Stampa

Flaminia Ferri & Stefano Corradini
Divisione di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Università "Sapienza" di Roma

(aggiornato al 15 dicembre 2022)

 


INTRODUZIONE
L’utilizzo di alcuni dei farmaci endocrini nei pazienti con insufficienza epatica può essere normato dalla raccomandazione di non utilizzo per il rischio di tossicità epatica oppure di utilizzo a dosaggio ridotto per il rischio di accumulo del farmaco quando metabolizzato a livello epato/biliare. Di seguito vengono riportati per i vari farmaci la probabilità di provocare un danno epatico e, per quelli in cui il dato è disponibile nel sito https://www.drugs.com/disease-interactions/ (ultimo accesso 28 novembre 2022), l’eventuale raccomandazione di non utilizzo e/o utilizzo a dosaggio ridotto in caso di insufficienza epatica.
Il danno epatico indotto da farmaci (Drug Induced Liver Injury, DILI) può presentarsi in maniera estremamente eterogenea (tipo epato-cellulare o colestatico o misto). Sia nella gestione clinica che nella ricerca scientifica il danno epatico è definito in presenza di una delle seguenti opzioni (1):

  • aumento di bilirubina totale > 2 volte il limite superiore del valore di normalità (ULN), associato a incremento di ALT ≥ 3 volte ULN;
  • ALT ≥ 5 volte ULN;
  • fosfatasi alcalina (ALP) ≥ 2 volte ULN.

Una volta definita la presenza del danno epatico, questo può essere classificato secondo il seguente valore di R, ottenuto dal rapporto tra ALT x ULN/ALP x ULN, in danno (1):

  • epato-cellulare, se R è ≥ 5;
  • misto, se R è compreso tra 2 e 5;
  • colestatico, se R è ≤ 2.

A seconda del meccanismo patogenetico alla base del danno da farmaci, si può riconoscere un danno di tipo intrinseco e un danno di tipo idiosincrasico (1):

  • la prima tipologia (danno intrinseco) si verifica in un numero elevato di individui che hanno assunto il farmaco, è dose/dipendente e l’insorgenza del danno è spesso ravvicinata all’assunzione del farmaco (1);
  • il danno idiosincrasico si verifica solo in una piccola percentuale di individui, non è prevedibile, mostra un tempo di latenza più lungo e non è correlato alla dose. Si sospetta che questa tipologia di danno sia legata alla suscettibilità genetica dei singoli individui o di alcune popolazioni (1).

La probabilità che un farmaco possa causare un danno epatico è espressa dal likelihood score (2), riportato nel sito web livertox.nih.gov, e così classificato:

  • A: farmaco per cui è ben nota (> 50 casi descritti) l’epato-tossicità su base intrinseca o idiosincrasica, con caratteristiche cliniche ben note;
  • B: farmaco per cui sono già presenti tra 12 e 50 segnalazioni riguardanti la sua epato-tossicità o questa appare altamente probabile, anche qui con caratteristiche cliniche ben definite;
  • C: farmaco che può indurre un danno epatico idiosincrasico probabile, con caratteristiche cliniche del danno non ben definite;
  • D: farmaco per cui si sono verificate alcune segnalazioni (< 3) senza caratteristiche cliniche ben definite (epato-tossicità possibile ma rara);
  • E: farmaco che è ampiamente utilizzato, ma per cui non è emerso un chiaro collegamento con il danno epatico, per cui si ritiene improbabile che il farmaco possa provocare la DILI;
  • E*: il farmaco è una sospetta causa di danno epatico idiosincrasico, ma non ci sono sufficienti prove a riguardo;
  • X: farmaci introdotti recentemente o usati raramente nella pratica clinica, per cui non si conoscono i rischi di sviluppare danno epatico.

 


SISTEMATICA

Acarbosio (2,3): la terapia con acarbosio è stata collegata a rari casi di danno epatico idiosincrasico, verificatosi da 2 a 8 mesi dopo l'inizio del trattamento. Generalmente il danno epatico acuto è moderato e la sospensione della terapia porta a risoluzione completa. Il danno epatico acuto indotto dall’acarbosio presenta caratteristiche simili anche nei pazienti con patologia epatica pre-esistente. In caso di pregressa epatite acuta indotta dal farmaco, la re-introduzione anche a distanza deve essere evitata, per l’elevato rischio di recidiva. Likelihood score: B.

Alirocumab (2,4): gli anticorpi monoclonali contro PCSK9 non sono stati associati né a ipertransaminasemia né ad iperbilirubinemia. Likelihood score: E.

Analoghi delle prostacicline (2,5): non sono stati associati a ipertransaminasemia e/o epatite acuta. Likelihood score: E.

Anastrozolo (2,6,7): il danno epatico correlato si manifesta con aumento transitorio e asintomatico delle transaminasi tra la prima e la quarta settimana dall’inizio della terapia, è generalmente lieve e auto-limitante. Sono stati segnalati casi di epatite acuta severa, con alterazione anche della funzione coagulativa. La risoluzione solitamente avviene rapidamente dopo la sospensione del farmaco. Il farmaco non è stato associato a casi di insufficienza epatica acuta o cronica, patologie delle vie biliari o sviluppo di steatosi epatica. Non sono necessari aggiustamenti del dosaggio di anastrozolo nei pazienti con compromissione epatica da lieve a moderata, ma il farmaco deve essere somministrato con cautela nei pazienti con grave compromissione epatica. Likelihood score: C.

Bisfosfonati (2,5,8-12): in letteratura vengono riportati casi di incremento delle transaminasi con comparsa di ittero, legati ai bisfosfonati più comunemente usati, quali zoledronato, alendronato, risedronato e ibandronato. Il danno epatico è di origine idiosincrasica ed è associato anche alla comparsa concomitante di nausea e dolori addominali. L’insorgenza della sintomatologia viene descritta solitamente nei primi 2-6 mesi dall’inizio del trattamento. Nella maggior parte dei casi descritti il quadro si presentava con gravità lieve-moderata, che andava incontro a risoluzione completa, seppur non sempre tempestiva, in seguito alla sospensione del farmaco. Sono stati descritti inoltre casi di aumento transitorio degli enzimi epatici in assenza di ittero, ma in associazione con lievi reazioni di ipersensibilità in caso di somministrazione di bisfosfonati per infusione endovenosa. Tale quadro è spesso associato alla dose iniziale e può attenuarsi o risolversi con le successive somministrazioni o tramite la pre-medicazione con glucocorticoidi o anti-istaminici. Non sono mai stati descritti casi di insufficienza epatica acuta o cronica legati all’uso di bisfosfonati, né sono stati descritti peggioramenti della funzione epatica nei pazienti con patologia epatica pre-esistente. In termini di rischio di induzione del danno epatico:

  • alendronato e acido zoledronico rappresentano una causa rara ma probabile di danno epatico clinicamente evidente (likelihood score C);
  • ibandronato e risedronato rappresentano una causa rara ma possibile di danno epatico clinicamente evidente (likelihood score D);
  • etidronato e pamidronato sono considerati una causa rara non dimostrata ma sospetta di danno epatico clinicamente evidente (likelihood score E*).

Non sono disponibili dati sul riutilizzo di questa classe di farmaci in pazienti con precedente danno epatico indotto dai bisfosfonati.

Bromocriptina (2,5): può provocare aumenti lieve, asintomatici e auto-limitanti delle transaminasi. Raramente si verificano aumenti marcati, che necessitano di riduzione della dose o sospensione del farmaco. Non sono stati mai descritti casi di insufficienza epatica acuta o epatite cronica legate a questo farmaco. Likelihood score: D.

Chemioterapici e immuno-soppressori (2,13,14): i pazienti sottoposti a terapia immuno-soppressiva o chemioterapia, inclusi i farmaci biologici di nuova generazione, possono andare in contro a riattivazione dell’HBV (il rischio è definito basso se < 1%, moderato se compreso tra 1% e 10%, alto se > 10%). Si consiglia di effettuare preliminarmente i test HBsAg, anti-HBs Ab, anti-HBc Ab:

  • tutti i pazienti che risultano HBsAg positivi devono effettuare la terapia anti-virale come trattamento (HBV-DNA positivi) o come profilassi (HBV-DNA negativi);
  • in caso di HBsAg negatività e HBcAb positività, è necessario effettuare il test dell’HBV-DNA: se positivo, i pazienti devono essere trattati; se negativo, la terapia anti-virale è consigliata come profilassi solo nei soggetti con rischio elevato. Nei pazienti con rischio moderato e basso si effettua il monitoraggio di HBsAg e HBV-DNA ogni 1-3 mesi, sia durante che 12-18 mesi dopo la sospensione della terapia, e viene iniziata la terapia anti-virale immediatamente se si verifica la sieroconversione dell’HBsAg o si positivizza l’HBV-DNA. Nei pazienti HBcAb positivi, HBsAg/HBV-DNA negativi a rischio basso/moderato, si può consigliare comunque di iniziare la terapia anti-virale nel caso in cui sia necessaria una terapia di lunga durata, non sia possibile effettuare un adeguato monitoraggio oppure non sia prevedibile il rischio di riattivazione;
  • nei pazienti sieronegativi è consigliata la vaccinazione contro l’HBV.

I pazienti che necessitano di terapia immuno-soppressiva o chemioterapia devono essere sottoposti anche al test dell’HCV-Ab; in caso di positività deve essere effettuato il dosaggio dell’HCV-RNA. Il trattamento con anti-virali è obbligatorio nei casi di HCV-RNA positivo. Il rischio di riattivazione dell’HCV è più basso rispetto all’HBV ma comunque presente, per cui in caso di negatività dell’HCV-RNA, si consiglia di effettuare il monitoraggio senza terapia di profilassi.
Per altre tematiche relative all’epato-tossicità non correlata all’HBV o HCV positività, si rimanda ai capitoli relativi ai singoli farmaci.

Ciproterone (2,5,15): in circa il 10-14% dei pazienti il ciproterone provoca un danno epato-cellulare associato talvolta ad aumento di ALP, che risulta lieve e transitorio e si risolve spontaneamente. La sintomatologia insorge nel primo semestre di trattamento. Talvolta è stato associato anche a casi di danno epatico clinicamente evidente con ittero. In questi casi si può evidenziare un danno grave associato a mortalità del 10%. Si consiglia quindi di interrompere il farmaco ai primi segni di danno epatico ed è sconsigliata la re-introduzione anche in caso di miglioramento. È stata segnalata anche la sensibilità crociata al danno epatico tra ciproterone e altri anti-androgeni. Si segnala inoltre che la terapia cronica ad alte dosi è associata anche a insorgenza di epato-carcinoma su fegato non cirrotico. Likelihood score: B.

Clomifene (2,16): le informazioni riguardanti l’effetto sui livelli di transaminasi sono scarse, anche perché solitamente il farmaco è somministrato in basse dosi e per un breve periodo. Più genericamente i farmaci utilizzati per il trattamento dell’infertilità possono provocare la sindrome da iperstimolazione ovarica, che può manifestarsi con dolore addominale e ascite, con contestuale elevazione lieve-moderata delle transaminasi e minima elevazione di bilirubina e ALP. Nel caso in cui si osservi un aumento delle transaminasi > 5 volte ULN, è consigliato ridurre la dose o sospendere il farmaco. L’uso del clomifene non è stato associato allo sviluppo di insufficienza epatica acuta o cronica. Il suo uso è controindicato nei pazienti con malattia epatica o anamnesi di disfunzione epatica. Likelihood score: C.

Colestiramina (2): ci sono scarse evidenze riguardo al collegamento con il danno epatico. Likelihood score: E.

Glucocorticoidi (2,17-19): a livello epatico il danno si evidenzia soprattutto in relazione alla terapia a lungo termine ed è un effetto dose-dipendente. I glucocorticoidi possono provocare l’insorgenza di NAFLD de novo o il peggioramento della NAFLD sottostante. Tale effetto collaterale è legato principalmente all’effetto diretto di tali farmaci sull’insulino-resistenza e sul metabolismo degli acidi grassi, ma è anche legato all’aumento ponderale che si osserva nel corso delle terapie corticosteroidee a lungo termine. Nei pazienti HBV+ e HCV+, l’epatopatia sottostante viene peggiorata dalla terapia cortisonica. In particolare, nei pazienti affetti da epatite cronica B i corticosteroidi possono indurre aumenti della replicazione virale, con contestuale riduzione delle transaminasi. Quando i livelli di corticosteroidi vengono riportati ai livelli fisiologici o il farmaco viene sospeso, portando alla normalizzazione delle difese immunitarie, si osserva un marcato incremento dei livelli di transaminasi (> 10-20 volte ULN). Tale condizione clinica può evolvere verso l’insufficienza epatica acuta su cronica o verso un’evoluzione più rapida dell’epatite cronica in cirrosi epatica. Per la gestione si consiglia di vedere il paragrafo riguardante i farmaci “Chemioterapici e Immunosoppressori”. In letteratura sono presenti anche casi di epatite acuta, con evoluzione talvolta in epatite severa o fulminante, comparsa successivamente a un ciclo breve ma ad alte dosi di metilprednisolone per via endovenosa, in cui non sono stati implicati virus epatotropi. Tali episodi si sono manifestati con l’insorgenza di ittero e aumento degli enzimi, espressione di danno epato-cellulare, dopo 1-6 settimane dalla sospensione della terapia con metilprednisolone. L’eziologia del danno epatocitario non è nota, ma potrebbe essere legata allo sviluppo di una grave epatite autoimmune innescata dalla terapia immuno-soppressiva e successiva normalizzazione delle difese immunitarie. In tale contesto, potrebbe essere appropriato riprendere la terapia con corticosteroidi, ma non ci sono sufficienti dati al riguardo. Non è chiaro se questo quadro clinico possa presentarsi anche con l’uso di alte dosi di prednisone o desametasone per via endovenosa. I pazienti con cirrosi devono essere monitorati più attentamente per gli effetti eccessivi degli steroidi. In questi pazienti possono essere necessari aggiustamenti del dosaggio. Likelihood score: A.

Denosumab (2): non ci sono dati che dimostrino che il farmaco sia intrinsecamente epato-tossico. Likelihood score: E*.

Dulaglutide (2): non ci sono dati in letteratura che ne documentino un’azione epato-tossica.

Estrogeni e contraccettivi orali (2,5,20-25): le prime formulazioni di contraccettivi orali sono state molto frequentemente associate a danno epato-colangiocitario, ma tale frequenza non è stata confermata con le nuove terapie anti-concezionali o con la terapia sostitutiva. La frequenza di danno epatocitario aumenta quando gli estrogeni sono associati ai progestinici. Estrogeni e contraccettivi orali posso provocare l’insorgenza di ittero, a causa della modesta inibizione dell'escrezione della bilirubina dall’epatocita in pazienti con patologie ereditarie che ne alterano il metabolismo (ad es. s. di Dubin-Johnson). Sono stati descritti casi in cui gli estrogeni e i contraccettivi orali nel corso dei primi 6 mesi di terapia possono indurre un danno misto o colestatico con ittero, astenia e prurito. Tale sintomatologia insorge tipicamente nei primi cicli di terapia. Le pazienti che sviluppano questi quadri hanno spesso una storia di colestasi gravidica, dato che induce a pensare che l’eziologia possa essere su base genetica. Il danno colestatico si risolve rapidamente con la sospensione della terapia, ma nelle pazienti sintomatiche può essere consigliato l’utilizzo di acido ursodesossicolico (12-15 mg/kg/die) fino alla risoluzione dei sintomi o alla risposta biochimica. L’utilizzo degli estrogeni e dei contraccettivi orali è stato associato all’insorgenza di tumori epatici, sia benigni (adenomi, angiomi, iperplasia nodulare focale, amartomi) che maligni. Il rischio di sviluppare un adenoma epatico nella popolazione che fa uso di contraccettivi orali è di circa lo 0.5%/anno, con potenziale evolutivo verso l’epato-carcinoma. La sospensione della terapia ormonale può portare talvolta a regressione dell’adenoma, in altri casi è necessario ricorrere al trattamento chirurgico. I contraccettivi orali sono stati anche associati ad aumentata incidenza delle trombosi venose e quindi anche a trombosi portale e/o delle vene sovra-epatiche (s. di Budd-Chiari). Tali quadri si evidenziano in particolar modo nei pazienti che presentano un quadro di trombofilia, ad es. carenza di proteina C o proteina S o mutazioni del fattore V di Leiden. L'uso di contraccettivi orali è stato associato anche a rari casi di peliosi epatica. Anche le patologie delle colecisti risultano più frequenti nelle donne che fanno uso di contraccettivi orali o della terapia ormonale sostitutiva. La colestasi associata ai contraccettivi contenenti estrogeni (OCC) è tipicamente lieve e si risolve rapidamente con l'interruzione. Alcuni casi, tuttavia, sono protratti e associati a prurito grave, con o senza ittero marcato. L'efficacia dell'ursodiolo nel trattamento della colestasi della gravidanza rende questo approccio appropriato nelle donne che sviluppano colestasi a causa di OCC, i cui sintomi sono problematici; il dosaggio è compreso tra 12 e 15 mg/kg/die e deve essere continuato fino alla risoluzione dei sintomi e delle principali anomalie degli esami biochimici. Non devono essere usati corticosteroidi. È tipica la recidiva di colestasi con la ripresa degli OCC, sebbene si possano trovare formulazioni a dose più bassa che non attivano la risposta. La gestione degli adenomi epatici correlati agli OCC è complessa. In molti casi, la semplice sospensione dei contraccettivi orali è seguita da regressione delle dimensioni del tumore, ma può essere necessario un intervento chirurgico per tumori più grandi e quelli in cui si ritiene che la trasformazione maligna rappresenti un rischio. La terapia con estrogeni deve essere somministrata con cautela nei pazienti con malattia epatica. Likelihood score: A.

Everolimus (2,26,27): in circa un quinto dei pazienti che lo assumono si verifica un aumento lieve, transitorio e auto-limitante delle transaminasi e in meno del 2% l’aumento risulta > 5 volte ULN. Non sono stati descritti casi di danno epatico clinicamente rilevante, ma questa terapia, come le altre immuno-soppressive e oncologiche, può portare a riacutizzatizione dell’epatite B (cfr. paragrafo “Chemioterapici e Immunosoppressori”). Nei pazienti con compromissione epatica lieve o moderata, si raccomanda la riduzione della dose. Nei pazienti con compromissione epatica grave, everolimus può essere utilizzato a dose ridotta se il beneficio desiderato supera il rischio. Likelihood score: E*.

Evolocumab (2): ad oggi non ci sono dati che suggeriscano che questa terapia possa provocare un danno epato-biliare. Likelihood score: E.

