Diagnostica generale
Carcinoma midollare della tiroide
Gestione del carcinoma midollare recidivante
Sara Watutantrige Fernando1, Stefania Zovato1, Simona Censi2
1Unità Tumori Ereditari, Istituto Oncologico Veneto IRCCS, Padova;
2UOC di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina (DIMED), Università di Padova
(aggiornato a novembre 2024)
Gestione della malattia recidivante loco-regionale
Chirurgia loco-regionale. Pazienti con malattia recidivante o persistente al collo, in assenza di metastasi a distanza, sono candidati al trattamento chirurgico loco-regionale dei linfonodi/lesioni positive all’imaging, alla biopsia o alla misurazione della calcitonina da eluato.
Radioterapia esterna. La valutazione dell’efficacia dell’EBRT (external beam radiotherapy) adiuvante post-tiroidectomia è difficile per la mancanza di RCT. Il ricorso alla procedura per il controllo locale di malattia va attentamente ponderato, perchè re-intervenire chirurgicamente su un collo sottoposto a ERBT può essere molto difficoltoso. In genere, la procedura è riservata a pazienti selezionati con alta probabilità di recidiva tumorale dopo tiroidectomia, su decisione congiunta del chirurgo e del radioterapista o del team multi-disciplinare. Sembra comunque più efficace per il raggiungimento di un controllo di malattia loco-regionale che per migliorare la sopravvivenza (1).
Tipicamente si usano dosaggi di 60-66 Gy nel letto tiroideo, erogati nell’arco di circa 6 settimane.
La procedura è generalmente ben tollerata, sebbene sia gravata da una serie di potenziali tossicità acute (eritema cutaneo, mucositi, edema laringeo, odinofagia, con possibile ricorso alla PEG per la nutrizione durante la terapia) e croniche (iperpigmentazione cutanea, xerostomia, teleangectasia, trisma, danno ai grandi vasi e nervi del collo, raramente stenosi esofagea e tracheale).
Gestione della malattia metastatica a distanza
Metastasi a distanza sono presenti alla diagnosi nel 10% dei pazienti con MTC o compaiono nel corso del tempo nel 19-38% dei casi (2). Le attuali terapie sistemiche disponibili per la gestione dell’MTC non hanno comprovata efficacia sull’overall survival (OS). È fortemente raccomandata la gestione di questi pazienti all’interno di team multi-disciplinari.
Una terapia attiva (loco-regionale o sistemica) è in genere indicata per pazienti con malattia metastatica sintomatica, in caso di lesioni adiacenti a strutture vitali, in caso di massa tumorale molto estesa o progressione di malattia secondo i criteri RECIST v1.1 (3). A partire dal 2012 sono stati approvati farmaci inibitori di tirosin-kinasi, dapprima vandetanib e successivamente cabozantinib. L’approvazione di FDA ed EMA si è basata sulla capacità di incrementare la sopravvivenza libera da malattia (PFS, Progresson Free Survival). Questi due farmaci sono in grado di inibire RET, in qualche misura, ma la loro attività anti-tumorale si basa principalmente sull’inibizione multi-chinasica di fattori angiogenetici chiave, primo tra tutti il Vascular Endothelial Growth Factor Receptor Type 2 (VEGFR2).
Per quanto riguarda vandetanib, lo studio registrativo ZETA (4) ha confrontato il vandetanib (300 mg/die) al placebo (2:1) in 331 pazienti con MTC sintomatico e asintomatico, localmente avanzato o metastatico, non resecabile chirurgicamente. Nel braccio vandetanib, erano significativamente migliori la PFS (30.5 mesi vs 19.3 mesi) e l’ORR (Overall Response Rate) (45% vs 13%). La risposta radiologica era accompagnata anche da una risposta biochimica (con riduzione di CT del 69% e di CEA del 52%).
Vandetanib ha dimostrato efficacia indipendentemente dallo stato mutazionale somatico di RET, da pregressi trattamenti, dal sito metastatico e dall’entità della massa tumorale. Alla prima pubblicazione dei dati del trial ZETA non era stato dimostrato alcun vantaggio in termini di sopravvivenza e nessun aggiornamento è stato pubblicato successivamente. Per quanto riguarda i pazienti pediatrici, nei trial di fase I/II il vandetanib ha mostrato una risposta parziale nel 47% dei casi, con un profilo di effetti collaterali sovrapponibile a quello dell’adulto.
Una successiva rianalisi dei pazienti precedentemente definiti RET non mutati coinvolti nello studio EXAM e lo studio OBS14778 hanno dimostrato un'attività insufficiente di vandetanib in pazienti senza mutazioni RET identificate.
Vandetanib attualmente può essere utilizzato in prima linea solo nella malattia avanzata con mutazione RET somatica.
Per quanto riguarda cabozantinib, lo studio registrativo EXAM (5) ha confrontato cabozantinib (140 mg/die) con placebo (2:1) in 330 pazienti con MTC non operabile localmente avanzato o metastatico e in progressione radiografica entro 14 mesi prima dell’arruolamento (era permesso l’arruolamento di pazienti già trattati precedentemente con inibitori multi-chinasici, MKI). Cabozantinib ha dimostrato una PFS più lunga (11.2 vs 4.0 mesi) e un ORR maggiore (28% vs 0%), per una mediana di durata di risposta di 14.6 mesi. L’efficacia era dimostrata in tutti i sottogruppi, indipendentemente da età, localizzazione del tumore, massa tumorale, velocità di progressione, pregresso trattamento con MKI e stato mutazionale somatico di RET/RAS. I tassi di OS erano simili nei due bracci (26.6 vs 21.1 mesi). Nel sottogruppo con mutazione somatica di RET M918T l’uso di cabozantinib, rispetto al placebo, si associava a migliore OS (44.3 vs 18.9 mesi, P = 0.03) (6). Cabozantinib è oggi utilizzabile in prima linea nei pazienti con neoplasia avanzata che esprima o meno mutazione RET somatica.
Anche se entrambi i trial (ZETA ed EXAM) prendevano in considerazione pazienti con MTC metastatico localmente avanzato e/o in progressione, il disegno era differente. La PFS nel gruppo placebo di ZETA (19.3 mesi) rispetto al gruppo placebo di EXAM (4 mesi) suggerisce importanti differenze nei criteri di arruolamento. Infatti, a differenza dei pazienti arruolati per ZETA, i pazienti arruolati per EXAM dovevano rispettare i criteri RECIST per la progressione di malattia, suggerendo che il MTC fosse in stadio più avanzato. I risultati dei due studi non sono quindi comparabili e non vi sono evidenze a supporto dell'uso dell’uno o dell’altro farmaco in prima linea. Entrambi sono efficaci in prima o seconda linea (cioè in pazienti precedentemente trattati con altri MKI o no), hanno PFS comparabili ed efficacia indipendente dallo stato mutazionale RET/RAS. La scelta dell’uno o dell’altro potrebbe basarsi sulle comorbilità e sui possibili effetti collaterali. Ad ogni modo, cabozantinib ha mostrato una certa efficacia su PFS e OS nel sottogruppo di pazienti RET M918T-mutati o RAS-mutati. Inoltre, alcuni lavori in real-world suggeriscono per il vandetanib un’efficacia inferiore rispetto a quella dimostrata negli RCT in popolazioni selezionate (6).
Una decade dopo l’introduzione dei TKI si sono affermati gli inibitori selettivi di RET. L’ottima possibilità di impiego di questi farmaci anche nelle forme sporadiche, deriva dalla presenza di mutazioni somatiche di RET nel 60% di MTC e in oltre l’80% degli MTC metastatici.
Selpercatinib nello studio registrativo LIBRETTO-531 (7) ha migliorato in modo significativo la PFS e l’ORR rispetto a un MKI standard (cabozantinib o vandetanib) nei pazienti con MTC avanzato naïve ai MKI e portatori di mutazioni del gene RET. A un follow-up mediano di 12 mesi, la mediana di PFS non è stata raggiunta nel braccio trattato con selpercatinib (IC al 95% non stimabile), mentre è risultata di 16.8 mesi (IC 95% 12.2-25.1) nel braccio di controllo, trattato con il MKI; OR era 69.4% vs 38.8%. Selpercatinib è risultato inoltre meglio tollerato: si è registrata una riduzione di dose nel 38.8% dei trattati con selpercatinib vs 77.3% del gruppo di controllo. Selpercatinib è oggi utilizzabile in Italia solamente in seconda linea, nei pazienti RET mutati che abbiano già seguito una prima linea con cabozantinib o vandetanib.
