dell'iperparatiroidismo
Terapia medica dell'orbitopatia di Graves
Sara Nazzarena Morgante, Silvia Caprioli, Alfonsina Chiefari, Vincenzo Toscano, Salvatore Monti
Facoltà di Medicina e Psicologia, “Sapienza” Università di Roma; UOC di Endocrinologia, AO S. Andrea
(aggiornato al 23 maggio 2017) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
Il decorso naturale dell’Orbitopatia di Graves (OG) è generalmente autolimitante e migliora spontaneamente. Tale patologia necessita di un trattamento medico specifico quando è in fase di attività clinica e in funzione del grado di severità.
MISURE GENERALI
Indipendentemente dalle caratteristiche cliniche e dalla sintomatologia dell’OG, è fondamentale l’astensione dall’abitudine al fumo, in quanto fattore di rischio per la comparsa e la progressione dell’OG e per la scarsa risposta al trattamento (1).
Una normale funzionalità tiroidea è fondamentale per il controllo dell’OG, considerando l’influenza che sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo hanno sul decorso naturale della malattia. L’ipotiroidismo, raramente primitivo, più frequentemente secondario al sovradosaggio di farmaci anti-tiroidei, può essere responsabile di una progressione dell’OG. L’ipertiroidismo è presente nella maggioranza dei pazienti con OG (80%). La scelta terapeutica dell’ipertiroidismo (farmaci anti-tiroidei, radioiodio o tiroidectomia) influenza l’andamento dell’OG, attraverso la rimozione degli antigeni tiroidei e la conseguente presumibile attenuazione della reazione autoimmune. Qualora sia indicata la terapia radiometabolica per la gestione dell’ipertiroidismo, al fine di evitare il peggioramento, o l’insorgenza de novo, dell’OG, è opportuno intraprendere la profilassi steroidea, in particolare nei fumatori e nei pazienti con ipertiroidismo severo o di recente insorgenza:
- ad alto rischio di progressione o insorgenza de novo di OG: prednisone 0.3-0.5 mg/kg/die per 3 mesi;
- basso rischio di progressione o insorgenza de novo di OG: prednisone 0.2 mg/kg/die per 6 settimane.
L’utilizzo dei farmaci anti-tiroidei di per sé è neutrale sull’andamento dell’OG, tuttavia è stato osservato che indirettamente può dare un vantaggio, probabilmente attraverso una graduale e progressiva riduzione dei livelli degli anticorpi anti-recettore del TSH. Esistono due possibili regimi terapeutici con i farmaci anti-tiroidei: titration (dosaggio in base ai valori degli ormoni tiroidei) e block-replace (alto dosaggio abbinato a L-tiroxina sodica) (2). I dati disponibili non evidenziano nel complesso vantaggi significativi del regime "block and replace" a fronte della sua maggiore complessità di impiego.
TRATTAMENTO SPECIFICO
È legato alla severità e all’attività della malattia (3).
OG DI GRADO LIEVE
Il coinvolgimento oculare è lieve e l’atteggiamento più idoneo da adottare è quello del “wait and see”. Infatti, questa forma di OG tende spesso a migliorare spontaneamente.
Si possono, tuttavia, mettere in atto misure di supporto locale per alleviare la sintomatologia: il sollevamento della testata del letto è utile per ridurre l’edema peri-orbitario, la fotofobia può essere attenuata tramite l’uso di occhiali da sole scuri, il senso di irritazione e di corpo estraneo con lacrime artificiali e gel.
È consigliabile l’utilizzo di lacrime artificiali senza conservanti, con proprietà osmoprotettive (4).
Se presente lagoftalmo, il paziente deve essere istruito circa il posizionamento di bende che mantengano la palpebra chiusa e impediscano l’esposizione corneale durante il sonno, da associare all’utilizzo di gel o unguenti.
Per correggere la diplopia lieve, si può fare uso di prismi.
La somministrazione di selenio migliora significativamente la qualità di vita, migliora il quadro clinico oculare e rallenta la progressione della malattia.
Qualora si associ una compromissione della qualità della vita (valutata con specifico questionario), è possibile proporre gli stessi trattamenti indicati per la forma moderato-severa.
OG DI GRADO MODERATO-SEVERO
FORME ATTIVE
Trattamento di prima linea
La terapia di prima scelta, in presenza di attività clinica, si basa sull’utilizzo di glucocorticoidi ad alte dosi. I glucocorticoidi hanno dimostrato un effetto benefico su edema dei tessuti molli, acuità visiva e motilità oculare, mentre l’effetto sulla proptosi è piuttosto limitato. È raccomandato il trattamento per via endovenosa, perché più efficace e meglio tollerato rispetto alla via orale e locale (retro-bulbare e sub-congiuntivale).
Il regime terapeutico proposto dalla Consensus del 2008 dell’European Group On Graves Orbitopathy (EUGOGO) prevede la somministrazione, in monoterapia, di 500 mg di metilprednisolone una volta a settimana per 6 settimane, seguiti da 250 mg una volta a settimana per altre 6 settimane (dose totale 4.5 g) (1). Tale schema, secondo le linee guida ETA/EUGOGO 2016, viene considerato un dosaggio intermedio, utilizzabile nella maggioranza delle forme di OG moderato-severe in fase attiva.
Un regime ad alto dosaggio, per le forme particolarmente gravi, prevede la somministrazione, in monoterapia, di 750 mg di metilprednisolone una volta a settimana per 6 settimane, seguiti da 500 mg una volta a settimana per altre 6 settimane (dose totale 7.5 g) (4).
All’inizio e nel corso della terapia infusionale, è necessario valutare la presenza di eventuali epatopatie e di altri potenziali effetti avversi (5) del trattamento con glucocorticoidi, quali ipertensione, iperglicemia, patologie gastriche, infezioni, osteoporosi e glaucoma, per intraprendere eventuali terapie specifiche volte al controllo degli stessi.
Schema terapeutico con metilprednisolone ev per OG di grado moderato-severo in fase attiva | |
Prima di intraprendere il trattamento | Controllare:
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Preparazione | Metilprednisolone (Solumedrol) in 250 mL di soluzione fisiologica + Inibitore di Pompa Protonica |
Somministrazione | Infusione ev lenta (40 gocce al minuto - circa due ore) Rilevare la pressione arteriosa all’inizio e al termine dell’infusione |
Schema | Schema dosaggio-intermedio: 500 mg a settimana per sei settimane, poi 250 mg per altre sei settimane Schema alto-dosaggio: 750 mg a settimana per 6 settimane, poi 500 mg per altre 6 settimane Dose massima totale: 8 g |
Durante il trattamento | Eseguire i controlli di glicemia, funzionalità epatica, emocromo completo, esame urine con urinocoltura ed eventuale antibiogramma, sangue occulto nelle feci Consigliare la terapia orale con inibitori di pompa protonica |
Trattamenti di seconda linea
Secondo ciclo di corticosteroidi (dose massima 8 g).
Radioterapia orbitaria: 20 Gy (frazionati in 10 dosi da 2 Gy), in associazione a basse dosi di glucocorticoidi per via orale.
Ciclosporina, in associazione con il prednisone, si è mostrata efficace nei casi di OG moderata-severa, non controllata dalla terapia corticosteroidea.
Rituximab (6,7) ha mostrato risultati incoraggianti, simili a quelli ottenuti con i glucocorticoidi endovena, tuttavia il potenziale effetto benefico deve essere confermato in studi più ampi e controllati.
Altri trattamenti
Iniezioni peri-oculari di triamcinolone acetonide (40 mg/mL) hanno dimostrato di ridurre diplopia e volume dei muscoli extra-oculari.
Lenti prismatiche in caso di diplopia in posizione primaria di sguardo.
Tossina botulinica per la correzione della retrazione palpebrale superiore e del lagoftalmo.
Immunoglobuline per via endovenosa hanno efficacia non superiore rispetto al trattamento tradizionale (glucocorticoidi e radioterapia). Peraltro il costo eccessivo e il rischio di trasmissione di malattie infettive ne limita l’utilizzo nel trattamento dell’OG.
L’uso degli analoghi della somatostatina ha dimostrato effetti benefici marginali.
FORME INATTIVE
Questa condizione richiede differenti step di chirurgia riabilitativa:
- chirurgia decompressiva
- chirurgia muscolare
- chirurgia palpebrale
Flow-chart per la gestione GO (modificata da 4)
BIBLIOGRAFIA
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Ipotiroidismo in gravidanza
Roberto Negro
UO Endocrinologia, PO “V. Fazzi”, Lecce
(aggiornato al 4 gennaio 2021) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
ADATTAMENTI FISIOLOGICI DELLA TIROIDE IN GRAVIDANZA
Lo stato di gravidanza esercita una profonda influenza sulla tiroide e la sua funzione. Dall'inizio della gravidanza si realizza un aumento del filtrato glomerulare, con conseguente aumento della clearance dello iodio e riduzione della concentrazione plasmatica di iodio. A partire dalla fine del I trimestre inizia inoltre il passaggio trans-placentare dello iodio, necessario per la sintesi fetale di iodotironina.
Vi è inoltre da considerare che l'aumento di concentrazione della Thyroxine Binding-Globulin (TBG), secondario all'incremento degli estrogeni, comporta un relativo aumento di T4 e corrispondente riduzione di FT4 (1).
