Elena Castellano
Endocrinologia, Ospedale S. Croce & Carle, Cuneo
Il colesterolo e i trigliceridi costituiscono la maggior parte dei grassi contenuti nel nostro organismo. Il colesterolo è presente in tutte le cellule dell'organismo ed è un costituente delle membrane cellulari e di vari tessuti, inoltre è fondamentale per la sintesi di alcuni ormoni.
Esistono prevalentemente due tipi di colesterolo:
- colesterolo-LDL, spesso definito “colesterolo cattivo”, in quanto tende a depositarsi sulle pareti delle arterie, contribuendo a formare placche aterosclerotiche;
- colesterolo-HDL, detto “colesterolo buono”, poiché viene utilizzato per rimuovere il colesterolo cattivo in eccesso portandolo al fegato, dove viene eliminato.
Oltre alla quota prodotta normalmente dal corpo, il colesterolo può essere introdotto dall'esterno con l'alimentazione: è presente nei cibi ricchi di grassi animali.
I trigliceridi rappresentano un'importante fonte di energia per il nostro organismo; il loro livello nel sangue aumenta con l’assunzione di grassi, carboidrati e alcol, trasformati dal fegato in grassi.
Le dislipidemie sono malattie metaboliche dovute a disordini del trasporto dei grassi plasmatici e rappresentano una delle cause più importanti di arteriosclerosi e delle sue complicanze, come l’infarto, l’ictus e l’arteriopatia periferica.
Le malattie cardiovascolari (CVD), sono ritenute la principali causa di mortalità in Europa e sono molto influenzate dalle abitudini di vita (in particolare fumo, sedentarietà, dieta), ma anche legate ad alcune patologie quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e le dislipidemie. Numerosi studi hanno dimostrato che le CVD possono essere prevenute riducendo la colesterolemia totale e/o il colesterolo LDL.
In base alla causa, le dislipidemie si dividono in:
- primitive, essenzialmente dovute ad alterazioni genetiche;
- secondarie ad altre malattie (diabete, ipotiroidismo, malattie renali, sindrome metabolica), all’uso di alcuni farmaci, agli stili di vita e a fattori ambientali.
Una classificazione più semplice consiste nel distinguerle in base alle alterazioni lipidiche nel sangue: ipercolesterolemie, ipertrigliceridemie e forme miste.
Non tutte le forme di iperlipidemia attualmente note sono sicuramente associate ad aumentato rischio aterogeno. Sono state identificate anche condizioni caratterizzate da incremento dei valori delle HDL, che spesso presentano un rischio cardiovascolare ridotto.
Per l’identificazione delle dislipidemie si ricorre a esami del sangue di primo e secondo livello, mentre solo in pochi casi selezionati è necessaria la tipizzazione genetica.
Nella valutazione di una dislipidemia è importante tenere conto della familiarità, oltre che degli esami di laboratorio. I limiti di normalità per i lipidi plasmatici variano in base al sesso e all’età.
Tra le principali cause di ipertrigliceridemia vi sono il sovrappeso e l’obesità, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’eccessivo consumo di alcolici, diete molto ricche di carboidrati ed altre malattie quali il diabete e l’insufficienza renale cronica. Tra i farmaci che contribuiscono all’accumulo dei trigliceridi nel sangue vi sono corticosteroidi, ß-bloccanti, estrogeni. Solo nelle forme più gravi e poco responsive alla terapia, vanno presi in considerazione anche fattori genetici.
Tra le cause di ipercolesterolemia si distinguono l’ipotirodismo, malattie renali e del fegato, l’utilizzo di alcuni farmaci (cortisonici, progestinici, ciclosporine). Anche fra le ipercolesterolemie esistono forme genetiche, che vengono in genere sospettate in presenza di LDL molto elevate anche nei familiari del paziente, oppure quando si apprezzano depositi di colesterolo nei tendini o attorno alle palpebre, oppure ancora quando nei familiari si siano avuti eventi cardiovascolari (infarto o ictus) in giovane età.