Exenatide (2): il farmaco non è stato associato a danno epato-biliare. È stato invece associato, seppur raramente, all’insorgenza di pancreatite acuta.

Ezetimibe (2, 28): se non è somministrata in combinazione con statine, l’elevazione di AST, ALT, gamma-GT e ALP si verifica tra il secondo e il decimo mese dall’inizio del trattamento in circa l’1% dei pazienti, è di grado lieve e auto-limitante e solitamente non si associa alla comparsa di ittero. Seppur rari, sono stati riportati casi di danno epatico acuto correlato all’uso di ezetimibe: nella maggior parte dei casi è auto-limitante ma in alcuni casi è stato associato a epatopatie e biliopatia cronica autoimmune o a insufficienza epatica acuta. La terapia con ezetimibe non è raccomandata nei pazienti con insufficienza epatica moderata o grave. Likelihood score: C.

Fibrati (2,5,29-32): l’uso di tutti i fibrati, in particolare fenofibrato, può essere associato a danno epatico, che può presentarsi come lieve-moderato fino a danno epatico acuto clinicamente evidente. Nella maggior parte dei casi si tratta comunque di incrementi transitori, asintomatici, per cui può non essere necessaria l’interruzione della terapia. La terapia con fenofibrato e con gemfibrozil deve essere somministrata con cautela nei pazienti con malattia epatica attiva. La terapia con clofibrato può essere considerata a dosaggio ridotto.

  • Clofibrato: può provocare un aumento lieve e transitorio delle transaminasi e/o degli indici di colestasi, che si instaura più frequentemente dopo 2-3 mesi dall’inizio del trattamento. Tali alterazioni si risolvono spesso senza la necessità di sospendere il farmaco. L’uso del clofibrato non è stato associato allo sviluppo di insufficienza epatica acuta o cronica. Likelihood score: D.
  • Fenofibrato: in circa un quinto dei pazienti che lo assumono si verifica un aumento lieve e transitorio delle transaminasi e in meno del 5% l’aumento risulta > 3 ULN. Solo occasionalmente è necessario interrompere la terapia per ottenere una normalizzazione dei valori; è indicato, quindi, effettuare il monitoraggio dei valori di transaminasi nei pazienti che assumono tali terapie e si raccomanda l’interruzione del farmaco solo nei casi in cui tali valori superino di 3 volte l’ULN. Sono stati anche descritti casi di danno epatico clinicamente evidente, quasi sempre di tipo epato-cellulare e solo raramente di tipo colestatico o misto. Il quadro di danno acuto insorge solitamente nei primi mesi di terapia. Un quadro di danno cronico anche severo può comparire dopo mesi o talvolta anni nei pazienti che non hanno interrotto la terapia nonostante la presenza di danno epatico persistente e si presenta tipicamente con caratteristiche autoimmuni (iperglobulinemia associata a positività degli ANA o gli ASMA e/o “Vanishing Bile Buct Syndrome”). Nei casi in cui sia stato necessario sospendere il farmaco, non si raccomanda il re-inserimento, neanche a distanza di tempo. L’utilizzo del cortisone in tale contesto ha efficacia dubbia. Likelihood score: B.
  • Gemfibrozil: in circa un quinto dei pazienti che lo assumono si può avere un aumento lieve e transitorio delle transaminasi ma in meno del 5% l’incremento è > 3 ULN. Si tratta spesso di aumenti asintomatici e transitori che non necessitano dell’interruzione del farmaco. Raramente si è osservato un danno epatico clinicamente evidente, la cui risoluzione comunque si verifica rapidamente dopo la sospensione. L’uso del gemfibrozil non è stato mai associato allo sviluppo di insufficienza epatica acuta o cronica. Likelihood score: C.

Finasteride (2,33): nel corso degli studi controllati la finasteride, sia 1 mg/die che 5 mg/die, è stata associata a un basso tasso di aumento delle transaminasi. Tali aumenti si sono dimostrati transitori e solo in casi sporadici hanno richiesto la modifica della posologia. La terapia deve essere somministrata con cautela nei pazienti con malattia epatica, in quanto l'esposizione potrebbe essere maggiore. Likelihood score: E.

Flutamide (2,34): in più del 60% dei pazienti che la assumono si verifica un aumento asintomatico e transitorio delle transaminasi. Solo nel 3-5% dei pazienti l’aumento risulta > 5 ULN e nello 0.1-1% si verifica un danno epatico acuto sintomatico, che può evolvere verso l’insufficienza epatica acuta. Il danno è solitamente di tipo epato-cellulare, è dose-dipendente e insorge mediamente dopo tre mesi dall’inizio dell’assunzione, ma talvolta può presentarsi più precocemente o più tardivamente. Non sono descritti casi di danno cronico. Si raccomanda, quindi, il monitoraggio attento e regolare dei livelli di ALT, soprattutto nei primi sei mesi di terapia. In caso di insorgenza del danno, il farmaco deve essere sospeso e dopo 1-2 mesi si inizia a osservare miglioramento. Non è raccomandata la re-introduzione del farmaco, in considerazione dell’elevato rischio di recidiva del danno. La flutamide deve essere somministrata con estrema cautela nei pazienti con ipertransaminasemia o con funzionalità epatica compromessa ed è controindicata nei pazienti con grave compromissione epatica. Likelihood score: A.

Gonadotropine (2): la somministrazione non è associata a epato-tossicità, ma il danno epatico può essere indotto dalla comparsa della sindrome da iperstimolazione ovarica. Likelihood score: E.

Goserelin (2,35): aumenti isolati e transitori delle transaminasi si verificano in meno del 5% dei casi e spesso non richiedono né l’interruzione del farmaco né l’aggiustamento della dose. Il danno epatico clinicamente evidente è un evento raro. Likelihood score: D.

Inibitori delle dipeptidil peptidasi-4 (2,36-40): il danno epatico è raro e l’eziopatogenesi non è nota. Il danno epato-cellulare si evidenzia tra la 2° e la 12° settimana con l’aumento delle transaminasi e regredisce rapidamente dopo la sospensione. Raramente si può verificare danno epatico acuto clinicamente evidente. Non è stata riportata (ma non si può escludere) reattività crociata tra le gliptine. Per il sitagliptin è stato descritto un caso di danno epatico clinicamente evidente in un soggetto HCV+. Linagliptin e sitagliptin: Likelihood score D; alogliptin e saxagliptin: Likelihood score E*.

Inibitori delle fosfodiesterasi tipo 5 (2,5,37)

  • Sildenafil: in letteratura sono presenti almeno 5 casi di danno epatico acuto di tipo epato-cellulare, colestatico o misto, in cui il danno si è presentato tra il I e il III mese di terapia, senza evoluzione in insufficienza epatica. Il meccanismo non è chiaro, potrebbe essere tossico oppure ischemico, ma rappresenta comunque un evento raro. Likelihood score: C.
  • Tadalafil: è stato collegato in rari casi a sviluppo di lieve ipertransaminasemia o a epatite colestatica insorta nei primi giorni dall’inizio del trattamento, in nessun caso con evoluzione verso l’insufficienza epatica. Non sono stati descritti casi di danno cronico epato-cellulare o biliare. Likelihood score: D.
  • Vardenafil: non è associato a casi di danno epatico clinicamente evidente. Likelihood score: E*.

Inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio tipo 2 (SGLT-2) (2,41,42): questa terapia è stata raramente associata a danno epatico, nella maggior parte dei casi si sono osservati invece miglioramenti nei livelli di ALT, legati probabilmente al miglior controllo glicemico con conseguente miglioramento della condizione di steatosi o steato-epatite spesso associata. Ertugliflozin e canagliflozin non sono raccomandati per l'uso in pazienti con compromissione epatica grave a causa della mancanza di dati clinici. Dapagliflozin non è stato studiato in pazienti con compromissione epatica grave e si raccomanda cautela. Non sono necessari aggiustamenti del dosaggio nei pazienti con compromissione epatica lieve o moderata. Dapagliflozin: Likelihood score D; canagliflozin, empagliflozin, ertugliflozin: Likelihood score E*.

Insulina (2,5,43,44): se somministrata a dosi elevate o intermittenti nei bambini e giovani adulti affetti da diabete mellito di tipo 1 scarsamente controllato o in soggetti con scompenso glicemico legato all’uso dei corticosteroidi, può portare all’insorgenza di epatopatia glicogenica, che si presenta clinicamente con epatomegalia, dolore addominale e aumenti delle transaminasi fino a 30 volte ULN. Il danno epatico migliora dopo aver ottenuto un buon controllo glicemico, ma il quadro può recidivare in caso di ripetuti episodi di scompenso glicemico. Nelle forme gravi si può presentare la sindrome di Mauriac. La patologia non provoca un danno epatico cronico. Non ci sono controindicazioni all’uso nelle patologie epatiche croniche e nella cirrosi epatica, mantenendo sempre un adeguato monitoraggio. Likelihood score: A.

Interferone (2,45): gli aumenti degli enzimi sierici durante la terapia sono generalmente auto-limitanti e benigni. Sono più frequenti nei pazienti con meno di un anno di età, in cui si consiglia il monitoraggio mensile in corso di terapia. Nei casi in cui l’elevazione dovesse superare di 5 volte l’ULN, è consigliata la riduzione della dose o la sospensione temporanea. Likelihood score: E.

Ketoconazolo (2,5,44,46): fino a un quinto dei pazienti può presentare incrementi lievi e transitori delle transaminasi. Il danno epato-tossico clinicamente evidente, con possibile evoluzione verso l’insufficienza epatica acuta, si verifica invece in un numero compreso tra 1: 2000 e 1:15000 e compare tra il 1° e il 6° mese dall’inizio del trattamento e si risolve dopo 1-3 mesi dalla sospensione. Il rischio di recidiva è elevato, per cui deve essere evitato il re-inserimento della terapia. È descritta reattività crociata con altri farmaci della stessa classe, ma è scarsa; si raccomanda comunque estrema cautela nei soggetti che hanno presentato un danno clinicamente rilevante. Nei soggetti con epatite cronica o cirrosi l’uso del ketoconazolo dovrebbe essere evitato. Likelihood score: A.

Lanreotide (2): non sono segnalate variazioni significative dei livelli di AST, ALT, gamma-GT o ALP, né in acuto né in cronico. Negli studi clinici è stata osservata ridotta clearance di lanreotide nei soggetti con compromissione epatica da moderata a grave, in cui il trattamento deve essere iniziato alla dose di 60 mg. Si deve usare cautela quando si usa questo agente in pazienti con insufficienza epatica moderata o grave per un intervallo di somministrazione prolungato. Come per gli altri analoghi della somatostatina, anche l’uso di lanreotide aumenta l’incidenza di calcoli della colecisti, probabilmente legata a riduzione della contrattilità della colecisti, come conseguenza dell’inibizione della secrezione di colecistochinina. L’uso prolungato si associa a colelitiasi in circa un terzo dei pazienti. Come si osserva nei casi di colelitiasi ad altra eziologia, anche in questo caso la maggior parte dei pazienti non manifesta sintomi e solo in una piccola percentuali di casi si verifica una colecistite sintomatica. Likelihood score: E*.

Leuprolide (35): è stata associata a lievi aumenti delle transaminasi nel 3-5% dei casi, ma in meno dell’1% l’aumento è risultato ≥ 3 volte l’ULN. Tali incrementi sono solitamente transitori e possono risolversi senza necessità di sospensione. Il farmaco non è mai stato associato a danno epatico clinicamente evidente. Ci sono dati a supporto di una sensibilità crociata al danno epatico tra gli analoghi del GnRH. Likelihood score: E.

Liraglutide (2): il farmaco non è associato ad epato-tossicità.

Metformina (2,5,37,44): lieve ipertransaminasemia in meno dell’1% dei pazienti in trattamento, mentre al contrario è frequente il miglioramento dei livelli di transaminasi nei soggetti con steatosi. Un danno epatico clinicamente evidente, di tipo epato-cellulare, colestatico o misto, è un evento estremamente raro: sono descritti poco più di una decina di casi in letteratura, nonostante l’ampia diffusione del farmaco, nessuno evoluto verso un quadro di epatite fulminante. La risoluzione del danno è rapida dopo l'interruzione e non è stata descritta reattività crociata per il danno epatico con altri farmaci anti-diabetici. Può essere utilizzata in sicurezza nei pazienti con epatite cronica o cirrosi compensata e si è mostrata particolarmente efficace nel trattamento dei pazienti con NAFLD associata a diabete mellito. È sconsigliato l’utilizzo nei pazienti con epatopatia associata a disturbo da uso di alcol o nei pazienti con cirrosi epatica scompensata, a causa dell’elevato rischio di insorgenza di acidosi lattica. Likelihood score: B.

Metimazolo (2,5,37,47): è una causa ben nota di danno epatico. Si tratta spesso di aumenti transitori e non significativi, che si verificano nei primi tre mesi dall’inizio della terapia ad alte dosi. Il farmaco è in grado però di provocare un danno epatico clinicamente evidente e sintomatico anche su base idiosincrasica: in questi casi il danno si verifica tra la 2° e la 12° settimana di terapia e si presenta con un quadro tipicamente colestatico prolungato, associato alla presenza di ittero per almeno 2-8 settimane. Il fattore confondente in questo contesto è il fatto che l’ipertiroidismo di per sè si può presentare con quadro clinico analogo. Il danno da metimazolo non evolve verso un quadro istologico di “Vanishing Bile Buct Syndrome”. La risoluzione del quadro clinico è solitamente rapida dopo la sospensione del farmaco, che deve avvenire immediatamente dopo il riscontro della malattia epatica. È indicato il passaggio a propiltiouracile, ma nei casi più severi può essere più appropriata la terapia chirurgica o con radioiodio. Likelihood score: A.

Mifepristone: l’impiego, in associazione al misoprostolo, legato all’aborto farmacologico non è associato a danno epatico, diversamente da quando invece è utilizzato in monoterapia a lungo termine con dosi più elevate. In tale contesto si può frequentemente osservare un aumento degli enzimi epatici, in particolare degli indici di colestasi, talvolta associato ad astenia, ittero e prurito. In questi casi è necessario interrompere definitivamente la terapia. Esistono informazioni limitate sulla sicurezza del mifepristone nei pazienti con compromissione epatica da lieve a moderata; pertanto, i produttori raccomandano che la dose massima non superi i 600 mg/die. L'uso del mifepristone non è raccomandato nei pazienti con grave malattia epatica, poiché la farmaco-cinetica in questi pazienti non è stata studiata. Likelihood score: D.

Mitotane (2): mentre è molto frequente un aumento lieve delle transaminasi (> 50% dei pazienti), un aumento > 5 volte l’ULN si verifica in meno dell’1% dei casi, mentre non sono descritti casi di sviluppo di danno epatico clinicamente evidente, ma è necessario considerare il suo impiego clinico limitato. Likelihood score: E*.

Octreotide (2,5): in una piccola percentuale di pazienti si verificano aumenti lievi, transitori e asintomatici dei livelli di transaminasi e degli indici di colestasi. In letteratura sono stati descritti diversi casi di danno epatico acuto, con esordio nei primi 6 mesi dall’inizio della terapia e rapida risoluzione dopo l’interruzione. La re-introduzione è sconsigliata, per l’elevato rischio di recidiva del danno anche in forma più severa: in caso di ripresa del farmaco, il monitoraggio deve essere molto attento. All’uso del farmaco non sono stati però associati casi di insufficienza epatica acuta o di “Vanishing Bile Buct Syndrome”. Nei pazienti con cirrosi epatica l'emivita del farmaco può essere aumentata, rendendo necessario l’aggiustamento del dosaggio, da titolare in base alla risposta clinica e alla velocità di risposta. È necessario inoltre segnalare che l'octreotide riduce la contrattilità della colecisti, che nei pazienti in terapia a lungo termine può provocare un aumento dell’incidenza della formazione dei calcoli biliari. Il trattamento profilattico con acido ursodesossicolico non sembra utile. Likelihood score: C.

Omega polienolici (2): possono provocare moderati aumenti delle ALT, ma non danno epatico clinicamente evidente. Si consiglia un monitoraggio più stretto nei pazienti con danno epatico pre-esistente. Likelihood score: E.

Orlistat (2,49,50): in letteratura diversi casi associano l’uso del farmaco a danno epatico epato-cellulare, con possibile evoluzione verso l’insufficienza epatica acuta e l’epatite fulminante. La causa del danno epatico non è nota, in quanto l’orlistat ha un’azione diretta sulla lipasi pancreatica e gastrica e solo l’1-3% viene assorbito. Pertanto, tali effetti non erano attesi né sono stati descritti da ampi studi clinici. L’ipotesi è che il danno epatico dipenda da un meccanismo di ipersensibilità. Likelihood score: C.

Ormoni tiroidei (2,5,51): le informazioni riguardo all’ipertransaminasemia con l’uso di ormoni tiroidei sono scarse, ma nonostante siano farmaci ampiamente prescritti non sono associati ad aumento degli enzimi epatici. Solo alte dosi di levotiroxina e altri preparati per la tiroide sono stati associati a danno epatico di entità lieve-moderata, con aspetto epato-cellulare o misto; in caso di danno epatico sottostante, possono rappresentare la causa del peggioramento della funzione epatica. Sono stati inoltre descritti rari casi di epatite su base autoimmune senza comparsa di auto-anticorpi ma caratterizzati da eosinofilia. I casi di danno epatico legati a levotiroxina e estratti tiroidei sono stati tutti segnalati in pazienti asiatici, suggerendo una possibile predisposizione genetica. In tale contesto il danno si risolve dopo la sospensione della terapia e la re-introduzione non è consigliata in considerazione dell’elevato numero di recidive. Likelihood score: C.

Pasireotide (2,52): in circa un terzo dei pazienti si verificano aumenti lievi, transitori e asintomatici degli enzimi epatici. L’uso di pasireotide non è stato associato a danno epatico clinicamente evidente. La molecola provoca l’inibizione della contrattilità della colecisti, con conseguente aumento dell’incidenza di calcoli di colesterolo nei soggetti trattati (20-30%); talvolta i pazienti hanno sviluppato sintomi che hanno richiesto il ricovero e il trattamento endoscopico o chirurgico. In questi pazienti è stata descritta la formazione di calcoli anche dopo la colecistectomia, sia nella via biliare principale che nelle vie biliari intra-epatiche. Il trattamento profilattico con acido ursodessossicolico non sembra utile. Likelihood score: E*.

