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Endocrinologia dell’attività fisica e dello sport
Modificazioni ormonali in corso di attività sportiva
L’attività sportiva nel paziente endocrinopatico
Gli ormoni come doping
La prescrizione di attività fisica nell’ambito di un approccio globale alla salute
Modificazioni ormonali in corso di attività sportiva
Maria Rosaria Ambrosio, Mariella Celico
Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapia Avanzate, Università degli Studi di Ferrara
(aggiornato al 21 febbraio 2017)
Introduzione
L’esercizio fisico è uno dei fattori maggiormente condizionanti il sistema endocrino; infatti, esso rappresenta per l’organismo un evento “stressante”, che innesca una serie di risposte fisiologiche e adattative, al fine di garantire l’equilibrio funzionale dell’organismo. Tali risposte sono finalizzate, in una prima fase, a garantire il corretto svolgimento dell’esercizio stesso e, in un secondo momento, a ottimizzare il recupero dopo l’attività fisica.
Quando si pratica un esercizio fisico di sufficiente intensità, il sistema neuroendocrino viene attivato nell’arco di frazioni di secondo, provocando modificazioni quantitative e/o qualitative della secrezione e/o del metabolismo ormonale e/o della sensibilità recettoriale agli ormoni. Anche possibili variazioni delle proteine di trasporto o dell’osmolarità plasmatica (emodiluizione o emoconcentrazione) possono causare variazioni nelle concentrazioni ormonali.
Si possono distinguere due tipi di risposta neuroendocrina all’esercizio fisico:
- risposta ormonale all’esercizio fisico acuto, inteso come ben circostanziato nel tempo e con durata da pochi secondi a alcune ore;
- risposta ormonale all’esercizio fisico cronico (allenamento), inteso come ripetizione programmata e continuata nel tempo di singole sedute di esercizi fisici acuti.
Nell’esercizio acuto le modificazioni ormonali sono transitorie e si verificano in stretto rapporto temporale con la pratica dell’esercizio stesso (prima, durante e dopo). In particolare, si assiste a un incremento della concentrazione ematica degli ormoni dello stress, che vengono rilasciati più o meno rapidamente (secondi o minuti), in base al tipo di ormone e al tipo di esercizio svolto, e che tornano a livelli basali in fase di recupero (1 o 2 ore dopo l’esercizio). Negli atleti queste variazioni ormonali possono avvenire anche prima dell’inizio di un esercizio o di una gara, configurando la cosiddetta “reazione anticipatoria”. La concentrazione di altri ormoni invece, come ad esempio l’insulina, in genere si riduce. Tale risposta ormonale acuta è fondamentale per garantire la disponibilità di substrati energetici e l’ottimizzazione dei processi metabolici, l’attivazione del sistema nervoso centrale, l’adattamento dell’apparato cardiovascolare, l’equilibrio idrosalino, la termoregolazione, le modificazioni comportamentali.
Nell’allenamento, invece, si assiste a un processo costante e progressivo di adattamento biologico, che comporta modificazioni ormonali di tipo stabile. Un atleta allenato presenta uno stato ormonale basale diverso da quello dello stesso soggetto non allenato. Inoltre si modificano anche le caratteristiche della risposta ormonale a un esercizio fisico acuto. In linea generale si assiste a una ridotta secrezione degli ormoni dello stress in risposta allo stesso carico di lavoro acuto, probabilmente perché lo stesso esercizio viene vissuto come meno stressante. Quando l’attività motoria cronica svolta è eccessiva (overtraining), si assiste a una risposta ormonale anomala, eccessiva o insufficiente, con ripercussioni sulla salute e sulla performance dell’atleta.
La risposta ormonale all’esercizio fisico può essere influenzata da numerosissime variabili, sia correlate all’individuo (genetica, età, sesso, ritmi biologici, stato nutrizionale, grado di allenamento, assunzione di farmaci o integratori, patologie pregresse o in atto) che all’attività fisica (tipo, intensità e durata dell’esercizio, condizioni ambientali). Per studiare le caratteristiche della risposta ormonale all’esercizio fisico è pertanto fondamentale cercare di standardizzare il più possibile queste condizioni e descrivere l’esercizio svolto in termini di tipo, durata e intensità (quest’ultima espressa in genere come consumo di ossigeno relativo, in termini di percentuale del massimo consumo individuale di O2, VO2 max); in alcuni casi, tuttavia, questo può essere difficile, come ad esempio nel caso della valutazione del carico di lavoro in uno sport di squadra.
Pertanto, per la notevole quantità di variabili e la difficoltà nella standardizzazione delle procedure sperimentali, è spesso difficile confrontare i lavori scientifici pubblicati e ottenere un numero di studi adeguato per ogni singolo sport o atleta. Questo può spiegare anche la discrepanza che talora si riscontra nei vari studi. Tuttavia, le caratteristiche generali di risposta ormonale possono essere inquadrate in alcune linee generali (tabella).
