattamento con dulaglutide si associa a minore incidenza di eventi CV rispetto al placebo, in una popolazione più eterogenea di quelle finora studiate; questi benefici sono ugualmente osservabili sia in prevenzione secondaria che in prevenzione primaria (12).
Nello studio SUSTAIN 6 (Trial to Evaluate Cardiovascular and Other Long-term Outcomes with Semaglutide in Subjects with Type 2 Diabetes), nel gruppo trattato con semaglutide è stato riscontrato un rischio significativamente minore, rispetto al placebo, di un end-point primario composito di morte CV, prima comparsa di IM non fatale o ictus non fatale; in dettaglio è stata evidenziata una diminuzione del 39% di ictus non fatale e del 26% (non significativa) di IM non fatale. La mortalità per cause CV è risultata simile nei due gruppi (13).
Non abbiamo ancora molti studi che abbiano comparato l’efficacia delle differenti molecole di questa classe. Nello studio LEAD-6 (liraglutide vs exenatide), la riduzione di HbA1c sembrerebbe maggiore con liraglutide, così come migliori sembrano gli effetti su glicemia a digiuno, quadro lipidico, diminuzione del peso corporeo e pressione sistolica.
Per quanto riguarda lixisenatide, un recente studio della durata di 26 settimane ha mostrato una maggiore riduzione di HbA1c con liraglutide rispetto a lixisenatide quando aggiunta a metformina, con effetti simili su peso, ipoglicemia ed effetti collaterali gastrointestinali (14). La sicurezza e l’efficacia di dulaglutide sono state valutate in sei studi clinici (AWARD) randomizzati controllati di fase 3, che hanno evidenziato efficacia (come riduzione di HbA1c) superiore vs exenatide (2/die) e sitagliptin e non inferiore a liraglutide (1.8 mg/die)(15).
Gli effetti collaterali maggiormente segnalati sono nausea e vomito, che possono causare l’abbandono della terapia fino al 15% dei pazienti (14). Anche questi effetti non desiderabili sembrano minori con liraglutide vs exenatide in ragione della mono-somministrazione giornaliera. L'uso degli analoghi LAR potrebbe migliorare ulteriormente l’adesione a questo tipo di terapie (16).
La possibilità da parte di queste molecole di poter agire da induttori di processi sia infiammatori che neoplastici a carico del pancreas sembra essere più teorica che pratica. Per fare luce su questo aspetto, recentemente la Canadian Network for observational Drug Effect Studies ha disegnato un ampio studio multicentrico internazionale su una coorte di 972.384 pazienti, nel quale le incretine non sono state associate a un aumentato rischio di neoplasia pancreatica rispetto alle sulfaniluree. Anche se tale potenziale reazione avversa avrà bisogno di un monitoraggio a lungo termine, questi risultati forniscono comunque una certa rassicurazione sulla sicurezza di utilizzo di tali farmaci (17).
Nella nostra realtà clinica assistenziale, i dati del monitoraggio AIFA (18) hanno evidenziato come, nell’esperienza pratica quotidiana, il tipo e l’entità delle reazioni avverse sono risultati in linea con gli studi registrativi e con i dati della letteratura, particolarmente rassicuranti.
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Overview sulle terapie disponibili e scelta della terapia per il diabete
Alberto Aglialoro1, Rossella Dionisio2, Emanuele Spreafico3, Alessandra Fusco4
1SC Diabetologia Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Ospedale "Villa Scassi", ASL 3 Genova
2UO Diabetologia, Ospedale S Carlo, Milano
3UO Diabetologia, Endocrinologia e Nutrizione Clinica, ASST di Monza - Presidio di Desio
4Centro Diabetologia ASL Avellino
(aggiornato al gennaio 2020) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
Negli ultimi anni le possibili terapie farmacologiche del diabete mellito di tipo 2 sono molto aumentate, tanto che al giorno d’oggi il diabetologo ha a disposizione ben 8 categorie diverse di farmaci.
Le diverse linee guida, italiane e straniere, pongono tutte l’attenzione sull’imprescindibilità della personalizzazione della terapia del diabete mellito di tipo 2, tenendo conto sia delle peculiarità del paziente sia di quelle dei singoli farmaci (1-9).