Un altro importante elemento che condiziona la funzione della tiroide in gravidanza è rappresentato dall'azione tireotropa esercitata dall'hCG. hCG e TSH possiedono omologie strutturali che consentono all'hCG una intrinseca, seppur debole, attività di stimolo sulla tiroide (il rapporto di potenza hCG/TSH è stimato circa 1/100). L'azione diretta di stimolo dell'hCG sulla tiroide induce nel I trimestre un relativo aumento di produzione di ormone tiroideo, con speculare riduzione del TSH. Tale quadro implica che, applicando i limiti di riferimento validi per la popolazione generale, fino al 20% delle donne gravide può mostrare valori di TSH al di sotto della norma. L’effetto tireotropo esercitato dall’hCG è confermato dal caso delle gravidanze gemellari: poiché le concentrazioni di hCG sono maggiori nelle gravidanze gemellari, la riduzione del TSH è maggiore in queste, rispetto a quelle singole. In uno studio che ha riguardato 63 gravide il TSH è risultato ≤ 0.2 mIU/L nel 67% dei casi con concentrazione di hCG > 200.000 IU/L e nel 100% dei casi allorché hCG era > 400.000 IU/L (2). Gli adattamenti fisiologici ai quali va incontro la tiroide di una donna in gravidanza sono testimoniati dalla correlazione positiva fra livelli di hCG e livelli di FT4 e dalla correlazione negativa fra livelli di hCG e livelli di TSH. Questi reciproci rapporti non sono più significativi in caso di positività per AbTPO. In questo caso, infatti, la tiroide, che è caratterizzata da una ridotta riserva funzionale, esprime una ridotta risposta all’azione stimolatoria da parte dell’hCG ed espone la paziente al rischio di ipotiroidismo (3).
In concreto, rispetto ai limiti di riferimento validi per la popolazione generale, si verifica una riduzione di TSH pari a circa 0.1-0.2 mIU/L per il limite superiore e circa 0.5-1.0 mIU/L per il limite inferiore.
Le linee guida ATA 2017 riconoscono pertanto che in una paziente gravida, negativa per anticorpi anti-tiroide, è accettabile un limite superiore di normalità del TSH pari a 4.0 mIU/L (4).
La maggior parte degli studi riporta inoltre una sostanziale riduzione di FT4 con il progredire della gravidanza (sebbene l’aumento della TBG e la riduzione della concentrazione di albumina possano rendere il dosaggio di FT4 non completamente affidabile e riproducibile) (5). Deve inoltre essere tenuto in conto che i limiti di riferimento per FT4 comunemente disponibili sono riferiti alla popolazione generale (non gravida) e non esistono limiti di riferimento trimestre-specifici. I dati forniti dalla letteratura indicano che il limite inferiore (2.5° percentile) è attorno a 0.8 ng/dL (6). Allo stato attuale quindi, il TSH rimane l'indicatore più affidabile dello stato di funzionalità tiroidea.
DEFINIZIONE DI IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
La prevalenza dell'ipotiroidismo franco (definita dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 inferiore al limite, oppure da valore di TSH > 10.0 mIU/L, indipendentemente dal valore di FT4) è di circa lo 0.5%, mentre quella dell'ipotiroidismo subclinico (definito dal riscontro di TSH > 4.0 mIU/L ed FT4 nei limiti della norma) è di circa il 3.5-4.0% (7).
Un'altra entità clinica è poi rappresentata dalla cosiddetta ipotiroxinemia isolata, condizione nella quale si rilevano valori di FT4 inferiori alla norma in presenza di normali valori di TSH.
COMPLICANZE ASSOCIATE ALL’IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA
Ipotiroidismo franco
Da studi retrospettivi e caso-controllo emerge chiaramente che la condizione di ipotiroidismo franco è associata ad aumentata incidenza di aborto spontaneo, parto pre-termine, morte fetale endo-uterina, ipertensione gestazionale e pre-eclampsia, basso peso alla nascita, ridotto quoziente intellettivo (QI) nella progenie (8). Per contro, riguardo alle complicanze ostetriche legate all'ipotiroidismo, è importante notare che due studi, che hanno coinvolto rispettivamente 419 e 1102 pazienti ipotiroidee trattate con L-T4, non hanno riscontrato un'aumentata incidenza di ipertensione gestazionale, pre-eclampsia, basso peso alla nascita e parto pre-termine (9,10).
Il ridotto QI in bambini nati da madri ipotiroidee è stato dimostrato da vecchi lavori di Man e successivamente confermato da Haddow. In quest’ultimo studio (retrospettivo), gli autori hanno selezionato 62 pazienti gravide con valori di TSH > 98° percentile. La progenie è stata sottoposta a test psicometrici per la valutazione del QI (Wechsler Intelligence Scale for Children - WISC III) all'età di 7-9 anni. I risultati hanno evidenziato che il QI era più basso di 4 punti nei casi rispetto ai controlli e il QI era < 85 nel 15% dei casi contro il 5% dei controlli. Delle 62 pazienti ipotiroidee, 48 non erano state trattate con L-T4: nei bambini di queste pazienti non trattate il QI era di 7 punti inferiore ai controlli (P = 0.005) ed era < 85 nel 19% dei casi (11). I dati disponibili confermano dunque la necessità di trattare con terapia sostitutiva la gravida ipotiroidea.
Ipotiroidismo subclinico
I dati sono più controversi: in alcuni studi sono state associate complicanze, quali aborto, ipertensione gestazionale, diabete gestazionale, parto pre-termine, rottura di placenta, basso peso neonatale, che non sono state confermate in altri studi (12).
Uno degli studi più importanti nel campo dell’ipotiroidismo subclinico in gravidanza è quello pubblicato da Casey et al nel 2017 (13). Si tratta di un trial clinico randomizzato, nel quale gli autori hanno selezionato pazienti gravide entro la 20° settimana, affette da ipotiroidismo subclinico (definito come TSH ≥ 4.0 mU/L e normale FT4 [0.86–1.90 ng/dL]) o ipotiroxinemia isolata (definita come TSH normale [0.08–3.99 mU/L] ed FT4 basso [< 0.86 ng/dL]). In trial separati per le due condizioni patologiche, 677 donne nel gruppo ipotiroidismo subclinico e 526 donne nel gruppo ipotiroxinemia isolata sono state randomizzate, rispettivamente alla 16.7° settimana (media) e alla 17.8° settimana (media), a ricevere L-T4 o placebo. In entrambi i trial non si osservava significativa differenza in qualsiasi evento avverso ostetrico-neonatale fra i gruppi trattati con L-T4 o con placebo.
Per quanto riguarda nello specifico il rischio di aborto spontaneo, alcuni studi hanno evidenziato una relazione fra aumento di TSH e aumentato rischio di aborto. È stato, infatti, osservato che pazienti AbTPO negative con TSH nel I trimestre compreso fra 2.5-5.0 mU/L presentavano un tasso di abortività maggiore rispetto a donne con TSH < 2.5 mU/L (6.1% vs 3.6%, P = 0.006) (14); pazienti andate incontro ad aborto presentavano nel I trimestre TSH > 97.5° percentile nel 5.9% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05), e valori di FT4 < 2.5° percentile nel 5% dei casi contro il 2.5% dei controlli (P < 0.05) (15). Infine, uno studio inglese retrospettivo ha osservato che il valore di TSH pre-gravidico > 4.5 mIU/L determinava un significativo rischio di aborto spontaneo (16). Di contro, uno studio prospettico statunitense non ha osservato aumento di aborto spontaneo con TSH > 2.5 mIU/L (con o senza anticorpi) e un altro studio retrospettivo di coorte non ha rilevato beneficio derivante dalla terapia con L-T4 nelle pazienti con TSH 2.5-4.0 mIU/L, ma solo in quelle con TSH 4.0-10.0 mIU/L (17,18).
Ad oggi, due soli studi prospettici di intervento hanno valutato i possibili benefici della terapia con L-T4 in pazienti con ipotiroidismo subclinico. Nel primo, pazienti AbTPO positive e TSH compreso fra 0.27-4.2 mIU/L hanno beneficiato della terapia sostitutiva in termini di aborto spontaneo e parto pre-termine (19); nel secondo studio, che ha coinvolto più di 4000 pazienti, si è osservato che le pazienti con ipotiroidismo subclinico (TSH > 2.5mIU/L e positive per AbTPO) trattate con L-T4 presentavano un tasso di complicanze (end-point composito) significativamente più basso rispetto a quelle non trattate (rapporto complicanze/paziente di 0.74 vs 1.67) (P < 0.05) (20).
Per quanto riguarda l’associazione fra ipotiroidismo subclinico e parto pre-termine, i dati forniti dalla letteratura sono contrastanti. I risultati contraddittori in questo ambito sono in larga parte dovuti al fatto che in alcuni studi venivano considerate sia pazienti con ipotiroidismo franco che subclinico, in altri il numero di pazienti reclutate era limitato, e inoltre i criteri utilizzati per la diagnosi di ipotiroidismo (cut-off del TSH) sono stati diversi di volta in volta. Uno studio interessante ed esplicativo in tal senso ha confrontato l’utilizzo di due diversi cut-off di TSH: mentre utilizzando un cut-off di 2.5 mIU/L non vi era associazione con il parto prematuro, se veniva utilizzato un limite di 4.0 mIU/L si osservava un aumento di rischio per parto pre-termine pari a 1.9 volte e 2.5 volte, alla 37° settimana e 34° settimana, rispettivamente. Questa associazione non era più significativa se venivano escluse le pazienti AbTPO positive (21). Una recente metanalisi, utilizzando i dati individuali di 47.045 pazienti provenienti da 19 coorti, ha evidenziato come il parto pre-termine fosse significativamente aumentato nelle pazienti con ipotiroidismo subclinico (OR 1.29, IC95% 1.01-1.64), con ipotiroxinemia isolata (OR 1.46, IC95% 1.12-1.90) e con autoimmunità tiroidea (OR 1.33 IC95% 1.15-1.56) (22).
Un altro importante tassello nella comprensione delle complicanze associate all’ipotiroidismo subclinico viene offerto da due trial clinici randomizzati che hanno valutato il QI nei figli nati da madre con ipotiroidismo subclinico. Il primo studio, condotto nel Regno Unito, ha esaminato all'età di 3 anni il QI di bambini nati da madri affette da elevato TSH e/o basso FT4, divise in due gruppi, dei quali uno sottoposto a trattamento con L-T4. Lo studio ha dimostrato che in donne gravide con grado lieve di ipotiroidismo subclinico, la terapia sostitutiva con L-T4, a partire dalla 13° settimana, non dà luogo a miglioramento nel QI della progenie (23). Il secondo studio è quello già citato di Casey: la terapia con L-T4 non ha dimostrato un vantaggio nel QI della progenie, esaminata all’età di 5 anni, sia nel gruppo ipotiroidismo subclinico che in quello ipotiroxinemia isolata (13).