Modificazioni ormonali durante attività sportiva | ||
Esercizio fisico acuto | Allenamento | |
GH | ↑ | ↑/=/↓ |
IGF-1 | ↑/= | ↑/=/↓ |
Catecolamine | ↑ | ↑/=/↓ |
ACTH | ↑ | ↑/=/↓ |
Cortisolo | ↑ | ↑/=/↓ |
TSH | ↑/=/↓ | ↑/=/↓ |
T3 - T4 | ↑/=/↓ | ↑/=/↓ |
LH - FSH | ↑/=/↓ | =/↓ |
Testosterone | ↑/=/↓ | =/↓ |
Estradiolo | ↑/=/↓ | =/↓ |
Insulina | ↓ | ↓ |
Asse GH-IGF-1
L’esercizio fisico è uno dei più potenti stimoli fisiologici per la secrezione di ormone della crescita (GH). Durante un esercizio fisico acuto, i livelli di GH aumentano dopo 10-20 minuti dall’inizio, raggiungendo il picco alla fine dell’esercizio e rimanendo elevati fino a 2 ore dopo.
L’incremento dei livelli di GH:
- correla positivamente con la durata e in particolare con l’intensità dell’esercizio svolto (la soglia minima per stimolarne la secrezione è pari al 30-50% della VO2 max, con una risposta massimale al 70% della VO2 max);
- è maggiore con esercizi di resistenza, specie se intermittenti, ed è influenzata dal tipo di risposta muscolare richiesta;
- è condizionato dall’età (inferiore nei soggetti più anziani), dal sesso (le donne hanno livelli basali più alti ma non sono state osservate differenze nella risposta all’esercizio fisico) e dalla composizione corporea (essendo minore nei soggetti con maggiore massa grassa).
Gli effetti dell’allenamento sulla secrezione di GH sono controversi, in quanto può amplificare la secrezione pulsatile di GH ma diminuirne la risposta a un esercizio fisico acuto. Tuttavia, i valori di GH a riposo non sono differenti nel soggetto allenato rispetto a quello non allenato.
Altrettanto controversi sono i risultati riguardanti l’insulin-like growth factor-1 (IGF-1). Alcuni studi non evidenziano modificazioni acute dei livelli circolanti di IGF-1 dopo attività fisica, altri invece ne riscontrano un aumento. L’assenza di variazione nei primi potrebbe essere spiegata dal tempo di latenza tra la secrezione di GH e quella di IGF-1 da esso stimolata. Anche nei pazienti allenati sembra esserci un aumento dei livelli circolanti di IGF-1. In seguito a esercizio fisico è stato dimostrato inoltre un aumento dell’espressione dell’IGF-1 a livello muscolare, con azione autocrina e/o paracrina, la cui secrezione appare indipendentemente dall’aumento sistemico del GH.
Sistema adrenergico
Adrenalina e noradrenalina, prodotte sia dal sistema nervoso autonomo che dalla midollare del surrene, sono i primi ormoni in ordine di tempo a modificarsi in occasione di un esercizio fisico acuto (1-2 minuti); raggiungono rapidamente un picco di concentrazione nel sangue pari a 5-10 volte i livelli basali e ritornano alla normalità nell’arco di circa 10-20 minuti. Negli atleti a volte possono aumentare anche prima dell’esecuzione dell’esercizio fisico per lo stress psichico associato (“secrezione anticipatoria”). L’entità dell’aumento è influenzata in particolare dall’intensità dell’esercizio: all’aumentare della VO2 aumentano anche i valori delle due catecolamine, mostrando un brusco incremento per carichi di lavoro > 65-70% della VO2 max (relazione non lineare). La secrezione di catecolamine in risposta a un esercizio fisico acuto è funzione anche dell’età (inferiore nei soggetti più anziani), del sesso e della condizione in cui si pratica l’esercizio (temperatura, altitudine, postura, …).
L’allenamento non sembra modificare i livelli basali di catecolamine. Tuttavia, nel soggetto allenato la secrezione di noradrenalina dopo un esercizio fisico acuto può risultare ridotta rispetto allo stesso soggetto non allenato. Ciò è probabilmente legato sia al miglioramento della condizione di “fitness” generale, che permette di sostenere lo stesso carico di lavoro con minore sforzo, sia al miglioramento della responsività individuale a uno stress. Infatti, considerando lo sforzo massimale di un individuo, i valori massimi di noradrenalina non differiscono tra il soggetto allenato e quello non allenato. Per quanto riguarda l’adrenalina, invece, è stata osservata una maggior capacità secretoria nel soggetto allenato sia in risposta all’esercizio fisico che ad altri stimoli. Questo fenomeno, detto “midollare sportiva”, è il risultato di un adattamento a lungo termine delle ghiandole surrenali, verosimilmente legato a un aumento di volume della midollare stessa.