Questa overview si pone l'obiettivo di ripercorrere brevemente il panorama odierno della terapia farmacologica disponibile per la cura del diabete e vagliare le indicazioni delle principali linee guida internazionali per il loro migliore utilizzo.
Tutte le linee guida sono concordi nel consigliare un corretto stile di vita (terapia medica nutrizionale e attività fisica) come prima linea di trattamento.
Quando questo approccio non permette di raggiungere un adeguato compenso, viene indicato l’inizio di una terapia farmacologica in monoterapia o in associazione, in modo dipendente dal grado di compenso e dall’obiettivo terapeutico che si vuole raggiungere. La sfida del buon controllo glicemico è un equilibrismo tra la riduzione dell’emoglobina glicata da una parte e l’ipoglicemia e l’incremento ponderale dall’altra. Esiste una correlazione tra incremento ponderale, aumento delle ipoglicemie e peggioramento della qualità di vita (10).
Il primo passo fondamentale per intraprendere un percorso di cura è quindi stabilire gli obiettivi glicemici da raggiungere, da individualizzare e personalizzare. Rientrano nella valutazione: il potenziale rischio di ipoglicemia (anche in relazione alla professione del paziente), gli anni di malattia, le aspettative di vita, la presenza di rilevanti comorbilità, la presenza o meno di malattie cardio-vascolari e non ultime la motivazione, l’adherence e le capacità di auto-cura del paziente (figura 1) (9).
Figura 1. Target glicemico personalizzato secondo ADA (9)
Indipendentemente dalla terapia farmacologica ipoglicemizzante impiegata, risulta fondamentale, come ha insegnato l’UKPDS, un intervento intensivo (obiettivi glicemici stringenti) e al tempo stesso il più possibile precoce (legacy effect), in termini di protezione dall’insorgenza e dalla progressione delle complicanze croniche della malattia diabetica (1).
Se, tuttavia, lo studio UKPDS ha dimostrato come un trattamento intensivo precoce riduce l’incidenza delle complicanze micro- e macrovascolari, gli studi ACCORD, ADVANCE e VADT ci hanno invece insegnato che obiettivi più stringenti possono incrementare la mortalità cardio-vascolare in soggetti “complicati” (1-4). Un trattamento intensivo con obiettivi glicemici stringenti protegge dal rischio di infarto miocardico (IMA). Gli studi ACCORD, ADVANCE, VADT mostrano una riduzione solo del 9% degli eventi CV maggiori, principalmente per effetto di una riduzione del 15% del rischio di IMA. Tali risultati sono stati interpretati in vario modo: bassa potenza statistica (numerosità insufficiente e/o breve durata degli studi), presenza di danno d’organo (complicanze o comorbilità), ipoglicemie (anche per una troppo rapida riduzione delle glicemie) che potenzialmente possono contribuire ad aumentare la mortalità generale e CV (2-4). Emerge, quindi, forte la necessità di personalizzare la terapia in termini di obiettivi glico-metabolici (più o meno stringenti) (fig 2):
- obiettivi glicemici più stringenti dovrebbero essere perseguiti in pazienti di nuova diagnosi o con diabete di durata < 10 anni, senza precedenti di malattia CV, abitualmente in discreto compenso glicemico e senza comorbilità che li rendano particolarmente fragili;
- obiettivi glicemici meno stringenti dovrebbero essere perseguiti in pazienti con diabete di lunga durata (> 10 anni), soprattutto con precedenti di malattia CV o lunga storia di inadeguato compenso glicemico o fragili per età o comorbilità.
Figura 2
Alla luce di queste considerazioni, gli standard italiani AMD-SID per la cura del diabete mellito del 2016 indicano come prima raccomandazione per la cura del diabete mellito la seguente: “In tutte le persone con diabete le glicemie e l’HbA1c vanno mantenute entro i livelli appropriati per la specifica condizione clinica, al fine di ridurre il rischio di complicanze acute e croniche (Livello della prova I, Forza della raccomandazione A)” (5).