Pralsetinib (inibitore selettivo di RET, VEGFR2, FGRF PDGFR) non è per ora utilizzabile in Italia.
Le linee guida NCCN (National Comprehensive Cancer Network) (11) ben chiariscono il contesto dell’utilizzo dei farmaci tirosin-kinasici e a bersaglio molecolare, sia nel contesto di malattia non resecabile che metastatica, sintomatica e asintomatica (tabella).
Proposta di trattamento secondo le linee guida NCCN (adattato da 8) | ||||
Malattia loco-regionale | La resezione chirurgica è la modalità di trattamento di scelta | |||
L’EBRT dovrebbe essere preso in considerazione solo nel caso di malattia non resecabile non candidabile a terapia sistemica a bersaglio molecolare oppure, meno comunemente, dopo resezione chirurgica | ||||
Considerare la terapia sistemica per malattia non resecabile sintomatica o in progressione secondo i criteri RECIST | Prima scelta | Vandetanib (livello di evidenza 1) | ||
Cabozantinib (livello di evidenza 1) | ||||
Selpercatinib (RET positivi) (livello di evidenza 1) | ||||
Pralsetinib (RET positivi) (livello di evidenza 2B) | ||||
Utili in determinate condizioni | Pembrolizumab (elevato carico mutazionale - TMB-H ≥ 10 mut/Mb o in caso di pazienti con tumori mutati in MSI-H o dMMR in progressione dopo trattamento pregresso in assenza di alternative soddisfacenti) | |||
Monitoraggio di malattia | ||||
Malattia recidivante o persistente, metastasi a distanza | Asintomatica | Monitoraggio di malattia | ||
Prendere in considerazione resezione (se possibile), ablazione (radio-frequenza, embolizzazione, altre terapie regionali) | ||||
Terapia sistemica se non resecabile o in progressione secondo i criteri RECIST | Prima scelta | Vandetanib (livello di evidenza 1) | ||
Cabozantinib (livello di evidenza 1) | ||||
Selpercatinib (RET positivi) (livello di evidenza 1); | ||||
Pralsetinib (RET positivi) (livello di evidenza 2B) | ||||
Utili in determinate condizioni | Pembrolizumab (TMB-H ≥ 10 mut/Mb o in caso di pazienti con tumori mutati in MSI-H o dMMR in progressione dopo trattamento pregresso in assenza di alternative soddisfacenti) | |||
Sintomatica o in progressione | Terapia sistemica o trial clinico | Prima scelta | Vandetanib (livello di evidenza 1) | |
Cabozantinib (livello di evidenza 1) | ||||
Selpercatinib (RET positivi) (livello di evidenza 1) | ||||
Pralsetinib (RET positivi) (livello di evidenza 2B) | ||||
Altre scelte raccomandate | Altre piccole molecole inibitorie delle chinasi | |||
Chemioterapia a base di dacarbazina | ||||
Utili in determinate condizioni | Pembrolizumab (TMB-H ≥ 10 mut/Mb o in caso di pazienti con tumori mutati in MSI-H o dMMR in progressione dopo trattamento pregresso in assenza di alternative soddisfacenti) | |||
EBRT per la palliazione di sintomi locali | ||||
Valutare bisfosfonati ev o denosumab per le metastasi ossee | ||||
Considerare terapie palliative chirurgiche, ablative (radio-frequenza, embolizzazione, altre terapie regionali) o altri trattamenti regionali | ||||
Ottimizzare le terapie di supporto |
Bibliografia
- Wells SA, Asa SL, Dralle Het al. Revised American Thyroid Association guidelines for the management of medullary thyroid carcinoma. Thyroid 2015, 25: 567–610.
- Hadoux J, Schlumberger M. Chemotherapy and tyrosine-kinase inhibitors for medullary thyroid cancer. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2017, 31: 335–47.
- Eisenhauer EA, Therasse P, Bogaerts J, et al. New response evaluation criteria in solid tumours: revised RECIST guideline (version 1.1). Eur J Cancer 2009, 45: 228–47.
- Kreissl MC, Bastholt L, Elisei R, et al. Efficacy and safety of vandetanib in progressive and symptomatic medullary thyroid cancer: post hoc analysis from the ZETA trial. J Clin Oncol 2020, 38: 2773–81.
- Schlumberger M, Elisei R, Müller S, et al. Overall survival analysis of EXAM, a phase III trial of cabozantinib in patients with radiographically progressive medullary thyroid carcinoma. Ann Oncol 2017, 28: 2813–9.
- Trimboli P, Castellana M, Virili C, et al. Efficacy of vandetanib in treating locally advanced or metastatic medullary thyroid carcinoma according to RECIST criteria: a systematic review and meta-analysis. Front Endocrinol (Lausanne) 2018, 9: 224.
- Hadoux J, Elisei R, Brose MS, et al. Phase 3 trial of selpercatinib in advanced RET -mutant medullary thyroid cancer. N Engl J Med 2023, 389: 1851–61.
- Haddad RI, Bischoff L, Ball D, et al. Thyroid Carcinoma, Version 2.2022, NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology. J Natl Compr Canc Netw 2022, 20: 925–51.
Stadiazione dei tumori tiroidei differenziati
Andrea Frasoldati1, Mario Cappagli2 & Virginia Cappagli3
1Endocrinologia, Arcispedale S Maria Nuova, Reggio Emilia
2Ex SSD Endocrinologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia
3Endocrinologia e malattie del metabolismo, Università di Pisa
(aggiornato al 17 marzo 2020)
Il carcinoma differenziato della tiroide (DTC) si caratterizza per un’ottima prognosi, con una probabilità di guarigione che può essere complessivamente stimata attorno al 90% dei casi. La maggior parte dei pazienti è infatti guarita dopo il trattamento iniziale (intervento chirurgico ± terapia radiometabolica con 131-I); tuttavia circa il 5-20% dei pazienti presenterà nel corso del follow-up metastasi/recidiva loco-regionale di malattia, mentre un gruppo più limitato (5-10%) svilupperà metastasi a distanza. Circa il 60-70% di questi ultimi casi e più in generale il 5% di tutti i tumori tiroidei diventerà refrattario al radioiodio, con un conseguente impatto prognostico negativo.
Disporre di sistemi di stratificazione del rischio è importante per stimare la prognosi di malattia e scegliere quindi i trattamenti più indicati, da un lato evitando un monitoraggio eccessivamente intensivo e prolungato, con conseguente dispendio di risorse, in pazienti a basso o bassissimo rischio, e dall’altro sorvegliando con strumenti appropriatamente sensibili e specifici i pazienti a rischio intermedio o elevato di sviluppare ripresa e/o progressione di malattia.
Per la stadiazione del tumore tiroideo sono stati proposti e utilizzati numerosi sistemi (TNM, AMES, MACIS, ecc), ma nessuno è superiore all’altro. Se tutti questi sistemi avevano il “difetto” di valutare la malattia tumorale tiroidea in modo statico, con l’introduzione nella pratica clinica delle linee guida ATA 2015 e la successiva revisione da parte delle società italiane è stato proposto un nuovo sistema di stadiazione di tipo dinamico della stratificazione del rischio. La dinamicità di questo sistema parte dal presupposto che la storia naturale del paziente e della sua malattia ci impone di formulare periodici aggiornamenti del suo inquadramento prognostico. In particolare, tali aggiornamenti avvengono in tre momenti principali:
- in fase post-chirurgica, in base ai dati clinico-anamnestici di partenza e al dato istopatologico;
- post-terapia ablativa con 131I (qualora eseguita), che integra i dati istopatologici con il risultato della scintigrafia post-dose e della tireoglobulina (Tg) misurata in condizioni di stimolazione;
- sulla base di quanto emerso dal follow-up iniziale e dalla risposta ai provvedimenti terapeutici (chirurgia e/o radioiodio).
STADIAZIONE DEL TUMORE TIROIDEO 1: FASE POST-CHIRURGICA
La stadiazione del tumore tiroideo nella fase post-chirurgica tiene conto di fattori prognostici correlati al paziente (es. età, sesso) e alla neoplasia (dimensioni, invasività, multi-focalità, metastasi). Dalle modalità di impiego (e non impiego) di questi fattori sono scaturiti nel corso degli scorsi decenni diversi sistemi di classificazione prognostica (1,2).