Asse ipotalamo-ipofisi-surreni (HPA)
In seguito a un esercizio fisico acuto si osserva un immediato aumento dei livelli di CRH e ADH, seguito entro pochi minuti dall’aumento dell’ACTH, al quale segue nell’arco di circa 10-20 minuti un innalzamento dei livelli di cortisolemia. L’attivazione HPA è correlata allo stress psichico e metabolico (ipoglicemia) che accompagna l’esercizio e all’attivazione del sistema nervoso autonomo. L’entità di queste variazioni è proporzionale all’intensità e alla durata dell’esercizio svolto, essendo necessari almeno un consumo del 60% della VO2 max per 20 minuti o del 100% della VO2 max per 1 minuto, e al tipo di esercizio, essendo maggiore per quelli di tipo anaerobico. Ulteriori variabili sono l’età (i valori massimi di cortisolo dopo esercizio fisico tendono a ridursi con l’invecchiamento), lo stato nutrizionale (l’uso di integratori può ridurre lo stato di relativa ipoglicemia), l’altitudine (i valori basali di cortisolo sono più elevati), il momento della giornata (al mattino si registrano i valori massimi di cortisolo in termini assoluti, tuttavia nelle ore serali è più marcato l’aumento percentuale rispetto al basale).
L’allenamento può comportare una riduzione della sensibilità periferica ai glucocorticoidi, come evidenziato dal riscontro in alcuni studi di normali livelli di cortisolo con aumentati livelli di ACTH. Negli atleti si può inoltre osservare una riduzione della risposta del cortisolo in risposta a un esercizio fisico acuto. Al contrario, nei casi di overtraining si può assistere a un aumento dei valori basali di cortisolo e nei casi più estremi anche a un’alterazione del ritmo circadiano.
Asse ipotalamo-ipofisi-tiroide (HPT)
È noto che le disfunzioni tiroidee (ipotiroidismo e ipertiroidismo) alterano significativamente la performance fisica; a fronte di ciò, l’effetto dell’esercizio fisico sugli ormoni tiroidei sembra essere assai ridotto. Il ruolo degli ormoni tiroidei durante l’esercizio fisico sembra essere essenzialmente permissivo nei confronti degli altri ormoni.
Gli effetti dell’esercizio fisico acuto sugli ormoni tiroidei sono comunque contrastanti: a seconda delle caratteristiche dell’esercizio, sono stati riportati sia un aumento che una diminuzione dei livelli di T4, T3 e TSH.
Anche l’allenamento non sembra modificare la funzionalità tiroidea. Tuttavia, in atleti sottoposti a intenso e prolungato allenamento, tale da indurre un bilancio energetico negativo, si può osservare il quadro della “sindrome da bassa T3”.
Asse ipotalamo-ipofisi-gonadi (HPG)
L’esercizio fisico acuto può essere associato a un incremento, una riduzione o una non variazione delle concentrazioni delle gonadotropine in circolo, in funzione delle caratteristiche dell’esercizio svolto. I dati disponibili in letteratura non sono univoci, tuttavia è di comune riscontro una riduzione dei picchi di LH. Altrettanto poco chiare sono le modificazioni della funzione ormonale ovarica. Nell’uomo, invece, è noto che i livelli di testosterone aumentano durante l’esercizio acuto, verosimilmente per il suo ruolo nei processi anabolici e per modulare l’aggressività necessaria per far fronte allo sforzo, per poi ridursi nella fase di recupero e consentire il ripristino delle riserve energetiche replete. Anche in questo caso le caratteristiche dell’esercizio rivestono un ruolo primario, in quanto tali modificazioni sono più evidenti quanto maggiore è l’intensità dell’esercizio stesso.
In corso di allenamento, invece, le alterazioni dell’asse HPG sono molto più significative e con implicazioni cliniche maggiori, specie nella donna. In generale in entrambi i sessi si osserva una soppressione dell’attività gonadica (il cosiddetto “ipogonadismo dell’atleta”); lo stress fisico di per sé agisce a livello centrale, comportando un aumento del tono inibitorio degli oppioidi, con conseguente riduzione della secrezione di GnRH e a seguire di LH e FSH, di tipo quantitativo ma soprattutto qualitativo. La minore frequenza e ampiezza dei picchi esita in una ridotta produzione di ormoni sessuali da parte delle gonadi. L’inibizione dell’asse gonadico è inoltre fortemente condizionata dalla qualità e quantità dell’introito energetico e della composizione corporea: infatti, bassi livelli di leptina e alti livelli di ghrelina, tipici di chi presenta poca massa grassa, possono sopprimere a livello centrale l’asse gonadico. Inoltre, l’azione sfavorevole dell’attività fisica sull’apparato riproduttivo si realizza in misura minore anche per l’azione di altri ormoni coinvolti nella risposta allo stress fisico, quali cortisolo e catecolamine, e può essere influenzata anche dall’eventuale assunzione di sostanze illecite (doping). A livello clinico, nelle donne che praticano regolarmente attività sportiva si riscontrano fino al 60-70% dei casi disordini del ciclo mestruale (anovularietà, deficit della fase luteale, oligo-amenorrea) in relazione a tipo, intensità e durata dell’attività sportiva e alle modifiche della composizione corporea. Nelle donne è frequente la cosiddetta “triade dell’atleta”, caratterizzata da amenorrea ipotalamica funzionale, disturbi del comportamento alimentare e osteoporosi. Tali alterazioni possono essere reversibili con l’aumento dell’introito calorico e la riduzione dell’attività sportiva. Negli atleti uomini, pur riscontrandosi livelli di testosterone più bassi, è meno frequente riscontrare un quadro di franco ipogonadismo e ancora più raro rilevare modificazioni del liquido seminale e della spermatogenesi imputabili esclusivamente all’attività sportiva.