Ipotiroxinemia isolata
Questa condizione esercita effetti potenzialmente deleteri sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del feto, soprattutto nel I trimestre. La tiroide fetale inizia ad essere funzionale a partire dalla fine del I trimestre e, pertanto, per tutto il I trimestre lo sviluppo del feto è interamente dipendente dall’apporto materno di FT4. In uno studio condotto in Olanda su 3659 bambini, le cui madri erano state testate nel I trimestre per TSH, FT4, AbTPO, all'età di 18 e 30 mesi è stato osservato un ritardo del linguaggio e delle performance cognitive non-verbali nel caso di FT4 materna al di sotto del 5° e del 10° percentile (24).
Due studi di intervento, volti alla prevenzione dell’ipotiroxinemia tramite supplementazione iodica ad un dosaggio compreso fra 200 e 300 μg/die, hanno dimostrato che i bambini nati da madri ipotiroxinemiche mostravano peggiori performance psico-motorie, rispetto alle pazienti supplementate (25,26).
TERAPIA SOSTITUTIVA CON L-T4 IN GRAVIDANZA
Le linee guida ATA 2017 (4) forniscono indicazioni nelle diverse categorie di pazienti (tabella).
Indicazioni al trattamento con L-T4 (non sono indicati preparati contenenti T3) |
||
TSH (mIU/L) | Ab negativi | Ab positivi |
> 10 | Raccomandato | Raccomandato |
4.0-10.0 | Può essere considerato | Raccomandato |
2.5-4.0 | Non è raccomandato | Può essere considerato |
Allorché la diagnosi di ipotiroidismo avviene in occasione della gravidanza, è necessario normalizzare i valori di TSH il più rapidamente possibile, iniziando direttamente con il dosaggio sostitutivo pieno di tiroxina in relazione al livello di TSH (12):
- 2.5-5.0 mIU/L: iniziare con 50 µg/die;
- 5.1-8.0 mIU/L: iniziare con 75 µg/die;
- > 8.0 mIU/L: iniziare con 100 µg/die.
Nelle pazienti con tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in terapia sostitutiva, che siano in età fertile o che abbiano in programma una gravidanza, è utile mantenere il TSH pre-concepimento al di sotto di 2.5 mIU/L. Poiché lo stato di gravidanza è caratterizzato da un’aumentata richiesta di ormone tiroideo, è indicato aumentare il dosaggio di L-T4 ad inizio di gravidanza rispetto al dosaggio pre-gravidico:
- nelle pazienti con ipotiroidismo autoimmune del 30%;
- nelle pazienti tiroidectomizzate nell’ordine del 50%.
È utile a tal proposito che le pazienti affette da tiroidite cronica autoimmune o ipotiroidismo già in trattamento vengano adeguatamente informate sulla necessità di verificare lo stato di gravidanza alla prima assenza di flusso mestruale, e consultare quindi l'endocrinologo o effettuare l'aumento di L-T4 autonomamente.
Successivamente i controlli di funzionalità tiroidea dovrebbero essere eseguiti ogni 4-6 settimane fino a metà gravidanza e poi intorno alla 26° e 32° settimana.
Dopo il parto, il dosaggio di L-T4 deve essere riportato a quello pre-gravidico. Non sono necessari particolari accertamenti nel neonato, in aggiunta allo screening per ipotiroidismo congenito, già previsto per legge.
La necessità di trattare con L-T4 le pazienti ipotiroxinemiche nel I trimestre è ancora in dubbio. Nei due trial clinici di Lazarus e Casey, il QI dei bambini le cui madri erano ipotiroxinemiche non è risultato significativamente diverso fra le madri trattate e non trattate, sebbene vada considerato che in entrambi gli studi la settimana media del reclutamento delle pazienti era oltre la 12° (13,22). La terapia sostitutiva va comunque considerata, anche secondo le linee guida ETA, solo nel I trimestre (non nel II e III) (5).
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Utilità della genetica nella gestione delle neoplasie tiroidee
Nadia Cremonini (1) & Giovanni Tallini (2)
(1) Ambulatorio di Endocrinologia, Clinica Privata Villalba, Bologna
(2) Anatomia Patologica, Ospedale Bellaria, Azienda USL di Bologna
(aggiornato al 20 maggio 2018) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
In ambito tiroideo le indagini genetiche sono di supporto alla diagnostica sia per la ricerca di alterazioni della linea germinale, correlate alla sindrome MEN-2 per il carcinoma midollare della tiroide (MTC), sia per l’individuazione di alterazioni tissutali indicative di trasformazione neoplastica maligna.
CARCINOMA MIDOLLARE
Nei pazienti con MTC la ricerca di mutazioni germinali del proto-oncogene RET è fondamentale, e deve essere effettuata anche in assenza di anamnesi familiare positiva per la patologia (circa il 7% dei pazienti con MTC apparentemente sporadico, risulta portatore di mutazione genetica RET). Anche la recente revisione delle linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) (1) raccomanda di proporre il test genetico, previo counseling a:
- tutti i pazienti con presunto MTC sporadico;
- parenti di primo grado di pazienti con MTC ereditario;
- genitori di bimbi con fenotipo classico MEN-2B;
- pazienti con lichen cutaneo amiloidosico del dorso;
- bambini con malattia di Hirschprung.
Il test RET deve includere gli esoni 10 e 11 (da effettuarsi per primi, per maggiore frequenza di mutazione dei codoni in questi esoni) e, se negativi, gli esoni 8, 13, 14, 15 e 16.
Per i pazienti con fenotipo MEN-2B, deve essere ricercata la mutazione del codone M918T (esone 16) e, se negativa, la mutazione del codone A883F (esone 15).
Se viene rilevata una mutazione germinale nel paziente, l’analisi genetica deve essere proposta ai familiari di primo grado, al fine di individuare i portatori della mutazione stessa, possibilmente prima dell’età raccomandata per la tiroidectomia profilattica.
I familiari non portatori di mutazione devono essere rassicurati e non devono essere sottoposti a screening biochimico per MTC, feocromocitoma o iperparatiroidismo.
In assenza di mutazioni RET, ma in presenza di sospetto elevato di MTC familiare, si deve verificare che sia stato effettuato uno screening genetico completo, prendere in considerazione la ricerca di nuove mutazioni e lo screening biochimico dei familiari a rischio dall’età di 5 anni.
Da anni è nota la stretta correlazione tra specifiche mutazioni germinali di RET, età di esordio e aggressività di MTC (2), e la correlazione genotipo-fenotipo nelle MEN-2A: l’identificazione di una specifica mutazione indica anche la tempistica per lo screening di feocromocitoma e iperparatiroidismo, poiché la loro incidenza ed età di esordio differisce in base alla mutazione (nei pazienti con mutazione RET C634 il feocromocitoma ha una incidenza del 50% nella V° decade di vita e del 90% nella VIII°, l’iperparatiroidismo è presente in circa il 30% dei pazienti, mentre è nettamente inferiore nei pazienti con altre mutazioni).
Le ultime linee guida ATA (1) hanno indicato di modificare la classificazione dei 4 livelli di rischio per MTC aggressivo (A,B,C,D, in ordine crescente di rischio) delle precedenti Linee Guida ATA (2009) (3), considerando 3 livelli di rischio:
- categoria “rischio più alto” (ex livello D): include pazienti con MEN-2B e mutazione RET M918T; per questi bambini il test RET, l'ecografia (US) tiroidea, il dosaggio di calcitonina (CT) e la tiroidectomia profilattica devono essere effettuati il prima possibile, preferibilmente entro il primo anno di vita;
- categoria “rischio alto” (ex livello C): include pazienti con mutazioni del codone C634 (MEN-2A) o mutazione del codone A883F (MEN-2B); il rischio di MTC aggressivo è inferiore, ma sempre elevato. La tiroidectomia profilattica è suggerita prima dei 5 anni o anticipata in caso di rilievo di livelli elevati di CT, con dissezione del comparto linfonodale centrale se CT > 40 pg/mL, o se evidenza di linfonodi metastatici;
- categoria “rischio moderato” (ex livelli B e A): include pazienti con MTC ereditario e mutazioni diverse da M918T, C634 e A883F, che hanno un rischio inferiore rispetto alle altre due categorie; i bambini dovrebbero essere valutati clinicamente, con US del collo e dosaggio di CT a partire dai 5 anni; il timing della tiroidectomia andrebbe determinato in base a valori elevati di CT, o prima se il monitoraggio a lungo termine risulta impossibile.
Per i pazienti con mutazioni RET di categorie ATA di rischio alto e moderato è importante considerare i livelli basali e stimolati di calcitonina, al fine di proporre una maggiore personalizzazione del timing per la tiroidectomia nei portatori di mutazione: per tali categorie, si è dimostrato sicuro pianificare l’intervento nel momento in cui la CT stimolata diventa positiva, senza variazioni della percentuale di guarigione rispetto alla tiroidectomia profilattica classica (4,5). Requisito essenziale per questo approccio è la compliance del paziente e/o dei familiari.
Ricaduta clinica dello screening genetico per RET
- Individua le forme ereditarie di MTC.
- Guida il clinico nella strategia di follow-up dei pazienti.
- Indica la tempistica di effettuazione di screening genetico nei familiari, con conseguente precoce identificazione dei soggetti portatori della mutazione di
- Indica la tempistica della tiroidectomia totale profilattica nei portatori di mutazione
Ogni qualvolta si deve proporre un test genetico, si raccomandano incontri pre- e post-test tra clinico, genetista (ove possibile) e paziente e/o familiari da sottoporre al test stesso, per illustrare in modo semplice e comprensibile le motivazioni del test e le decisioni cliniche conseguenti al risultato.
NEOPLASIE DI ORIGINE FOLLICOLARE
Le problematiche maggiori in citologia tiroidea derivano da categorie a diagnosi “indeterminata”, che corrispondono a diagnosi di “atipia/non diagnostica, possibile neoplasia-Thy3a” e “neoplasia follicolare/sospetta neoplasia follicolare-Thy3f” secondo la classificazione Royal College of Pathologist (UK) (7), o a diagnosi di “lesione indeterminata a basso rischio – Tir3A” e “lesione indeterminata ad alto rischio - Tir3B” secondo la classificazione Italiana SIAPEC-IAP (8), che complessivamente interessano il 5-20% dei casi e non ci permettono di distinguere se il nodo è benigno o maligno, e in minor misura da quelle che corrispondono a una diagnosi di “sospetta neoplasia maligna - Tir4”.