L’attenzione alla specifica condizione clinica del paziente è caratteristica anche delle linee guida AACE/ACE del 2015-2016 e delle più recenti del 2020, nelle quali gli autori hanno cercato di superare la precedente visione glucocentrica del paziente, prediligendo una visione globale dello stesso, nonché la personalizzazione degli obiettivi e del piano di cura per ciascun paziente (6).
In generale quindi, gli standard italiani AMD-SID per la cura del diabete mellito del 2018, in accordo con le linee guida canadesi, indicano quale obiettivo, in pazienti adulti, HbA1c < 7.0% (o 53 mmol/mol) per prevenire l’incidenza o la progressione di complicanze macrovascolari. Le linee guida AACE prevedono, invece, un più ambizioso 6.5% (o 48 mmol/mol) in quei pazienti senza importanti comorbilità e con basso rischio ipoglicemico. Vi è invece uniformità nell’indicare, in pazienti con diabete di lunga durata (> 10 anni) soprattutto con precedenti di CVD o lunga storia di inadeguato compenso glicemico o fragili per età o comorbilità, obiettivi glicemici meno stringenti (secondo gli standard italiani HbA1c 7-8%, 53-64 mmol/mol) (5).
Altri concetti importanti espressi dalle linee guida sono la precocità e la tempestività del trattamento, fondamentali per prevenire l’incidenza e la progressione delle complicanze microvascolari, cercando di evitare l’inerzia terapeutica. Si raccomanda, infatti, di modificare la terapia entro e non oltre i 3 mesi quando non vengono raggiunti gli obiettivi glicemici desiderati per quel paziente (5-9).
Per la selezione del farmaco ipoglicemizzante è fondamentale quindi considerare il paziente nel suo insieme, correlando le necessità del paziente con le peculiarità specifiche dei farmaci a disposizione. Gli Standard di cura internazionali (ADA, EASD, AACE/ACE, CDA, IDF) prevedono che vengano definiti i seguenti obiettivi terapeutici:
- ridurre i livelli di HbA1c (efficacy);
- ridurre i livelli di glicemia a digiuno e post-prandiale;
- controllare i fattori di rischio CV tradizionali (pressione arteriosa, profilo lipidico, fumo) e non tradizionali (PCR, PAI-1, AER);
- ridurre gli eventi CV e la mortalità correlata;
- ridurre il rischio di ipoglicemia (safety);
- ridurre l'incidenza della microangiopatia;
- migliorare la qualità di vita della persona con diabete;
- preservare la ß-cellula (durability);
- ritardare la progressione della malattia diabetica;
- evitare l'incremento ponderale;
- migliorare l'aderenza del paziente alla terapia, cercando nella scelta terapeutica di venire incontro ai bisogni individuali e limitare quanto più possibile gli effetti collaterali (tollerabilità).
Tutte le linee guida indicano come farmaco di prima scelta per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 la metformina, se ben tollerata e/o non controindicata. I vantaggi sono: basso rischio di ipoglicemia, sicurezza dal punto di vista CV, effetto neutro/positivo sul peso corporeo, effetti anti-iperglicemici duraturi. Negli standard di cura italiani si fa riferimento ad un suo uso con cautela fino ad un eGFR di 30 mL/min/1.7 m2, purché siano attentamente valutati i fattori di rischio per il deterioramento della funzione renale.
Chiaramente nel caso sia presente chetoacidosi, oppure sindrome iperosmolare non chetosica, è assolutamente necessaria la terapia insulinica (Livello della prova I, Forza della raccomandazione A).
Se il target non è raggiunto con la monoterapia o se il grado di importante scompenso iniziale richiede l’utilizzo di più farmaci, è necessario associare un’altra terapia alla metformina.
La letteratura internazionale degli ultimi anni ci ha mostrato inequivocabilmente come non ci siano differenze significative tra i vari ipoglicemizzanti in monoterapia in termini di efficacy (fatta eccezione per l'insulina) (1-9). Quindi quale farmaco scegliere?