Pioglitazone (2,5,37,53,54): non è associato ad aumento di AST e ALT. Nonostante la diffusione su larga scala del farmaco, in letteratura sono descritti poco più di una dozzina di casi di danno epatico clinicamente evidente, che esordisce nei primi sei mesi di utilizzo del farmaco, con quadro variabile tra epato-cellulare, colestatico e misto. Il danno in alcuni casi è evoluto verso l’insufficienza epatica acuta, ma nella maggioranza dei pazienti il recupero è stato completo nel corso dei 2-3 mesi successivi all’interruzione del trattamento. Non sono stati invece descritti casi di danno cronico epatico e/o biliare. Likelihood score: C.

Propiltiouracile (2,47,55): nei primi tre mesi di terapia si verifica frequentemente un aumento lieve, transitorio e asintomatico delle transaminasi, che si risolve anche continuando la terapia. Il propiltiouracile è anche associato a danno epatico clinicamente evidente, che si verifica in 1 caso su 1000, raramente con epatite fulminante e morte. Non è dose-dipendente, ma di tipo idiosincrasico, con esordio a distanza di 2-12 settimane dall’inizio della terapia. Il pattern è tipicamente di tipo epato-cellulare, in casi più rari misto o colestatico. L’interruzione della terapia non sempre garantisce la regressione del quadro clinico, che talvolta è evoluto in quadri di insufficienza epatica acuta. L’età adulta è meno soggetta a presentare l’evoluzione verso l’insufficienza epatica acuta rispetto ai bambini e agli adolescenti. Come per il metimazolo, anche per la tossicità da uso del propiltiouracile è necessario valutare la diagnosi differenziale con il danno epatico indotto dall’ipertiroidismo stesso, che può comunque rappresentare una concausa di gravità del danno. La terapia con derivati tioamidici deve essere somministrata con cautela nei pazienti con malattia epatica pre-esistente, anamnesi di abuso di alcool o epatite. Il trattamento deve essere interrotto se si verificano deterioramento della funzionalità epatica o altri segni di danno epatico e si può valutare l’uso del metimazolo in quanto la sua introduzione non è associata a recidiva del danno. Le ulteriori opzioni terapeutiche sono il radioiodio o l’intervento chirurgico. Likelihood score: A.

Repaglinide (2,44,56): il danno epatico in corso di terapia è possibile ma raro. La molecola può essere utilizzata nei pazienti con epatite cronica e cirrosi compensata, iniziando con la dose più bassa e procedendo con lenti incrementi sulla base di uno stretto monitoraggio. È consigliato invece evitarne l’uso nei pazienti con cirrosi scompensata. La repaglinide è quasi completamente metabolizzata nel fegato e i pazienti con funzionalità epatica compromessa possono essere esposti a concentrazioni più elevate del farmaco e dei suoi metaboliti, con aumentato rischio di gravi episodi ipoglicemici. Likelihood score: D.

Statine (2,5,44,57-63): sono associate ad aumento lieve, asintomatico e generalmente transitorio delle transaminasi, solitamente auto-limitante, spesso senza necessità di riduzione del dosaggio. Talvolta si può presentare anche un danno epatico clinicamente rilevante, sia nella forma epato-cellulare, sia colestatica, sia mista. La frequenza e l’epoca di insorgenza possono variare a seconda della molecola in esame. È indicato eseguire una valutazione delle transaminasi e degli indici di colestasi prima di iniziare la terapia e nel corso della terapia se clinicamente indicato. Nel caso in cui si verifichi un aumento anche sporadico di almeno 10 volte rispetto al l’ULN o persistente ≥ 5 ULN, è indicata la sospensione del farmaco; aumenti di minore severità spesso si risolvono spontaneamente, senza richiedere l’interruzione. Dovrebbe essere evitata la re-introduzione della stessa statina che aveva provocato il danno epatico, per l’elevato rischio di recidiva; il passaggio ad altra molecola è anch’esso a rischio: se effettuato, deve essere attentamente monitorato. L’utilizzo delle statine non è controindicato nei pazienti con epatite cronica, colangite biliare primitiva e cirrosi compensata, anzi può addirittura migliorare la fibrosi epatica. Una recente meta-analisi ha evidenziato come nella NAFLD le statine migliorino le transaminasi, la gamma-GT, la steatosi e l’infiammazione epatica, senza però effetti sulla fibrosi epatica. Si suggerisce comunque di iniziare il trattamento con il farmaco a bassa dose, incrementandola gradualmente in base alla risposta. In questi pazienti persiste la raccomandazione di monitoraggio delle ALT. Nei pazienti con cirrosi scompensata è raramente necessario l’uso di ipocolesterolemizzanti, in quanto questa fase della patologia epatica si associa solitamente a ipolipidemia anche in soggetti in passato dislipidemici. Nei pazienti in terapia con statine in cui si verifica uno scompenso della cirrosi epatica si può evidenziare una pronunciata risposta al farmaco per aumento delle concentrazioni plasmatiche.

  • Atorvastina: la frequenza del danno epatico clinicamente evidente è circa 1:3000-5000 pazienti trattati. La latenza è estremamente variabile, da un mese a diversi anni, anche se il danno è maggiormente frequente nei primi 6 mesi. Clinicamente può presentare le caratteristiche di un’epatite autoimmune, con riscontro di ANA positività e aumento delle immunoglobuline. In questi casi può non essere sufficiente la sospensione del farmaco, ma può essere necessaria la terapia steroidea o immuno-soppressiva a lungo termine. Likelihood score: A.
  • Fluvastatina: si associa ad aumento delle transaminasi, in genere lieve, asintomatico e transitorio. In meno dell’1% si verifica un aumento significativo al di sopra di 3 volte l’ULN, solitamente nei pazienti in trattamento con il dosaggio più alto. Il danno epatico clinicamente rilevante, con possibile evoluzione in insufficienza epatica acuta, rappresenta un evento piuttosto raro, di tipo misto o colestatico e si verifica tra il primo e il quarto mese dall’inizio del trattamento. Il farmaco non è stato associato allo sviluppo di insufficienza epatica cronica o da “Vanishing Bile Buct Syndrome”. Likelihood score: A.
  • Lovastatina: è associata ad aumenti delle transaminasi, spesso lievi, asintomatici e generalmente transitori. L’epato-tossicità è dose-dipendente ed è indicata l’interruzione se si presentano valori > 10 volte ULN o per valori persistentemente > 5 volte ULN. È raro il danno epatico clinicamente evidente, che si presenta con pattern tipicamente colestatico, con insorgenza variabile tra le poche settimane dall’inizio della terapia fino a diversi anni dopo. È descritta la sensibilità crociata al danno epatico tra lovastatina e prodotti a base di riso rosso fermentato. Prima di iniziare la terapia, si raccomanda di effettuare gli esami ematochimici per escludere la presenza di danno epato-cellulare o colestatico, e la ripetizione dei test in corso di terapia. In caso di insorgenza, le lievi alterazioni delle transaminasi si risolvono spontaneamente entro poche settimane anche senza interruzione. Nel caso in cui l’elevazione sia più marcata o persistente, è necessario sospendere definitivamente il farmaco. Likelihood score: B.
  • Pravastatina: la frequenza del danno epatico clinicamente evidente è ancor più rara rispetto alle altre statine (circa 1:100.000 pazienti trattati). La latenza è tra 2 e 9 mesi, la normalizzazione del quadro clinico si osserva dopo pochi mesi. Likelihood score: B.
  • Rosuvastatina: si associa a lieve aumento delle transaminasi (1-3% dei casi), asintomatico e transitorio. In circa l’1% si verifica un aumento significativo, > 3 volte dell’ULN, solitamente nei pazienti in trattamento con il dosaggio più alto. La rosuvastatina è anche raramente (1:10.000 pazienti) associata a danno epatico clinicamente evidente, il cui esordio si verifica solitamente dopo 2-4 mesi e presenta un pattern prevalentemente epato-cellulare. Non si può escludere un’evoluzione verso l’insufficienza epatica acuta. Alcuni quadri possono risultare simili all’epatite autoimmune e, in caso di mancato miglioramento tempestivo dopo la sospensione del farmaco, può essere indicata la terapia con corticosteroidi, di durata minima e seguita da attento follow-up. Likelihood score: A.
  • Simvastatina: nel 5% dei pazienti si riscontrano aumenti lievi, transitori e asintomatici delle ALT; aumenti moderati (> 3 volte l’ULN) nell'1-2% dei casi. Gli aumenti sono più frequenti nei soggetti che assumono dosi elevate in maniera cronica. Il danno epatico clinicamente rilevante è un evento estremamente raro, considerando anche l’enorme diffusione del farmaco; in tali contesti non si può comunque escludere un’evoluzione verso l’insufficienza epatica acuta. Il tempo di latenza può variare da pochi giorni a 3 anni, con una maggiore frequenza tra il primo e il sesto mese. Sono stati descritti anche quadri clinici simili all’epatite autoimmune, che hanno richiesto anche terapia immuno-soppressiva a lungo termine. Alla simvastatina sono stati attribuiti rari casi di insufficienza epatica acuta e morte. Seppur in studi con bassa numerosità, è stato valutato l’utilizzo della simvastina nel soggetto cirrotico: gli studi hanno dimostrato bassa tossicità epatica e muscolare con il dosaggio da 20 mg, e un netto aumento degli effetti collaterali con il dosaggio da 40 mg. Likelihood score: A.

Steroidi anabolizzanti androgeni (2,5,64,65): questa classe di farmaci è causa di danno epatico sotto diverse forme: ipertransaminasemia transitoria, sindrome colestatica acuta, danno vascolare, tumori primitivi epatici benigni e maligni. Quest’ultimi rappresentano la complicanza più severa e si manifestano in soggetti che li assumono da lungo tempo. In caso di danno epatico, è necessario raccomandare la sospensione totale, sconsigliando la riduzione della posologia o il passaggio a un'altra formulazione; la risoluzione del quadro appare comunque lenta. I pazienti con patologie epatiche pre-esistenti devono essere monitorati più attentamente: se la funzionalità epatica diminuisce o si verifica tossicità, la terapia deve essere sospesa. Likelihood score: A.

Sulfaniluree (2,5,44): l’uso di tutte le forme attualmente disponibili di questa classe di farmaci provoca raramente un danno epatico clinicamente rilevante. L’insorgenza del danno si verifica dopo 3-12 settimane dall'inizio della terapia, sotto forma di danno epato-cellulare, colestatico o misto, che si risolve rapidamente dopo l’interruzione. Questa categoria di farmaci è raramente associata a insufficienza epatica acuta. Nei pazienti con epatite cronica o cirrosi compensata le sulfoniluree possono essere prescritte, iniziando con la dose più bassa e procedendo con lenti incrementi sulla base di uno stretto monitoraggio. Questa categoria di farmaci deve essere evitata nei pazienti con cirrosi scompensata. Likelihood score: glibenclamide B; gliclazide D; glimepiride C; glipizide C.

Sunitinib (2,66,67): in circa il 40% dei soggetti trattati si osservano aumenti delle transaminasi, generalmente asintomatici e di grado lieve, e solo nel 2-3% il rialzo è > 5 volte l’ULN. In questi casi o quando il rialzo si associa anche ad aumento della bilirubina, è consigliato l’aggiustamento terapeutico o la sospensione transitoria del farmaco; la ripresa della terapia dovrà essere effettuata con dosaggio inferiore, eventualmente associato a prednisone (10-20 mg/die). In alcuni casi si può osservare anche iperbilirubinemia isolata di grado lieve-moderato, legata all’interazione tra il farmaco e l'UDP-glucuroniltransferasi epatica. Si possono osservare anche quadri di danno epatico clinicamente evidente, con pattern tipicamente epato-cellulare, e anche quadri clinici di encefalopatia epatica acuta, caratterizzati da confusione, irritabilità e aumento dell’ammoniemia, che regrediscono con la sospensione ma possono recidivare dopo la re-introduzione della terapia. Non sono descritti casi di reattività crociata con altri inibitori della tirosin-chinasi. In considerazione del rischio di danno epatico da sunitinib, è importante evitare l’uso di altri agenti epato-tossici. Likelihood score: B.

Tamoxifene (2,68): è stato associato a rari casi di danno epatico clinicamente evidente di tipo idiosincrasico, che si presenta solitamente entro i 6 mesi dall’inizio del trattamento e può avere un pattern prevalentemente colestatico ma anche misto o epato-cellulare. Nella maggior parte dei casi si tratta di un danno auto-limitante, ma sono stati anche descritti casi di insufficienza epatica. Il tamoxifene, se assunto per lunghi periodi, frequentemente, soprattutto nei soggetti con BMI elevato, induce steatosi semplice, talvolta steato-epatite e più raramente fibrosi e ipertensione portale. L’interruzione del farmaco determina un miglioramento, che però può essere molto lento. Il farmaco è stato associato anche ad aumentato rischio di trombosi venose, inclusa la trombosi portale. Si consiglia quindi il monitoraggio periodico delle ALT. In caso di valori persistentemente elevati, la prosecuzione della terapia deve essere valutata individualmente, misurando il rapporto rischi/benefici. In tale bilancio possono dare un contributo anche i sistemi non invasivi di valutazione delle fibrosi e talvolta anche la biopsia epatica. È consigliato comunque di eliminare i fattori che possono contribuire al danno, come alcool o BMI elevato. Il passaggio agli inibitori dell'aromatasi, come anastrozolo, letrozolo o exemestane, può rappresentare una valida alternativa. Likelihood score: B.

Temozolomide (2,7,70): in 1 caso su 10 si può verificare un aumento dell’AST, solitamente di modesta entità, che si auto-limita senza richiedere modiche della terapia. Più raramente si verifica epato-tossicità manifesta, con pattern misto nella fase iniziale e successivamente colestatico. Non sono stati descritti casi di re-introduzione della terapia dopo sospensione, mentre la sostituzione con altri agenti anti-neoplastici non ha portato a recidiva del danno epatico. Uno studio ha mostrato che la farmaco-cinetica della temozolomide in pazienti con cirrosi e compromissione epatica da lieve a moderata (classe Child-Pugh A - B) era simile a quella osservata nei pazienti con funzionalità epatica normale. Si deve usare cautela nella somministrazione a pazienti con grave compromissione epatica. Il farmaco si può associare anche a riattivazione dell’HBV nei soggetti con infezione occulta all’inizio della terapia. L’epatite HBV è risultata responsiva alla terapia anti-virale, che ha consentito talvolta anche di riprendere il temozolomide. Si raccomanda quindi lo screening per HBsAg, anti-HBc Ab e HBsAb in coloro che devono iniziare la terapia. Nei pazienti con evidenza sierologica di epatite B in corso o pregressa, deve essere monitorato l’HBV-DNA, iniziando la terapia anti-virale se positivo. Un’alternativa può essere somministrare la terapia anti-virale in profilassi durante il trattamento e nei 6 mesi successivi. Likelihood score: B.

Teriparatide (2): non è associato a epato-tossicità. Likelihood score: E.

Vaptani (1,2,71,72): in circa il 4-5% dei pazienti trattati è stato documentato a livello biochimico un danno epato-cellulare o misto, clinicamente evidente nello 0.1% dei casi, con tempo di latenza variabile tra 3 e 9 mesi. La sintomatologia era caratterizzata da ittero, astenia, nausea e dolori addominali. L’esame istologico documentava un quadro di epatite acuta con lieve colestasi. L’interruzione della terapia ha portato a risoluzione del quadro clinico nell’arco di 1-3-mesi. In un solo caso è stata documentata la necessità di trapianto epatico. La re-introduzione della terapia dovrebbe essere evitata, perché può comportare recidiva del danno. Non ci sono informazioni sulla sensibilità crociata. L'uso di tolvaptan nei pazienti con cirrosi va valutato da caso a caso a livello specialistico, ma andrebbe evitato, poiché la capacità di recupero dal danno epatico può essere compromessa. Likelihood score: C.

Triptorelina (2): nessuna segnalazione di epato-tossicità. Gli studi clinici hanno mostrato che i soggetti con insufficienza epatica avevano un'esposizione maggiore al farmaco. Si raccomanda cautela e monitoraggio degli eventi avversi. Likelihood score: E.