Insulina
I livelli di insulina si riducono in risposta all’esercizio fisico, comportandosi in maniera opposta agli ormoni contro-regolatori. Inoltre, l’attività fisica ha un’azione insulino-mimetica, determinando un aumento dell’espressione di GLUT4 a livello della membrana cellulare e facilitando la captazione di glucosio all’interno delle cellule. Questo miglioramento della sensibilità insulinica, essendo legato all’esercizio fisico stesso, è indipendente dall’eventuale variazione del peso corporeo, pur essendo questo un fattore contribuente. Tali modificazioni sono presenti sia dopo esercizio fisico acuto (più spiccate nelle ore immediatamente successive, per poi recedere completamente in 72 ore) che nel soggetto allenato. In quest’ultimo caso, però, i benefici risultano più stabili, con conseguente miglioramento del profilo glicemico e riduzione delle richieste di insulina. L’entità del miglioramento della sensibilità insulinica è dipendente dall’intensità e dal tipo di esercizio, essendosi dimostrata maggiore nel caso di esercizi di tipo aerobico o combinati (aerobico e di resistenza). Tuttavia, esso è presente per qualsiasi tipo di attività fisica, anche non strutturata, che comporti un dispendio energetico per un minimo di 30 minuti per 5 volte la settimana, con implicazioni cliniche rilevanti, in particolare nel paziente diabetico o con sindrome metabolica.
Bibliografia
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L’attività sportiva nel paziente endocrinopatico
Alessandro Scoppola
IDI-IRCCS, Roma
(aggiornato al 21 febbraio 2017)
La relazione tra sport e ormoni è biunivoca: il sistema endocrino regola l’omeostasi del corpo umano durante l’esercizio fisico, e a sua volta, l’esercizio fisico rappresenta un potente modulatore della funzionalità del sistema endocrino. Patologie del sistema endocrino, pertanto, possono comportare sia un calo delle prestazioni, quanto un cambiamento importante nella salute di numerosi organi e sistemi. A titolo indicativo, nella tabella seguente, sono illustrate le relazioni tra i più importanti elementi costituenti la performance sportiva, massa muscolare, metabolismo energetico, integrità psico-fisica e le più frequenti endocrinopatie.
Tabella 1 | ||
Massa muscolare | Metabolismo energetico | Integrità psico-fisica |
sono influenzati negativamente da | ||
Deficit di GH Ipercortisolismo Deficit di vitamina D Ipocortisolismo Ipotiroidismo Iperprolattinemia Ipertiroidismo |
Ipocortisolismo Ipotiroidismo Ipercortisolismo Diabete mellito Deficit di GH Ipertiroidismo Ipopituitarismo post-traumatico |
Ipotiroidismo Ipercortisolismo Deficit di GH Ipogonadismo Ipocortisolismo Ipertiroidismo Ipopituitarismo post-traumatico |
Asse GnRH-Gn-testicolo nell’attività fisica
La concentrazione del testosterone può influenzare favorevolmente la composizione corporea (sviluppo muscolare, massa grassa e densità minerale ossea), la maturazione e la funzione del sistema nervoso centrale (processi cognitivi, aggressività), importanti processi metabolici coinvolgenti il metabolismo del glucosio, dell’insulina e della leptina, la contrazione muscolare, l’eritropoiesi e l’adattamento allo stress.
Le variazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-testicolo indotte dall’esercizio fisico, possono in diversi modi, modificare significativamente molte delle funzioni sovra-riportate (1).