Il sistema maggiormente utilizzato è il sistema TNM (tumore-node-metastasis), elaborato dalla American Joint Committee on Cancer (AJCC), che permette di predire il rischio di morte malattia-correlato (2-4). Le principali novità introdotte nell’ultima versione del TNM, 8° edizione (tabella 1), rispetto alla versione precedente riguardano:
- l’aumento del cut-off di età da 45 a 55 anni;
- la minor rilevanza del significato prognostico negativo di alcune caratteristiche istologiche tumorali (es. metastasi linfonodali loco-regionali, minima estensione extra-tiroidea) a favore dell’estensione ai muscoli peri-tiroidei.
Tabella 1 Stadiazione TNM per i tumori tiroidei differenziati (papillare o follicolare) (modificato da AJCC Cancer Staging Manual, 8th Edition, 20) |
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T | ||
T1 | T1a | Tumore < 1 cm |
T1b | Tumore 1-2 cm, limitato alla tiroide | |
T2 | Tumore 2-4 cm, limitato alla tiroide | |
T3 | T3a | Tumore > 4 cm, limitato alla tiroide |
T3b | Tumore di qualsiasi dimensione, con estensione macroscopica ai muscoli peri-tiroidei | |
T4 | T4a | Tumore di qualsiasi dimensione, con invasione tessuti molli, laringe, trachea, esofago, nervo ricorrente |
T4b | Tumore di qualsiasi dimensione, con invasione fascia pre-vertebrale, carotide, vasi mediastinici | |
N | ||
Nx | Linfonodi loco-regionali non valutati | |
N0 | Nessuna evidenza di metastasi linfonodali | |
N1 | N1a | Presenza di metastasi linfonodali del VI o VII livello |
N1b | Presenza di metastasi linfonodali ai linfonodi laterali del collo e retro-faringei | |
M | ||
M0 | Assenza di metastasi a distanza | |
M1 | Presenza di metastasi a distanza |
I criteri per definire le classi di rischio sono identici per tutti i tipi e le varianti istologiche del DTC (tabella 2).
Tabella 2 Stadiazione TNM e gruppi prognostici per i tumori tiroidei differenziati (papillare o follicolare) (modificato da: AJCC Cancer Staging Manual, 8th Edition, 2016) |
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Stadio | T | N | M | Sopravvivenza a 10 anni |
< 55 anni | ||||
I | Qualsiasi | Qualsiasi | M0 | 98-100% |
II | Qualsiasi | Qualsiasi | M1 | 85-95% |
≥ 55 anni | ||||
I | T1 | N0/Nx | M0 | 98-100% |
T2 | N0/Nx | M0 | ||
II | T1 | N1 | M0 | 85-95% |
T2 | N1 | M0 | ||
T3a/b | Qualsiasi N | M0 | ||
III | T4a | Qualsiasi N | M0 | 60-70% |
IVa | T4b | Qualsiasi N | M0 | < 50% |
IVb | Qualsiasi T | Qualsiasi N | M1 |
Il sistema MACIS (tabella 3) (6) considera 5 variabili: metastasi a distanza (Metastases), età (Age), radicalità chirurgica (Complete surgical treatment), invasività locale (Invasiveness) e dimensioni della neoplasia primitiva (Size). Predice il rischio di mortalità patologia-correlata. In analogia al sistema UICC/AJCC, individua 4 classi di rischio, ma non tiene conto della presenza o meno di metastasi linfonodali.
Tabella 3 Sistema MACIS: attribuzione punteggio |
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Metastasi | Assenti | 0 |
Presenti | 3 | |
Età | < 40 | 3.1 |
≥ 40 | 0.08 x età | |
Radicalità | Completa | 0 |
Incompleta | 1 | |
Invasività | Assente | 0 |
Presente | 1 | |
Dimensioni tumore | 0.3 x dimensioni tumore in cm | |
Classificazione prognostica MACIS | ||
Punteggio | Stadio | Mortalità |
< 6 | 1 | 1% |
6-6.99 | 2 | 11% |
7-7.99 | 3 | 44% |
> 8 | 4 | 76% |
Il sistema EORTC, pubblicato nel 1979, fu il primo a raggruppare sotto un unico sistema la stadiazione di tutti i tipi istologici di carcinoma tiroideo, compresi il carcinoma midollare e anaplastico (tabella 4) (6). Identifica 5 gruppi di rischio, utilizzando come parametri: età, genere, tipo istologico, estensione del tumore primitivo, numero dei siti metastatici. Rispetto agli altri sistemi, assegna al sesso maschile un valore prognostico peggiorativo, tiene conto del tipo e sottotipo istologico, attribuendo un rischio più elevato ai follicolari con aspetti di scarsa differenziazione e considera la molteplicità dei siti metastatici.
Tabella 4 Classificazione prognostica EORTC |
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Somma | |
Calcolo punteggio | Età alla diagnosi (anni) Sesso maschile: + 12 Tumore midollare: + 10 Tumore scarsamente differenziato: +10 Tumore anaplastico: + 45 Estensione extra-capsulare: +10 Almeno un focolaio di metastasi a distanza: + 15 Siti metastatici plurimi: + 15 (in aggiunta al precedente) |
Gruppi di rischio in base al punteggio EORTC gruppo 1: < 50 gruppo 2: 50-65 gruppo 3: 66-83 gruppo 4: 84-108 gruppo 5: ≥ 109 |
Il punteggio AMES (tabella 5) (7), introdotto alla fine degli anni ’80, è complessivamente simile al MACIS, pur essendo stato costruito su una casistica comprensiva di PTC e FTC. Propone infatti come fattori di rischio età, metastasi a distanza, estensione extra-tiroidea e dimensioni del tumore primitivo. Tuttavia, viene suggerito un cut-off di età differenziato tra maschi e femmine. Inoltre, a differenza del MACIS, il diametro della neoplasia non costituisce una variabile continua, ma viene proposto un cut-off dimensionale critico di 5 cm. Inoltre, a differenza di quanto avviene nel sistema AJCC, i pazienti con metastasi a distanza vengono tutti considerati ad alto rischio, indipendentemente dall'età.
Tabella 5 Classificazione prognostica AMES |
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Basso rischio | Tutti i pazienti più giovani (maschi ≤ 40 anni, donne ≤ 50 anni) se M0 Pazienti di età superiore solo se:
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Rischio elevato |
Tutti i pazienti M1
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Negli anni ’90 ha goduto di una certa fortuna, in virtù della semplicità e immediatezza, il sistema cosiddetto Clinical Class (tabella 6) (8) a 4 classi di rischio, messo a punto dal gruppo di Chicago e quindi anche denominato dalla città nordamericana. Si tratta di un sistema che non tiene conto di parametri che hanno un valore prognostico unanimemente riconosciuto, quali età e dimensioni della neoplasia primitiva e non considera sesso e tipo istologico.
Tabella 6 Clinical Class |
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Classe I | Tumore confinato alla tiroide |
Classe II | Metastasi cervicali |
Classe III | Tumore ad estensione extra-tiroidea o non completamente asportato |
Classe IV | Metastasi a distanza |
Abbastanza simile al precedente è il sistema OSU (Ohio State University), proposto dal gruppo di Mazzaferri (9), che identifica 4 classi di rischio (tabella 7). Anch’esso non tiene conto dell’età, ma valuta le dimensioni del tumore primitivo e l’eventuale multi-focalità.
Tabella 7 Sistema di classificazione prognostica OSU |
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Classe | Dimensioni T (cm) | N | Multi-focalità (> 3 foci) | Invasività locale | M | Mortalità (%) |
I | < 1.5 | N0 | No | No | M0 | 0 |
II | 1.5-4.49 | N1 | Sì | No | M0 | 6 |
III | ≥ 4.5 | N0/N1 | Sì/No | Sì | M0 | 14 |
IV | Qualsiasi | N0/N1 | Sì/No | Sì/No | M1 | 65 |
Interessante per alcuni suoi aspetti di originalità e per la sua aderenza alla clinica è il sistema a 3 livelli di rischio formulato dal gruppo del Memorial Sloan Kettering di New York, e quindi definito con l’acronimo MSK, su una casistica di oltre mille pazienti con PTC e FTC (10) (tabella 8). Tale sistema non tiene conto del superamento capsulare, né della presenza di linfonodi metastatici, ma dell’età (utilizzando il cut-off dei 45 anni), del diametro tumorale (con il cut-off di 4 cm), della presenza di metastasi a distanza, e del tipo e grading istologico.