Le linee guida AACE/ACE 2020, analogamente alle precedenti, non si limitano a elencare le varie possibilità terapeutiche, ma identificano una gerarchia di utilizzo delle stesse, tenendo conto, come detto, delle diverse condizioni cliniche e della necessità di ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia e di incremento ponderale. In base all’HbA1c di partenza, oltre allo stile di vita, è indicato l’utilizzo di una terapia singola o in associazione, prediligendo i farmaci più sicuri e modificando l’approccio se non si raggiunge il target prefissato entro 3 mesi (9) (figura 3). Tra le caratteristiche dei singoli anti-diabetici, vengono indicati i possibili effetti benefici CV e renali di empagliflozin e liraglutide, come dimostrato, rispettivamente, dagli studi EMPA-REG Outcome e LEADER (11-12). Ancor più recentemente sono stati documentanti analoghi possibili effetti benefici CV della semaglutide nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (13).
Figura 3. Algoritmo AACE-ACE
Le linee guida italiane, al contrario, non identificano una gerarchia di utilizzo degli ipoglicemizzanti orali in aggiunta alla metformina, che si trovano indicati tutti allo stesso livello (figura 4). Vengono però riportate le più importanti proprietà dei singoli farmaci o delle classi, che dovrebbero orientare la scelta del trattamento, individualizzandolo per il singolo paziente (tabelle 1 e 2). Importante sottolineare che, secondo linee guida, non vi sono particolari limiti nell’associazione di più ipoglicemizzanti orali in triplice terapia, esistono tuttavia indicazioni ben precise di prescrivibilità/rimborsabilità previste dall’Agenzia Italiana del Farmaco (figura 4).
Figura 4. Algoritmo AMD-SID
Tabella 1 Proprietà dei farmaci ipoglicemizzanti (modif da AMD-SID) |
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Metformina | Acarbosio | GLP-1 RA | Gliflozine | Gliptine | Pioglitazone | SU/glinidi | Insulina | ||
Basale | Basal-bolus | ||||||||
Riduzione A1c a breve (3-6 m)* | +++ | + | +++ | ++ | ++ | + | +++ | +++ | ++++ |
Riduzione A1c a medio (1-2 aa)* | ++ | + | +++ | ++ | ++ | ++ | ++ | +++ | ++++ |
Riduzione A1c a lungo (> 2 aa)* | ++ | + | +++ | ++ | ND | +++ | + | +++ | ++++ |
Riduzione peso | ± | ± | +++ | ++ | - | - | - | - | - |
Riduzione pressione | ± | - | + | ++ | - | + | - | - | - |
Riduzione morbil/mortal CV** | ++ | - | - | +++ | - | ++ | - | - | - |
* Studi di comparazione con altri farmaci attivi ** A parità di obiettivo glicemico |
In sintesi le sulfaniluree sono i farmaci orali che mostrano la minore persistenza di effetto sulla HbA1c; gli agonisti del recettore di GLP-1 sono in grado di ridurre l’HbA1c come e talora più dell’insulina basale quando aggiunti alla terapia orale.
Nei pazienti obesi, si devono preferire, ove possibile, i farmaci che non determinano aumento di peso, ovvero, oltre alla metformina, agonisti del recettore di GLP-1, inibitori di DPP-4 e inibitori di SGLT-2. I farmaci che sono in grado di conseguire calo ponderale (agonisti del recettore di GLP-1 e inibitori di SGLT-2) sono efficaci nel ridurre la HbA1c anche nei soggetti in normopeso o sovrappeso.
Tabella 2 Principali effetti collaterali dei farmaci ipoglicemizzanti (modif da AMD-SID) |
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Metformina | Acarbosio | GLP-1 RA | Gliflozine | Gliptine | Pioglitazone | SU/glinidi | Insulina | ||
Basale | Basal-bolus | ||||||||
Interazione con altri farmaci | - | - | - | - | - | - | +++ | +++ | ++++ |
Ipoglicemia | - | - | - | - | - | - | ++ | +++ | ++++ |
Aumento di peso | - | - | - | - | - | ++ | + | +++ | ++++ |
Pancreatite | - | - | ± | - | ± | - | - | - | - |
Fratture | - | - | - | ±* | - | +++ | - | - | - |
Scompenso cardiaco | - | - | - | - | ±** | ++ | + | - | - |
Disturbi gastroint | ++ | +++ | ++ | ± | - | - | - | - | - |
Infezioni genitali | - | - | - | + | - | - | - | - | - |
* Segnalato per canagliflozin ** Segnalato per saxagliptin e alogliptin |
Le linee guida canadesi, indicano un cut-off di intervento più elevato (glicata 8.5%), con una successiva rivalutazione a breve distanza (2-3 mesi dopo correzione dello stile di vita, 3-6 mesi dopo introduzione o modifica della terapia farmacologica) (7).