 


BIBLIOGRAFIA

  1. European Association for the Study of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: drug-induced liver injury. J Hepatol 2019, 70: 1222–61.
  2. LiverTox. Clinical and Research Information on Drug-Induced Liver Injury. livertox.nih.gov (ultimo accesso 3 novembre 2022).
  3. Chao C-T, Wang J, Huang J-W, Chien K-L. Acarbose use and liver injury in diabetic patients with severe renal insufficiency and hepatic diseases: a propensity score-matched cohort study. Front Pharmacol 2018, 9: 860.
  4. el Shahawy M, Cannon CP, Blom DJ, et al. Efficacy and safety of alirocumab versus ezetimibe over 2 years (from ODYSSEY COMBO II). Am J Cardiol 2017, 120: 931–9.
  5. Chalasani N, Bonkovsky HL, Fontana R, et al. Features and outcomes of 899 patients with drug-induced liver injury: the DILIN prospective study. Gastroenterology 2015, 148: 1340-52.e7.
  6. Tomao F, Spinelli G, Vici P, et al. Current role and safety profile of aromatase inhibitors in early breast cancer. Expert Rev Anticancer Ther 2011, 11: 1253–63.
  7. Zapata E, Zubiaurre L, Bujanda L, Pirola A. Anastrozole-induced hepatotoxicity. Eur J Gastroenterol Hepatol 2006, 18: 1233–4.
  8. Guañabens N, Monegal A, Cerdá D, et al. Randomized trial comparing monthly ibandronate and weekly alendronate for osteoporosis in patients with primary biliary cirrhosis. Hepatology 2013, 58: 2070–8.
  9. Tadrous M, Wong L, Mamdani MM, et al. Comparative gastrointestinal safety of bisphosphonates in primary osteoporosis: a network meta-analysis. Osteoporos Int 2014, 25: 1225–35.
  10. Reid IR. Short-term and long-term effects of osteoporosis therapies. Nat Rev Endocrinol 2015, 11: 418–28.
  11. Rossini M, Adami G, Adami S, et al. Safety issues and adverse reactions with osteoporosis management. Expert Opin Drug Saf 2016, 15: 321–32.
  12. Schneider JS, Montani M, Stickel F. Drug-induced autoimmune hepatitis following treatment with zoledronic acid. Case Rep Gastroenterol 2017, 11: 440–5.
  13. Lee HL, Bae SH, Jang B, et al. Reactivation of Hepatitis C Virus and its clinical outcomes in patients treated with systemic chemotherapy or immunosuppressive therapy. Gut Liver 2017, 11: 870–7.
  14. European Association for the Study of the Liver. EASL 2017 Clinical Practice Guidelines on the management of hepatitis B virus infection. J Hepatol 2017, 67: 370–98.
  15. Bessone F, Lucena M, Roma MG, et al. Cyproterone acetate induces a wide spectrum of acute liver damage including corticosteroid-responsive hepatitis: report of 22 cases. Liver Int 2016, 36: 302–10.
  16. Figueiredo JBP, Nastri CO, Vieira ADD, Martins WP. Clomiphene combined with gonadotropins and GnRH antagonist versus conventional controlled ovarian hyperstimulation without clomiphene in women undergoing assisted reproductive techniques: systematic review and meta-analysis. Arch Gynecol Obstet 2013, 287: 779–90.
  17. Itoh S, Igarashi M, Tsukada Y, Ichinoe A. Nonalcoholic fatty liver with alcoholic hyalin after long-term glucocorticoid therapy. Acta Hepatogastroenterol (Stuttg) 1977, 24: 415–8.
  18. Wald J, Farr R. Abnormal liver-function tests associated with long-term systemic corticosteroid use in subjects with asthma. J Allergy Clinic Immunol 1991, 88: 277–8.
  19. Shiota G, Harada K, Oyama K, et al. Severe exacerbation of hepatitis after short-term corticosteroid therapy in a patient with “latent” chronic hepatitis B. Liver 2000, 20: 415–20.
  20. Etminan M, Delaney JAC, Bressler B, Brophy JM. Oral contraceptives and the risk of gallbladder disease: a comparative safety study. CMAJ 2011, 183: 899–904.
  21. Lieberman DA, Keeffe EB, Stenzel P. Severe and prolonged oral contraceptive jaundice. J Clin Gastroenterol 1984, 6: 145–8.
  22. Steinbrecher UP, Lisbona R, Huang SN, Mishkin S. Complete regression of hepatocellular adenoma after withdrawal of oral contraceptives. Dig Dis Sci 1981, 26: 1045–50.
  23. Boake WC. Intrahepatic cholestatic jaundice of pregnancy followed by enovid-induced cholestatic jaundice. Ann Intern Med 1965, 63: 302.
  24. Bourgeois AL, Auriche P, Palmaro A, et al. Risk of hormonotherapy in transgender people: literature review and data from the French Database of Pharmacovigilance. Ann Endocrinol (Paris) 2016, 77: 14–21.
  25. Stannov SU, Ries A, Bang UC. Hepatotoxicity induced by a second-generation combined oral contraceptive: case report and review of the literature. Eur J Contracept Reprod Health Care 2019, 24: 322–4.
  26. Abdel-Rahman O, Fouad M. Risk of fatigue and hepatic and metabolic toxicities in patients with solid tumors treated with everolimus: a meta-analysis. Future Oncol 2015, 11: 79–90.
  27. Mir O, Toulmonde M, Coriat R, et al. Hepatitis B reactivation during everolimus treatment. Acta Oncol (Madr) 2016, 55: 1505–6.
  28. Kanagalingam T, Lazarte J, Wong DKH, Hegele RA. Liver injury associated with ezetimibe monotherapy. CJC Open 2021, 3: 195–7.
  29. Ho C-Y, Kuo T-H, Chen T-S, et al. Fenofibrate-induced acute cholestatic hepatitis. J Chin Med Assoc 2004, 67: 245–7.
  30. Rigal J, Furet Y, Autret E, Breteau M. Hépatite mixte sévère au fénofibrate? Revue de la littérature à propos d’un cas. Rev Med Interne 1989, 10: 65–7.
  31. Geng Q, Ren J, Chen H, Lee C, Liang W. Adverse events following statin-fenofibrate therapy versus statin alone: a meta-analysis of randomized controlled trials. Clin Exp Pharmacol Physiol 2013, 40: 219–26.
  32. Domínguez Tordera P, Comellas Alabern JF, Ronda Rivero F. Gemfibrozil hepatotoxicity: a case report. Int J Clin Pharm 2011, 33: 730–2.
  33. Hirshburg JM, Kelsey PA, Therrien CA, et al. Adverse effects and safety of 5-alpha reductase inhibitors (finasteride, dutasteride): a systematic review. J Clin Aesthet Dermatol 2016, 9: 56–62.
  34. Castelo-Branco C, Hernández-Angeles C, Alvarez-Olivares L, Balasch J. Long-term satisfaction and tolerability with low-dose flutamide: a 20-year surveillance study on 120 hyperandrogenic women. Gynecol Endocrinol 2016, 32: 723–7.
  35. Bolton EM, Lynch T. Are all gonadotrophin-releasing hormone agonists equivalent for the treatment of prostate cancer? A systematic review. BJU Int 2018, 122: 371–83.
  36. Rehman MB, Tudrej BV, Soustre J, et al. Efficacy and safety of DPP-4 inhibitors in patients with type 2 diabetes: meta-analysis of placebo-controlled randomized clinical trials. Diabetes Metab 2017, 43: 48–58.
  37. Hernández N, Bessone F, Sánchez A, et al. Profile of idiosyncratic drug induced liver injury in Latin America: an analysis of published reports. Ann Hepatol 2014, 13: 231–9.
  38. White WB, Cannon CP, Heller SR, et al. Alogliptin after acute coronary syndrome in patients with type 2 diabetes. N Engl J Med 2013, 369: 1327–35.
  39. Asakawa M, Mitsui H, Akihisa M, et al. Efficacy and safety of sitagliptin for the treatment of diabetes mellitus complicated by chronic liver injury. Springerplus 2015, 4: 346.
  40. Toyoda-Akui M, Yokomori H, Kaneko F, et al. A case of drug-induced hepatic injury associated with sitagliptin. Int Med 2011, 50: 1015–20.
  41. Rosenstock J, Seman LJ, Jelaska A, et al. Efficacy and safety of empagliflozin, a sodium glucose cotransporter 2 (SGLT2) inhibitor, as add-on to metformin in type 2 diabetes with mild hyperglycaemia. Diabetes Obes Metab 2013, 15: 1154–60.
  42. Bajaj HS, Brown RE, Bhullar L, et al. SGLT2 inhibitors and incretin agents: associations with alanine aminotransferase activity in type 2 diabetes. Diabetes Metab 2018, 44: 493–9.
  43. Sherigar JM, Castro J de, Yin YM, et al. Glycogenic hepatopathy: a narrative review. World J Hepatol 2018, 10: 172–85.
  44. Lewis JH, Stine JG. Review article: prescribing medications in patients with cirrhosis - a practical guide. Aliment Pharmacol Ther 2013, 37: 1132–56.
  45. Richeldi L. Assessing the treatment effect from multiple trials in idiopathic pulmonary fibrosis. Eur Respir Rev 2012, 21: 147–51.
  46. Kyriakidis I, Tragiannidis A, Munchen S, Groll AH. Clinical hepatotoxicity associated with antifungal agents. Expert Opin Drug Saf 2016, 16: 1–17.
  47. Suzuki N, Noh JY, Hiruma M, et al. Analysis of antithyroid drug-induced severe liver injury in 18,558 newly diagnosed patients with Graves’ disease in Japan. Thyroid 2019, 29: 1390–8.
  48. Kapur A, Angomchanu R, Dey M. Efficacy of use of long-term, low-dose mifepristone for the treatment of fibroids. J Obstet Gynaecol India 2016, 66: 494–8.
  49. Khalil H, Ellwood L, Lord H, Fernandez R. Pharmacological treatment for obesity in adults: an umbrella review. Ann Pharmacother 2020, 54: 691–705.
  50. Montero JL, Muntané J, Fraga E, et al. Orlistat associated subacute hepatic failure. J Hepatol 2001, 34: 173.
  51. Mandel SJ. Levothyroxine therapy in patients with thyroid disease. Ann Intern Med 1993, 119: 492-502.
  52. Öberg K, Lamberts SWJ. Somatostatin analogues in acromegaly and gastroenteropancreatic neuroendocrine tumours: past, present and future. Endocr Relat Cancer 2016, 23: R551–66.
  53. Kung J, Henry RR. Thiazolidinedione safety. Expert Opin Drug Saf 2012, 11: 565–79.
  54. Drugs for type 2 diabetes. Med Lett Drugs Ther 2017, 59: 9–18.
  55. Yang J, Li L, Xu Q, et al. Analysis of 90 cases of antithyroid drug-induced severe hepatotoxicity over 13 years in China. Thyroid 2015, 25: 278–83.
  56. Marshall V, Wilton L, Shakir S. Safety profile of repaglinide as used in general practice in England: results of a prescription-event monitoring study. Acta Diabetol 2006, 43: 6–13.
  57. Cai T, Abel L, Langford O, et al. Associations between statins and adverse events in primary prevention of cardiovascular disease: systematic review with pairwise, network, and dose-response meta-analyses. BMJ 2021, 374: n1537.
  58. Hartleb M, Rymarczyk G, Januszewski K. Acute cholestatic hepatitis associated with pravastatin. Am J Gastroenterol 1999, 94: 1388–90.
  59. Simon TG. When less is more: dosing simvastatin in decompensated cirrhosis. Lancet Gastroenterol Hepatol 2020, 5: 3–5.
  60. Pose E, Napoleone L, Amin A, et al. Safety of two different doses of simvastatin plus rifaximin in decompensated cirrhosis (LIVERHOPE-SAFETY): a randomised, double-blind, placebo-controlled, phase 2 trial. Lancet Gastroenterol Hepatol 2020, 5: 31–41.
  61. Sung S, Al-Karaghouli M, Kalainy S, et al. A systematic review on pharmacokinetics, cardiovascular outcomes and safety profiles of statins in cirrhosis. BMC Gastroenterol 2021, 21: 120.
  62. Marrache MK, Rockey DC. Statins for treatment of chronic liver disease. Curr Opin Gastroenterol 2021, 37: 200-7.
  63. Boutari C, Pappas PD, Anastasilakis D, et al. Statins' efficacy in non-alcoholic fatty liver disease: a systematic review and meta-analysis. Clin Nutr 2022, 41: 2195-206.
  64. Hassan A, Fontana R. Liver injury associated with sporting activities. Semin Liver Dis 2018, 38: 357–65.
  65. Zheng E, Sandhu N, Navarro V. Drug-induced liver injury secondary to herbal and dietary supplements. Clin Liver Dis 2020, 24: 141–55.
  66. Shantakumar S, Nordstrom BL, Djousse L, et al. Occurrence of hepatotoxicity with pazopanib and other anti-VEGF treatments for renal cell carcinoma: an observational study utilizing a distributed database network. Cancer Chemother Pharmacol 2016, 78: 559–66.
  67. Bunchorntavakul C, Reddy KR. Drug hepatotoxicity. Clin Liver Dis 2017, 21: 115–34.
  68. Yoo J-J, Lim YS, Kim MS, et al. Risk of fatty liver after long-term use of tamoxifen in patients with breast cancer. PLoS One 2020, 15: e0236506.
  69. Bonkovsky HL, Kleiner DE, Gu J, et al. Clinical presentations and outcomes of bile duct loss caused by drugs and herbal and dietary supplements. Hepatology 2017, 65: 1267–77.
  70. Desai VCA, Quinlan SC, Deitz AC, et al. Risk of severe acute liver injury among patients with brain cancer treated with temozolomide: a nested case-control study using the healthcore integrated research database. J Neurooncol 2017, 134: 89–95.
  71. Raina R, Chakraborty R, DeCoy ME, Kline T. Autosomal-dominant polycystic kidney disease: tolvaptan use in adolescents and young adults with rapid progression. Pediatr Res 2021, 89: 894–9.
  72. Muto S, Okada T, Yasuda M, et al. Long-term safety profile of tolvaptan in autosomal dominant polycystic kidney disease patients: TEMPO Extension Japan Trial. Drug Healthc Patient Saf 2017, 9: 93–104.
Stampa

Silvio Settembrini1 & Alessandra Fusco2
1Servizio di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, DS 26, Unità di Nefro-Diabetologia, UOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale dei Pellegrini, Napoli
2Ambulatorio di Endocrinologia e Diabetologia, Centro Acismom, Napoli

(aggiornato al 25 luglio 2017)

 

FUNZIONI DEL RENE

Il rene è considerato l’organo deputato a mantenere l’equilibrio dell’organismo e a regolare l’omeostasi dell’ambiente interno (plasma e liquido interstiziale).
È un organo a elevata specializzazione funzionale, le cui caratteristiche biochimiche sono contraddistinte da uno specifico network molecolare, variamente disposto nei diversi siti del nefrone, consistente in specifiche proteine strutturali ed enzimatiche, recettori e trasportatori, che mediano i segnali in arrivo (chimico-fisici, emodinamici e ormonali) in una corrispondente attività in uscita. Per tali motivi, il rene può essere considerato un organo di trasduzione bidirezionale: organo endocrino – bersaglio endocrino, con peculiarità autocrino-paracrine connesse alle finalità funzionali (1,2).
L’unità funzionale del rene è il nefrone; nell’uomo ci sono circa 1.2 milioni di nefroni per ogni rene. La tabella 1 riassume le fondamentali funzioni del rene.

 

Tabella 1
Funzioni del rene
Emuntoria Eliminazione dei prodotti finali del catabolismo azotato: urea, acido urico, creatinina, solfati, ecc.
Detossificazione dell’organismo da composti tossici e numerosi farmaci, con conseguente eliminazione.
Regolazione del liquido extra-cellulare Regolazione del volume (contenuto idrico dell’organismo), tramite ultra-filtrazione glomerulare, riassorbimento tubulare (passaggio selettivo di sostanze utili dall’ultra-filtrato al sangue) e secrezione tubulare (con passaggio di sostanze dal sangue nell’ultra-filtrato). Si modulano così recupero ed eliminazione di acqua (clearance dell'acqua libera), con conseguente escrezione di urina che, in base alle esigenze dell'equilibrio idrico ed elettrolitico, può essere ipertonica, isotonica o ipotonica (cioè con concentrazione di soluti maggiore, uguale o minore rispetto a quella del sangue).
Regolazione dell’osmolarità del liquido extra-cellulare, mediante riassorbimento di Na+ e acqua.
Regolazione della concentrazione ematica di metaboliti e ioni Regolazione del pH ematico e dell’equilibrio acido base, mediante riassorbimento e produzione ed eliminazione di bicarbonato e secrezione di idrogenioni.
Na+, K+, Cl-, PO43-, Ca2+, glucosio, aminoacidi, acido urico, urea, mediante integrazione tra processi di filtrazione e riassorbimento.
Funzione metabolica Produzione e degradazione di ormoni, citochine, autacoidi.
Gluconeogenesi.
Controllo dell’attività emopoietica, con formazione, maturazione e produzione di globuli rossi.

 

Nel soggetto adulto a riposo il rene riceve circa il 20-25% della portata cardiaca (anche se la massa dei reni rappresenta solo lo 0.5% della massa corporea totale): ≈ 1200 mL/min; ≈ 1700 L/die; ≈ 63.000 L/anno; ≈ 44 milioni L in 70 anni.
Il flusso plasmatico renale è circa il 55% del flusso ematico renale, il volume del filtrato glomerulare è circa il 20% del flusso plasmatico renale: ≈ 180 L/die; ≈ 5 milioni L in 70 anni.
Il volume di urina prodotta è ≈ 1 mL/min, ≈ 1.5 L/die, ≈ 550 L/anno, ≈ 38500 litri in 70 anni.
Più del 99% del liquido filtrato dai reni deve tornare nel sangue (1,2).

 

IL RENE “METABOLICO”

Le attività metaboliche del rene variano in base all’area anatomo-funzionale.
L’area corticale, molto fornita di mitocondri, presenta uno spiccato metabolismo ossidativo tramite β-ossidazione degli acidi grassi (essenzialmente dell'acido palmitico), gluconeogenesi (a partire da lattato, glicerolo e aminoacidi gluconeogenici, soprattutto glutammina) e chetogenesi (in misura minore rispetto al fegato).
L’area midollare, scarsamente vascolarizzata (capta solo il 10% dell’ossigeno che arriva al rene) e poco fornita di mitocondri, energeticamente sviluppa solo la glicolisi, esclusivamente anaerobia, con produzione di acido lattico; il glucosio che viene utilizzato dalla midollare proviene o dal circolo ematico o dalla produzione corticale.
I reni, pur rappresentando insieme circa lo 0.5% del peso corporeo, consumano l’8–10% del metabolismo basale corporeo. Pertanto, l’elevato metabolismo energetico renale comporta un consistente consumo di O2, circa il 30-35% dell’O2 utilizzato/kg di peso renale, comparabile alle prestazioni energetiche del miocardio. Circa il 70-80% dell’energia sviluppata dal rene è adoperata nei meccanismi di trasporto attivo, finalizzati alla ricaptazione di molecole e ioni ultra-filtrati dal glomerulo (1,2).
I reni hanno anche importanti funzioni endocrine (3), secernendo diversi ormoni ad azione sistemica.

 

Tabella 2
Sostanze ad azione ormonale e rene
  Produzione Azione
Renina x  
Angiotensina x  
Aldosterone   x
Eritropoietina x  
Prostaglandine x x
Leucotrieni x  
Sistema callicreina-chinine x  
Fattore natriuretico renale x  
Calcitriolo x x
ADH   x
FGF-23   x
GH   x
T3   x
PTH   x
Catecolamine   x
Endotelina x x
Insulina   x
Glucagone, GLP-1   x

 

Sistema renina-angiotensina (4,5)
La renina è un enzima proteolitico di 340 aminoacidi della classe delle idrolasi, secreto dalle cellule iuxta-glomerulari del rene, che trasforma l'angiotensinogeno (glicoproteina plasmatica di produzione soprattutto epatica ma rilasciata anche, costitutivamente, da cuore, vasi, reni e tessuto adiposo), in angiotensina I. Questa è un decapeptide, con scarsa attività biologica, che per opera di una chininasi II, l’ACE (solubile o localizzato su membrane cellulari, specie endoteliali, e a livello dei microvilli dell’orletto a spazzola del tubulo prossimale), viene idrolizzata con distacco dei 2 aminoacidi COOH- terminali, formando così l’angiotensina II. Questa ha una potente attività vasocostrittrice diretta, stimola il rilascio di aldosterone e ADH e a livello ipotalamico stimola il senso della sete. L’aldosterone agisce sul tubulo distale, favorendo il riassorbimento di Na+. Contemporaneamente, l'aumento di pressione sanguigna determinato dall'angiotensina II proprio a livello glomerulare fa aumentare l'ultra-filtrazione e la concentrazione di Na+ tubulare.
La regolazione della secrezione di renina è principalmente dipendente da tre fattori:

  • fattori che riducono la pressione di perfusione renale, grazie a barocettori delle cellule juxta-glomerulari che percepiscono l'aumento o la diminuzione pressoria;
  • riduzione della concentrazione di sodio nel tubulo distale, rilevata dalle cellule della macula densa, capaci di mandare alle cellule juxta-glomerulari segnali positivi attraverso le prostaglandine e negativi attraverso l'adenosina, stimolando o inibendo la secrezione di renina;
  • liberazione di noradrenalina dalle terminazioni simpatiche, con stimolazione diretta dei recettori ß1 presenti nel rene; questi possono essere stimolati da tutti i farmaci ad azione simpatico-mimetica (come adrenalina e noradrenalina).