Tabella 8 Sistema di stratificazione prognostica MSK |
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Classe di rischio | Età (anni) | Metastasi | Dimensioni T (cm) | Istologia e grading |
Bassa | < 45 | M0 | < 4 | PTC |
Intermedia | < 45 | M1 | > 4 | FTC e/o alto grado |
> 45 | M0 | < 4 | PTC | |
Elevata | > 45 | M1 | > 4 | FTC e/o alto grado |
Uno dei limiti principali comune ai sistemi di classificazione prognostica sopracitati è quello di essere stati costruiti per valutare la mortalità specifica per la malattia. Proprio per questo, non costituiscono uno strumento sufficientemente accurato per valutare invece il rischio di recidiva loco-regionale, un problema di più frequente riscontro nella pratica clinica. Inoltre, molti sistemi di classificazione non attribuiscono a PTC e FTC un diverso profilo di rischio, né considerano la maggiore aggressività tipica di alcune varianti istologiche del PTC (es. cellule alte, cellule colonnari, sclerosante diffusa), o la minore pericolosità associata al FTC minimamente invasivo. A tale riguardo, è opportuno sottolineare che il diverso rischio prognostico che differenzia PTC e FTC secondo alcuni autori non è da ricondursi all’istologia per sè, ma piuttosto al fatto i pazienti con FTC, per un ritardo di diagnosi, presentano mediamente un’età più avanzata e una neoplasia più estesa, spesso già caratterizzata da metastasi a distanza (11). I lavori di confronto tra i diversi sistemi di classificazione, in particolare quelli pubblicati dal gruppo di Toronto su una casistica originale di circa 300 casi (12) e quelli, più recenti, del gruppo di Wurzburg su oltre 1200 pazienti (13), sono concordi nell’indicare che il sistema AJCC presenta un'adeguata accuratezza prognostica unita ad una maggior semplicità di utilizzo e maggior diffusione nella pratica clinica. Non è peraltro da escludersi che nel prossimo futuro possa affermarsi l’impiego di sistemi di classificazione prognostica differenziati nei pazienti con PTC o FTC: secondo i risultati ottenuti da diverse casistiche, il sistema MACIS sarebbe il più accurato per l’inquadramento prognostico dei pazienti con FTC rispetto agli altri sistemi (14-16).
STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO 2: FASE POST-TRATTAMENTO ABLATIVO
Un modello di stratificazione del rischio appartenente a una fase successiva a quella immediatamente post-chirurgica è quello proposto dalle nuove linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) (17), che rivedono il modello precedentemente descritto delle linee guida del 2009, e riviste anche dalla consensus delle società italiane (18). Tale modello prevede la suddivisione dei pazienti in tre classi di rischio (basso/intermedio/elevato) sulla base dell’integrazione di dati di tipo anatomo-patologico, molecolare e clinico, prendendo in considerazione alcune “nuove” variabili, come il grado di invasione vascolare tumorale, il numero di linfonodi coinvolti e lo stato mutazionale del tumore (tabella 9).
Tabella 9 Rischio iniziale di recidiva secondo American Thyroid Association 2015 |
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Rischio basso | PTC con le seguenti caratteristiche:
PTC intra-tiroideo, variante follicolare capsulata. |
Rischio intermedio | Tumore con invasione microscopica dei tessuti lassi peri-tiroidei. Tumore con istologia aggressiva. PTC con invasione vascolare. N1 clinico o riscontro istologico N1 con > 5 metastasi (< 3 cm di diametro max). MicroPTC multi-focale con estensione extra-tiroidea (inclusi i casi BRAF V600E +). Presenza di iodiocaptazione nel collo alla scintigrafia post-dose di 131-I. |
Rischio alto | Tumore con invasione macroscopica dei tessuti lassi peri-tiroidei. Resezione tumorale incompleta. Presenza di metastasi a distanza. Tg post-operatoria suggestiva di metastasi a distanza. Riscontro istologico N1 con metastasi > 3 cm di diametro max. FTC con invasione vascolare massiva > 4 foci. |
Tale modello è in grado di predire il rischio di recidiva/persistenza di malattia, che varia dal < 1% nel basso rischio a > 50% nell’alto rischio (17). Sulla base quindi delle classi di rischio, dovrebbe essere presa la decisione se sottoporre il paziente a terapia ablativa con 131-I (17-18):
- basso rischio: non è routinariamente raccomandata;
- rischio basso-intermedio o intermedio: dovrebbe essere presa in considerazione, soprattutto nei casi con età avanzata, varianti istologiche aggressive, invasione vascolare, ecc;
- alto rischio: è raccomandata routinariamente.
STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO 3: RISPOSTA INIZIALE AL TRATTAMENTO CON RADIOIODIO
Il nuovo concetto introdotto dalle linee guida ATA 2015 è quello per cui la stratificazione iniziale del rischio di recidiva/persistenza di malattia non è un concetto statico, ma dinamico e deve pertanto essere aggiornata durante il follow-up dei pazienti, alla luce dei trattamenti effettuati e della risposta ottenuta. La risposta al trattamento iniziale si basa sulla valutazione dei seguenti parametri a distanza di 6-12 mesi dalla terapia con radioiodio:
- Tg circolante in condizioni basali o dopo stimolazione;
- ecografia cervicale;
- eventuali indagini strumentali aggiuntive (TC o 18F-FDG TC-PET) in casi selezionati.
L’insieme di questi dati permette una nuova suddivisione dei pazienti in quattro diverse categorie (17) (tabella 10). Ad ogni tipo di risposta corrisponde una riclassificazione del rischio di recidiva (17). Tale sistema è già stato testato nella pratica clinica, che ne ha confermato la validità nel predire il rischio di recidiva di malattia (19).
Tabella 10 Risposta al trattamento iniziale |
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Risposta | Tg sierica/AbTg | Ecografia | Altro imaging (TC/WBS/PET) | Rischio recidiva |
Eccellente (tutti i criteri indicati) | < 0.2 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4). < 1 ng/mL (dopo rhTSH). |
Negativa | Negativo | 1-4% |
Biochimica incompleta (uno qualsiasi dei criteri indicati) | > 1 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4). > 10 ng/mL (dopo rhTSH) Incremento del titolo di AbTg. |
Negativa | Negativo | 20-30% |
Strutturale incompleta (uno qualsiasi dei criteri indicati) | Qualsiasi valore di Tg o AbTg. | Positiva per persistenza/recidiva di malattia loco-regionale | Positiva per persistenza/ comparsa di malattia a distanza | 50-85% |
Indeterminata | Tg 0.2-1 ng/mL (in terapia soppressiva con L-T4). Tg 1-10 ng/mL (dopo rhTSH). Titolo anticorpale AbTg stabile o in riduzione. |
Presenza di immagini aspecifiche | Presenza di immagini aspecifiche | 15-20% |
La determinazione della tireoglobulina sierica costituisce un parametro chiave dell’inquadramento prognostico, ma va tenuto di contro che i valori di Tg possono essere influenzati da diversi parametri: la quantità di tessuto residuo dopo l’intervento e/o la terapia ablativa, il livello di soppressione dei valori di TSH, il dosaggio utilizzato per la determinazione e il tempo intercorso tra l’intervento chirurgico/terapia ablativa e la misurazione analitica (17).
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Classificazione 2022 dei tumori tiroidei secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità
Francesca Perticone
Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Ospedale San Raffaele, Milano
(aggiornato ad agosto 2024)
Nel 2022 è stata pubblicata dall’OMS la quinta classificazione dei tumori endocrini e neuroendocrini, all’interno della quale la sezione sui tumori tiroidei rappresenta il capitolo più ampio (1). In questa nuova edizione sono stati apportati cambiamenti alla nomenclatura utilizzata per definire diverse proliferazioni tiroidee, con lo scopo di rispecchiare maggiormente la biologia, l’istologia, la patogenesi e il profilo molecolare dei tumori della tiroide. Tali caratteristiche sono, infatti, associate a specifici comportamenti clinici, in termini di diffusione loco-regionale e a distanza, risposta alla terapia radio-metabolica, rischio di recidiva e prognosi. Particolare attenzione è stata data inoltre ad alcuni aspetti istologici e molecolari, che consentono di definire il grado e l’attività proliferativa del tumore, ai fini di agevolare la stratificazione clinica del rischio e la valutazione prognostica.
LESIONI BENIGNE (tabella 1)
La quarta edizione della classificazione OMS delle neoplasie endocrine prevedeva un’unica lesione tiroidea benigna, l’adenoma follicolare. Nella corrente edizione tale lesione è stata meglio caratterizzata e riclassificata in entità distinte, sulla base di specifiche caratteristiche istologiche e del profilo molecolare; è stata inoltre introdotta l’espressione “malattia follicolare nodulare della tiroide” per indicare quei quadri caratterizzati da plurimi noduli, tradizionalmente definiti come “gozzo ” (1).