Le concentrazioni di testosterone totale, SHBG, come di altri ormoni sono fondamentali nell’adattamento allo stress e nella prestazione fisica nella maggior parte degli sport. I soggetti ipogonadici affetti da s. di Klinefelter, ipogonadismo ipogonadotropo congenito, anorchia, ipogonadismo ipogonadotropo secondario ad adenomi ipofisario sono, infatti, esposti a importanti rischi per l’incapacità di adattamento durante l’esercizio fisico. In generale, è possibile affermare che gli atleti ipogonadici hanno un aumentato rischio di fratture osteoporotiche spontanee e post-traumatiche, complicanze cardio-vascolari correlate all’intensità dell’esercizio fisico e anemia sport-correlata.
Anche nella fase di recupero il testosterone è fondamentale per la riparazione muscolare e il trofismo delle fibre muscolari e va considerato con particolare attenzione nel sovra-allenamento, che rappresenta per questo la condizione a maggior rischio. Il comitato mondiale che controlla l’anti-doping (World Anti-Doping Agency: WADA) consente ai pazienti ipogonadici l’uso di sostanze altrimenti proibite, a seguito di accurate diagnosi e valutazioni, in dosaggi adeguati unicamente per la correzione del difetto ormonale nei limiti fisiologici.
Un discorso a parte merita la presenza del varicocele nell’atleta, che rappresenta una delle più frequenti malattie andrologiche, con prevalenza > 30% (2). Numero e caratteristiche maturative degli spermatozoi possono essere ridotte maggiormente negli atleti rispetto ai soggetti sedentari, in proporzione al grado del varicocele stesso. L’attività fisica è stata considerata come un possibile fattore di progressione clinica del varicocele e peggioramento della fertilità negli atleti, con ulteriore riscontro di significative alterazioni del liquido seminale. Per tale motivo, è da auspicare che nelle visite di idoneità sportiva venga eseguita di routine la valutazione dei genitali e quindi anche la ricerca di un varicocele.
Asse GnRH-Gn-ovaio nell’attività fisica
L’amenorrea indotta dall’esercizio fisico è di origine ipotalamica, con ben documentata alterazione della secrezione pulsatile di GnRH e conseguente riduzione di LH, quindi con ipo-estrogenismo. Alla base di questa alterazione è presente un’errata compensazione della bilancia energetica, dove, a fronte dell’elevato consumo, è presente un inadeguato introito calorico. L’amenorrea che spesso si stabilisce può essere sia primaria che secondaria. Talvolta, quando l’attività fisica si stabilisce prima del menarca, è possibile documentare un significativo ritardo puberale. Quale ulteriore conseguenza di quanto sovra-riportato, l’ipoestrogenismo determina importanti conseguenze sulla massa ossea. Laddove queste conseguenze si associno a eventuali tare genetiche e di etnia, il significato clinico nel tempo assume importanza ancora maggiore. È noto, infatti, che nel 90% delle adolescenti il contenuto minerale osseo totale matura intorno ai 16.9 ± 1.3 anni: mentre la massa ossea aumenta fino alla terza decade, la densità ossea non ha più un significativo incremento dopo la fine della pubertà (3). Questo importante dato va considerato in quelle condizioni dove le atlete agoniste, per effetto dell’ipoestrogenismo indotto dall’amenorrea, presentano un ritardo della pubertà, con importanti modificazioni dell’accrescimento della massa ossea. La ridotta massa ossea sembra in parte reversibile con il ripristino del ciclo mestruale, ma la densità minerale ossea rimane al di sotto della media per età per i successivi 4 anni e tutte queste donne andranno in menopausa con una densità minerale ossea inferiore a quella delle donne con cicli regolari. Tra le conseguenze a breve termine, fratture da stress e scoliosi sono i disturbi più frequenti. Diversi studi sul turnover osseo nelle atlete amenorroiche hanno documentato sia una riduzione della formazione ossea, che del turnover, piuttosto che un incremento del riassorbimento osseo e del turnover tipico dell’ipoestrogenismo (4). Questo implica che l’osteopenia osservata in queste donne può dipendere da un meccanismo di adattamento all’errato bilancio energetico.
Le indicazioni terapeutiche sono spesso di difficile attuazione, poiché in queste atlete per paura di modificare la performance sportiva non viene spesso accettata la correzione della bilancia energetica e il ripristino di un adeguato peso corporeo. È necessario un adeguato apporto di vitamina D (400-800 UI/die) e di calcio (1200-1500 mg/die) per il periodo di allenamento. Studi in queste atlete mirati alla somministrazione di terapia estro-progestinica sostitutiva o con contraccettivi orali non hanno fornito risultati sempre riproducibili, per l’eterogeneità delle formulazioni disponibili; tuttavia, nella maggior parte delle casistiche è stata notata una prevenzione della perdita ossea, senza un incremento della stessa ai valori comparabili per età.