Tra tutte le dislipidemie, quella del paziente diabetico riveste un ruolo particolarmente rilevante per il suo impatto sulla mortalità cardiovascolare. Nel diabete mellito tipo 1 le alterazioni lipidiche sono in relazione al grado di scompenso glicemico e in genere il quadro lipidico torna alla normalità con il ripristino del compenso. Nel diabete mellito di tipo 2 si riscontra spesso ipertrigliceridemia e le LDL, indipendentemente dai loro livelli, sono caratterizzate da elevata tendenza a formari depositi di arteriosclerosi.
il livello dei lipidi plasmatici, in particolare quello delle LDL, deve esser valutato ed eventualmente corretto in considerazione del rischio cardiovascolare del soggetto.
Il cardine della terapia delle dislipidemie è rappresentato da una corretta alimentazione: al momento non esiste una dieta ideale, ma diversi approcci dietetici che vanno sempre più personalizzati e ritagliati sul singolo soggetto. In linea di massima è consigliabile una dieta con una moderata riduzione delle calorie. Un calo di peso anche modesto riduce significativamente i livelli di colesterolo, trigliceridi ed LDL e aumenta quelli di HDL.
L’esercizio fisico regolare ha un effetto favorevole nella gestione della dislipidemia, sia sulla riduzione del peso corporeo che nel suo mantenimento. Gli effetti benefici sono direttamente proporzionali a durata e intensità dell’esercizio fisico. Vengono generalmente consigliati 30 minuti di esercizio fisico moderato per almeno 5 giorni a settimana, oppure 20 minuti di esercizio fisico intenso per 3 giorni alla settimana.
Quando il trattamento dietetico e una regolare attività fisica non sono sufficienti, è necessario introdurre una terapia farmacologica cronica. Esistono attualmente in commercio in Italia principalmente tre gruppi di farmaci differenti che possono essere utilizzati da soli o in associazione: le statine, i fibrati e l’ezetimibe.
Le statine agiscono riducendo la sintesi di colesterolo. Alcuni studi hanno inoltre dimostrato proprietà anti-infiammatorie, anti-ossidanti e anti-trombotiche. Le statine sono attualmente il farmaco di prima scelta nelle ipercolesterolemie e nelle dislipidemie di tipo misto. Nel complesso sono fra i farmaci più tollerati e l’incidenza di effetti collaterali gravi è molto bassa; in circa il 10% dei casi possono dare dolori muscolari o più raramente tossicità a livello del fegato.
L’ezetimibe inibisce l’assorbimento di colesterolo a livello intestinale. Il suo utilizzo da solo è limitato ai pazienti intolleranti alla statine; l’associazione alle statine permette di aumentarne l’efficacia nella riduzione del colesterolo molto più di quanto si possa ottenere anche raddoppiando la dose della statina da sola.
I fibrati sono i farmaci di prima scelta nelle ipertrigliceridemie e in genere sono ben tollerati.
Sono attualmente in studio diverse nuove molecole, in particolare c’è grande interesse nello sviluppo di farmaci che possano aumentare il colesterolo HDL.
Gli integratori alimentari possono essere indicati da soli in caso di dislipidemie con rischio cardiovascolare basso o per intolleranza alle statine; inoltre, possono essere utilizzati in associazione alle statine in caso di difficoltà nel raggiungere gli obiettivi terapeutici con dieta e farmaci. Attualmente soltanto alcuni dei numerosi integratori presenti sul mercato sono stati valutati in studi clinici che ne abbiano provato efficacia e sicurezza. Tra le sostanze con effetto dimostrato sulla riduzione delle LDL rientrano le fibre solubili e i fitosteroli. Tra gli alimenti funzionali sono comprese le noci ed il riso rosso fermentato, ma per quest’ultimo sono stati riportati effetti collaterali prevalentemente gastrointestinali.
È importante sottolineare come le modificazioni dello stile di vita siano parte integrante del trattamento delle dislipidemie, poiché, sebbene i farmaci attualmente disponibili abbiano dimostrato efficacia nella riduzione del rischio cardiovascolare, essi non sono in grado di eliminarlo del tutto.