I valori di renina tenderanno quindi ad essere più elevati in caso di dieta iposodica, in gravidanza, in terapie con diuretici, anti-ipertensivi, estrogeni ed estro-progestinici.
Riduzioni di pressione e volemia determinano una cascata di eventi:

  • ipertono simpato-adrenergico (per ridotte afferenze inibitorie baro-recettoriali), che, insieme alla diminuita perfusione renale e alla ridotta concentrazione luminale di sodio afferente alla macula densa (cellula sensing del sodio), stimola il rilascio di renina;
  • la renina attiva l’angiotensina II, che riduce la filtrazione glomerulare e l’escrezione di acqua e sodio (insieme con l’aldosterone), determinando così il riequilibrio di volume ed elettroliti;
  • l’ADH provoca riassorbimento di acqua nel tubulo collettore (solitamente impermeabile all’acqua).

 

Tabella 3
Influenze su Angiotensinogeno e Renina
  Angiotensinogeno Renina
Aumento Glucocorticoidi
Estrogeni
Angiotensina II
Nefrectomia
Legatura degli ureteri
Sindrome di Cushing
Gravidanza
Prostaglandina E2
Prostaciclina
Callicreina
Istamina
Glucagone
Paratormone
Ipocalcemia
Iposodiemia
Gravidanza, estro-progestinici
Diuretici
Diminuzione Angiotensina
Prostaglandine F
Carico idrosalino
Angiotensina II
ADH
Peptide natriuretico atriale
Noradrenalina
Endotelina
Prostaglandine F
Ipercalcemia
Iperpotassiemia

 

 

Eritropoietina
È una glicoproteina acida, costituita da una singola catena di 165 aminoacidi e da 4 catene oligosaccaridiche, con emivita di circa 3/4 ore.
Durante la vita fetale è prodotta dal fegato, mentre la produzione renale inizia durante gli ultimi mesi di gestazione e si completa alla nascita (resta comunque una minima attività epatica, che può arrivare al 10% in caso di anemia grave). La produzione renale avviene nei fibroblasti peri-tubulari della corticale e della midollare alta.
Lo stimolo alla produzione di EPO è legato a un sensore per l’ossigeno localizzato nelle cellule del tubulo prossimale e la cui azione è legata al consumo dell’O2 per il riassorbimento di Na. Alcune molecole partecipano alla trasmissione del segnale: prostaglandine, adenosina, androgeni, composti di ossigeno attivati, agonisti ß2-adrenergici, AMP-ciclico e NO. L’adenosina ha un ruolo fondamentale nella biosintesi dell’EPO, attraverso la stimolazione di protein-chinasi A, che porta alla fosforilazione di proteine nucleari utili per la trascrizione e/o la trasduzione del gene dell’EPO.
EPO è un importante regolatore dell’eritropoiesi: poiché la corticale del rene ha un elevato metabolismo aerobico, è molto sensibile all'apporto di ossigeno con il sangue. Se tale apporto diminuisce, le cellule della corticale immettono nel sangue EPO, che stimola il midollo osseo ad aumentare l'eritropoiesi: più eritrociti in circolo, infatti, significano maggiore possibilità di trasporto di ossigeno (6).

 

Prostaglandine
Sono acidi grassi insaturi ubiquitari, di cui esistono almeno 5 sedi di produzione a livello renale: parete vascolare di arterie e arteriole, glomerulo con capsula di Bowman, cellule epiteliali dei dotti collettori e dei tubuli corticali, cellule interstiziali della midollare.
Alcuni fattori agiscono sulla fosfolipasi stimolandone la sintesi: angiotensina II, ADH, bradichinina, noradrenalina, dieta ad alto contenuto sodico, iperosmolarità, infusione di soluzioni glucosate ipertoniche, di NaCl e mannitolo, furosemide.
Non sono noti i meccanismi di inibizione, ma alcuni farmaci intervengono a diversi livelli:

  • inibiscono la fosfolipasi: corticosteroidi, calcio-antagonisti, mepacrina e sulfaniluree;
  • inibiscono la ciclo-ossigenasi: alcuni FANS.

Le prostaglandine antagonizzano l’azione di vasocostrittori (noradrenalina e angiotensina II) e diuretici, determinando vasodilatazione renale e quindi intervenendo nei meccanismi di auto-regolazione renale.
Sono implicate nel controllo della secrezione di renina (ne stimolano la secrezione in risposta a ipovolemia e la loro stessa sintesi è incrementata dall’angiotensina II), nella regolazione del tono vascolare, nel controllo della funzione tubulare, inibiscono il riassorbimento di Na, si oppongono al riassorbimento di acqua indotto da ADH. Hanno quindi effetto diuretico e natriuretico. Anche l’azione dei diuretici dell’ansa è in parte mediata dallo stimolo alla sintesi delle prostaglandine (7,8).

 

Leucotrieni
Sono mediatori coinvolti in reazioni di ipersensibilità e di flogosi, responsabili di un potente effetto costrittore sulle cellule muscolari lisce di tutti i distretti, di un’azione vaso-permeabilizzante e di uno stimolo chemiotattico. I leucotrieni riducono l’osmolalità urinaria, aumentano il flusso urinario e svolgono un ruolo nell’escrezione di acqua.
Tra i leucotrieni, il 12-HETE è il principale prodotto delle cellule glomerulari, mesangiali ed epiteliali, responsabile di leucotassi e degranulazione leucocitaria (9).

 

Il sistema callicreina-chinine
Le callicreine sono proteasi che agiscono sul chininogeno, trasformandolo in chinina. La concentrazione della callicreina nel rene è maggiore nella corticale, decrescendo verso la midollare e le papille.
Le chinine attuano i loro effetti intra-renali attraverso lo stimolo alla sintesi di PGE-2 e di PGI-2. Il sistema agisce come vasodilatatore, soprattutto nelle zone juxta-midollari. Agiscono sull’equilibrio idrosodico, incrementando la diuresi e la natriuresi, grazie alla vasodilatazione, a un effetto tubulare diretto e a un’azione antagonista sull’ADH (8).

 

Endotelina
È la più potente sostanza endogena ad azione vasocostrittrice, sintetizzata nelle cellule endoteliali di tutto il macrocircolo, particolarmente a livello renale (nell’endotelio, nel mesangio e nelle cellule epiteliali della papilla).
Usualmente liberata in seguito a danno tissutale, la sua sintesi può essere stimolata da trombina, adrenalina, modificazioni della viscosità ematica, bradichinina, interleuchina 1, endotossina (anche in assenza di danno tissutale).
Ha azione costrittiva sulle cellule muscolari lisce e sui bronchi, cronotropa e inotropa positiva, interferisce con il trasporto ionico e la neurotrasmissione, regola la sintesi di prostaglandine, inibisce la renina, stimola la produzione di fattori natriuretici atriali.
A livello renale determina aumento delle resistenze (arteriola afferente > efferente), contrazione mesangiale e riduzione di flusso e filtrato. A questo si associa un aumento del volume urinario e dell’escrezione sodica per la liberazione dei fattori natriuretici atriali. Sul mesangio determina mitogenesi e aumento della matrice e sembra coinvolta nell’insufficienza renale acuta post-ischemica (10).

 

Fattore natriuretico renale
Sintetizzato nelle cellule corticali del nefrone distale, è strutturalmente identico al natriuretico atriale, con gli stessi effetti (11).

 

Vitamina D
Il PTH stimola il rene a produrre una 1-alfa-idrossilasi, che attiva la vitamina D prodotta dalla pelle e idrossilata in posizione 25 a livello epatico, trasformandola in calcitriolo, il suo metabolita attivo. Questo, a sua volta, stimola il riassorbimento di Ca2+ a livello del tubulo contorto distale (oltre a stimolare l’assorbimento intestinale di calcio e fosfato e ad avere effetti sull’osso) (12,13).

 

ADH/vasopressina
Sintetizzato nei nuclei ipotalamici sopra-ottico e para-ventricolare, modula il riassorbimento dell’acqua a livello del tubulo distale e soprattutto del dotto collettore.
Il rilascio di ADH è regolato da:

  • iperosmolarità (> 280 mOsm/L);
  • riduzione del volume extra-cellulare con soglia al 10%, tramite segnali stimolatori provenienti da barocettori cardiaci e vene polmonari, inibitori da aorta e seno carotideo;
  • segnali stimolatori di angiotensina II, prostaglandine, acetilcolina, farmaci (alcaloidi della vinca, clofibrato, anti-depressivi triciclici, nicotina, isoproterenolo, carbamazepina, litio);
  • segnali inibitori di peptidi oppioidi, fattore natriuretico atriale, farmaci (alcool, fenitoina, steroidi).

Agisce tramite recettori:

  • V1, localizzati a livello di rene (cellule mesangiali, vasa recta, midollare), vasi, fegato, piastrine, accoppiati a PLC; a livello renale controllano filtrazione glomerulare, flusso ematico midollare e sintesi prostaglandine;
  • V2 (con affinità molto maggiore dei V1), localizzati a livello di dotti collettori e porzione ascendente dell’ansa di Henle, accoppiati ad adenil-ciclasi; inseriscono acquaporina-2 (shuttle intra-cellulare per l’acqua) nella membrana cellulare dal compartimento intra-cellulare (14).

 

Klotho e FGF-23
L’FGF-23 prodotto dagli osteoblasti e osteoclasti ossei esercita le proprie attività biologiche attraverso l’interazione con un recettore di membrana (FGF-R). Vista la bassa affinità di FGF-23 per il suo recettore, è necessaria la presenza di cofattori. Klotho è una proteina prodotta a livello renale, necessaria per consentire l’attività ormonale di FGF-23. Questa interazione è di grande importanza per il metabolismo calcio-fosforo, in quanto l’FGF-23 riduce il riassorbimento tubulare dei fosfati, aumentandone l’escrezione urinaria, e Klotho inibisce la produzione di eccessive quantità di vitamina D attiva agendo sull'1-alfa-idrossilasi renale. Pertanto, il legame funzionale tra fosforemia, vitamina D ed FGF-23 è particolarmente sinergico. Elevati livelli sierici di fosfato e/o calcitriolo stimolano la produzione di FGF-23 da parte delle cellule ossee. L’interazione Klotho-FGF23 a livello renale incrementa l’endocitosi e inibisce la sintesi del co-trasportatore Na–Pi2a a livello tubulare. Di conseguenza, si riduce il riassorbimento renale di fosfato, con conseguente calo dei livelli sierici. Anche l’attivazione dell’FGF-R inibisce l’1-alfa-idrossilasi e stimola la sintesi della 24,25-idrossilasi, riducendo quindi la produzione di calcitriolo (15).

 

Insulina, GLP-1, glucagone
Insulina, GLP1 e glucagone svolgono un ruolo di grande importanza a livello renale, in quanto partecipano al controllo interattivo del riassorbimento di sodio e acqua.
L’insulina favorisce il riassorbimento di sodio, sia a livello tubulare prossimale, dove aumenta l’attività dello scambiatore sodio-idrogeno NHE3, sia a livello del tubulo distale, dove attraverso una chinasi glucocorticoide-dipendente SGK1 riduce l’ubiquinazione del canale epiteliale del sodio ENaC, fosforilando una proteina, NEDD 4-2. Pertanto, ENaC è up-regolata dall’aldosterone nella sua attività di riassorbimento del sodio, mentre l’insulina ne riduce la degradazione (16).
Il GLP-1, invece, ha attività contro-regolatorie rispetto all’insulina, in quanto inibisce lo scambiatore NHE3 nel tubulo prossimale, con una spiccata attività natriuretica (17,18) e riduce inoltre il riassorbimento di sodio e acqua indotto dall’ADH, bloccandone il trasporto di acqua con un meccanismo PGE2-mediato (19,20); inoltre, inibisce il signaling post-recettoriale mesangiale dell’angiotensina II (21).
Il glucagone, a sua volta, ha attività anti-diuretiche, con un’attività ADH-mimetica, aumentando il filtrato glomerulare e inducendo, in condizioni di inappropriata secrezione ormonale, espansione mesangiale con aumento di matrice (22,23).

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Brenner and Rector’s. The Kidney, 11th Elsevier 2016.
  2. Renal Physiology, 5th Elsevier-Mosby Physiology Monograph Series 2013.
  3. Singh AK, Williams GH. Textbook of Nephro-Endocrinology. Academic Press-Elsevier 2009.
  4. Kobori H, et al. The intrarenal renin-angiotensin system: from physiology to the pathobiology of hypertension and kidney disease. Pharmacol Rev 2007, 59: 251-87.
  5. Peach MJ. Renin-angiotensin system: biochemistry and mechanisms of action. Physiol Rev 1977, 57: 313–70.
  6. Jelkmann W. Erythropoietin. Front Horm Res 2016, 47: 115-27.
  7. Terragno NA, et al. Renal prostaglandins. Adv Prostaglandin Thromboxane Res 1976, 2: 561-71.
  8. McGiff JC. Interactions of prostaglandins with the kallikrein-kinin and renin-angiotensin systems. Clin Sci (Lond) 1980, 59 suppl 6: 105-16.
  9. Hartupee DA. Effect of leukotrienes of renal water excretion. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids 1993, 48: 297-303.
  10. Kohan DE, et al. Physiology of endothelin and the kidney. Compr Physiol 2011, 1: 883-919.
  11. Wong PC, Guo J, Zhang A. The renal and cardiovascular effects of natriuretic peptides. Adv Physiol Educ 2017, 41: 179-85.
  12. Dusso AS, Brown AJ, Slatopolsky E. Vitamin D. Am J Renal Physiol 2005, 289: F8-28.
  13. DeLuca HF. Regulation of the vitamin D endocrine system located in the kidney. Contrib Nephrol 1978, 13: 81-95.
  14. Boone M, Deen PM. Physiology and pathophysiology of the vasopressin-regulated renal water reabsorption. Pflugers Arch 2008, 456: 1005–24.
  15. Martin A, David V, Quarles LD. Regulation and function of the FGF23/Klotho endocrine pathways. Physiol Rev 2012, 92: 131-55.
  16. Brands MW, Manhiani MM. Sodium-retaining effect of insulin in diabetes. Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol 2012, 303: R1101–9.
  17. Skov J. Effects of GLP-1 in the kidney. Rev Endocr Metab Disord 2014, 15: 197-207.
  18. Crajoinas RO, et al. Mechanisms mediating the diuretic and natriuretic actions of the incretin hormone glucagon-like peptide-1. Am J Physiol Renal Physiol 2011, 301: F355-63.
  19. Kutina AV, Golosova DV, Marina AS, et al. Role of vasopressin in the regulation of renal sodium excretion: interaction with glucagon-like peptide-1. J Neuroendocrinol 2016, DOI: 10.1111/jne.12367.
  20. Kutina AV, et al. Physiological mechanisms for the increase in renal solute-free water clearance by a glucagon-like peptide-1 mimetic. Clin Exp Pharmacol Physiol 2013, 40: 510-7.
  21. Mima A, et al. Protective effects of GLP-1 on glomerular endothelium and its inhibition by PKCβ activation in diabetes. Diabetes 2012, 61: 2967-79.
  22. Bankir L, et al. Protein- and diabetes-induced glomerular hyperfiltration: role of glucagon, vasopressin, and urea. Am J Physiol Renal Physiol 2015, 309: F2–23.
  23. Li XC, Zhuo JL. Targeting glucagon receptor signalling in treating metabolic syndrome and renal injury in type 2 diabetes: theory versus promise. Clin Science 2007, 113, 183-93.
  24. Turner NN. Oxford Textbook of Clinical Nephrology, 4th Oxford University Press 2015.
Stampa

Silvio Settembrini1 & Alessandra Fusco2
1Servizio di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, DS 26, Unità di Nefro-Diabetologia, UOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale dei Pellegrini, Napoli
2Ambulatorio di Endocrinologia e Diabetologia, Centro Acismom, Napoli

(aggiornato al 25 luglio 2017)

 

I reni sono organi complessi nei quali avvengono la sintesi e la degradazione di differenti ormoni. Le anomalie endocrine in pazienti con malattia cronica renale e in pazienti che ricevono un trattamento renale sostitutivo (TSR) possono dipendere da un numero di cause diverse. Inoltre, varie condizioni concomitanti, come infiammazione, acidosi metabolica e malnutrizione, possono partecipare alla patogenesi di molte alterazioni del sistema endocrino.
Il rene rappresenta insieme al fegato una delle principali sedi del metabolismo degli ormoni a struttura peptidica, rimuovendo dal 16 al 40% degli ormoni circolanti, intervenendo inoltre per il 20-80% sul loro metabolismo. I diversi ormoni peptidici (o i loro metaboliti attivi o inattivi) vengono filtrati a livello renale in base al flusso plasmatico renale e permeabilità della membrana glomerulare, dipendente da peso molecolare, forma, carica elettrica della molecola (1). Nelle cellule del tubulo prossimale, piccole molecole (come angiotensina o bradichinina) vengono idrolizzate sul versante luminale, mentre complessi più voluminosi (come insulina, PTH o glucagone) vengono assorbiti e quindi degradati per opera di enzimi lisosomiali (2). Per quanto riguarda gli ormoni steroidei, il rene svolge un ruolo fondamentale soprattutto sul metabolismo della vitamina D. Poiché il rene svolge un ruolo centrale nella regolazione dell’omeostasi ormonale, appare chiaro come la sua riduzione funzionale possa determinare una serie di modificazioni dell’equilibrio omeostatico del sistema endocrino (3). La conoscenza dei disordini endocrini in corso di insufficienza renale cronica (IRC) è di primaria importanza, perché la patologia endocrina altera la qualità di vita del paziente uremico e può comprometterne il pieno recupero psico-fisico.
È opportuno sottolineare che le misurazioni della concentrazione plasmatica di differenti ormoni hanno valore limitato nei pazienti con IRC e TSR: le concentrazioni ormonali possono essere inadeguate in un contesto di segnali di stimolo o di soppressione, il test può evidenziare isoforme inattive dell’ormone, la risposta degli organi bersaglio può essere amplificata o ridotta. Si ritiene, dunque, necessario interpretare le concentrazioni plasmatiche ormonali alla luce del contesto clinico (es. PTH in relazione alla calcemia o concentrazione insulinica in relazione alla glicemia). A seguire saranno riportate e discusse separatamente le alterazioni endocrine di più frequente riscontro nell’uremia cronica (tabella).