Circa il 20% dei noduli a citologia indeterminata risulterà maligno all’istologia e pertanto molti di questi pazienti vengono sottoposti a chirurgia diagnostica.
La necessità di migliorare la performance diagnostica della citologia per le lesioni indeterminate ha portato all’introduzione di test molecolari su materiale citologico, atti a rilevare mutazioni o riarrangiamenti genetici somatici, per migliorare la sensibilità diagnostica della citologia nel differenziare i noduli benigni dai maligni, e quindi selezionare in modo più accurato i pazienti che devono essere sottoposti a terapia chirurgica terapeutica (permettendo l’indicazione a tiroidectomia totale in un tempo unico), e non diagnostica (emitiroidectomia, con radicalizzazione chirurgica in un secondo tempo se l’istologia è diagnostica per lesione maligna).
Per una diagnosi pre-operatoria di malignità, il test “Rule in” più sensibile e specifico è costituito da un pannello di mutazioni geniche multiple (BRAF, RAS, RET/PTC, PAX8/PPARgamma) (8-10). Mentre nelle varie casistiche viene riportata uniformemente elevata specificità (86-100%) e alto valore prognostico negativo (85-100%) del pannello mutazionale nelle categorie citologiche “atipie/lesioni follicolari ad incerto significato”, “neoplasia follicolare/sospetta neoplasia follicolare”, “indeterminata” (9-12), la sensibilità e il valore prognostico positivo risultano molto più variabili, rispettivamente 18-100% e 19-100%, per i bassi valori rilevati da Eszlinger et al (12) nella categoria citologica indeterminata di associazione di malignità per RAS (12%) e PAX8/ PPARgamma (50%), rispetto ad altri autori (9-11).
Schema della tumorigenesi nei carcinomi tiroidei ad eziologia follicolare (modificato da 6)
Mutazione BRAF-V600E. È il marcatore molecolare più studiato, presente nel 45-50% dei carcinomi papillari della tiroide (PTC), con percentuale variabile nei diversi istotipi: > 90% nella variante a cellule alte, 5-10% nella variante follicolare. Pertanto, nella variante follicolare del PTC, quella che pone i maggiori problemi alla citologia, la ricerca di BRAF riveste un limitato valore diagnostico. I dati della letteratura attestano che la positività della mutazione di BRAF su un campione citologico indeterminato (Tir3) o sospetto (Tir4) ha un valore predittivo positivo del 100% per la diagnosi di PTC.
Il ruolo prognostico della mutazione BRAF-V600E è invece controverso: l’associazione con un esito peggiore rilevata da alcuni studi (13-15) non è stata confermata da altri (16,17).
La revisione delle linee guida ATA inserisce i micro-carcinomi papillari intra-tiroidei, mono- o pluri-focali, nella categoria di basso rischio anche se BRAF-mutati, nella categoria di rischio intermedio se multi-focali con estensione extra-tiroidea e BRAF-mutati, e nella stessa categoria i PTC < 4 cm intra-tiroidei se BRAF-mutati (18).
La mutazione BRAF è un bersaglio terapeutico per inibitori chinasi-specifici, quali dabrafenib e vemurafenib, molecole che hanno indotto risposta clinica in pazienti con PTC avanzato iodio-refrattario esprimenti la mutazione, anche se la risposta è risultata inferiore rispetto a quella ottenuta in altri tumori.
Riarrangiamenti del gene RET (RET/PTC). Si rilevano nel 20-40% dei PTC. Le forme più frequenti sono RET/PTC1 e RET/PTC3, che rappresentano più del 90% dei casi. Tali riarrangiamenti sono associati a esposizione a radiazioni ionizzanti sia accidentali (come nel caso dei PTC post-Chernobyl), sia a scopo terapeutico, con prevalenza del 50-80% nei PTC insorti dopo esposizione alle radiazioni; si può rilevare anche nei PTC dei bambini e dei giovani adulti. È importante considerare che RET/PTC può essere presente a bassi livelli in lesioni non-neoplastiche (es. tiroidite di Hashimoto) o in alcuni noduli tiroidei non maligni.
Mutazioni di H-, K- ed N-RAS. Sono presenti nelle lesioni tiroidee a pattern follicolare: adenoma follicolare, carcinoma follicolare (FTC), variante follicolare del PTC e NIFTP (neoplasia follicolare non invasiva con caratteri nucleari papillari) (19) e la loro prevalenza è maggiore nelle aree con carenza iodica. Pur non essendo mutazioni specifiche per il FTC, data la presenza anche negli adenomi follicolari, la mutazione RAS su citologia è stata associata a diagnosi istologica di carcinoma nel 76% dei casi, con rischio maggiore di malignità per H-RAS rispetto ad N-RAS e K-RAS (20). Mutazioni di RAS sono state associate a un comportamento clinico più aggressivo nei carcinomi differenziati della tiroide, e sono di frequente riscontro nei carcinomi scarsamente differenziati.
Riarrangiamento PAX8/PPARγ. È presente nel 20-50% degli FTC e in circa il 10% degli adenomi follicolari. Nei FTC PAX8/PPARγ è stato associato a fenomeni di invasione vascolare e a pazienti più giovani, ma non a prognosi sfavorevole. Il riaarrangiamento è raramente presente nelle forme a scarsa differenziazione.
Altri biomarcatori
Lo studio del profilo di espressione genica (cDNA microarray) e di fattori regolatori dell’espressione genica (micro-RNA) è più recente; l’espressione di alcuni microRNA (miR-146b, miR-155, miR-221) su campione citologico risulta utile nel distinguere i noduli benigni dai PTC, ma presenta bassa sensibilità e specificità nei noduli con citologia indeterminata (21). È stata segnalata una diversa espressione di alcuni miRNA (miR-146b, miR-222, miR-34b, miR-130b) nelle forme aggressive di PTC rispetto alle forme meno aggressive, e una maggiore espressione di miR-146b nei PTC BRAF-positivi e più aggressivi (22), e in una metanalisi (23) i livelli di espressione di alcuni miRNA (21, 34b, 130b, 135b, 146b, 151, 181b, 199b-5p, 221, 222, 451, 623, 1271, 2861) è risultata correlata ad almeno un carattere aggressivo (grandi dimensioni tumorali, multi-focalità, estensione extra-tiroidea, invasione linfo-vascolare, metastasi linfonodali, metastasi a distanza, stadio avanzato).
Mutazione di TERT (promotore di telomerasi). La prevalenza è del 20-50% nei carcinomi scarsamente differenziati della tiroide e del 30-70% nei carcinomi anaplastici, mentre si riduce drasticamente nei PTC (circa 11%) e nei FTC (circa 17%). Promuove la progressione tumorale dei carcinomi tiroidei differenziati a tumore scarsamente differenziato e a carcinoma anaplastico. La presenza della mutazione nelle forme differenziate ne aumenta aggressività clinico-patologica, recidiva e mortalità, ulteriormente potenziate dalla coesistenza di mutazioni BRAF o RAS, in particolare nei pazienti con carcinomi differenziati della tiroide ad alto rischio ATA e secondo il sistema TNM (24-26). Va ricordato che la presenza di mutazione TERT (± BRAF) secondo le linee guida ATA 2015 (18) fa rientrare i PTC > 1 cm nella categoria ad alto rischio di recidiva strutturale (in assenza di evidenza di malattia strutturale dopo il trattamento iniziale).
GEC – Gene Expression Classifier. Utilizzando come test “rule-out” l’analisi di un profilo di espressione genica (valutazione di 167 geni) per identificare i noduli a basso rischio di malignità nonostante una citologia indeterminata, uno studio multicentrico condotto su 3789 pazienti e 4812 FNA di noduli tiroidei > 1 cm, ha rilevato che nei 265 casi di diagnosi citologica indeterminata, con riscontro istologico, è stato ottenuto un valore prognostico negativo rispettivamente del 95%, 94%, e 85% per le categorie citologiche “atipia di significato clinico indeterminato”, “neoplasia follicolare/sospetta neoplasia follicolare”, “sospetta neoplasia maligna” (27). Tali dati fecero indicare agli autori che in presenza di GEC test negativo si poteva tenere un approccio un approccio di tipo conservativo nella maggior parte dei pazienti con diagnosi citologica di “atipia di significato clinico indeterminato” e “neoplasia follicolare/sospetta neoplasia follicolare” (27). Infatti, la negatività del test genetico, pur in presenza di diagnosi citologica di “atipia di significato clinico indeterminato - Tir3a” o “neoplasia follicolare/sospetta neoplasia follicolare - Tir3f”, comporterebbe un rischio di malignità simile a quello di un nodulo con diagnosi citologica di lesione benigna. I rischi insiti in questo approccio sono rappresentati dalla probabilità di malignità nei noduli con diagnosi citologica Tir3a e Tir3f, compresa tra il 5 e il 10% anche se classificati come benigni con il GEC test, e dal rischio di malignità > 15% per i noduli con citologia sospetta per carcinoma (Tir4), pure in presenza di un test di espressione genica negativo. Poiché in questo e in successivi lavori il follow-up dei pazienti con citologia indeterminata, GEC-test negativo e non operati era < 1 anno, il GEC test non può essere ancora raccomandato nella routine clinica al fine di escludere la malignità in sostituzione della chirurgia o della stretta sorveglianza (28).
La biologia molecolare su citologia tiroidea ci aiuta nella decisione peri-operatoria?
La presenza di mutazioni con valore predittivo di malignità > 95% (BRAF-V600E, RET/PTC) può ridurre il numero di tiroidectomie in due tempi, mentre per mutazioni associate a un minore rischio di malignità (es RAS-N-H-K) non abbiamo ancora evidenze sufficienti per potere scegliere la tiroidectomia totale anziché la lobectomia (28). Va precisato che la performance di ogni test diagnostico (valore prognostico positivo e negativo) è fortemente influenzata dalla prevalenza di malignità per ogni specifica categoria citologica, prevalenza che varia nei diversi Centri. Pertanto, è necessario che i clinici conoscano la prevalenza di malignità per le categorie indeterminate della citologia tiroidea nei propri Centri.