Tabella 1 Lesioni tiroidee benigne |
||
Istologia | Profilo molecolare | |
Malattia follicolare nodulare della tiroide | Lesioni iperplastiche e adenomatose multiple | Frequentemente ma non sempre clonali |
Adenoma follicolare | Neoplasia follicolare incapsulata non invasiva | Frequenti mutazioni di RAS |
Adenoma follicolare con architettura papillare | Adenoma follicolare con crescita papillare centripeta intra-follicolare (non atipie nucleari del PTC) | Associato a mutazioni di TSH-R, GNAS e/o EZH1 (adenomi iperfunzionanti) e DICER1 (non iperfunzionanti) |
Adenoma oncocitico | Adenoma follicolare con > 75% di oncociti | Alterazioni genoma mitocondriale/gene GRIM19, variazioni numero di copie |
Il termine “gozzo multi-nodulare” è ritenuto inaccurato, dal momento che l’architettura dei noduli tiroidei in questi quadri è altamente variabile e include sia formazioni adenomatose che iperplastiche. Si suggerisce pertanto di sostituirlo con l’espressione “malattia follicolare nodulare della tiroide”, a indicare la natura follicolare di proliferazioni che possono presentare o meno crescita clonale, sviluppandosi quindi come adenomi o lesioni iperplastiche. La clonalità di alcune di tali lesioni spiega come possano talvolta presentarsi foci di evoluzione maligna (2).
Per “adenoma follicolare” si intende invece una neoplasia a crescita follicolare, incapsulata e non invasiva.
Secondo la nuova classificazione OMS, un’entità distinta è rappresentata dall’”adenoma follicolare con architettura papillare”, una neoplasia benigna a crescita follicolare, incapsulata e non invasiva, caratterizzata da una crescita papillare centripeta intra-follicolare, più organizzata rispetto al carcinoma papillare della tiroide (PTC) e con cellule prive delle alterazioni tipiche del PTC. Il profilo molecolare di questa neoplasia è differente rispetto all’adenoma follicolare. Mentre nell’adenoma follicolare sono infatti frequenti le mutazioni del gene RAS, gli adenomi follicolari con architettura papillare presentano spesso mutazioni attivanti il TSH-R (fino al 70% dei casi), mutazioni del gene GNAS e/o di EZH1 (3). Tali mutazioni si traducono in attivazione dell’adenil-ciclasi con incremento dell’AMP ciclico intra-cellulare, con conseguente stimolazione della funzione e della proliferazione cellulare. Si tratta, infatti, spesso di adenomi autonomi, determinanti un’iperfunzione tiroidea, caratteristici della sindrome di McCune-Albright (dovuta a mutazioni germinali di GNAS) e del Carney complex (caratterizzato da mutazioni inattivanti di PRKAR1A, che causano anch’esse attivazione costitutiva della via cAMP-protein-chinasi A) (4). Gli adenomi follicolari ad architettura papillare non iperfunzionanti possono invece presentare mutazioni del gene DICER1 e sono stati riportati anche in pazienti con sindrome DICER1 (5). L’associazione con l’iperfunzione tiroidea e con alcune sindromi genetiche rende quindi importante la distinzione clinica di tale entità.
L’”adenoma oncocitico” viene riconosciuto dalla nuova classificazione come lesione distinta, per indentificare quelle lesioni follicolari benigne con percentuale di cellule oncocitarie ≥ 75%. Tali tumori presentano, infatti, un profilo molecolare specifico, caratterizzato da alterazioni del genoma mitocondriale, mutazioni del gene GRIM19 e/o variazioni del numero di copie (presenti in più di un terzo dei casi) (1).
NEOPLASIE A BASSO RISCHIO (tabella 2)
Le neoplasie incluse in questa categoria erano già contemplate e definite nella quarta classificazione OMS del 2017, anche se descritte in capitoli diversi. L’attuale edizione ha ampliato lo spettro delle lesioni a basso rischio, includendo in tale categoria, oltre al NIFTP, anche i tumori a incerto potenziale di malignità e il tumore ialinizzante trabecolare (1). Si tratta di neoplasie con caratteristiche morfologiche e comportamento clinico intermedio tra i tumori benigni e maligni. Pur possedendo, infatti, la potenzialità di sviluppare metastasi linfonodali e a distanza, l’incidenza di tali eventi è estremamente bassa (6).
Tabella 2 Neoplasie tiroidee a basso rischio |
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Istologia | Profilo molecolare | |
Neoplasia tiroidea follicolare non invasiva con aspetti nucleari simil-papillari (NIFTP) | Neoplasia follicolare con caratteristiche nucleari di PTC, non invasione capsulare/vascolare, non sottotipi aggressivi, non corpi psammomatosi, papille < 1% |
Frequenti mutazioni di RAS (per il NIFTP la mutazione BRAF -V600E esclude la diagnosi) |
Tumore tiroideo follicolare a incerto potenziale di malignità (FT-UMP) | Neoplasia follicolare incapsulata con dubbia invasione capsulare/ vascolare (WD-UMP ha caratteristiche nucleari di PTC) | |
Tumore tiroideo ben differenziato a incerto potenziale di malignità (WD-UMP) | ||
Tumore tiroideo ialinizzante trabecolare (HTT) | Architettura trabecolare, caratteristiche nucleari di PTC | Riarrangiamenti gene GLIS |
Il termine NIFTP è stato proposto nel 2016 e i criteri diagnostici sono rimasti invariati rispetto all’edizione del 2017, ma è stato introdotto come criterio di esclusione la presenza della mutazione V600E del gene BRAF. Nell’attuale edizione inoltre possono essere classificati come NIFTP anche tumori del diametro ≤ 1 centimetro e neoplasie con > 75% di cellule oncocitarie (NIFTP oncocitico) (7).
I “tumori a incerto potenziale di malignità (UMP)” sono definiti come neoplasie ben delimitate, per le quali l’invasione capsulare e/o vascolare rimangono dubbie dopo attenta e minuziosa valutazione da parte del patologo. È stata confermata la suddivisione di tali tumori in follicolare (FT-UMP) e ben differenziato (WD-UMP), caratterizzati, rispettivamente, da architettura follicolare e da caratteristiche nucleari cellulari, più o meno pronunciate, simili a quelle del PTC. Nei centri in cui questi termini vengono utilizzati nell’abituale pratica clinica, l’incidenza di tali neoplasie è compresa tra lo 0.5 e il 3% delle tiroidectomie (8). Sia i NIFTP che gli UMP presentano elevata prevalenza di mutazioni del gene RAS (1).
Il “tumore ialinizzante trabecolare (HTT)” è caratterizzato da alterazioni nucleari simili al PTC e da architettura trabecolare, con accumulo di materiale ialino intra-trabecolare come conseguenza della secrezione di una proteina attiva sulla membrana basale. L’HTT presenta specifiche alterazioni molecolari, non identificate in altri tumori tiroidei: non sono comuni, infatti, le mutazioni di RAS e BRAF, mentre è tipica la presenza di riarrangiamenti del gene GLIS (in particolare PAX8::GLIS3 e con minor frequenza PAX8::GLIS1), che portano a incremento nell’espressione di geni correlati alla matrice extra-cellulare (9).
NEOPLASIE MALIGNE (tabella 3)
La nuova classificazione OMS ha apportato importanti modifiche al capitolo delle neoplasie maligne, ai fini di correlare maggiormente la definizione istopatologica dei carcinomi al loro comportamento biologico e clinico (1). Rispetto alla precedente edizione, i cambiamenti principali riguardano:
- l’introduzione di due nuove e distinte entità: la variante follicolare invasiva incapsulata del PTC (IEFV-PTC) e il carcinoma tiroideo differenziato ad alto grado (DHGTC);
- la suddivisione del carcinoma oncocitico (sconsigliato l’utilizzo dell’espressione “a cellule di Hürthle) in tre sottotipi (minimamente invasivo, angio-invasivo e ampiamente invasivo), parimenti a quanto già previsto per il carcinoma follicolare;
- l’abolizione del carcinoma squamoso come entità a sé stante, da considerare invece come sottotipo o particolare aspetto morfologico del carcinoma anaplastico;
- la sostituzione del termine “variante” con “sottotipo”, per definire i diversi possibili aspetti architetturali del PTC;
- l’introduzione di un sistema per la valutazione del grading del carcinoma midollare.