 

Meccanismi delle alterazioni ormonali in corso di IRC
Catabolismo ormonale Ridotta clearance renale Insulina, PTH, leptina, adiponectina, gastrina
Alterata produzione Riduzione della produzione degli ormoni nelle ghiandole endocrine Testosterone, estrogeni
Riduzione della produzione ormonale da parte del rene Calcitriolo, eritropoietina
Iperproduzione ormonale reattiva per ristabilire l’omeostasi PTH, FGF-23, eritropoietina
Iperproduzione ormonale inappropriata dovuta ad anomalie del feed-back ACTH, LH, PRL
Pattern secretorio anomalo (pulsatilità, ritmo circadiano) GH, LH
Alterazione dell’attività ormonale Aumento delle isoforme con minore attività biologica (per modifiche post-trascrizionali) LH
Aumento della concentrazione delle proteine sieriche leganti gli ormoni e minore disponibilità della quota libera dell’ormone IGF-I
Riduzione della concentrazione delle proteine sieriche leganti gli ormoni e maggiore disponibilità della quota libera dell’ormone Leptina
Variazione della quantità e/o struttura del recettore ormonale Recettore per la vitamina D
Alterazione del signaling cellulare post-recettoriale Insulina, GH
Anomalie nell’attivazione dei pro-ormoni Pro-insulina, tiroxina

 

Le anomalie endocrine più marcate nei pazienti con malattia cronica renale sono:

  • carenza di: calcitriolo, testosterone, IGF-I ed eritropoietina (EPO);
  • accumulo di: PRL, GH e insulina.

Le principali conseguenze cliniche delle sopracitate anomalie endocrine sono anemia, infertilità e malattie ossee.

 

Classificazione funzionale dell'insufficienza renale
Stadio Filtrazione glomerulare VFG (mL/min)
G1 Normale o aumentata ≥ 90
G2 Lievemente diminuita 60-89
G3a Da lievemente a moderatamente diminuita 45-59
G3b Da moderatamente a severamente diminuita 30-44
G4 Severamente diminuita 15-29
G5 Insufficienza renale terminale < 15

 

 

ERITROPOIETINA

Nell’adulto i reni sono responsabili della sintesi di circa l’85-90% dell’EPO in circolo, mentre il restante 10-15% deriva dal fegato (4,5).
Il principale stimolo per la sintesi di EPO nelle cellule peri-tubulari della corteccia renale è l’ipossia renale, che può essere causata da anemia o ipossiemia (6). L’ipossia stimola la sintesi del fattore inducibile dell’ipossia (HIF), responsabile dell’attivazione di diversi geni, tra cui quello per EPO (7). Un altro fattore stimolante la produzione renale di EPO è l’angiotensina II. Di contro, proteine tipicamente legate all’infiammazione (es. interleuchina–1 e TNF–α) inibiscono la secrezione di EPO, che può essere ridotta da fattori di infezione come CMV (8).
La concentrazione plasmatica di EPO in pazienti anemici con IRC e TSR è molto simile a quella di soggetti non anemici, ma è bassa nel contesto della concentrazione di emoglobina. Comunque, nei pazienti con IRC si verifica comunemente resistenza all’EPO (9). Nella pratica clinica nei pazienti con IRC e TSR non si esegue la valutazione della concentrazione plasmatica di EPO: le decisioni riguardanti il trattamento con agenti stimolanti l’eritropoiesi si basano sullo stato clinico e su misurazioni ripetute della concentrazione di emoglobina.

 

VITAMINA D

Nella popolazione generale, un basso livello di vitamina D è stato legato a un aumento di incidenza di ipertensione, malattia cardio-vascolare, sindrome metabolica, obesità, insulino-resistenza e albuminuria (10).
La prevalenza di deficit di 25-idrossivitamina D3 aumenta con la progressione dell’IRC e raggiunge l’80% in pazienti con IRC allo stadio 5. Inoltre, in pazienti con sindrome nefrotica, il 25(OH)D3 è escreto in eccesso con le urine. Nei pazienti trattati con dialisi peritoneale la vitamina D è eliminata con il liquido di dialisi peritoneale.
Nei pazienti con IRC si impiegano supplementi di ergocalciferolo, raccomandati se la concentrazione di 25(OH)D3 è < 25 ng/mL.
25(OH)D3 è ulteriormente idrossilato nel rene, con produzione del suo metabolita attivo -1,25(OH)D3 (calcitriolo). Con la riduzione del filtrato, si verifica il declino dell’attività dell’1α-idrossilasi. Inoltre, diminuisce la quantità di 25(OH)D3 inviata al rene (con meccanismo recettoriale che coinvolge la megalina) (11). In più, l’aumentata concentrazione di FGF-23 può inibire direttamente l’idrossilazione in posizione 1 e promuovere la sintesi di 24,25(OH)2D3, che sembra inattivo a livello metabolico. Così, in pazienti con IRC allo stadio 5 la concentrazione di calcitriolo è ridotta. Inoltre, in questi pazienti è stata descritta una riduzione nella densità dei recettori per il calcitriolo (VDR), che porta a una resistenza dell’organo bersaglio (11).
Il deficit di calcitriolo dei pazienti con IRC gioca un ruolo importante nello sviluppo di iperparatiroidismo secondario, ridotto assorbimento di calcio nell’intestino, ridotta mineralizzazione ossea e resistenza dello scheletro all’azione calcemica del PTH, così come miopatia e alterata crescita staturale.
Recenti studi hanno dimostrato che il deficit di calcitriolo aumenta la proteinuria nei pazienti con IRC e il trattamento con paracalcitolo sembra migliorare questa patologia. Inoltre, il trattamento con cinacalcet può dare benefici in questo gruppo di pazienti, poiché diminuisce la concentrazione di FGF-23, con minore degradazione di vitamina D3 e riduzione del rischio cardio-vascolare (12).
Alcuni studi suggeriscono che il deficit di calcitriolo sia responsabile di aumentata mortalità cardio-vascolare e generale nei pazienti con IRC. I risultati di piccoli studi di intervento suggeriscono che il trattamento con calcitriolo o altri agonisti di VDR può ridurre la mortalità in questi pazienti.
Alcuni studi hanno documentato una riduzione dei livelli di FGF-23 in pazienti uremici trattati con cinacalcet, con un miglioramento del metabolismo renale della vitamina D (13). Tuttavia questi dati richiedono ulteriore conferma su casistiche più ampie.

 

ALTERAZIONI DI INSULINA E GLUCAGONE

Diverse alterazioni contribuiscono all’alterato metabolismo dei carboidrati.

 

Secrezione e clearance insulinica
L’insulina è una proteina di 6 KDa, che viene liberamente filtrata nei glomeruli, escreta dai vasi peri-tubulari, riassorbita e metabolizzata in aminoacidi nel tubulo prossimale. Nei soggetti apparentemente sani la clearance dell’insulina è circa 200 mL/min, che supera la velocità di filtrazione glomerulare, a indicare che l’insulina viene anche captata a livello peri-tubulare. Si stima che in condizioni normali il rene elimini circa il 25% (6-8 unità/die) della quantità di insulina prodotta giornalmente dal pancreas (14).
Nell’IRC la secrezione insulinica è alterata, a causa soprattutto degli alti livelli di PTH e bassi livelli di calcitriolo. La clearance metabolica dell’insulina si riduce quando il GFR scende sotto 40 mL/min. Quando il filtrato renale è < 15-20 mL/min, l’emivita dell’insulina aumenta. Clinicamente queste modificazioni si traducono in una riduzione del fabbisogno insulinico nel paziente diabetico con IRC.
Il secondo fattore responsabile dell’iperinsulinemia nell’uremia è la resistenza periferica (vedi oltre).
Le alterazioni del metabolismo dell’insulina interferiscono sia sul metabolismo lipidico sia su quello delle proteine. Infatti, mentre da una parte l’iperinsulinemia può stimolare la sintesi delle VLDL ricche in trigliceridi, dall’altra anche la resistenza insulinica, riducendo l’attività della lipoprotein-lipasi, è in grado di determinare un incremento della trigliceridemia. L’insulina, inoltre, agisce sulla sintesi proteica, stimolando l’incorporazione degli aminoacidi a catena ramificata a livello tissutale.
Nell’uremia è stato dimostrato che il rilascio di insulina viene soppresso dall’acidosi metabolica. Infatti, il trattamento dialitico, correggendo l’equilibrio acido-base, migliora la risposta insulinica al glucosio (14). Il calcitriolo, deficitario in corso di IRC, quando somministrato in dialisi aumenta il rilascio di insulina e migliora la tolleranza glucidica, indipendentemente dalle modifiche delle concentrazioni di calcemia e PTH.

 

Insulino-resistenza
La resistenza periferica all’insulina, principalmente nei muscoli scheletrici che ne richiedono maggiori concentrazioni per aumentare la captazione del glucosio, compare nell’IRC precoce e tende ad aggravarsi con i vari stadi dell’IRC, fino a essere presente nella maggior parte dei pazienti con IRC avanzato (15). Dopo l’inizio di TSR, l’insulino-resistenza periferica si riduce marcatamente, ma solo dopo molte settimane di trattamento. Presumibilmente, una tossina uremica dializzabile indefinita è coinvolta nella patogenesi di un’attività impropria dell’insulina negli organi bersaglio. Tale molecola sarebbe specifica per l’IRC, non essendo stata riscontrata in pazienti non uremici con insulino-resistenza. Il difetto non riguarda solo il recettore insulinico, ma presumibilmente avviene anche a livello post-recettoriale, poiché è documentata la riduzione dell’attività della fosfatidil-inositol 3-chinasi (16).
Altri possibili meccanismi responsabili dell’insulino-resistenza sono l’aumento della gluconeogenesi epatica, la ridotta captazione epatica e muscolo-scheletrica del glucosio, la ridotta ossidazione del glucosio in anidride carbonica e acqua e soprattutto la diminuita sintesi di glicogeno (17).
Alcuni dei fattori coinvolti nell’insulino-resistenza sono modificabili. Per esempio, l’insulino-resistenza può essere migliorata da una dieta a basso contenuto proteico in pazienti pre-dializzati e dal trattamento con eritropoietina o calcitriolo in pazienti emodializzati.
Nei pazienti con IRC risultano frequentemente aumentate anche le concentrazioni di antagonisti dell’insulina, quali glucagone e GH, che parteciperebbero quindi alla patogenesi dell’insulino-resistenza insieme con acidosi metabolica, infiammazione cronica e aumentata attività del sistema renina-angiotensina (18).

 

Conseguenze cliniche dell’iperglicemia e dell’insulino-resistenza
Nei pazienti con IRC sia l’iperglicemia che l’insulino-resistenza aumentano la progressione dell’IRC e il rischio cardio-vascolare e contribuiscono allo sviluppo di ipertensione, dovuta a maggiore sensibilità al sale causata da aumentato riassorbimento tubulare di sodio. L’insulino-resistenza può anche partecipare allo sviluppo di malnutrizione, spesso riscontrata in questo gruppo di pazienti, e stimola il catabolismo del muscolo attraverso l’attivazione di una via proteolitica attraverso il sistema ubiquitina-proteasi (19).

 

Glucagone
Il glucagone è una proteina di basso peso molecolare, che viene filtrata a livello glomerulare, riassorbita e quindi degradata dalle cellule del tubulo prossimale.
In corso di IRC, la secrezione di glucagone risulta normale così come la soppressione in seguito alla somministrazione di glucosio e la stimolazione per infusione di arginina (18). I livelli plasmatici aumentano a causa della ridotta degradazione di glucagone e pro-glucagone.
L’accumulo di glucagone, causato dalla ridotta clearance renale, stimola la gluconeogenesi epatica e la conversione di alanina in glicogeno. Quest’ultimo meccanismo è ipotizzato essere alla base dell’ipercatabolismo proteico nell’uremia.

 

ALTERAZIONI DELLE ADIPOCHINE

Il tessuto adiposo può essere considerato come un organo endocrino, poiché produce una grande varietà di sostanze biologicamente attive, le adipochine. Nei pazienti con IRC si riscontra un’aumentata concentrazione di differenti adipochine.
La concentrazione plasmatica di leptina risulta aumentata, poiché la sua clearance è ridotta nel rene malato. La leptina stimola proliferazione e differenziazione di cellule ematopoietiche ed è verosimile che gli effetti della leptina e dell’eritropoietina siano sinergici. Inoltre, l’iperleptinemia stimola l’attività del sistema nervoso simpatico ed è perciò coinvolta in progressione dell’IRC, patogenesi dell’ipertensione e malattia cardio-vascolare (20,21).
Anche la concentrazione plasmatica di adiponectina è alta nei pazienti con IRC, a causa di alterazioni nella biodegradazione ed eliminazione dal rene malato (22). Le conseguenze cliniche dell’aumentata concentrazione di adiponectina non sono chiare: sembra che l’attività anti-aterosclerotica sia ridotta a causa della resistenza a livello recettoriale (23).
La concentrazione plasmatica di resistina risulta aumentata nei pazienti con IRC, soprattutto a causa di ridotta clearance renale (24). La resistina, alle concentrazioni tipiche dei pazienti con IRC, inibisce l’attività dei neutrofili. Potrebbe essere questa la causa di un’aumentata prevalenza di infezioni nei pazienti con IRC. Comunque, la resistina sembra avere un ruolo nella patogenesi della malattia cardio-vascolare in questi pazienti, perché pazienti emodializzati con bassa concentrazione sierica di resistina hanno bassa sopravvivenza senza ospedalizzazioni.
La concentrazione plasmatica di visfatina aumenta gradualmente con la riduzione del filtrato e si correla positivamente con la disfunzione endoteliale. Questa adipochina stimola l’adesione monocitaria alle cellule endoteliali. La visfatina può anche essere coinvolta nella patogenesi della malnutrizione nell’IRC. Inoltre, alte concentrazioni plasmatiche di visfatina sono predittive di mortalità cardio-vascolare (25).

 

ALTERAZIONI DELL’ASSE GH-IGF

Le alterazioni riscontrate nell’IRC possono avere importanti conseguenze cliniche: nei ragazzi la più importante è il ritardo di crescita con riduzione della statura definitiva, associata con aumento di morbilità e mortalità (26).

 

GH
Nel soggetto normale il GH viene filtrato dal glomerulo, fisiologicamente assorbito e metabolizzato a livello del tubulo prossimale.
Il GH aumenta nei pazienti uremici e la sua regolazione ipotalamo-ipofisaria è compromessa. La ridotta clearance renale rappresenta il fattore determinante l’aumento delle sue concentrazioni nell’IRC, sebbene si possa associare anche una maggiore secrezione (26). Contrariamente a quanto avviene nel soggetto sano, nell’IRC di grado avanzato, la somministrazione di glucosio induce un incremento paradosso delle concentrazioni di GH; sono da segnalare, inoltre, una risposta esagerata all’infusione di arginina e un’accentuata risposta secretoria dopo stimolazione con GHRH esogeno. I meccanismi dell’anomala regolazione del GH nell’IRC non sono stati completamente chiariti. Il primum movens sembra essere la compromissione del controllo ipotalamico: nonostante che nei modelli sperimentali di ratti uremici la risposta secretoria al GHRH sia sovrapponibile a quella dei controlli, la concentrazione di mRNA per GHRH risulta ridotta.
Tutte queste alterazioni hanno portato a ipotizzare una resistenza o insensibilità al GH in pazienti con IRC terminale (26). Questa può essere causata da ridotta densità dei recettori per GH negli organi bersaglio, poiché nei ragazzi e negli adulti con IRC la concentrazione della proteina legante il GH (frazione del recettore per GH che può essere usata per valutare la densità dei recettori) è ridotta in modo proporzionale alla riduzione della filtrazione glomerulare. La resistenza al GH può essere anche a livello post-recettoriale, con alterazione della trasduzione del segnale intra-cellulare JAK2-STAT. La trasduzione del segnale GH può essere soppressa anche dall’aumentata espressione dei geni SOCS2 e SOCS3. Altri fattori che contribuiscono alla resistenza al GH nell’IRC sono l’acidosi metabolica e l’infiammazione (27).
Durante la dialisi i livelli plasmatici di GH tornano per un breve periodo a valori normali, ma nel complesso rimangono elevati. Tuttavia, la crescita risulta egualmente compromessa nei bambini con uremia terminale. Per permettere una crescita ottimale, sono necessari apporto nutrizionale adeguato, prevenzione dell’osteodistrofia renale, correzione dell’acidosi metabolica, somministrazione di rhGH e dialisi efficiente se il paziente è in TSR (26).

 

IGF
La concentrazione di IGF-I tende a essere normale nella malattia renale pre-terminale (IRC 1-4). Le misurazioni con metodo RIA hanno dimostrato, in soggetti uremici, livelli di IGF-I normali o aumentati fino a 4 volte rispetto al soggetto sano, per la ridotta clearance renale (27). L’IGF-I libera sierica diminuisce con gli stadi dell’IRC: nello stadio 5 tale diminuzione è dovuta principalmente a elevate concentrazioni di proteine leganti (IGF-BP-1,2,4, e 6) (28). È stata anche riportata ridotta biodisponibilità di IGF-I negli organi bersaglio, come risultato dell’aumentata proteolisi di IGF-BP3, e l’attività circolante, misurata con i bioassay, è ridotta. L’apparente discrepanza può essere spiegata dall’accumulo, in corso di IRC, di peptidi circolanti ad attività inibitoria, non ancora caratterizzati. In ultimo, esiste una resistenza all’IGF-I, indipendente dalla presenza di fattori inibitori circolanti, causata da un difetto nella trasduzione del segnale intra-cellulare: nell’IRC è ridotta l’auto-fosforilazione del recettore tirosin-chinasico dell’IGF-I e la suscettibilità dell’IGF-IR all’IRS-1 (29).
La concentrazione sierica di IGF-II è nel range normale nella malattia renale pre-terminale e aumentata nell’IRC stadio 5.