CONSIDERAZIONI PRATICHE
L'analisi genetica per la ricerca di mutazioni germinali di RET è da anni parte integrante della gestione dei pazienti affetti da MTC.
Nei pazienti con neoplasie dell'epitelio follicolare, la ricerca di mutazioni somatiche (BRAF, RET-PTC, RAS) su citologia va presa in considerazione:
- per completare la valutazione citologica nelle lesioni “indeterminate”,
- se si ritiene che il suo risultato modifichi la gestione clinica,
mentre non va utilizzata nei noduli con caratteri citologici francamente benigni o maligni (29).
La ricerca di TERT va effettuata se si sospetta una forma poco differenziata in base a caratteri clinici, ultrasonografici e citologici.
COSTI
Dal nomenclatore SIAPEC (Nomenclatore 2006-Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale) il costo per un'analisi mutazionale corrisponde a:
- estrazione del DNA: € 45.45;
- analisi del DNA: € 155.97 (riferito a ogni singola analisi di sequenza).
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Overview sulle tecniche mini-invasive guidate da immagini per la patologia neoplastica tiroidea
Claudio Maurizio Pacella & Enrico Papini
Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
(29/02/2012) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
Questo capitolo è dedicato ad una trattazione generale dei principi e metodi delle tecniche ablative percutanee. Per il loro impiego clinico nelle lesioni focali tiroidee e nelle secondarietà linfonodali, epatiche o scheletriche delle neoplasie endocrine vedi i rispettivi capitoli.
*nel testo le tecniche sono menzionate con l’acronimo inglese; le terapie combinate non sono trattate estesamente in questo contesto perchè richiedono un capitolo a sé stante
INTRODUZIONE E CLASSIFICAZIONE
Le terapie mini-invasive guidate da imaging per la distruzione locale dei tumori (“ablazione”) possono essere suddivise in termiche e non-termiche.
- Le termiche inducono un danno irreversibile delle cellule tumorali innalzando o abbassando la temperatura nell’area bersaglio. Sono:
- ipertermiche quando generano calore mediante ultrasuoni o energia elettromagnetica (radiofrequenza, laser, microonde)*
- ipotermiche quando producono basse temperature mediante la rapida espansione di gas (crioterapia)*.
- Le non-termiche per indurre la morte delle cellule tumorali usano agenti fisici (con danno irreversibile della permeabilità delle membrane cellulari)* o agenti chimici (alcol o acido acetico)* (1).
Negli ultimi 25 anni le terapie loco-regionali sono state impiegate nel trattamento di tumori primitivi e metastatici del fegato, del rene, del polmone, dell’osso, della prostata e del cervello (2-21). Gli insuccessi, dovuti in alcuni casi al tipo, al grading e/o alle dimensioni del tumore, hanno portato all’impiego di strategie combinate associando alle terapie loco-regionali chemioterapia, radioterapia, terapia radiometabolica o trattamenti percutanei trans-arteriosi (22-28).
Il temine “image-guided (US, CT or MR) tumor ablation” sottolinea il ruolo dell’imaging nella pratica clinica. Queste terapie, talora eseguite in laparoscopia o laparotomia a cielo aperto, sono poste in atto con approccio percutaneo grazie alla guida ecografica, tomografica o con risonanza magnetica. L’imaging visualizza il tumore nella fase del centraggio e posizionamento degli aghi o elettrodi (targeting), durante il trattamento (controlling) e, infine, nella verifica dei risultati subito dopo la procedura o durante il follow-up (assessment). Le terapie percutanee mini-invasive inducono una distruzione completa (in situ) o una cito-riduzione della massa tumorale in tempi brevi, in maniera selettiva (distruzione del solo tumore o della lesione focale e di 0.5-1.0 cm di tessuto apparentemente sano circostante), con scarsa perdita di sangue, minore trauma dell’organo sede della lesione e assenza della morbilità peri- e post-operatoria.
Le tecniche mini-invasive sono poste in atto in sedazione cosciente, con minimo impatto della anestesia e minore stress psico-fisico del paziente. Sono pertanto eseguibili in regime di day-hospital anche in pazienti ad alto rischio chirurgico e, data la ripetibilità delle manovre percutanee nel tempo, possono essere trattati anche pazienti con lesioni chirurgicamente non resecabili.
TERAPIE NON TERMICHE
Ablazione con agenti chimici
Percutaneous Ethanol Injection (PEI). Questa metodica, interessante per il basso costo e la semplicità, consiste nella somministrazione di un agente chimico, usualmente l’etanolo e più raramente l’acido acetico, nell’area bersaglio attraverso aghi sottili con calibro inferiore al mm (21 G). L’etanolo induce disidratazione del citoplasma delle cellule e denaturazione delle proteine, con secondaria necrosi coagulativa del tessuto tumorale. L’alcool, inoltre, entrando nel circolo vascolare del tumore, induce necrosi endoteliale e trombosi seguite da necrosi tissutale ischemica.
La PEI è stata usata nel trattamento degli epatocarcinomi in pazienti cirrotici con buoni risultati (29, 30). L’acido acetico è stato proposto in alternativa all’alcol per la sua maggiore capacità di penetrazione e diffusione nella componente fibrosa del tessuto tumorale. La distribuzione non uniforme nelle lesioni sottoposte a trattamento, soprattutto in tessuti a contenuto fibroso o disomogenei come le metastasi, ha indotto ad abbandonare tale metodica.
Per l’uso di tale metodica in ambito endocrinologico si rimanda al capitolo sulla PEI nel trattamento delle lesioni cistiche benigne della tiroide e nel trattamento percutaneo delle metastasi linfonodali da carcinoma tiroideo papillifero (PTC) non responsive al trattamento con radioiodio.
Ablazione con agenti fisici
Irreversible Electroporation (IRE). Questa recente metodica non-termica provoca la morte delle cellule tumorali per apoptosi. Si basa sulla cessione di impulsi elettrici ad alta frequenza (micro- milli-secondi) che, generando campi elettrici focalizzati di varia intensità (fino a 3kV/cm), provocano un danno irreversibile della permeabilità delle membrane cellulari del tessuto tumorale (31). Poichè non c’è cessione di energia termica (32), l’IRE danneggia le cellule del parenchima, ma lascia integre le vie biliari, i vasi, il tessuto collagene e i nervi (33-35). Questi dati fanno intravedere un'applicazione di questa metodica a particolari tessuti ed organi, come prostata, mammella, rene o tumori cutanei(36, 37). La tecnica può usare aghi sottili, di solito multipli, con varia configurazione spaziale e con punte attive di diversa lunghezza. Sono in corso studi in vivo su animali per capire le variabili che determinano l’area di ablazione per sessione (33, 38).
Per quanto attiene la patologia tiroidea, studi in vitro dimostrerebbero che l'IRE produce un incremento della captazione del radioiodio in cellule tumorali tiroidee in coltura scarsamente recettive al radioiodio (39). Non ci sono valutazioni in vivo che confermino l’incremento dell’azione tumoricida del radioiodio nei carcinomi scarsamente differenziati pretrattati con questa tecnica.
TERAPIE TERMICHE
Ablazione Ipertermica. Quando le temperature che si generano intorno alla punta di un ago-elettrodo inserito in una lesione focale oscillano tra i 60° e i 100°C avviene una rapida denaturazione delle proteine (“necrosi coagulativa”), con danno irreversibile dell’apparato enzimatico mitocondriale cellulare e del DNA nucleare. Il danno causa la distruzione delle cellule entro alcuni giorni, ma non tutte le cellule comprese nella zona di coagulazione sono morte irreversibilmente. E’ questa la ragione per cui si preferisce chiamare l’area necrotica zona di coagulazione (coagulation zone).
Le temperature ottimali per l’ablazione sono comprese fra 50°C e 100°C, ma l’esatta temperatura a cui la cellula muore dipende da molti fattori ed è legata al tipo di tessuto sottoposto alla procedura termica e ai tempi di azione dell’insulto termico. La massima temperatura alla periferia della zona di ablazione, conosciuta come temperatura critica, varia da 30° a 77°C in un tessuto normale e da 41° a 64°c in vari tipi di tumore(40, 41). Questo significa che la dose richiesta per indurre la morte cellulare varia in maniera significativa da tessuto a tessuto(32). Per temperature al di sopra di 105-110°C si verifica vaporizzazione e carbonizzazione, che limitano la diffusione dell’energia termica nel tessuto, soprattutto quando si usa la radiofrequenza (RF) o la luce laser (LA), al contrario delle microonde (MW) in cui le alte temperature non interferiscono con la deposizione di energia.
Radiofrequency Ablation (RFA). Nel sistema di termoablazione con antenne a radiofrequenza il paziente è inserito in un circuito costituito dal generatore, l’elettrodo inserito all’interno del paziente nell’area bersaglio e una seconda larga antenna di riferimento applicata su una superficie esterna del paziente. In questo circuito il tessuto bersaglio è l’elemento di resistenza al passaggio del flusso di corrente alternata tra le due antenne. La discrepanza dimensionale tra la piccola superficie dell’antenna posizionata nel tessuto bersaglio e la larga antenna di riferimento (antenna di terra) esterna fa sì che il calore che si genera viene focalizzato e concentrato verso l’elettrodo più piccolo. Poiché il tessuto è un cattivo conduttore di elettricità (impedenza), il flusso di corrente tra le due antenne provoca agitazione degli ioni tissutali e quindi calore per effetto Joule. Calore si sviluppa rapidamente nelle aree ad alta densità di corrente e quindi nei tessuti più vicini agli elettrodi, per poi propagarsi ai tessuti più lontani per conduzione (42). Il processo di ablazione provoca disidratazione e vaporizzazione del tessuto, con conseguente incremento della resistenza del tessuto stesso al flusso di corrente (impedenza). Per controllare l’incremento di impedenza che inibisce il flusso di corrente dal generatore, si può espandere la superficie dell’elettrodo più piccolo, usare una corrente pulsata o iniettare soluzioni saline vicino all’elettrodo. Sulla base di questi dati sperimentali, si sono sviluppati diversi tipi di elettrodi, da quelli con più antenne sottili espandibili perfuse con soluzioni saline e non, con morfologia ad uncino, ad ombrello, ad albero di natale, a quelle senza antenne espandibili e perfuse con soluzioni saline raffreddate (1). Tale metodica attualmente è la più diffusa e la più testata, ma non sono ancora disponibili studi controllati che ne dimostrino la superiorità rispetto alle altre metodiche ipertermiche, anche se sono in corso RCT tra la RFA e la LA (7, 43).