Tabella 3 Neoplasie maligne della tiroide |
|||
Peculiarità | Profilo molecolare | Caratteristiche cliniche | |
Carcinoma follicolare (FTC) Carcinoma oncocitico (OCA) Variante follicolare incapsulata invasiva del PTC (IEFV-PTC) |
Suddivisione in:
|
Frequenti mutazioni del gene RAS |
|
Carcinoma papillare (PTC) |
Sottotipi:
|
Frequenti mutazioni di BRAF e di altri geni della via MAP-chinasi |
|
Carcinoma differenziato ad alto grado (DHGTC) |
Modalità di crescita simile ai carcinomi differenziati Necrosi e/o conta mitotica ≥ 5/2 mm² |
Più frequenti mutazioni di BRAF |
|
Carcinoma scarsamente differenziato (PDTC) |
Modalità di crescita solida, trabecolare e/o insulare Necrosi e/o conta mitotica ≥ 3/2 mm² |
Più frequenti mutazioni di RAS | |
Carcinoma anaplastico (ATC)
|
Indifferenziato, comprende anche il carcinoma squamoso | BRAF possibile target genetico | Molto aggressivo, rapida prognosi infausta |
Per quanto riguarda il carcinoma follicolare (FTC) rimane la suddivisione, già prevista dalla quarta edizione, in carcinoma minimamente invasivo (con sola invasione capsulare), incapsulato angio-invasivo (definizione ancora controversa in merito al numero di vasi coinvolti) e ampiamente invasivo. Tali tumori sono caratterizzati da una sopravvivenza libera da malattia a 40 mesi molto variabile, rispettivamente del 97% per l’FTC minimamente invasivo, dell’81% per quello angio-invasivo e del 45% per l’FTC ampiamente invasivo (1). I tumori minimamente invasivi sono considerati a basso rischio di recidiva e possono essere trattati con la sola resezione locale, mentre gli FTC con invasione vascolare e/o con ampia invasione nel parenchima circostante richiedono generalmente un approccio terapeutico più aggressivo (es tiroidectomia di completamento, terapia radiometabolica adiuvante) (10). Si tratta, come è noto, di tumori che presentano frequenti mutazioni di RAS, tendono a crescere in modo espansivo, con alterazioni nucleari lievi e tendenza alla disseminazione per via ematogena.
Il carcinoma papillare (PTC) è un tumore a crescita tendenzialmente infiltrativa (occasionalmente anche espansiva e molto raramente confinata in una cisti), con alterazioni nucleari caratteristiche e particolarmente pronunciate, che tende a diffondersi per via linfatica. Le mutazioni più frequenti riguardano geni che coinvolgono la via delle MAP-chinasi, con netta prevalenza per la mutazione V600E di BRAF. Nel 10% dei PTC vi è una mutazione di TERT come secondo evento patogenetico, associato a comportamento clinico più aggressivo. I riarrangiamenti di RET sono un’altra possibile alterazione genetica alla base del PTC, specialmente nei tumori indotti da radiazioni, mentre alterazioni meno comuni sono le fusioni dei geni NTRK. Nella corrente classificazione il PTC è suddiviso in diverse sotto-categorie definite “sottotipi”. Il termine “variante” viene sconsigliato, per maggiore uniformità con le classificazioni di altri tumori e per evitare una possibile confusione con il termine di diagnostica molecolare “variante genetica”:
- il sottotipo classico è caratterizzato dalla crescita in papille;
- il sottotipo follicolare infiltrativo non ha crescita in papille, ma follicolare infiltrativa, con caratteristiche nucleari tipiche del PTC e comportamento clinico simile;
- i sottotipi aggressivi sono:
- il PTC a cellule alte (che nel 90% circa dei casi presenta la mutazione BRAF-V600E);
- il PTC a cellule colonnari;
- il PTC hobnail;
- il PTC sclerosante diffuso, caratterizzato dal coinvolgimento diffuso, uni- o bilaterale, del parenchima tiroideo con infiltrazione linfatica diffusa, densa sclerosi e numerosi corpi psammomatosi (che sono generalmente visibili in ecografia come foci iperecogeni distribuiti diffusamente all’interno del parenchima), spesso in associazione a un quadro di tiroidite cronica;
- il PTC solido/trabecolare può mimare il carcinoma scarsamente differenziato, ma, a differenza di quest’ultimo, non presenta aree di necrosi né alto indice mitotico;
- sottotipi di PTC a impatto prognostico non chiarito:
- PTC classico oncocitico;
- PTC Warthin-like;
- PTC a cellule chiare (raro).
La variante follicolare incapsulata invasiva del PTC (IEFVT-PTC) non è più considerata un sottotipo di PTC, ma un’entità diagnostica distinta, che presenta le caratteristiche nucleari tipiche del PTC, crescita follicolare espansiva e profilo molecolare caratterizzato da mutazioni del gene RAS. La presenza di chiara invasione capsulare lo differenzia dal NIFTP e dal WD-UMP. Si tratta di un tumore che non può chiaramente essere classificato né tra i carcinomi follicolari (per la presenza di alterazioni nucleari caratteristiche del PTC), né tra i carcinomi papillari (per l’associazione con le mutazioni di RAS, la crescita espansiva e il comportamento biologico con tendenza all’invasività locale e alle metastasi per via ematogena) (2). Visto il comportamento analogo agli altri tumori RAS-mutati, anche l’IEFVT-PTC è suddiviso in minimamente invasivo, angio-invasivo e ampiamente invasivo (1).
Il termine carcinoma oncocitico (OCA) deve essere utilizzato per i tumori maligni follicolari composti da almeno il 75% di cellule oncocitarie. L’espressione “carcinoma a cellule di Hürthle” è sconsigliata, dal momento che Hürthle descrisse in realtà le cellule C parafollicolari della tiroide e non le cellule oncocitarie. Non vi sono differenze significative nella classificazione istologica degli OCA rispetto alla quarta edizione OMS, se non la suddivisione (come per l’FTC e l’IEFVT-PTC) in carcinoma minimamente invasivo, angio-invasivo e ampiamente invasivo. I carcinomi oncocitici rappresentano circa il 5% delle neoplasie tiroidee, sono spesso associati a mutazioni del gene RAS e hanno comportamento simile ai carcinomi follicolari. È stata tuttavia segnalata una minore responsività di tali neoplasie alla terapia radiometabolica, fattore che potrebbe rendere più complesso il trattamento di eventuali recidive (11).
L’attuale classificazione OMS si è proposta inoltre di caratterizzare meglio il sottogruppo di tumori tiroidei con prognosi intermedia tra i tumori ben differenziati (a decorso tendenzialmente favorevole) e il carcinoma anaplastico (a rapida evoluzione infausta). Si riconoscono, infatti, nella nuova edizione due tipi di carcinoma di derivazione follicolare, non anaplastico, ad alto grado:
- il carcinoma tiroideo scarsamente differenziato (PDTC) è un carcinoma invasivo che presenta scarsa differenziazione cellulare all’esame istologico. I criteri diagnostici sono la crescita solida, trabecolare e/o insulare e la presenza di necrosi tumorale (segno caratteristico di questi tumori). Se quest’ultima è assente, per differenziare questi tumori dal sottotipo solido/trabecolare del PTC è necessario che la conta mitotica superi almeno le 3 mitosi/2 mm² (si preferisce l’utilizzo dei mm² rispetto ai “campi”, trattandosi di una misura standard con maggiore riproducibilità);
- il carcinoma differenziato ad alto grado (DHGTC), categoria introdotta nell’attuale edizione, si riferisce a quei tumori che conservano ancora chiare caratteristiche di differenziazione cellulare ma elevato indice proliferativo, in termini di necrosi tumorale e di attività mitotica. Presentano modalità di crescita simile a quella dei tumori ben differenziati, per la maggior parte di tipo papillare. Per la diagnosi è necessaria la presenza di necrosi tumorale e/o una conta mitotica ≥ 5 mitosi/2 mm² (2).
Le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche dei DHGTC sono simili a quelle dei PDTC: tumori aggressivi, nel 50% dei casi iodio-refrattari, che si manifestano come masse in rapida crescita, con dimensioni generalmente > 4 cm e caratteristiche di alto rischio di recidiva e mortalità (es estesa invasione vascolare, infiltrazione dei tessuti muscolari, invasione peri-neurale, metastasi linfonodali) (12). Rappresentano dall’1 al 6.7% dei carcinomi tiroidei, con maggiore incidenza in Europa e in Sud America. La sopravvivenza a 10 anni specifica per malattia è del 60% per i PDTC e del 56% per i DHGTC (13).