 

Terapia con rhGH
La resistenza/insensibilità degli organi bersaglio al GH costituisce il razionale per il trattamento con rhGH nei ragazzi con ritardo della crescita causato da IRC. Tale trattamento è risultato sicuro ed efficace: non causa intolleranza glucidica né induce modificazioni del filtrato glomerulare; ottiene rapida crescita staturale (il 65% dei ragazzi trattati con rhGH può raggiungere un’altezza definitiva normale), accompagnata da aumento del peso corporeo e della circonferenza muscolare del braccio (26). La miglior risposta al trattamento con rhGH è stata riscontrata in pazienti in stadio pre-dialisi, probabilmente per una migliore sensibilità al GH. Il trattamento con rhGH è stato dimostrato essere efficace anche nel trattamento del ritardo di crescita staturale dopo trapianto di rene (causato soprattutto dalla somministrazione di glucorticoidi).
Nonostante i chiari benefici, la somministrazione di rhGH negli adulti con IRC non è esente da rischi, per cui servono studi che ne dimostrino efficacia e sicurezza prima di raccomandarlo in questo gruppo di pazienti.

 

ASSE ACTH-CORTISOLO

Nell’individuo sano il rene contribuisce all’escrezione del cortisolo e dei suoi metaboliti idrosolubili. Con la riduzione del filtrato renale, aumenta l’emivita del cortisolo. In corso di IRC sono stati riportati livelli di cortisolemia nei limiti della norma o francamente elevati, tuttavia questi risultati contrastanti sono stati, in parte, attribuiti a problemi di metodologia di laboratorio (30). Infatti, i metodi immunologici sfruttano anti-sieri commerciali per il cortisolo che possono cross-reagire con i metaboliti steroidei, che nel paziente dializzato sono aumentati rispetto al soggetto normale. Pertanto, il riscontro di livelli elevati di cortisolemia, in corso di IRC, dovrebbe essere confermato con l’impiego di metodiche diagnostiche più specifiche.
Nel soggetto uremico, il legame del cortisolo alla CBG risulta normale, mentre il legame con l’albumina è ridotto. Il ritmo circadiano del cortisolo è conservato e la risposta all’infusione di ACTH adeguata, con un incremento delle concentrazioni di cortisolemia circolante. Inoltre, la somministrazione di CRH induce un incremento dei livelli di cortisolo ma non di ACTH. Non sono stati ancora spiegati i meccanismi, ma la terapia con eritropoietina ricombinante sembra migliorare la risposta dell’ACTH al CRH. Il soggetto uremico presenta una risposta attenuata al test di soppressione del cortisolo con desametasone, in particolar modo quando il farmaco viene introdotto per os. Sembrerebbero necessarie dosi superiori di desametasone nel test overnight per os (8 mg vs 1 mg del soggetto sano) per indurre una riduzione dei livelli a circa 2 µg/dL. Questo potrebbe dipendere da alterazione del feed-back ipofisi-surrene, da assorbimento ridotto oppure da elevato metabolismo del desametasone stesso. Dati contrastanti vengono riportati in uno studio che ha dimostrato concentrazioni plasmatiche adeguate di desametasone dopo somministrazione ad alte dosi sia per bocca sia per via ev, senza successiva soppressione della produzione di cortisolo.
Negli anni ’90 il cortisolo è stato proposto come marcatore di comorbilità. In pazienti con IRC pre-terminale, maggiori livelli plasmatici di cortisolemia correlavano con una maggiore richiesta di ospedalizzazione (31). L’ipercortisolemia con valori > 22 µg/dL si associava frequentemente a segni di malnutrizione, come ipoalbuminemia, elevato catabolismo proteico e riduzione della plica cutanea tricipitale ed è stato ipotizzato che l’ormone stesso potesse essere responsabile dello stato catabolico di questi pazienti.
I livelli plasmatici di cortisolo e ACTH aumentano durante il trattamento dialitico, rimangono elevati fino al termine della procedura e gradualmente tornano a livelli normali nelle 24 ore successive.

 

SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE

Il RAAS è un sistema sia endocrino circolatorio, che tissutale, ma prevalentemente tissutale e locale, che svolge in tutti gli organi, in situ, azioni sia paracrine che autocrine di regolazione delle funzioni d’organo (32,33). Oltre ai tradizionali meccanismi di controllo di volume e pressorio e di modulazione dell’handling del sodio e degli elettroliti, il RAAS tissutale svolge importanti funzioni sul differenziamento cellulare, tramite il signalling di angiotensina II, aldosterone e renina, che, sui loro recettori, regolano fattori trascrizionali quali il NF-κB, la via di segnale MAPK-ERK, e l’espressione genica di svariati fattori di crescita, quali TGF-β, citochine, chemochine, e di molecole di adesione e matrici extra-cellulari. In equilibrio, tramite l’enzima di conversione ACE-2 (34) il sistema RAAS può attivare la produzione di angiotensina 1-7 e 1-9, che svolgono attività contro-regolatorie sui loro rispettivi recettori MAS e AT2. Il RAAS tissutale svolge anche funzioni metaboliche sul controllo glicidico e lipidico (35-43).
Come in tutti gli organi, anche a livello renale sono presenti tutti gli elementi del RAAS (44,45), con una generazione intra-renale continua di angiotensina II, che viene compartimentalizzata tra tubulo prossimale e fluidi interstiziale. In corso di malattia renale cronica si attiva una disregolazione del RAAS (46), con un circolo vizioso di sovra-generazione di angiotensina II, che diventa un componente essenziale nel mantenimento di una elevata attività intra-renale di tutto il sistema RAAS, con conseguente alterazione del normale differenziamento delle strutture glomerulari e tubulari (mesangio, podociti, tubuli prossimali e distali, endoteli, membrane basali), loro apoptosi, chemiotassi macrofagica e linfocitaria e fibrogenesi evolutiva fino allo stato terminale di sovvertimento cito-architettonico renale, il rene grinzo (45).
L’angiotensina II stimola l’espressione intra-renale di angiotensinogeno (47), che a sua volta provoca aumentata sintesi di angiotensina II; inoltre, la generazione di specie reattive dell’ossigeno, dovuta all’aumentata quota di angiotensina II, aumenta l’espressione dell’angiotensinogeno a livello del tubulo prossimale. Questo loop è determinante nella progressione del danno renale, specie in presenza di diabete mellito, dove la glucotossicità acuta e cronica è un ulteriore elemento di amplificazione intra-renale del RAAS (40,48).
Angiotensina II e aldosterone inducono inoltre, quando sovra-regolati, un aumentato handling del sodio, agendo sui rispettivi trasportatori: NHE3 a livello del tubulo prossimale per angiotensina II ed ENaC a livello tubulare distale per aldosterone. Il sodio, a sua volta, genera un loop di amplificazione del RAAS intra-renale. L’aldosterone, inoltre, induce anch’esso, come l’angiotensina II, rimodellamento della rete vascolare renale, espansione mesangiale e senescenza delle cellule tubulari, con accumulo in situ di neutrofili e aumentata sintesi di collageno e fibrosi interstiziale (44,45).

 

CATECOLAMINE

Il rene è una delle sedi in cui avviene il metabolismo delle catecolamine: la catecol-O-metiltransferasi, enzima che catalizza la reazione di inattivazione delle catecolamine, è distribuita lungo le cellule del segmento S3 del tubulo prossimale e della porzione ascendente dell’ansa di Henle.
Nell’IRC di grado lieve i livelli plasmatici di catecolamine sono maggiori che nei sani, ma sono nella norma i livelli urinari di catecolamine e acido vanil-mandelico. All’aumento delle concentrazioni di noradrenalina dell’individuo uremico contribuiscono la ridotta captazione neuronale di catecolamine e la diminuita attività delle monoamino-ossidasi, che fisiologicamente ne determinano la degradazione a livello delle terminazioni sinaptiche. I livelli di catecolamine si normalizzano dopo il trapianto renale (51).
I pazienti in dialisi sembrano avere un’iperattività del sistema nervoso simpatico, valutabile a livello del nervo peroneale. Tuttavia, i livelli di adrenalina non sembrano aumentati. Poiché questa anomalia non è rilevabile nei soggetti anefrici, si è ipotizzato che il segnale afferente per l’iperattività simpatica sia inviato dal rene. I meccanismi non sono chiari, ma sembra verosimile che anche le tossine uremiche possano stimolare direttamente le vie nervose afferenti renali. Nell’IRC di grado più avanzato è stato dimostrato un aumento della produzione di noradrenalina (52). Sembra che adrenalina, noradrenalina e altri ormoni, come aldosterone, ADH, ANP, angiotensina II ed endotelina, rispondano in maniera appropriata alle modificazioni vascolari che si verificano durante la dialisi. Gli aumentati livelli di noradrenalina potrebbero essere responsabili dell’ipertensione arteriosa che si osserva in alcuni pazienti in dialisi nonostante il raggiungimento del peso secco mediante ultra-filtrazione adeguata. In questi soggetti è stata inoltre ipotizzata l’esistenza di una risposta pressoria esagerata alla noradrenalina.
Durante il trattamento emodialitico la clearance delle catecolamine può contribuire all’insorgenza degli episodi ipotensivi. Le perdite di noradrenalina sembrerebbero essere maggiori per diffusione rispetto alla convezione. Pertanto, quando viene praticata l’ultra-filtrazione come tecnica dialitica, le perdite di noradrenalina potrebbero essere inferiori e garantire una maggiore stabilità emodinamica. Durante l’ipotensione potrebbe anche esservi una mancata dismissione di adrenalina e noradrenalina in grado di contrastare l’evento, oppure coesistere una ridotta responsività d’organo alla noradrenalina (53).
Livelli elevati di adrenalina possono contribuire all’insulino-resistenza e a un incrementato catabolismo proteico nei pazienti con IRC. Resta da segnalare la difficoltà di porre diagnosi di feocromocitoma nel soggetto uremico a causa delle concentrazioni aumentate di catecolamine. Alcuni autori hanno stabilito che nei pazienti in TSR possa essere suggestivo di feocromocitoma un incremento di noradrenalina oltre 3.3 volte il valore normale.

 

ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-TESTICOLO

LIRC è la causa principale di molte alterazioni di questo asse, la maggior parte delle quali riguarda direttamente la funzione gonadica. Nei ragazzi uremici è stata documentata pubertà ritardata, che persiste anche con l’inizio della dialisi.

FSH
L’ormone normalmente stimola la crescita testicolare, la spermatogenesi e la sintesi di SHBG nelle cellule di Sertoli. Nei pazienti con IRC le concentrazioni sieriche di FSH possono essere sia elevate sia ai limiti superiori del range di normalità, ma la spermatogenesi è compromessa, per resistenza del testicolo all’FSH o per una disfunzione testicolare primaria (54,55).

LH
Nella maggior parte dei pazienti con IRC, le concentrazioni plasmatiche basali di LH sono elevate a causa del ridotto catabolismo e della perdita dell’inibizione del GnRH da parte dei ridotti livelli di testosterone (55).

PRL
Nella maggior parte dei maschi emodializzati le concentrazioni sieriche sono elevate ed è alterato il ritmo circadiano della secrezione (episodica durante il giorno con rari segnali secretori sonno-indotti). All’iperprolattinemia contribuiscono probabilmente sia il declino della clearance renale della PRL che l’aumentata velocità di produzione causata da un’inadeguata inibizione dopaminergica. L’accumulo di PRL causa l’inibizione della secrezione pulsatile di GnRH, così come la riduzione nella sintesi del testosterone, che si traduce in peggioramento delle funzioni sessuali e infertilità (54-56).
In alcuni pazienti con IRC trattati con bromocriptina sono stati descritti miglioramenti dell’iperprolattinemia e della funzione sessuale. Nei pazienti con IRC è stata anche descritta l’associazione tra iperprolattinemia e outcome cardio-vascolari negativi, probabilmente dipendente da disfunzione endoteliale. In un piccolo studio clinico si è riscontrata una riduzione della pressione e dell’ipertrofia ventricolare destra dopo somministrazione di bromocriptina in pazienti con IRC.

Androgeni e funzione sessuale
Nella maggior parte dei maschi emodializzati le concentrazioni sieriche di testosterone totale e libero sono basse, con ritmo circadiano conservato, sebbene risultino nella norma sia la capacità di legame che la concentrazione di SHBG. È stata riportata anche una ridotta concentrazione di androstenedione e deidro-epiandrosterone solfato. Non è ancora noto se la riduzione del testosterone sia causata da ridotta sintesi, da aumentato catabolismo o da una combinazione di entrambe. Inoltre, è ridotta e ritardata la risposta alla stimolazione con hCG (57-59). Anche la malnutrizione ha un ruolo: le concentrazioni di testosterone aumentano nei pazienti IRC in trattamento dietetico a basso contenuto proteico, con supplementi di amminoacidi essenziali e cheto-analoghi. Anche l’iperparatiroidismo secondario potrebbe contribuire alla riduzione dei livelli di testosterone e alle disfunzioni sessuali.
I pazienti uremici riferiscono comunemente diminuzione della libido e della potenza sessuale sia prima che dopo l’inizio della dialisi. Meno di metà degli uomini in dialisi ha una normale attività sessuale (58). Fattori neurologici, vascolari o ormonali possono essere responsabili della disfunzione sessuale. Nei pazienti dializzati la velocità di conduzione degli impulsi nervosi può essere ridotta, i riflessi bulbo-cavernosi appaiono assenti ed è presente una riduzione delle erezioni notturne. La funzione sessuale potrebbe migliorare in alcuni pazienti con l’inizio della dialisi, probabilmente per un miglioramento dello stato di salute generale, e non in particolare del sistema endocrino. In alcuni studi il miglioramento della funzione sessuale è stato messo in relazione con l’utilizzo dell’eritropoietina che sembra avere effetti positivi sull’asse ipofisi-surreni e ipofisi-gonadi.
Nei pazienti emodializzati non è rara la ginecomastia, fenomeno simile a quello osservato in pazienti malnutriti come nelle patologie croniche, dovuto alla diminuzione del rapporto testosterone/estrogeni (con ridotta sintesi di testosterone e aumento della sintesi degli estrogeni), ad aumento della sintesi di SHBG e a riduzione del testosterone libero (59).
Il deficit androgenico porta a incremento del tessuto adiposo e decremento della massa magra (soprattutto muscolare), sviluppo di patologie ossee con maggiore incidenza di fratture, anemia, riduzione della libido, danno della funzione sessuale e depressione. Infine, è stata recentemente descritta l’associazione di basse concentrazioni di testosterone con outcome cardio-vascolari peggiori (60).
La terapia con testosterone non è esente da rischi, è quindi necessaria una più ampia evidenza clinica di benefici prima che possa essere raccomandata nei pazienti con IRC e ipogonadismo (61,62).

Spermatogenesi
Nei maschi sottoposti a dialisi è spesso presente perdita della libido, della potenza sessuale e della spermatogenesi che, molto spesso, portano a infertilità (54,55). Lo spermiogramma evidenzia una riduzione del volume dell’eiaculato con oligo-azoospermia e bassa percentuale di spermatozoi mobili. A livello istologico testicolare, i tubuli seminiferi possono essere danneggiati, si può riscontrare riduzione del numero degli spermatociti maturi fino alla completa aplasia, e anche le cellule del Sertoli possono apparire atrofiche e può comparire fibrosi interstiziale con calcificazioni (58). Nei pazienti uremici anziani o dializzati da lungo tempo si osserva un progressivo peggioramento della spermatogenesi per incremento dei livelli di FSH. La causa del peggioramento sembrerebbe la presenza di “tossine uremiche” non rimosse dalla dialisi, ma si ipotizza anche un ruolo di alcuni materiali impiegati nella preparazione del circuito extra-corporeo di dialisi (59).

 

ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-OVAIO

Nelle donne con IRC le irregolarità mestruali sono principalmente rappresentate dall’oligo-amenorrea in soggetti con filtrato glomerulare < 10-15 mL/min. Con filtrato glomerulare ulteriormente ridotto compare amenorrea, che solitamente si instaura già durante la fase di IRC pre-terminale.
Con la dialisi sono poche le segnalazioni di ripresa della funzione ovarica con ovulazione e cicli mestruali regolari, mentre nella maggior parte dei casi i cicli rimangono anovulatori.

LH
Nelle donne sane in età fertile la secrezione di LH avviene in maniera pulsatile e il feed-back dell’estradiolo riduce l’ampiezza dei polsi di LH. Nelle donne con IRC l’interruzione del rilascio ipotalamico ciclico di GnRH porta a perdita dell’appropriato rilascio pulsatile ipofisario di LH, il feed-back dell’estradiolo è ridotto e non riesce a diminuire i livelli di LH, che risultano aumentati nella maggior parte delle pazienti (54-56).
Queste alterazioni portano alla riduzione dell’ovulazione, causa diretta di infertilità in queste donne.

FSH
Contrariamente a quelle di LH, nella maggior parte delle donne in pre-menopausa con IRC, le concentrazioni sieriche di FSH sono normali (54-56) Questo fenomeno sembra in contrasto con l’assunto del fallimento ovarico primario nell’IRC e suggerisce una disregolazione dell’asse.

PRL
In donne con TSR le concentrazioni sono spesso aumentate, per alterato controllo ipotalamico della secrezione ipofisaria, con conseguente amenorrea (63).

Ormoni gonadici
A causa della disregolazione ipotalamica, le concentrazioni sieriche di estradiolo possono essere normali o basse, soprattutto se è presente iperprolattinemia, e nella seconda metà del ciclo le concentrazioni sieriche di progesterone sono diminuite a causa della luteinizzazione del follicolo difettoso (56). Le biopsie dell’endometrio dimostrano deplezione estrogenica anche a questo livello.
Una delle più importanti conseguenze della bassa concentrazione plasmatica di estrogeni è la malattia ossea. Le donne con amenorrea non solo hanno concentrazioni di estrogeni diminuite, ma anche una minor densità ossea a paragone con le pazienti dializzate con mestruazioni regolari.
Piccoli studi suggeriscono che il trattamento con estradiolo transdermico o con un SERM come il raloxifene può incrementare la densità ossea in donne post-menopausa in emodialisi. Specialmente alla luce di possibili eventi avversi cardio-vascolari, deve essere precisato che non sono disponibili studi di sicurezza a lungo termine relativi alla terapia ormonale sostitutiva o con SERM nelle donne con IRC (64,65).

Sessualità e gravidanza
Si hanno riduzione della libido e minor capacità di raggiungere l’orgasmo.
Pur essendo molto frequente la sterilità nelle pazienti uremiche, esistono casi di concepimento di bambini sani (54-56). La gravidanza portata a termine risulta rara, per l’elevata frequenza di morte fetale associata a polidramnios. L’aumentata segnalazione di nascite di bambini da parte di madri sottoposte a trattamento dialitico può essere messa in relazione all’uso della dialisi peritoneale o dell’emodialisi aggressiva giornaliera con membrane ad alto flusso e alla somministrazione di eritropoietina. Non esiste evidenza di superiorità della dialisi peritoneale rispetto all’emodialisi, ma si ritiene che si ottengano risultati migliori sottoponendo le pazienti a trattamenti più frequenti e duraturi.