Disordini tiroidei ed attività fisica
Nell’ipotiroidismo la riduzione degli ormoni metabolicamente attivi può ridurre la contrattilità miocardica, modificando la frazione di eiezione. Può essere influenzata anche la fase di rilassamento diastolico e in questi casi le variazioni ormonali tiroidee determinano variazioni delle concentrazioni di ossido nitrico nella parete vasale, con prematura perdita di elasticità e irrigidimento. Anche nell’ipotiroidismo subclinico, che frequentemente può evolvere verso una forma manifesta (70% dei casi), è stata documentata una condizione di ipercoagulabilità, malattia aterosclerotica cardio-vascolare e riduzione della capacità submassimale (5). Se si confrontano i pazienti con ipotiroidismo subclinico con i normali, anche nella fase di recupero, i primi presentano tempi più lunghi e modificazioni cardio-vascolari più frequenti. Comunque, sebbene gli studi sull’effetto dell’ipotiroidismo sull’attività fisica siano molto eterogenei, c’è un parere concorde in letteratura sulla scarsa tolleranza all’esercizio fisico sia nell’ipotiroidismo manifesto che, meno, in quello subclinico e comunque con una scarsa reversibilità anche dopo adeguata correzione farmacologica.
Nell’ipertiroidismo l’incremento del metabolismo basale è alla base dell’aumento del consumo di ossigeno e della produzione di calore. Questo pone gli atleti ad elevato rischio di insufficienza cardiaca. Il facile mantenimento del peso corporeo, l’aumento dell’appetito con iniziale apparente miglioramento della performance sportiva, cui segue inevitabilmente una riduzione della stessa, e la modesta elevazione della frequenza cardiaca, celata dalla bradicardia sinusale tipica degli atleti, possono nascondere una condizione di ipertiroidismo in evoluzione (6). In questi casi è raccomandato il trattamento con metimazolo e ß-bloccanti, sebbene questi ultimi determinino negli atleti, che effettuano sport di resistenza, una riduzione della performance, per i noti effetti emodinamici sulla funzione cardiocircolatoria. Particolare attenzione va posta all’ipertiroidismo subclinico, che determina modificazioni importanti della funzione cardiaca, con tachicardia, rischio di aritmie (in particolare fibrillazione atriale), ipertrofia ventricolare, riduzione della performance sistolica, riduzione della tolleranza all’esercizio fisico e soprattutto alterazioni della funzione e del ritmo cardiaco anche nella fase di recupero (7). Inoltre, nei pazienti con ipertiroidismo subclinico di età > 60 anni, proprio per questi motivi, è stata dimostrata una maggiore incidenza di morte improvvisa. Un discorso a parte merita l’incremento di sviluppo dell’osteoporosi, con maggiore vulnerabilità a traumi e fratture. L’ipertiroidismo subclinico è spesso causato dall’assunzione impropria di tiroxina e/o di integratori con iodio al fine di mantenere il peso corporeo. Questa pratica sembra essere sempre più diffusa tra i body-builders e gli atleti ove è necessario uno stretto controllo del peso. La valutazione delle dimensioni ghiandolari tiroidee, della captazione dello iodio e delle basse concentrazioni plasmatiche di tireoglobulina facilitano il sospetto clinico e la diagnosi.
Disfunzioni cortico-surrenaliche e attività fisica
L’insufficienza cortico-surrenalica è caratterizzata da sintomi, quali astenia, riduzione del peso e dell’appetito, che talvolta sono presenti in diverso modo negli sportivi. Il ruolo degli ormoni cortico-surrenalici sul muscolo è ben noto e la loro carenza determina una riduzione della forza muscolare, con edema, mialgie e in casi particolarmente gravi, anche la comparsa di necrosi ed alterazioni elettromiografiche. La correzione farmacologica in genere consente una risoluzione dei disturbi, ma talvolta, nonostante l’apparente compenso che si stabilisce farmacologicamente, permangono astenia e ridotta forza muscolare. Anche l’aggiunta di ulteriori dosi ormonali sostitutive (idrocortisone) poco prima della prestazione fisica, non migliora la sintomatologia e la performance complessiva (8). Talvolta tale incompleta risoluzione dei disturbi può essere correlata alla scelta della terapia sostitutiva (idrocortisone in dosi frazionate vs idrocortisone a rilascio modificato) e la sintomatologia si può accentuare nei diversi momenti della giornata, in funzione della più o meno completa copertura farmacologica. Tra i muscoli maggiormente coinvolti, i più importanti sono quelli delle gambe, in particolare il quadricipite. L’astenia e il deficit muscolare in questi pazienti è sostenuto anche dalle anomalie elettrolitiche (iposodiemia, iperpotassiemia, ipercalcemia), che si associano alla carenza ormonale cortico-surrenalica. Poiché l’attività fisica intensa rappresenta un “evento stressante” per l’individuo, che modifica i parametri metabolici e ormonali, ma anche quelli neurosensoriali, cognitivi e di concentrazione, è stato recentemente osservato nei pazienti affetti da malattia di Addison, che sia la riduzione della qualità della vita, che della performance fisica, sono più frequenti, indifferentemente dal sesso, nei soggetti più giovani rispetto agli ultra65enni (9).