Entrambi i tumori presentano frequenti mutazioni di BRAF, RAS o fusioni dei geni RET o NTRK3; le mutazioni di RAS sono più frequenti nei PDTC e quelle di BRAF maggiormente associate ai DHGTC (2). Si possono inoltre riscontrare seconde mutazioni associate a comportamento più aggressivo, come quelle di TERT, di PIK3CA e di TP53.
Per quanto riguarda il carcinoma anaplastico (ATC), nella corrente edizione viene classificato come tale anche il carcinoma a cellule squamose, che non rappresenta più quindi un’entità separata. Recenti studi multicentrici hanno, infatti, dimostrato che l’atteggiamento e la prognosi di questi tumori sono sovrapponibili. Viene inoltre sottolineata l’importanza per questi tumori di una rapida ricerca della mutazione V600E di BRAF, dal momento che può rappresentare un potenziale obiettivo terapeutico di farmaci inibitori di BRAF e MEK (14).
Una delle principali novità della quinta classificazione OMS dei tumori tiroidei è l’introduzione di un sistema per la valutazione del grading del carcinoma midollare (MTC). Tale sistema è stato validato da due studi indipendenti (e da un successivo studio di coorte) ed è risultato un parametro predittivo di recidiva e di sopravvivenza, indipendentemente da stadio di malattia, dimensioni del tumore, caratteristiche epidemiologiche, livelli di CEA e calcitonina e dalla presenza di mutazione del gene RET (15). Per definire “ad alto grado” un MTC, è necessaria la presenza di almeno uno dei seguenti parametri: necrosi tumorale, conta mitotica ≥ 5 mitosi/2 mm² e/o un indice proliferativo Ki67 ≥ 5%. Negli studi di validazione circa un quarto degli MTC sono risultati ad alto grado.
La quinta classificazione OMS dei tumori tiroidei ha inoltre suddiviso i restanti tumori tiroidei, estremamente rari, in quattro categorie:
- carcinomi intra-tiroidei delle ghiandole salivari (carcinoma muco-epidermoide e carcinoma secretore), con caratteristiche istologiche simili ai tumori delle ghiandole salivari (rispettivamente 48 e 12 casi descritti in letteratura);
- carcinomi tiroidei a incerta istogenesi:
- carcinoma muco-epidermoide sclerosante con eosinofilia (meno di 60 casi descritti, assenza di positività per marcatori espressi dalle cellule follicolari);
- carcinoma tiroideo cribriforme morulare (un tempo classificato come variante del PTC, viene classificato invece come entità distinta per il peculiare profilo molecolare caratterizzato dall’assenza di mutazioni di BRAF e altri geni della via delle MAP-chinasi, con tipiche alterazioni di geni della via Wnt/ß-catenina, come APC; può essere associato con la poliposi adenomatosa familiare);
- tumori timici intra-tiroidei (timoma, tumore epiteliale fusato con elementi simil-timici, carcinoma timico), che si ritengono di provenienza da cellule timiche ectopiche o da residui sulla linea timica di differenziazione embrionale;
- neoplasie tiroidee embrionali (tireoblastoma).
TUMORI FOLLICOLARI CON CARATTERISTICHE NUCLEARI DEL PTC (tabella 4)
Da quanto finora esposto, emerge come sia possibile riconoscere uno spettro di neoplasie tiroidee a crescita follicolare, con caratteristiche dei nuclei cellulari tipiche del PTC (ingrandimento del nucleo, contorni irregolari, distribuzione periferica della cromatina, nucleoplasma chiaro, presenza di pseudo-inclusi citoplasmatici,…), che comprendono forme indolenti (NIFTP, WD-UMP) e forme maligne quali l’IEFV-PTC.
Tabella 4 Neoplasie follicolari della tiroide con caratteristiche nucleari del PTC |
|||
NIFTP | WD-UMP | IEVF-PTC | |
Invasione capsulare/ vascolare | Assente | Dubbia | Presente |
Metastasi linfonodali | No | No | Rare |
Metastasi a distanza | No | Rare | Frequenti nell’IEVF-PTC ampiamente invasivo |
Approccio terapeutico | Lobectomia e follow-up | Angio-invasivo e ampiamente invasivo richiedono generalmente tiroidectomia + RAI | |
Mutazione BRAF-V600E | Assente | ||
Mutazioni RAS | Frequenti |
Per la diagnosi differenziale è necessaria una minuziosa e accurata valutazione della capsula tumorale, dal momento che l’invasione della stessa identifica le forme maligne, che richiedono approccio terapeutico e follow-up più aggressivi. Sono lesioni capsulate e ben delimitate, associate a mutazioni del gene RAS, che tendono pertanto a crescere in modo espansivo e non presentano tendenza all’invasione linfatica. Le forme maligne (IEVF-PTC) sono angio-invasive e danno metastasi a distanza per via ematogena.
La diagnosi differenziale pre-operatoria (sia ecografica che citologica) di tali neoplasie è molto difficile, dal momento che le caratteristiche morfologiche e cellulari sono sovrapponibili, e le mutazioni del gene RAS si possono riscontrare anche nelle forme benigne, rendendo pertanto spesso necessario l’intervento chirurgico per la valutazione della capsula tumorale.
Per quanto riguarda invece la diagnosi differenziale con altre neoplasie, il NIFTP si distingue dall’adenoma follicolare per le anomalie citologiche, mentre l’IEVF-PTC si distingue dal PTC per la crescita follicolare espansiva. Il sottotipo follicolare infiltrativo del PTC ha invece un comportamento biologico e un profilo molecolare identici al PTC (con crescita infiltrativa, tendenza alle metastasi linfonodali e frequente associazione con le mutazioni di BRAF); si differenzia da quest’ultimo solo per l’assenza di papille e viene pertanto considerato una variante del PTC e non un’entità clinica distinta.
CONCLUSIONI
La quinta edizione della classificazione OMS delle neoplasie tiroidee si differenzia dalle precedente per il maggior rilievo dato all’istopatogenesi e al profilo molecolare, parametri che hanno dimostrato una chiara correlazione con il comportamento biologico e clinico di queste neoplasie. L’introduzione del concetto di “grado”, sia per i tumori differenziati dell’epitelio follicolare che per il carcinoma midollare, consente inoltre di identificare in maniera più accurata quel sottogruppo di tumori tiroidei aggressivi e a prognosi sfavorevole, permettendo al clinico di riconoscerli più rapidamente e di impostare le adeguate terapie e controlli più ravvicinati. Punto cardine di questa nuova classificazione è infatti l’integrazione degli aspetti morfologici e istologici delle neoplasie tiroidee con il profilo molecolare e l’attività proliferativa delle stesse, nell’ottica di produrre uno schema solido, che rispecchi anche gli aspetti clinici di tali neoplasie.
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Farmaci utilizzati nella terapia dell’ipertiroidismo
Gregorio Reda
Endocrinologia, Ospedale Pertini, Roma
(aggiornato al 19 febbraio 2019)
METIMAZOLO
Meccanismo d’azione
Inibisce la trasformazione dello iodio inorganico in iodio organico ad opera dell'enzima tireoperossidasi. L'assenza del substrato organico impedisce quindi al tireocita di provvedere all'incorporazione degli ioni iodio nella molecola di tireoglobulina e alla conseguente sintesi di ormoni tiroidei, senza interferire con le proprietà biologiche degli ormoni già sintetizzati.
Recenti studi sembrano sostenere la capacità del metimazolo nel ridurre la sintesi di anticorpi anti-recettore TSH e anti-microsomiali, coinvolti nella genesi della patologia ipertiroidea causata da anticorpi tireo-stimolanti.
Proprietà farmacocinetiche
L'efficacia terapeutica si realizza dopo 30 minuti dall'assunzione orale e persiste per circa 6-13 ore, al termine delle quali il farmaco viene escreto prevalentemente per via renale.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Tapazole compresse divisibili 5 mg.
Indicazioni
Ipertiroidismo
Contro-indicazioni
No
Effetti collaterali
Agranulocitosi: effetto raro ma potenzialmente grave. Ai pazienti deve essere raccomandato di controllare l’emocromo ogni 15 giorni per i primi due mesi ed in caso di leucopenia sospendere il farmaco. Riferire al medico qualsiasi sintomo suggestivo di agranulocitosi, come ad esempio febbre o infezione delle prime vie aeree che può avvenire durante tutto il periodo di trattamento, anche se raramente.
Possono anche verificarsi leucopenia, trombocitopenia ed anemia aplastica, dermatite esfoliativa.