 

ALTERAZIONI TIROIDEE

In circa il 50% dei pazienti uremici sono riscontrabili disfunzioni tiroidee. L’uremia incide sul metabolismo periferico degli ormoni tiroidei.

Ormoni tiroidei
Negli studi sulla funzione tiroidea dei pazienti uremici, lo iodio legato alle proteine e la tireoglobulina sono risultati nella norma, mentre lo iodio inorganico plasmatico è generalmente aumentato. Le più importanti alterazioni degli ormoni tiroidei in corso di IRC sono la riduzione dei livelli di T3 totale (low T3 syndrome, per la ridotta attività della deiodinasi) e libera, con concentrazioni normali di rT3 e di FT4 (66). La riduzione delle concentrazioni di T3 dipende da tre fattori:

  1. ridotta conversione del T4 in T3 a livello periferico;
  2. acidosi metabolica;
  3. diminuito legame alle proteine trasportatrici, influenzato dagli elevati livelli di urea, creatinina, indoli e fenoli, come pure da ridotta clearance delle citochine infiammatorie TNF-alfa e IL-6.

In questo gruppo di pazienti sono comuni la sindrome da bassa T3 e l’ipotiroidismo subclinico. I pazienti IRC con concentrazioni sieriche più basse di T3 appaiono clinicamente eutiroidei, probabilmente poiché è aumentata l’espressione dell’RNA messaggero per i recettori nucleari α e β. Nonostante la riduzione nella clearance renale di rT3, le concentrazioni di questa molecola sono normali nell’IRC, in contrasto con il disturbo cronico non tiroideo, probabilmente per aumentata captazione cellulare di rT3 dallo spazio vascolare ed extra-vascolare (66).
Le ridotte concentrazioni degli ormoni tiroidei nei pazienti con IRC potrebbero non essere necessariamente indicative di disfunzione tiroidea, ma essere il riflesso della malattia cronica o della malnutrizione. Un basso livello di T3 nei pazienti con IRC è collegato con disfunzione endoteliale, aterosclerosi e alterazioni cardiache. Inoltre, un basso livello sierico di FT3 è stato collegato con aumentata mortalità cardio-vascolare nei pazienti in emodialisi (67).
L’influenza del trattamento dialitico sui test di funzionalità tiroidea è variabile. Le variazioni delle concentrazioni ormonali sono maggiori in corso di emodialisi rispetto alla dialisi peritoneale, dove i valori sono prossimi a quelli del soggetto sano. Durante il trattamento emodialitico, l’impiego di eparina come anti-coagulante, in grado di interferire sul legame di T4 alla tireoglobulina, in modo diretto competendo per i siti di legame delle proteine trasportatrici o indirettamente attraverso gli acidi grassi liberi, può spiegare l’aumento transitorio dei livelli di T4 (47). Le tossine uremiche (urea, creatinina, indoli, fenoli) inducono una disfunzione del recettore del TSH e del recettore nucleare di T3, alterando la risposta del TSH al TRH e la fisiologica risposta tissutale al T3 (68,69).

TSH
Le concentrazioni sieriche sono solitamente normali nonostante la tendenza a basse concentrazioni di T3 e T4, a suggerire una disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. Nei pazienti con IRC la risposta del TSH al TRH è ridotta e lenta, a causa della ridotta clearance e del prolungato tempo di dimezzamento del TSH. È alterato anche il normale ritmo circadiano del TSH, con picco ridotto nel tardo pomeriggio o di prima mattina e diminuito rilascio notturno (70).

Ipotiroidismo primario
La diagnosi di ipotiroidismo in IRC può presentare difficoltà, perché i classici segni e sintomi dell’ipotiroidismo sono comuni al quadro clinico dell’IRC. Clinicamente nella maggior parte dei pazienti non si denotano alterazioni evidenti. Talora, si possono osservare segni suggestivi di ipotiroidismo, come intolleranza al freddo, cute secca, astenia, stipsi, sonnolenza, ma tale sintomatologia può ritrovarsi nel soggetto uremico indipendentemente dal quadro distiroideo. La presenza di raucedine è, invece, un sintomo sentinella, in quanto è particolarmente caratteristico di ipotiroidismo anche in dialisi. Tra le conseguenze cliniche dell’ipotiroidismo nell’IRC possono essere menzionati anemia, dolore muscolare e depressione. È noto che le ridotte concentrazioni di T3 sono predittori indipendenti di mortalità cardiovascolare e per tutte le cause nei pazienti con IRC.
La diagnosi di ipotiroidismo si basa sul riscontro di bassi livelli di FT4 con valori di TSH plasmatico nettamente > 20 mU/L (66).
L’IRC è associata a ridotta escrezione di ioduro, che causa l’aumento della concentrazione di ioduro inorganico e l’aumentato contenuto di ioduro nella tiroide, con iperplasia ghiandolare. L’eccesso intra-tiroideo di ioduro può contribuire all’ipotiroidismo attraverso il prolungato effetto Wolff-Chaikoff. In pazienti in emodialisi si verifica un transitorio aumento della concentrazione sierica di T4, causato dall’uso di eparina e anti-coagulanti. Poiché l’eparina compete con T4 per il sito di legame sulla TBG, con aumento delle concentrazioni sieriche di T4 per almeno 24 ore, i campioni ematici per la determinazione degli ormoni tiroidei dovrebbero essere raccolti prima della somministrazione di eparina che avviene prima della seduta dialitica (70).

Gozzo
Nei pazienti con IRC è riportata aumentata incidenza di gozzo ed esoftalmo. Peraltro, alcuni studi non confermano l’aumentata incidenza di gozzo, ma mostrano un aumento di volume della tiroide sia all’ecografia che all’istologia nel 50% dei pazienti (66).

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Brenner and Rector’s. The Kidney, 11th Elsevier 2016.
  2. Turner NN. Oxford Textbook of Clinical Nephrology, 4th Oxford University Press 2015.
  3. Singh AK, Williams GH. Textbook of Nephro-Endocrinology. Academic Press-Elsevier 2009.
  4. Jelkmann W. Erythropoietin. Front Horm Res 2016, 47: 115-27.
  5. Souma T, Suzuki N, Yamamoto M. Renal erythropoietin-producing cells in health and disease. Front Physiol 2015, 6: 167.
  6. Heir P, et al. Oxygen-dependent regulation of erythropoietin receptor turnover and signaling. J Biol Chem 2016, 291: 7357-72.
  7. Souma T, Nezu M, Nakano D, et al. Erythropoietin synthesis in renal myofibroblasts is restored by activation of hypoxia signaling. J Am Soc Nephrol 2016, 27: 428-38.
  8. Eckardt KU, Kurtz A. Regulation of erythropoietin production. Eur J Clin Invest 2005, 35 suppl 3: 13-9.
  9. Fisher JW. Erythropoietin: physiology and pharmacology update. Exp Biol Med (Maywood) 2003, 228: 1-14.
  10. Dusso AS, Brown AJ, Slatopolsky E. Vitamin D. Am J Renal Physiol 2005, 289: F8-28.
  11. DeLuca HF. Regulation of the vitamin D endocrine system located in the kidney. Contrib Nephrol 1978, 13: 81-95.
  12. Dusso AS, Tokumoto M. Defective renal maintenance of the vitamin D endocrine system impairs vitamin D renoprotection: a downward spiral in kidney disease. Kidney Int 2011, 79: 715-29.
  13. Martin A, David V, Quarles LD. Regulation and function of the FGF23/Klotho endocrine pathways. Physiol Rev 2012, 92: 131-55.
  14. Bellasi A, Di Micco L, Santoro D, et al, on behalf of UBI study investigators. Correction of metabolic acidosis improves insulin resistance in chronic kidney disease. BMC Nephrology 2016, 17: 158.
  15. Leyking S, Fliser D. Insulin resistance in CKD. Clin J Am Soc Nephrol 2014, 9: 638–40.
  16. Spoto B, Pisano A, Zoccali C. Insulin resistance in chronic kidney disease: a systematic review. Am J Physiol Renal Physiol 2016, 311: F1087-108.
  17. Garibotto G, Sofia A, Russo R, et al. Insulin sensitivity of muscle protein metabolism is altered in patients with chronic kidney disease and metabolic acidosis. Kidney Int 2015, 88: 1419–26.
  18. Thomas SS, Zhang L, Mitch WE. Molecular mechanisms of insulin resistance in chronic kidney disease. Kidney Int 2015, 88: 1233–9.
  19. Liao MT, Sung CC, Hung KC, et al. Insulin resistance in patients with chronic kidney disease. J Biomed Biotechnol 2012, 2012: 691369.
  20. Schroth M, Kratzsch J, Groschl M, et al. Increased soluble leptin receptor in children with nephrotic syndrome. J Clin Endocrinol Metab 2003, 88: 5497–501.
  21. Cobo G, Cordeiro AC, Amparo FC, et al. Visceral adipose tissue and leptin hyperproduction are associated with hypogonadism in men with chronic kidney disease. J Ren Nutr 2017, 27: 243-8.
  22. Markaki A, Psylinakis E, Spyridaki A. Adiponectin and end-stage renal disease. Hormones (Athens) 2016, 15: 345-54.
  23. Yahya RS, Atwa MA, El-Sayed IH, et al. Adipocytokines in patients with chronic kidney disease stage 5. Clin Lab 2016, 62: 21-30.
  24. Marouga A, Dalamaga M, Kastania AN, et al. Circulating resistin is a significant predictor of mortality independently from cardiovascular comorbidities in elderly, non-diabetic subjects with chronic kidney disease. Biomarkers 2016, 21: 73-9.
  25. Kim HY, Bae EH, Ma SK, et al. Association of serum adiponectin level with albuminuria in chronic kidney disease patients. Clin Exp Nephrol 2016, 20: 443-9.
  26. Salas P, Pinto V, Zambrano MJ, Mericq V. Growth retardation in children with kidney disease. Int J Endocrinol 2013, 2013: 970946.
  27. Bach LA, Hale LJ. Insulin-like growth factors and kidney disease. Am J Kidney Dis 2015, 65: 327-36.
  28. Mak RH, Cheung WW, Roberts CT Jr. The growth hormone-insulin-like growth factor-I axis in chronic kidney disease. Growth Horm IGF Res 2008, 18: 17-25.
  29. Oh Y. The insulin-like growth factor system in chronic kidney disease: pathophysiology and therapeutic opportunities. Kidney Res Clin Pract 2012, 31: 26-3.
  30. N’Gankam V, Uehlinger D, Dick B, et al. Increased cortisol metabolites and reduced activity of 11beta-hydroxysteroid dehydrogenase in patients on hemodialysis. Kidney Int 2002, 61: 1859–66.
  31. Arregger AL, Cardoso EM, Zucchini A, et al. Adrenocortical function in hypotensive patients with end stage renal disease. Steroids 2014, 84: 57-63.
  32. Balakumar P, Anand-Srivastava MB, Jagadeesh G. Renin-angiotensin-aldosterone: an inclusive, an invigorative, an interactive and an interminable system. Pharmacol Res 2017, DOI: 10.1016/j.phrs.2017.07.003.
  33. Harris RC, Cheng HF. The intrarenal renin-angiotensin system: a paracrine system for the local control of renal function separate from the systemic axis. Exp Nephrol 1996, 4 suppl 1: 2-7.
  34. Ferrario CM. Angiotensin-converting enzyme 2 and angiotensin-(1–7): an evolving story in cardiovascular regulation. Hypertension 2006, 47: 515-21.
  35. Singh BM, Mehta JL. Interactions between the renin-angiotensin system and dyslipidemia: relevance in the therapy of hypertension and coronary heart disease. Arch Intern Med 2003, 163: 1296–304.
  36. Catar RA, Muller G, Heidler J, et al. Low-density lipoproteins induce the renin-angiotensin system and their receptors in human endothelial cells. Horm Metab Res 2007, 39: 801–5.
  37. Ma KL, et al. Interaction of RAS activation and lipid disorders accelerates the progression of glomerulosclerosis. Int J Med Sci 2013, 10: 1615–24.
  38. Carlsson PO. The renin-angiotensin system in the endocrine pancreas. JOP 2001, 2: 26-32.
  39. Cooper ME. The role of the renin-angiotensin-aldosterone system in diabetes and its vascular complications. Am J Hypertens 2004, 17: 16S-20.
  40. Hsueh WA, Wyne K. Renin-angiotensin-aldosterone system in diabetes and hypertension. J Clin Hypertens (Greenwich) 2011, 13: 224–37.
  41. Bindom SM, Lazartigues E. The sweeter side of ACE2: physiological evidence for a role in diabetes. Mol Cell Endocrinol 2009, 302: 193-202.
  42. Jandeleit-Dahm KA, Tikellis C, Reid CM, et al. Why blockade of the renin-angiotensin system reduces the incidence of new-onset diabetes. J Hypertens 2005, 23: 463-73.
  43. Putnam K, Shoemaker R, Yiannikouris F, Cassis LA. The renin-angiotensin system: a target of and contributor to dyslipidemias, altered glucose homeostasis, and hypertension of the metabolic syndrome. Amer J Physiol Heart Circul Physiol 2012, 302: H1219-30.
  44. Siragy HM, Carey RM. Role of the intrarenal renin-angiotensin-aldosterone system in chronic kidney disease. Am J Nephrol 2010, 31: 541–50.
  45. Kobori H, Nangaku M, Navar LG, Nishiyama A. The intrarenal renin-angiotensin system: from physiology to the pathobiology of hypertension and kidney disease. Pharmacol Rev 2007, 59: 251–87.
  46. Atlas SA. The renin-angiotensin aldosterone system: pathophysiological role and pharmacologic inhibition. J Manag Care Pharm 2007, 13 (8 suppl B): 9-20.
  47. Kobori H, Ozawa Y, Suzaki Y, et al. Young Scholars Award Lecture: Intratubular angiotensinogen in hypertension and kidney diseases. Am J Hypertens 2006, 19: 541–50.
  48. Lewis EJ, Hunsicker LG, Bain RP, Rohde RD. The effect of angiotensin-converting-enzyme inhibition on diabetic nephropathy. The Collaborative Study Group. N Engl J Med 1993, 329: 1456-62.
  49. Zhuo JL, Li XC. New insights and perspectives on intrarenal renin-angiotensin system: focus on intracrine/intracellular angiotensin II. Peptides 2011, 32: 1551-65.
  50. Li XC, et al.The vasoprotective axes of the renin-angiotensin system: physiological relevance and therapeutic implications in cardiovascular, hypertensive and kidney disease. Pharmacol Res 2017, DOI: 10.1016/j.phrs.2017.06.005.
  51. Grassi G, Quarti-Trevano F, Seravalle G, et al. Early sympathetic activation in the initial clinical stages of chronic renal failure. Hypertension 2011, 57: 846-51.
  52. Iijima H, Okada Y, Tsunoda M, et al. Quantification of norepinephrine and its metabolites in the plasma of renal failure models. Nephron Physiol 2010, 116: 9-16.
  53. Hoch H, Stegbauer J, Potthoff SA, et al. Regulation of renal sympathetic neurotransmission by renal α(2A)-adrenoceptors is impaired in chronic renal failure. Br J Pharmacol 2011, 163: 438-46.
  54. Palmer BF. Sexual dysfunction in men and women with chronic kidney disease and end-stage kidney disease. Adv Ren Replace Ther 2003, 10: 48–60.
  55. Holley JL. The hypothalamic-pituitary axis in men and women with chronic kidney disease. Adv Chronic Kidney Dis 2004, 4: 337–41.
  56. Handelsman DJ, Dong Q. Hypothalamo-pituitary gonadal axis in chronic renal failure. Endocrinol Metab Clin North Am 1993, 22: 145-61.
  57. Edey MM. Male sexual dysfunction and chronic kidney disease. Front Med (Lausanne) 2017, 4: 32.
  58. Palmer BF, Clegg DJ. Gonadal dysfunction in chronic kidney disease. Rev Endocr Metab Disord 2017, 18: 117-30.
  59. Carrero JJ, Qureshi AR, Nakashima A, et al. Prevalence and clinical implications of testosterone deficiency in men with end-stage renal disease. Nephrol Dial Transplant 2011, 26: 184–90.
  60. Navaneethan SD, Vecchio M, Johnson DW, et al. Prevalence and correlates of self-reported sexual dysfunction in CKD: a meta-analysis of observational studies. Am J Kidney Dis 2010, 56: 670–85.
  61. Vecchio M, Navaneethan SD, Johnson DW, et al. Treatment options for sexual dysfunction in patients with male sexual dysfunction and chronic kidney disease: a systematic review of randomized controlled trials. Clin J Am Soc Nephrol 2010, 5: 985–95.
  62. Wang GC, Zheng JH, Xu LG, et al. Measurements of serum pituitary-gonadal hormones and investigation of sexual and reproductive functions in kidney transplant recipients. Int J Nephrol 2010, 2010: 612126.
  63. Gomez F, de la Cueva R, Wauters JP, Lemarchand-Beraud T. Endocrine abnormalities in patients undergoing long-term hemodialysis. The role of prolactin. Am J Med 1980, 68: 522–30.
  64. Ramesh S, Mann MC, Holroyd-Leduc JM, et al. The effect of hormone therapy on all-cause and cardiovascular mortality in women with chronic kidney disease: protocol for a systematic review and meta-analysis. Syst Rev 2015, 4: 44.
  65. Holley JL, Schmidt RJ. Changes in fertility and hormone replacement therapy in kidney disease. Adv Chronic Kidney Dis 2013, 20: 240–5.
  66. Iglesias P, Bajo MA, Selgas R, Díez JJ. Thyroid dysfunction and kidney disease: an update. Rev Endocr Metab Disord 2017, 18: 131-44.
  67. Rhee CM, Brent GA, Kovesdy CP, et al. Thyroid functional disease: an under-recognized cardiovascular risk factor in kidney disease patients. Nephrol Dial Transplant 2015, 30: 724-37.
  68. Zoccali C, Mallamaci F. Thyroid function and clinical outcomes in kidney failure. Clin J Am Soc Nephrol 2012, 7: 12–4.
  69. Santos GM, et al. Thyroid hormone receptor binding to DNA and T3-dependent transcriptional activation are inhibited by uremic toxin. Nuclear Receptor 2005, 3: 1.
  70. Mohamedali M, Reddy Maddika S, et al. Thyroid disorders and chronic kidney disease. Int J Nephrol 2014, 2014: 520281.