Circa l’uso della RFA nella patologia benigna vedi il paragrafo relativo.
Laser Ablation (interstitial laser coagulation, interstitial laser therapy, interstitial laser phototherapy, laser-induced thermal therapy (LITT) o photothermal therapy). La luce laser è trasmessa al tessuto tumorale mediante fibre ottiche di quarzo flessibili, usualmente di calibro molto sottile (300-600 µm) direttamente inserite nel contesto dell’area bersaglio. Laser è l’acronimo di “light amplification by stimulated emission of radiation” e sta a significare la spontanea emissione di fotoni dagli atomi eccitati. La luce laser è coerente monocromatica e può essere collimata e focalizzata (il fascio di luce è composto da onde elettromagnetiche che hanno la stessa frequenza, la stessa fase e la stessa lunghezza d’onda). Per queste caratteristiche è possibile trasferire grandi quantità di energia a distanza senza significative perdite di energia (in caso di controlling della procedura con RM le fibre possono essere lunghe 10 metri).
La maggior parte dei laser in uso sono al Nd:YAG (ad onda continua di 1064 nm) o a diodo (con lunghezza d’onda di 800-980 nm), offrono maggiore penetrazione e assorbimento nei tessuti e operano con potenze comprese tra i 2 e i 40 W. Due sistemi sono in uso in clinica. Uno consiste nell’uso di aghi sottili (21G) e fibre a punta piatta di 300 µm (44), mentre l’altro usa diffusori cilindrici raffreddati, con calibro pari a 400-600 µm, in grado di depositare nel tessuto più di 30 W mediante una superficie emittente più larga in grado di ridurre il surriscaldamento e quindi la vaporizzazione e la carbonizzazione (45-47). Quest’ultima tecnica può essere controllata in tempo reale con la RM durante il trattamento, rendendo agevole la verifica dell’effettiva distruzione del tumore. In entrambi i cas,i i tempi della procedura sono brevissimi, variando da 3 a 6 minuti. La tecnica è diffusa in Germania, Italia e Regno Unito e recentemente è in studio clinico in USA (47).
Per le applicazioni in campo tiroideo vedi il capitolo relativo.
Microwave Ablation (MW). La tecnica a micro-onde usa frequenze molto elevate uguali o superiori a 900 MHz. Quando si cede energia elettromagnetica ad un tessuto, parte di questa energia viene spesa per modificare la polarità delle molecole del tessuto, come quelle dell’acqua. Il passaggio delle micro-onde all’interno delle cellule provoca una rapida ed improvvisa rotazione delle molecole di acqua contenute nel tessuto e parte di questa energia viene dissipata in calore (isteresi termica). Il processo si arresta quando si arresta la cessione di energia (48). Le micro-onde, al contrario dell'energia a radiofrequenza, penetrano rapidamente in tutti i tessuti biologici, anche in quelli a bassa conduttività, come il polmone, l’osso o i tessuti disidratati, raggiungendo temperature molto elevate (> 150°C) con maggiore efficacia ablativa. Non necessita di una seconda antenna di terra come la radiofrequenza, perché non necessità di un circuito chiuso e quindi, al pari della energia laser, è possibile applicare più sorgenti simultaneamente per amplificare l’area di coagulazione (49). E' tuttavia difficile controllare la distribuzione dell’energia nel tessuto irradiato e i dispositivi non sono maneggevoli come per le altre metodiche (50). Inoltre, l’eccessiva potenza usata consente all’operatore di ottenere aree ablative più larghe, ma può condurre a danni in zone non selezionate per l’ablazione, come per esempio la cute. Sono in corso studi con sistemi di raffreddamento delle antenne, che tendono ad eliminarne il riscaldamento (51). La tecnica è molto diffusa in Cina e Giappone e attualmente non ci sono studi in campo tiroideo.
Ultrasound Ablation-High-intensity focused ultrasound (HIFU). È possibile elevare la temperatura in una determinata area di tessuto mediante la cessione interstiziale mirata di energia ultrasonora. L’HIFU è una tecnica ablativa ipertermica non invasiva, basata sulla generazione di onde ultrasonore extra-corporee focalizzate su un'area bersaglio. L’energia si propaga attraverso la cute senza danneggiarla, fino a raggiungere un punto focale, dove la temperatura aumenta per frizione molecolare. Il fascio di ultrasuoni è focalizzato geometricamente o elettronicamente, in modo da ottenere un'alta concentrazione di energia che coagula in maniera precisa solo un’area di pochi millimetri senza danneggiare i tessuti contigui (52). L’area ablata è molto piccola (da uno a pochi mm3) e quindi sono necessari molti impulsi in sequenza continua per ottenere un volume di ablazione di rilievo clinico. Il tutto e’ controllato da un computer, avviene in anestesia generale e richiede alcune ore per ottenere un volume di ablazione significativo. Sono disponibili dati su lesioni renali, epatiche, prostatiche, pancreatiche e fibromi uterini.
In campo endocrino, dopo studi di fattibilità in vivo (53), sono stati riportati uno studio di fattibilità in noduli benigni di piccolo volume (54) e in pazienti con iperparatiroidismo primario (55). E’ una tecnica promettente, ma allo stato attuale risulta troppo complessa e costosa per la pratica clinica.
Cryoblation. L’argon è un gas che quando si espande si raffredda, mentre l’elio si scalda. I sistemi di cryoblation sfruttano l’effetto Joule-Thomson di questi gas per creare cicli di congelamento e di scongelamento e danneggiare in tal modo la membrana delle cellule. Con questa metodica, le dimensioni della zona di ablazione correlano con le dimensioni dei dispositivi usati per raggiungere le aree di trattamento. Una criosonda da 13-gauge (2.4 mm di diametro) produce un'area di ablazione di 2.5 cm di diametro massimo (56). La tecnica è stata testata su lesioni di diversi organi (polmone, reni, fegato, prostata)(20), ma non in campo tiroideo per ovvi motivi legati al critico e ristretto spazio del collo. Le sonde sono grandi e spesso è necessario l’uso di più sonde per ottenere significative aree di ablazione. I tempi di trattamento si aggirano intorno ai 45 min (per tumori esofitici di 2-3 cm del rene) e l’intera sessione, in anestesia profonda, può richiedere molti cicli di congelamento e scongelamento della durata di due o tre ore, con costi estremamente elevati rispetto alle altre metodiche.
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Overview sulla gestione clinica dei tumori differenziati della tiroide
Enrico Papini e Irene Misischi
Endocrinologia, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale (RM)
(20 Febbraio 2012) questo capitolo è in attesa di aggiornamento
INTRODUZIONE
I tumori maligni della tiroide comprendono carcinomi derivati dalle cellule follicolari (carcinoma papillifero, carcinoma follicolare e carcinoma anaplastico) (vedi Classificazione e Stadiazione dei Tumori Differenziati) e dalle cellule parafollicolari (carcinoma midollare sporadico, familiare o in corso di MEN), le metastasi di neoplasie maligne di altri organi (mammella, rene, colon, melanoma) e alcuni tumori rari (linfoma primitivo della tiroide, sarcomi).
Questo capitolo è dedicato alla gestione clinica dei tumori differenziati tiroidei. Per il Carcinoma Anaplastico si rimanda al capitolo corrispondente, mentre per specifici approfondimenti della condotta terapeutica si rimanda ai capitoli sulla Chirurgia, Terapia radiometabolica, Radioterapia esterna, Follow-up e PET.
Benchè vi siano alcune rilevanti differenze nel comportamento biologico del carcinoma papillifero rispetto al follicolare, ai fini della pratica clinica la gestione dei carcinomi differenziati (DTC) può essere trattata in comune (1). E’ tuttavia necessario ricordare che i carcinomi follicolari compaiono in media in età più avanzata, si associano più frequentemente a metastasi a distanza e presentano una prognosi complessivamente meno favorevole dei carcinomi papilliferi (2-3).
L’incidenza dei tumori differenziati della tiroide ha mostrato nel corso dell’ultimo decennio un incremento superiore a quello delle altre neoplasie (4-5). L’aumento dell’incidenza è in parte conseguenza delle migliorate capacità diagnostiche per la diffusione dell'ecografia e dell’agoaspirato ecoguidato della tiroide (6). L’aumentata incidenza dei DTC, tuttavia, riguarda non solo i microcarcinomi papilliferi ma anche i tumori differenziati di maggiori dimensioni (5). A fronte della più elevata frequenza dei DTC, la mortalità tumore-specifica è invariata nel tempo, confermando l’importanza della diagnosi precoce e della gestione terapeutica integrata (4-5).
Per la presentazione e i quadri clinici dei DTC si rimanda al capitolo Manifestazioni Cliniche del Carcinoma Differenziato Tiroideo.
GESTIONE TERAPEUTICA
Il trattamento chirurgico è la modalità terapeutica più importante per i pazienti con DTC. Sono disponibili opzioni terapeutiche diverse in rapporto a tipo istologico, età, estensione di malattia e alla preferenza e condizioni generali del paziente (1). La scelta dell’approccio chirurgico deve essere sempre preceduta da un'attenta stadiazione pre-operatoria, basata principalmente sullo studio ecografico del collo.
La tiroidectomia totale è l’intervento di scelta nei pazienti con lesioni tiroidee maggiori di 10 mm su cui sia stata posta diagnosi citologica pre-operatoria di malignità (7). Questo approccio si associa a minore incidenza di recidive loco-regionali nei pazienti a basso rischio e a riduzione della mortalità complessiva nei pazienti a rischio intermedio e alto (8-9).