Anche l’eccesso di glucorticoidi, indipendentemente dall’eziologia, può influenzare l’attività sportiva. La miopatia da glucorticoidi si può manifestare in forma acuta, dopo pochi giorni dalla somministrazione di dosi elevate in corso di esercizio fisico intenso, o successivamente alla somministrazione cronica, in associazione all’azione proteolitica sulle miofibrille, con interessamento tipico della muscolatura del cinto pelvico e dei muscoli prossimali.
Alla luce di quanto illustrato, sono necessari maggiori controlli clinici endocrinologici per chi pratica attività sportiva, soprattutto di intensità elevata, al fine di una precoce diagnosi delle disfunzioni endocrine. È necessaria la valutazione di parametri di funzionalità ormonale, diversificati, adeguandoli all’intensità e alla durata dell’esercizio fisico e l’individuazione della fase subclinica, che nell’atleta agonista, diversamente dal soggetto sedentario, può influenzare la performance atletica e a volte compromettere lo stato di salute complessivo.
Bibliografia
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Gli ormoni come doping
Danilo Fintini
UOC di Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Universitario Ospedaliero, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma
Definizione di doping
Con il termine inglese Doping si intende l’assunzione di sostanze o procedimenti destinati ad aumentare artificialmente il rendimento in occasione di una gara sportiva (Legge n. 376 del 2000). Gli ormoni rientrano in queste sostanze.
Il fenomeno doping non si può più considerare solo un problema dello sport professionistico, ma anche dello sport dilettantistico e amatoriale.
I composti chimici utilizzati illecitamente nello sport sono molti, con diversi meccanismi d’azione e diverso grado di pericolosità, e l’elenco delle sostanze il cui uso da parte degli atleti è vietato viene revisionato annualmente ad opera della World Anti-Doping Agency (WADA), organo del CIO, dal 1° gennaio 2011 (tabelle 1 e 2).
La presenza di sostanze proibite, durante una competizione e non, è possibile solo in presenza di una TUE (Therapeutic Use Exemptions), in accordo con gli Standard Internazionali (WADA code 2016).
Tabella 1 Elenco delle sostanze e dei metodi “dopanti” sempre proibiti (modificato dal WADA 2016) |
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S1. Steroidi anabolizzanti | Androstenedione, androstenediolo, testosterone, nandrolone, ecc |
S2. Ormoni peptidici, fattori di crescita e sostanze correlate | Eritropoietina e fattori di rilascio, GH e fattori di rilascio, IGF-1, gonadotropine (LH, hCG), insulina, ACTH e fattori di rilascio, ecc |
S3. Agonisti ß2-adrenergici | Salmeterolo, terbutalina, orciprenalina, albuterolo, ecc |
S4. Antagonisti e modulatori ormonali | Anastrazolo, aminoglutetimide, testolattone, raloxifene, tamoxifene, ecc |
S5. Diuretici e altri agenti mascheranti | Desmopressina, acetazolamide, furosemide, idroclorotiazide, spironolattone, ecc (ad eccezione del drospirenone) |
Tabella 2 Elenco delle sostanze e dei metodi “dopanti” proibiti in competizione (modificato dal WADA 2016) |
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S6. Stimolanti non specificati e specificati | Amfetamine, cocaina, ecc Efedrina, pseudo-efedrina oltre le dosi terapeutiche |
S7. Narcotici | Buprenorfina, metadone, ossicodone, morfina, pentidina, ecc |
S8. Cannabinoidi | Hashish, marijuana, cannabino-mimetici |
S9. Glucocorticoidi | Tutti i glucocorticosteroidi quando somministrati per via orale, endovenosa, intramuscolare o rettale |
Sostanze proibite in particolari sport | |
P1. Alcool (> 0.10 g/L) | Aeronautica, tiro con l’arco, automobilismo, motonautica, ecc |
P2. ß-bloccanti | Aeronautica, tiro, automobilismo, golf, freccette, biliardo, sci, sport subacquei |
Di seguito verranno presi in considerazione alcuni fra gli ormoni maggiormente utilizzati nell’ambito del doping.
Steroidi anabolizzanti androgeni
Questa categoria di sostanze include l’ormone maschile testosterone e i composti chimici a questo affine. Possiedono attività androgenica tutti quegli steroidi a 19 atomi di carbonio con un gruppo β idrossilico in C-17 e un gruppo chetonico in C-3.
Gli effetti fisiologici del testosterone e degli steroidi anabolizzanti di sintesi sono mediati dal complesso steroide-recettore, portando principalmente a ipertrofia muscolare, con conseguente aumento dei recettori e aumento della massa magra. A livello cerebrale, il testosterone e i suoi derivati inducono un effetto amfetamino-simile. A livello del midollo osseo gli androgeni stimolano l’attività eritropoietica.