La scelta del trattamento oltre la metformina è fortemente personalizzata in base alle caratteristiche riportate in tabella 3. Da sottolineare come queste linee guida (prima di altre) abbiano subito recepito i risultati degli studi EMPA-REG Outcome e LEADER, indicando in tabella la superiorità di tali molecole (empagliflozin e liraglutide) sul rischio CV.
Tabella 3 Aggiunta personalizzata di un’altra classe farmacologica (elencate in ordine alfabetico) (mod da linee guida canadesi) |
||||||
Classe | Capacità relativa di diminuire HbA1c | Ipoglicemia | Peso | Effetto sugli esiti CV | Altre considerazioni terapeutiche | Costo |
Acarbosio | ↓ | Rara | = o ↓ | Miglior controllo post-prand; effetti coll gastroent | ++ | |
Gliptine | ↓↓ | Rara | = o ↓ | Alo/saxa/sita: neutro | Attenzione a saxa nello scompenso cardiaco | +++ |
Agonisti GLP-1 | ↓↓ o ↓↓↓ | Rara | ↓↓ | Lira: superiore con CVD clinica Lixi: neutro |
Effetti coll gastroent | ++++ |
Insulina | ↓↓↓ | Sì | ↑↑ | Glargine: neutro | Non dose max, regimi flessibili | +/++++ |
Glinidi | ↓↓ | Sì | ↑ | Meno ipoglic se si saltano i pasti, ma richiede plurisomministr | ++ | |
Pioglitazone | ↓↓ | Rara | ↑↑ | Neutro | Scompenso cardiaco, edema, fratture, raro k vescic, azione lenta (6-12 settim) | ++ |
Sulfaniluree | ↓↓ | Sì | ↑ | Glicla e glimep meno ipoglic di glibencl | + | |
SGLT-2 inib | ↓↓ - ↓↓↓ | Rara | ↓↓ | Empa: superiore con CVD clinica | Infez genit e urin, ipotensione, variazioni LDL, attenz con IRC e diuretici ansa, non usare dapa con k vescica, rara DKA (anche senza iperglic) | +++ |
Anche le linee guida ADA, indicano come farmaco di prima scelta la metformina (salvo eccezioni) e successiva rivalutazione a breve (entro 3 mesi) per eventuali modifiche terapeutiche (9). In caso, infatti, di valori elevati di HbA1c (≥ 9%) è da considerare sin da subito l'inizio di una duplice terapia, e in caso di scompenso glicemico sintomatico in atto, una terapia insulinica, associata o meno ad altri ipoglicemizzanti. Analogamente agli standard italiani, non viene indicata una gerarchia nella scelta terapeutica, ma comunque strettamente indicata la personalizzazione della terapia; vengono inoltre dettagliati per ciascun farmaco efficacia, rischio di ipoglicemia, rischio di incremento ponderale, effetti collaterali e costi (figura 5).
Figura 5. Algoritmo ADA
Secondo la consensus ADA-EASD 2018 (14) la scelta della terapia farmacologica anti-iperglicemizzante deve essere fondata non solo sull’efficacia nella riduzione della glicemia ma soprattutto sulla sicurezza, sulla prevenzione delle complicanze (anzitutto quelle correlate alla malattia aterosclerotica cardio-vascolare, ASCVD), sulla tollerabilità e quindi sul mantenimento dello stato di benessere e della qualità di vita.