La lobectomia con istmectomia è una possibile opzione terapeutica nei pazienti con DTC minore di 10 mm che, sulla base della stadiazione ecografica pre-operatoria, appaia unico e circoscritto alla ghiandola. In questo gruppo di pazienti la sopravvivenza a lungo termine è prossima al 100% e non appare ulteriormente migliorabile da interventi chirurgici più aggressivi (9). E’ necessario che il paziente operi la propria scelta essendo informato che nel 20-60% dei casi i DTC sono multifocali e/o bilaterali e che la stadiazione istologica definitiva può indurre (in caso di estensione extra-capsulare o di impegno linfonodale) a un secondo intervento per il completamento della tiroidectomia. Per il follow-up, inoltre, non possono essere adeguatamente utilizzate la tireoglobulina (Tg) sierica né la scintigrafia whole-body con radioiodio.
La tiroidectomia subtotale non ha attualmente indicazione (1).
La dissezione del compartimento centrale del collo (livello VI) deve essere eseguita quando vi è l’evidenza di impegno linfonodale alla stadiazione pre-operatoria o all'esplorazione intra-operatoria (10). La dissezione di principio (eseguita in assenza di metastasi evidenziabili) del compartimento centrale consente una stadiazione istopatologica più completa, definendo il pN e orientando più precisamente verso l'opportunità di un trattamento ablativo con radioiodio (11). La linfoadenectomia di principio, tuttavia, non si associa a riduzione significativa della mortalità a lungo termine, mentre è seguita da un incremento delle complicanze permanenti (ipoparatiroidismo e danno del nervo laringeo ricorrente). Dovrebbe pertanto essere considerata solo nei DTC di ampie dimensioni (> 4 cm) o con estensione extra-capsulare, perché associati con elevata frequenza a metastasi linfonodali (1). Deve comunque essere eseguita in ambienti chirurgici con specifica competenza e alto volume di interventi di tiroidectomia.
La linfoadenectomia latero-cervicale deve essere eseguita in presenza di metastasi linfonodali ecograficamente o clinicamente accertate (1). La dissezione deve essere funzionale (risparmiando l’integrità di muscoli, fibre nervose e vasi del collo) ed estesa ai compartimenti II, III, IV e V del collo.
L’impiego della ecografia intra-operatoria o della chirurgia radioguidata è utile in caso di reintervento per recidiva linfonodale o nel letto tiroideo in pazienti già sottoposti a precedente linfoadenectomia per ridurre i tempi operatori e minimizzare il rischio di complicanze (12).
Un approccio chirurgico più aggressivo deve essere impiegato nei tumori avanzati della tiroide che coinvolgono i muscoli e le strutture vitali del collo (13). L’intervento deve consentire il miglioramento della aspettativa e/o della qualità di vita e non deve essere causa di alterazioni anatomiche o funzionali penose o disabilitanti (vedi Carcinoma avanzato della tiroide: salvataggio delle vie aeree e digestive). In queste circostanze è necessaria una accurata stadiazione pre-operatoria da condurre con TAC o RM del collo e torace con mezzo di contrasto, studio endoscopico delle vie aeree e digestive superiori e, ove possibile, PET-TC con 18F-deossiglucosio (14).
2. Stadiazione
La stadiazione post-operatoria dei pazienti con DTC riveste un ruolo fondamentale per la gestione della malattia nel tempo. Essa consente di:
- stimare con buona approssimazione il rischio di recidiva e mortalità tumore-specifica del singolo paziente
- individuare la necessità e l’intensità delle terapie adiuvanti: ablazione con radioiodio e terapia soppressiva con ormone tiroideo
- definire la frequenza e le modalità del follow-up
- comunicare in modo conciso ma chiaro le condizioni del paziente.
Nella pratica clinica è opportuno utilizzare in successione tre sistemi di stadiazione, in grado di guidare la condotta clinica in fasi diverse.
- Il rischio iniziale di mortalità tumore-specifico può essere definito sulla base dei dati istopatologici disponibili dopo l’intervento chirurgico. Il sistema di stadiazione più diffuso e accettato è il TNM, adottato dalla UICC e dall’AJCC. I pazienti, sulla base di età, dimensioni del tumore, estensione locale di malattia e presenza di metastasi a distanza, sono distinti in 4 stadi, caratterizzati da un rischio crescente di mortalità. La predittività del TNM è soddisfacente nel definire la mortalità ma, essendo basata sui soli dati anatomo-patologici, è meno precisa nel definire il rischio di recidiva o persistenza di malattia (15).
Tabella 1 Stadiazione TNM per il tumore della tiroide modificato da: AJCC Cancer Staging Manual, Seventh Edition (2010) |
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Tumore primitivo (T)* | ||
Tx | tumore primitivo che non può essere evidenziato | |
T0 | non evidenza di tumore primitivo | |
T1 | T1a | tumore ≤ 1 cm limitato alla tiroide |
T1b | 1 cm < tumore ≤ 2 cm limitato alla tiroide | |
T2 | 2 cm < tumore ≤ 4 cm limitato alla tiroide | |
T3 | tumore > 4 cm limitato alla tiroide oppure tumore di qualasiasi dimensione con minima estensione extra-tiroidea (es. muscolo sterno-tiroideo o tessuti soffici peri-tiroidei) |
|
T4 (tutti i tumori anaplastici sono considerati T4) |
T4a (malattia moderatamente avanzata) |
tumore di qualsiasi dimensione con estensione oltre la capsula tiroidea, che invade i tessuti soffici sottocutanei, laringe, trachea, esofago o il nervo laringeo ricorrente carcinoma anaplastico intra-tiroideo |
T4b (malattia molto avanzata) |
tumore che invade la fascia prevertebrale e circonda l'arteria carotide o i vasi mediastinici carcinoma anaplastico con totale estensione extra-tiroidea |
|
Linfonodi (N)• | ||
Nx | linfonodi cervicali che non possono essere evidenziati | |
N1 | N1a | metastasi ai linfonodi livello VI (pre-tracheali, para-tracheali e peri-laringei/linfonodo di Delfi) |
N1b | metastasi ai linfonodi laterocervicali uni-bilaterali o controlaterali (livello I, II, III, IV, V) o ai linfonodi retro-faringei o del mediastino superiore | |
Metastasi a distanza | ||
M0 | Assenti | |
M1 | Presenti |
Nota: cTNM è la classificazione clinica, pTNM è la classificazione patologica.
* Tutte le categorie possono essere suddivise: (s) tumore solitario e (m) tumore multifocale (il più grande determina la classificazione).
• I linfonodi regionali sono il compartimento centrale laterale del collo, e ilinfonodi del mediastino superiore.
Tabella 2 Stadiazione TNM e gruppi prognostici per i tumori tiroidei differenziati (papillare e follicolare) modif da AJCC Cancer Staging Manual, 7th Edition (2010) |
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< 45 anni | ||||
Stadio | T | N | M | |
I | qualsiasi | qualsiasi | M0 | |
II | qualsiasi | qualsiasi | M1 | |
≥ 45 anni | ||||
I | T1 | N0 | M0 | |
II | T2 | N0 | M0 | |
III | T3 | N0 | M0 | |
T1 | N1a | M0 | ||
T2 | N1a | M0 | ||
T3 | N1a | M0 | ||
IVa | T4a | N0 | M0 | |
T4a | N1a | M0 | ||
T1 | N1b | M0 | ||
T2 | N1b | M0 | ||
T3 | N1b | M0 | ||
T4a | N1b | M0 | ||
IVb | T4b | qualsiasi | M0 | |
IVc | qualsiasi | qualsiasi | M1 |
- Il rischio iniziale di recidiva è meglio definito dal sistema di stadiazione clinico-patologica dell’American Thyroid Association. I pazienti vengono suddivisi in tre categorie a rischio crescente sulla base di dati anatomopatologici più articolati e dei dati forniti dalla terapia con radioiodio:
- basso rischio: carcinomi papilliferi confinati alla tiroide
- rischio intermedio: DTC con istologia aggressiva, minima estensione extra-tiroidea o metastasi cervicali o captazione patologica del I131
- alto rischio: invasione delle strutture del collo, resezione incompleta o metastasi a distanza.
La stratificazione del rischio suggerita dalla ATA consente una previsione soddisfacente del rischio di recidiva o persistenza di malattia nel singolo paziente (1).
Tabella 3 Rischio iniziale di recidiva secondo l'American Thyroid Association 2009 |
||
Basso: tutti i seguenti presenti | Intermedio: uno dei seguenti presenti | Alto: uno dei seguenti presenti |
Non metastasi locali o a distanza (N0, M0) Resezione completa del tumore Nessuna invasione dei tessuti loco-regionali (T1/T2) Tumori con istologia non aggressiva Non invasione vascolare Non captazione di I-131 alla WBS post-terapia ablativa |
Metastasi cervicali linfonodali (N1, M0) Resezione completa del tumore Invasione microscopica dei tessuti soffici peri-tiroidei (T3) Tumore con istologia aggressiva (a cellule alte, insulare, a cellule colonnari, carcinoma a cellule di Hurtle, carcinoma follicolare) Invasione vascolare Presenza di captazione I-131 alla WBS post-terapia ablativa |
Metastasi a distanza (M1) Resezione incompleta del tumore Estesa invasione locale (T4) |
- La stratificazione dinamica del rischio del Memorial-Sloan Kettering Cancer Center consente di modificare nel tempo il rischio di recidiva o decesso del paziente sulla base della risposta alla terapia nel corso del follow-up. La ristratificazione, condotta sulla base dei risultati dei primi due anni, permette di distinguere ulteriormente le tre classi iniziali ATA in un gruppo con risposta eccellente, accettabile o incompleta alla terapia. Quest’ultima suddivisione appare modificare sensibilmente il profilo di rischio inizialmente assegnato al singolo paziente (16).