In conclusione, riescono ad aumentare la massa e la forza muscolare e consentono di sopportare carichi di lavoro più intensi.
Il loro uso può portare però a una serie di effetti collaterali, come epatotossicità (in particolare nelle formulazioni orali), rischio di neoplasie epatiche e prostatiche e maturazione ossea accelerata nell’adolescente, oltre a ipogonadismo e azoospermia nell’uomo e irsutismo e irregolarità mestruali nella donna. Inoltre, possono favorire l’aterogenesi, aumentando il colesterolo LDL, con aumentato rischio cardio-vascolare.
Ormone della crescita (GH)
Il GH è una proteina di 191 aminoacidi e 22 kDa, secreta in maniera pulsatile dall’ipofisi, che, legandosi a un recettore trans-membrana, stimola la produzione del suo mediatore principale periferico IGF-1, che ne media gli effetti anabolici e di accrescimento.
L’effetto principale è l’accrescimento scheletrico nei bambini, ma anche l’aumento della massa magra e il controllo dell’omeostasi glicidica e lipidica. Inizialmente estratto da ipofisi di cadavere, dal 1987 è utilizzato il GH biosintetico, prodotto mediante tecnologia del DNA ricombinante.
Viene utilizzato in ambito sportivo per potenziare la forza muscolare, con un effetto simile a quello degli anabolizzanti steroidei negli sport di potenza, ma anche in quelli a più alto impegno del metabolismo aerobico, quali per esempio maratona, ecc. L’efficacia del GH, somministrato a dosi elevate ad atleti adulti, è stata scientificamente provata da una serie di studi.
La somministrazione di questo ormone in soggetti non carenti comporta segni e sintomi tipici dell’acromegalia (modificazioni somatiche, diabete mellito, cardio- e organomegalia, alterazioni articolari, rischio neoplastico, ecc), con rischio aumentato di mortalità cardio-vascolare.
Eritropoietina (EPO)
L’EPO è un farmaco molto utilizzato nel doping, in particolare negli sport che richiedono molta resistenza con sforzi prolungati (es ciclismo). Infatti, aumentando la produzione di globuli rossi, aumenta il trasporto di ossigeno nel sangue e quindi migliora il meccanismo muscolare di utilizzo del glucosio.
La poliglobulia che può derivarne, aumentando la viscosità del sangue, può comportare un rischio elevato di trombosi, ictus e infarto miocardico.
Corticotropina (ACTH)
L’ACTH è un ormone peptidico derivato dalla scissione della pro-opiomelanocortina secreta dall’ipofisi, che stimola i surrenali per la produzione di glico- e mineralcorticoidi. La sua secrezione, regolata con meccanismo di feed-back negativo dagli ormoni circolanti esogeni ed endogeni, aiuta nella regolazione del metabolismo idro-salino e aumenta sotto stress fisico o psicologico. Viene impiegata nello sport in forma di tetracosactide (Synacthen) per i suoi effetti anabolizzanti, nonostante non vi sia alcuna prova scientifica, avendo un effetto indiretto attraverso l’aumentata produzione di steroidi.
Gli effetti collaterali, simili a quelli dell’assunzione di steroidi anabolizzanti, possono comprendere: ritenzione idrica, iperglicemia, disturbi gastro-intestinali, osteoporosi, acne e irsutismo.
Insulina
Il suo impiego come doping, legato agli effetti anabolizzanti, non è supportato da prove scientifiche. Gli atleti la assumono nella convinzione che determini un miglioramento della performance sportiva.
Gli effetti collaterali sono soprattutto crisi ipoglicemiche acute, ritenzione di liquidi, ecc.
Gonadotropina corionica umana (hCG)
L’hCG è una sostanza prodotta dalla placenta durante la gravidanza, che si estrae dall’urina ed è normalmente impiegata in medicina per stimolare le cellule di Leydig testicolari ed aumentare il testosterone nell’ipogonadismo ipogonadotropo maschile e per l’ovulazione (effetto LH-simile) nelle donne con problemi di infertilità. Nell’attività sportiva viene utilizzato per l’effetto anabolizzante, legato all’aumento della produzione di androgeni.
Gli effetti collaterali comprendono principalmente rischio trombotico, aumento delle dimensioni delle mammelle e dei testicoli, alterazioni della crescita se utilizzato in età adolescenziale/infantile.
Conclusioni
La pratica del doping e l’uso di ormoni come doping ha quindi in generale pochi vantaggi e tantissimi rischi di effetti collaterali.
I controlli anti-doping non hanno dato ad oggi i risultati attesi e la figura del medico e dell’endocrinologo può avere un ruolo centrale nella prevenzione e nell’individuazione di possibile abuso di sostanze a scopo di doping.
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- wada-ama.org
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