Le evidenze scientifiche sono state ottenute, in massima parte, in soggetti con HbA1c > 7.0%, che in aggiunta alla metformina assumevano inibitori SGLT-2 o GLP-1 RA. È raccomandato pertanto che nei pazienti in cui la sola metformina non sia in grado di ottenere l’obiettivo di HbA1c, la scelta della terapia farmacologica, in aggiunta alla metformina, debba basarsi sull’anamnesi per ASCVD, scompenso cardiaco o insufficienza renale (presenti insieme nel 15-25% dei soggetti con DMT2):
- nei pazienti con ASCVD: raccomandati inibitori SGLT-2 o GLP-1 RA per cui sia stato dimostrato un beneficio CV;
- nei pazienti con ASCVD in cui lo scompenso cardiaco sia un problema peculiare: raccomandati inibitori SGLT-2;
- nei pazienti con DMT2 e IRC, con o senza ASCVD: considerare l’uso di un inibitore SGLT-2 che abbia mostrato di ridurre la progressione della IRC o, se contro-indicato o non preferito, di un GLP-1 RA che abbia mostrato di ridurre la progressione della IRC.
Nei casi indicati in cui l’obiettivo di HbA1c non venga raggiunto con l’associazione metformina + inibitore SGLT-2 o metformina + GLP-1 RA, è raccomandata la tripla associazione metformina + inibitore SGLT-2-I + GLP-1 RA e, soltanto come scelte successive, l’aggiunta di un inibitore di DDP-4 e/o insulina basale e/o sulfoniluree e/o pioglitazone (quest’ultimo se non è presente scompenso).
Ai fini pratici è rilevante sottolineare che nel paziente con ASCVD a target con metformina più altro farmaco diverso da inibitore SGLT-2 o GLP-1 RA, è indicato:
- il passaggio all’associazione di metformina + inibitore SGLT-2-I o metformina + GLP-1 RA;
- la riduzione dell’obiettivo terapeutico al fine di introdurre un inibitore SGLT-2 o un GLP-1 RA;
- il monitoraggio stringente dell’HbA1c con la rapida introduzione di inibitore SGLT-2-I o GLP-1 RA non appena l’HbA1c aumenti oltre il target.
In conclusione, da questa rapida panoramica sul trattamento farmacologico oggi disponibile per la cura del diabete, emerge con forza la necessità di una personalizzazione della terapia, intesa come approccio decisionale clinico che di volta in volta viene svolto verso ciascun paziente e che ha come prerequisito un'accurata identificazione del paziente (fenotipizzazione) e, come metodologia, l'applicazione delle conoscenze e delle evidenze scientifiche alla realtà di ciascun individuo. Il fine ultimo è ovviamente quello di ottimizzare le risposte terapeutiche, mantenendo la migliore tollerabilità e compliance.
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Tirzepatide
Olga Eugenia Disoteo1, Edoardo Guastamacchia2, Giuseppe Lisco2
1Unità di Endocrinologia, Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica, Ospedale S. Anna, San Fermo della Battaglia (CO)
2Dipartimento interdisciplinare di Medicina, Sezione di Medicina Interna, Geriatria, Endocrinologia e Malattie Rare, Facoltà di Medicina, Università di Bari “Aldo Moro”
(aggiornato a novembre 2024)
Tirzepatide (TZP) è un agonista chimerico dei recettori del GLP-1 e del polipeptide insulino-tropico glucosio-dipendente (GIP) (1).
Meccanismi. TZP agisce attraverso vari meccanismi su differenti bersagli:
- a livello del sistema nervoso centrale riduce il senso di fame e aumenta la sazietà; inoltre, l'agonismo del GIP nei neuroni dell'area postrema riduce la nausea stimolata dall'agonismo del GLP-1 (2);
- a livello pancreatico, il doppio agonismo GLP-1/GIP amplifica la risposta insulinica post-prandiale più di quanto facciano gli agonisti del GLP-1 da soli (3);
- a livello periferico ha effetti peculiari, come il rilevante miglioramento della sensibilità all'azione insulinica (3) e un effetto diretto sul tessuto adiposo (4), con miglioramento della funzionalità adipocitaria che contribuisce notevolmente alla significativa perdita di peso.
Indicazione. TZP è approvato per il trattamento del diabete di tipo 2 (DM2) negli adulti, con tre dosaggi di mantenimento di 5, 10 e 15 mg una volta alla settimana per iniezione sottocutanea (5). La titolazione andrebbe effettuata ogni 4 settimane, partendo dal dosaggio più basso di 2.5 mg/settimana fino al raggiungimento della dose finale.