Tabella 4 Classificazione dinamica del rischio di recidiva o mortalità (MSKCC, 2010) (modificato da 16) |
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Eccellente | Accettabile | Incompleta | |||
Tg | < 1 ng/mL (off L-T4 e/o dopo rhTSH) | < 1 ng/mL on L-T4 e/o 1-10 ng/mL off L-T4 e/o dopo rhTSH | > 1 ng/mL on L-T4 e/o > 10 ng/mL off L-T4 e/o dopo rhTSH e/o in incremento | ||
US | negativa | possibile minimo coinvolgimento N ma stabile | |||
Imaging pesante (WBS/TC/PET) | negativa | Non completa negatività (aspecifica?) | Persistenza o nuova comparsa di malattia |
La terapia con radioiodio (131-I) è impiegata nei DTC come trattamento adiuvante dopo l’intervento di tiroidectomia totale (1). La terapia con 131-I non appare migliorare la prognosi nei pazienti con microcarcinoma o stadiazione iniziale a rischio basso (17). Tuttavia, i pazienti con DTC a rischio moderato o alto (1) hanno l’indicazione a un trattamento ablativo con dosi variabili di 131-I. Il trattamento ablativo è in grado di ridurre significativamente il rischio di recidiva di malattia a 10 anni e di ridurre, in minor misura, la mortalità tumore-specifica (18).
Per le indicazioni, modalità di preparazione ed esecuzione, norme protezionistiche, risultati e complicanze vedi Terapia Radiometabolica.
Il trattamento ablativo con 131-I provoca, attraverso l’emissione di radiazioni β, la distruzione del tessuto tiroideo residuo e degli eventuali residui microscopici di malattia. La terapia con radioiodio consente inoltre di visualizzare persistenza di malattia ed eventuali metastasi a distanza con la scintigrafia whole-body post-dose, completando la stadiazione della neoplasia, e rende il dosaggio della Tg sierica un marcatore di malattia sensibile e di semplice impiego per il follow-up.
La terapia con radioiodio ad alte dosi è un efficace mezzo terapeutico per le metastasi polmonari e, in minor misura, per le altre metastasi a distanza (scheletro, fegato, cervello) (1-3). Complessivamente, i pazienti trattati con 131-I per metastasi a distanza hanno una sopravvivenza a 5 anni che è circa il doppio dei non trattati (19, 20). La risposta terapeutica è migliore nei pazienti con metastasi polmonari di piccole dimensioni non visualizzabili con esame radiologico (19).
Gravidanza e allattamento costituiscono una controindicazione assoluta alla terapia con 131-I (1).
4. Terapia con ormone tiroideo
La terapia con levotiroxina, da sola o in associazione con la T3, deve essere iniziata subito dopo la tiroidectomia per evitare l’instaurarsi di ipotiroidismo. Quest’ultima condizione deve essere evitata sia per la qualità di vita del paziente sia per il possibile stimolo proliferativo nei confronti di un eventuale residuo neoplastico (1-3). Il trattamento sostitutivo deve essere iniziato con la sola T3 soltanto nei casi in cui l’accesso al trattamento ablativo con 131-I sia rapido (circa 30 giorni) e previsto con sufficiente certezza.
Dopo il trattamento chirurgico, ove non sussistano controindicazioni, la terapia con ormone tiroideo è generalmente intrapresa con dosi semi-soppressive (target: TSH 0.2 – 0.5 mU/L). Il grado di soppressione deve in seguito essere modulato sulla base di stadiazione TNM, età, istotipo, persistenza di malattia ed eventuali comorbilità (vedi Follow-up).
Nei 5 anni successivi al trattamento iniziale è opportuno seguire queste indicazioni per la terapia di mantenimento (21):
- nel caso di tumori ben differenziati senza metastasi a distanza e con risposta eccellente alla terapia (riclassificati dopo 1 anno come a basso rischio) mantenere valori di TSH ai limiti inferiori della norma (0.5 – 1.0 mU/L)
- in presenza di tumori con istotipo aggressivo, a crescita estesamente extra-capsulare (TNM pT4), incompletamente resecati (R1), con metastasi locali o a distanza (M1) o risposta incompleta alla terapia ottenere la soppressione pressoché completa del TSH (< 0.2 mU/L) mantenendo entro la norma i valori degli ormoni tiroidei liberi
- nei pazienti con cardiopatia ischemica, aritmie ipercinetiche, scompenso cardiaco cronico, severa osteoporosi, impegno dello stato generale da malattie internistiche o età avanzata, i valori di TSH devono essere mantenuti entro i limiti inferiori della norma (1.0 – 2.0 mU/L).
Dopo 5 anni nei pazienti in remissione completa, mantenere il TSH a livelli di 1.0 – 2.0 mU/L.
Ha scarsa indicazione nel trattamento iniziale dei DTC. Può essere utilizzata come trattamento adiuvante per ridurre/rallentare la recidiva di malattia in pazienti con neoplasie localmente avanzate (pT4) o sottoposte a resezione incompleta e che appaiano non concentrare il radioiodio (1).
La radioterapia esterna è un trattamento palliativo efficace per le metastasi a distanza (prevalentemente cerebrali o scheletriche, soprattutto se iperalgiche) non controllabili dal solo trattamento con radioiodio (22).
6. Follow-up (1, 16)
La maggioranza delle recidive dei DTC ha luogo entro 5 anni dal trattamento iniziale. Il follow-up deve tuttavia essere esteso per tutta la vita del paziente, perché le recidive possono avere luogo anche alcune decadi dopo la diagnosi della neoplasia (9). Elementi essenziali del follow-up sono la determinazione della Tg (on L-T4 e dopo stimolo) e l’ecografia del collo (22-24). La scintigrafia whole-body (WBS) è importante nella stadiazione post-dose ablativa, ma ha un ruolo ristretto nel follow-up a lungo termine. Deve essere impiegata nei soli casi ad alto rischio o con sospetta recidiva di malattia (Tg sierica in incremento) in assenza di lesioni cervicali dimostrabili all’esame ecografico (25-27).
a. Follow-up a breve termine
In tutti i pazienti, controllo clinico dopo 3 mesi dalla terapia iniziale con:
- determinazione di TSH, FT4, tireoglobulina (Tg), anticorpi anti-tireoglobulina (TgAb)
- aggiustamento della terapia con levo-tiroxina per soppressione parziale del TSH (0.2-0.5 mU/L)
- nei soli pazienti con neoplasia localmente avanzata: ecografia tiroidea (con resezione chirurgica in caso di persistenza macroscopica di malattia).
In tutti i pazienti: controllo clinico dopo 6 – 12 mesi dalla terapia iniziale con:
- determinazione di TSH, FT4, Tg, TgAb
- ecografia del collo: nei casi in cui l’esame ecografico evidenzia lesioni cervicali sospette per persistenza/recidiva di malattia eseguire agoaspirato ecoguidato della lesione per esame citologico e determinazione della Tg su wash-out dell’ago (28)
- nei pazienti a basso rischio (classificazione ATA): Tg dopo stimolo con rhTSH
- nei pazienti a rischio molto basso (carcinoma papillifero pT1N0M0 con ecografia negativa) è possibile eseguire il semplice controllo della Tg ultrasensibile on L-T4 (19-20)
- nei pazienti ad alto rischio: Tg e WBS con 131-I dopo stimolo con rhTSH o in sospensione di L-T4.
b. Follow-up nei successivi 5 anni (1, 16, 25, 30):
Nei pazienti a basso rischio ATA con risposta eccellente alla terapia (Tg on L-T4 non dosabile, Tg dopo stimolo < 1 ng/mL ed ecografia cervicale negativa per persistenza di malattia nel controllo 6-12 mesi dopo la terapia iniziale):
- non indicazione alla ripetizione del test di stimolo della Tg nel tempo (22)
- controllo clinico annuale con determinazione della Tg on L-T4 e ecografia del collo.
Nei soggetti a rischio ATA intermedio o elevato o con risposta incompleta alla terapia (Tg dopo stimolo > 5 ng/mL o 10 ng/mL in accordo con il cut-off del Centro), residuo di malattia all'ecografia cervicale o captazione patologica nel controllo 6-12 mesi dopo la terapia iniziale):
- conferma della sospetta persistenza/recidiva di malattia a livello cervicale con studio di immagine e procedura bioptica (se localizzabile)
- WBS con dose diagnostica
- ristadiazione con 18F-FDG PET/TC (in caso di negatività del WBS diagnostico)
- in caso di uptake patologico: trattamento chirurgico (sempre, quando possibile) e/o con dose terapeutica di 131-I (con attività in rapporto alla sede ed entità delle secondarietà) (31).
c. Follow-up a lungo termine
Nei pazienti in remissione di malattia eseguire ogni 12–24 mesi controllo clinico con:
- determinazione di: TSH, FT4, Tg, TgAb
- ecografia tiroidea
Nei pazienti che nel controllo a 12 mesi avevano presentato livelli di Tg dopo stimolo dosabili ma < 5 ng/mL:
- in presenza di stabilità o di riduzione della Tg on L-T4: ripetizione della Tg dopo stimolo dopo 12 mesi
- in presenza di incremento progressivo della Tg o evidenza di recidiva locale di malattia all'ecografia: ristadiazione.
- In caso di incremento progressivo della Tg nel tempo in assenza di localizzazione d'organo all'WBS e alla ecografia tiroidea, considerare l’esecuzione di 18F-FDG PET/TC. Un breve tempo di raddoppio della Tg ( < 12 mesi) costituisce un elemento di allarme (32).
d. Presenza di anticorpi anti-Tg elevati
I valori della Tg sierica non sono affidabili in presenza di elevazione del titolo anticorpale (33). E’ opportuno procrastinare di alcuni mesi la ristadiazione prevista a 6–12 mesi in attesa di una loro possibile normalizzazione.
Le variazioni della concentrazione degli anticorpi anti-Tg possono essere usate come marcatore surrogato di malattia, posto che siano determinati costantemente con lo stesso metodo (34).
- In caso di livelli anticorpali stabili nel tempo (oltre i 6–12 mesi), eseguire sia la Tg dopo stimolo sia il WBS con dose diagnostica di 131-I (1).
e. Pazienti a basso rischio non sottoposti a terapia ablativa
Controllo clinico ed ecografico del collo ogni 12 mesi.
Determinazione della Tg sierica on L-T4, anche se con significato fortemente limitato dalla persistenza di tessuto tiroideo normale (35, 36).
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