Sono stati segnalati rari casi di epatite fulminante, necrosi epatica, encefalopatia e morte. La comparsa di una sintomatologia suggestiva di un interessamento epatico (anoressia, prurito, dolore al quadrante addominale destro superiore, ecc.) deve indurre ad un'attenta valutazione della funzionalità epatica. La presenza di manifestazioni evidenti di una disfunzione epatica (ivi incluso un aumento delle transaminasi pari a 3 volte o più rispetto ai limiti superiori della norma) rende necessaria una pronta interruzione del trattamento con metimazolo.
Uso in gravidanza
Vedi sezione ipertiroidismo in gravidanza
Uso durante l’allattamento
Passa nel latte solo in piccolissime quantità e pertanto può essere utilizzato durante l’allattamento ma alle minime dosi efficaci.
Limitazioni prescrittive
Prescrivibilità: classe A
PROPILTIOURACILE
Meccanismo d’azione
Simile a quello del metimazolo, ma ha emivita più breve ed agisce anche sulla trasformazione del T4 in T3, rendendo più rapido l’effetto del farmaco.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Propycil compresse 50 mg.
Indicazioni
Ipertiroidismo
Contro-indicazioni
No
Effetti collaterali
Gli stessi del metimazolo, ma con maggiore epatotossicità
Uso durante l’allattamento
Passa in bassissime quantità nel latte materno. Tuttavia, a causa del potenziale rischio di necrosi epatica sia nella madre che nel bambino, ne è sconsigliato l’uso.
Limitazioni prescrittive
Farmaco non disponibile in Italia, ma ottenibile presso le farmacie ospedaliere tramite apposito modulo da inviare all'azienda farmaceutica Mylan spa, firmato dal medico ospedaliero richiedente, al prezzo di 1 euro a confezione di 60 cp.
SOSTANZE IODATE
Meccanismo d’azione
Lo iodio, se somministrato in notevole quantità rispetto al fabbisogno, determina inibizione dei meccanismi di trasporto che consentono l’accumulo di iodio all’interno delle cellule follicolari tiroidee e transitoriamente un blocco dei processi di sintesi delle tironine e di liberazione degli ormoni tiroidei dalla ghiandola (effetto Wolff-Chaikoff). Lo ioduro antagonizza la capacità del TSH e dell’AMP ciclico di stimolare l’endocitosi della sostanza colloide, la proteolisi e la secrezione di ormoni tiroidei. L’effetto massimo si raggiunge dopo 10-15 giorni di terapia. Lo ione ioduro riduce inoltre la vascolarizzazione della tiroide e ne aumenta la consistenza. L’effetto terapeutico è di breve durata e può addirittura invertirsi, perchè dopo alcuni giorni i meccanismi di autoregolazione prendono il sopravvento.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Soluzione di Lugol, 5% di iodio molecolare e 10% di ioduro di potassio, contenente 130 mg/mL di ioduro, ossia 6.3 mg di ioduro per goccia: 10 gocce/die.
Soluzione satura di ioduro di potassio che contiene 1000 mg di ioduro/mL (ossia 36 mg di ioduro per goccia): 2-3 gocce/die.
Alcuni farmaci usati come mezzi di contrasto in gastroenterologia sono ricchi di iodio e vengono utilizzati in rari casi:
- Gastrografin: sodio aminotrizoato e meglumina amidotrizoato, che contiene 370 mg di iodio/mL, alla dose di 100 mL per os una tantum.
- Orografin contenente ipodato (non disponibile in Italia) e Telepaque contenente acido iopanoico (non disponibile in Italia): 500-1000 mg in unica somministrazione.
Indicazioni
Tireotossicosi critiche in associazione a cortisonici, ß-bloccanti, idratazione ecc. e preparazione all’intervento di tiroidectomia, per ridurre la vascolarizzazione della ghiandola ed i rischi di tireotossicosi post-operatoria, in associazione agli anti-tiroidei.
Contro-indicazioni
Allergia allo iodio.
Effetti collaterali
Rari:
- minori: esantema, febbre, artralgie
- gravi: edema della glottide, shock anafilattico
PERCLORATO DI POTASSIO
Non è più disponibile
PERCLORATO DI SODIO
Meccanismo d’azione
Interferisce con la captazione dello ione iodio da parte della ghiandola tiroide. Si lega ai trasportatori dello iodio stesso, impedendone così il trasporto e la fissazione all’interno del tireocita. Il blocco competitivo della pompa degli ioduri impedisce il rifornimento iodico indispensabile per l’avvio della biosintesi ormonale. Tali caratteristiche vengono sfruttate:
- in ambito diagnostico (medico-nucleare) per ridurre la fissazione tiroidea di iodio radioattivo durante le scintigrafie;
- in ambito terapeutico per ridurre la captazione di iodio da parte della tiroide, con conseguente ridotta sintesi di ormoni tiroidei.
Indicazioni
Ipertiroidismo provocato da eccessivo carico di iodio. È utilizzato quasi esclusivamente nell’ipertiroidismo da amiodarone, in associazione agli anti-tiroidei ed eventualmente al cortisone.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Sodio perclorato (Irenat drops): flaconi da 20 mL, contenenti 344.2 mg di perclorato di sodio monoidrato, pari a 300 mg/mL di perclorato di sodio.
Il dosaggio di perclorato di sodio per il trattamento di AIT-1 è:
- negli adulti: 800-1000 mg/die (40-50 gocce da dividere in 4-6 dosi giornaliere) o eccezionalmente 1500 mg/die (75 gocce, sempre da dividere in 4-6 dosi giornaliere);
- tra 6 e 14 anni: 60-240 mg/die (3-12 gocce, sempre da dividere in 4-6 dosi giornaliere).
Contro-indicazioni
No
Effetti collaterali
Durante il trattamento sono indispensabili periodici controlli della crasi ematica. Qualora intervengano discrasia ematica, agranulocitosi o depressione midollare, il farmaco deve essere immediatamente sospeso e se necessario, instaurato un trattamento trasfusionale. Il paziente deve essere avvertito che possono essere indice di alterazione del quadro ematico la comparsa di ulcere esofagee o laringee, febbre, eruzione cutanea che si sviluppino in corso di trattamento. Tuttavia tale effetto collaterale avviene quasi esclusivamente dopo un uso superiore ai 45 giorni.
Limitazioni prescrittive
Irenat Drops®, prodotto da Bayer (Giappone), non è registrato in Italia ma è regolarmente registrato in Germania e pertanto, ai sensi della legge 648/96, è possibile utilizzarlo anche in Italia a carico del SSN. La procedura prevede, non essendoci alternativa terapeutica, l’acquisto previa valutazione economica (secondo il decreto sugli appalti 50/2016) del distributore più vantaggioso e compilazione della modulistica appropriata (modulo AIFA "farmaci non registrati in Italia") firmata dal medico prescrittore e dal farmacista del servizio ospedaliero o territoriale (dipende se la distribuzione è eseguita presso la farmacia dell'ospedale, di solito la prima confezione, o presso la farmacia del servizio territoriale dell’ASL di appartenenza). È distribuito da Intercompany Pharma Trading di Lugano, attraverso Logic Service Comm SRL, Roma, con consegna in 5-6 giorni. Per info e invio ordini:
- tel: 06-53272207;
- fax: 06-53277539;
- e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.;
- modulo per l’ordine.
DIBROMOTIROSINA
Meccanismo d’azione
Determina una riduzione della tiroxina plasmatica attraverso la sintesi di tironine non iodate, presumibilmente bromate. Le tironine bromate manterrebbero la capacità di controllare il feed-back ipofisi-tiroide con azione di freno sulla produzione di TSH. Questi due meccanismi permetterebbero di ottenere la regressione della sintomatologia dell’ipertiroidismo.
Proprietà farmacocinetiche
Buon assorbimento dopo assunzione orale. Picco ematico alla 3° ora. Livelli trascurabili alla 15° ora. Marcato tropismo per la tiroide, con concentrazioni 4 volte superiori a quelle plasmatiche.
Preparazioni, via di somministrazione, posologia
Bromotiren, compresse da 300 mg: 1-3 cp/die.
Indicazioni
Ipertiroidismo di lieve e media gravità o ipertiroidismo grave in associazione con altri farmaci anti-tiroidei.
Contro-indicazioni
No
Effetti collaterali
Non condivide gli effetti collaterali delle tionamidi e non sono descritti effetti collaterali.
Limitazioni prescrittive
Prescrivibilità: classe C