Studi registrativi
TZP è stato studiato per il trattamento del DM2 nel programma SURPASS (studi SURPASS 1-6) (6-11) in varie fasi della malattia e combinazioni di trattamenti, dalla mono-terapia all'associazione con insulina basale.
HbA1c. Rispetto al placebo e ai comparatori attivi, con tutti i dosaggi ha ridotto significativamente i livelli di HbA1c (riduzione da -1.87% a -2.59% rispetto al basale). Ha dimostrato superiorità nel raggiungimento degli obiettivi di HbA1c rispetto ai comparatori attivi, sia semaglutide 1 mg che insuline basali (12) titolate in modo intensivo, con il 97% dei pazienti che ha raggiunto HbA1c < 7.0%. Per la prima volta nel trattamento del DM2, il programma SURPASS considera anche un obiettivo di normalizzazione di HbA1c (< 5.7%) e non solo di riduzione, che è stato raggiunto da un terzo dei pazienti trattati con TZP. La riduzione dell'HbA1c è estremamente rapida, significativa a partire dalla 4° settimana, e si mantiene fino a 104 settimane senza peggioramenti.
Peso. In tutto il programma SURPASS, TZP a tutti e tre i dosaggi ha ridotto il peso corporeo, con efficacia significativamente superiore anche rispetto a un agonista selettivo del GLP-1 come semaglutide 1 mg. Una metanalisi (13) ha mostrato riduzione media di peso pari a 7.5 kg, 11 kg e 12 kg, rispettivamente, con 5, 10 e 15 mg/settimana. La maggioranza dei soggetti (dal 67 all'88%) ha raggiunto l'obiettivo di riduzione del peso corporeo di almeno il 5%, mentre fino al 69% ha ottenuto riduzione >10%, entità considerata in grado di influire sulla progressione del DM2 (6-11). L'elevata efficacia sulla riduzione del peso corporeo è stata dimostrata anche negli studi sull'obesità (programma SURMOUNT), con riduzione media del peso del 16% con 5 mg e di oltre il 22% alla dose più elevata di 15 mg (14).
Sicurezza cardio-vascolare. In attesa dei risultati dello studio SURPASS-CVOT (15), che valuterà per la prima volta la sicurezza CV di TZP rispetto a un comparatore attivo (dulaglutide), una metanalisi degli studi di fase 2 e 3 (16) ha mostrato la non inferiorità sull’end-point CV composito (HR 0.80, IC 95% 0.57-1.11). Tuttavia, un’indicazione positiva per la protezione CV è suggerita dagli effetti sui fattori modificabili di rischio CV:
- pressione arteriosa: TZP più dei comparatori, compresa semaglutide 1 mg (16), riduce la pressione sistolica (da -1.3 a -5.1 mmHg per 5 mg, da -1.7 a -6.5 mmHg per 10 mg e da -3.1 a -11.5 mmHg per 15 mg) e diastolica (fino a -2.9 mmHg);
- lipidi: riduzione media dei trigliceridi del 24% e più modesta del colesterolo totale (-4.8%) e LDL (-7.9%) (17,18);
- steatosi: riduce significativamente (fino al 47%) il contenuto epatico di grasso (19) e porta all’attenuazione della MASH senza peggioramento della fibrosi nel 44% dei soggetti nel gruppo 5 mg, nel 56% nel gruppo 10 mg e nel 62% nel gruppo 15 mg (20);
- protezione renale: un'analisi post-hoc dello studio SURPASS 4 (21) rispetto all'insulina glargine ha associato TZP a significativa riduzione del rischio di end-point composito renale (HR 0.58, IC 95% 0.43-0.80, p = 0.00075).
Tollerabilità
Nonostante l'efficacia significativamente superiore su tutti i parametri metabolici, TZP presenta un profilo di tollerabilità favorevole simile a quello della classe degli agonisti di GLP-1 . Si sono osservati nausea nel 20% dei trattati, vomito nel 9% e diarrea nel 16% (22). Gli effetti collaterali gastro-intestinali sono più frequenti nelle fasi iniziali del trattamento, ma tendono a scomparire nelle settimane successive e sono solitamente di entità lieve o moderata.
Bibliografia
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