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Anatomia e fisiologia dell'organo adiposo
Anatomia e istologia dell'organo adiposo
Francesco Cavagnini
Istituto Auxologico Italiano, Università di Milano
Considerato fino a pochi anni or sono un semplice serbatoio di energia depositata in forma di trigliceridi, il tessuto adiposo è stato recentemente riconosciuto come un organo distinto, l’organo adiposo. Concepito dapprima come tessuto senza un’architettura specifica, a struttura e distribuzione diffusa, questo tessuto si è rivelato costituito da due tipi di cellule adipose con specifiche caratteristiche morfo-funzionali, dotato di una struttura ben definita e provvisto di una distribuzione peculiare.
Istologicamente, vi si riconoscono due tipi di cellule.
- Gli adipociti bianchi sono sferici, occupati da un unico vacuolo di grasso che sospinge alla periferia il nucleo e il citoplasma, ridotto ad una sottile rima, con mitocondri dotati di poche creste. Rappresentano una riserva energetica: mentre in caso di sovra-alimentazione si ingrossano accumulando trigliceridi, in caso di carenza alimentare provvedono ad ossidare i trigliceridi con produzione di energia (ATP), riducendo quindi le loro dimensioni.
- Gli adipociti bruni sono più piccoli dei precedenti, poligonali, con nucleo centrale circondato da numerosi piccoli vacuoli di grasso e abbondante citoplasma ricco di mitocondri con molte creste laminari. Tali cellule sono in stretto contatto con vasi sanguigni e fibre nervose adrenergiche. Grazie alla presenza nei mitocondri di una proteina (UCP-1, uncoupling protein1) in grado di disaccoppiare e quindi rendere inefficace la fosforilazione ossidativa, gli adipociti bruni hanno una funzione opposta ai precedenti: anziché conservare e produrre al bisogno energia in forma di ATP, la disperdono sotto forma di calore. In questo modo assicurano l’omeostasi termica dell’organismo in caso di abbassamento della temperatura ambientale oppure aumentano il dispendio energetico in caso di sovra-alimentazione. Questo processo biochimico è innescato da una stimolazione adrenergica, con liberazione di noradrenalina e attivazione dei suoi recettori β3 specificamente espressi sulla membrana di questi adipociti. Il calore prodotto verrà facilmente diffuso all’intero organismo attraverso la ricca rete vascolare che li circonda. Di fatto, nell’animale geneticamente modificato, l’assenza del recettore adrenergico β3 o del tessuto adiposo bruno è seguita dallo sviluppo di obesità. L’adipocita bruno, a differenza dell’adipocita bianco, non modifica sostanzialmente la propria morfologia in caso di eccessivo apporto calorico.
I progenitori dell’adipocita bianco e bruno non sono i fibroblasti presenti nel tessuto adiposo stesso, bensì cellule endoteliali (periciti) dei capillari che lo irrorano.
Circa la struttura del tessuto adiposo, è stato di recente documentato come essa non sia di tipo continuo e uniforme, bensì costituita da diversi depositi di grasso, tra loro isolabili in quanto provvisti di una membrana connettivale. In seno ad ogni deposito sono riconoscibili adipociti bruni frammisti agli adipociti bianchi. Nella specie umana, gli adipociti bianchi sono largamente prevalenti su quelli bruni.
La copresenza dei due citotipi nel tessuto adiposo è la premessa per il fenomeno della trans-differenziazione reversibile tra i due tipi di adipociti, fenomeno che conferisce al tessuto adiposo una sorprendente plasticità. Infatti, la prolungata esposizione al freddo, così come l’attivazione protratta del sistema adrenergico (pazienti con feocromocitoma), induce un aumento degli adipociti bruni nel tessuto adiposo. Questo aumento non sembra tanto dovuto ad una proliferazione di cellule progenitrici, ma piuttosto ad una trasformazione diretta (trans-differenziazione) degli adipociti bianchi in adipociti bruni con neo-espressione della proteina UCP-1. Al contrario, l’elevazione della temperatura ambientale nell’animale da esperimento, induce una trasformazione degli adipociti bruni, che perdono la caratteristica multi-vacuolarità per diventare simili agli adipociti bianchi, con un unico vacuolo di grasso intra-cellulare e con abolizione dell’espressione di UCP-1. Un ruolo chiave nel processo di trans-differenziazione è svolto da una miochina prodotta dal muscolo, denominata irisina, che induce una riprogrammazione genica del tessuto adiposo in risposta a variazioni nutrizionali.
Un altro elemento importante nell’istologia del tessuto adiposo è costituito dai macrofagi. Nell’obesità è presente una vera patologia del tessuto adiposo: questo mostra una massiva infiltrazione di macrofagi, responsabili della produzione di numerose citochine (TNFα, IL-6, IL-1α, ecc) che impattano con il recettore insulinico causando insulino-resistenza.
Per quanto riguarda la sua distribuzione, il tessuto adiposo si trova localizzato in sede sottocutanea, nell’omento e in sede profonda, peri-viscerale. La sua distribuzione distrettuale differisce nei due sessi e riveste notevole rilevanza clinica. Nella donna è più rappresentato in regione gluteo-femorale, nell’uomo a livello addominale. L’adipe dei due distretti, superficiale e profondo, sembra dotato di diverse caratteristiche funzionali, presentando addirittura una diversa capacità di espressione genica. Di fatto, è oggi ben documentato che in entrambi i sessi un eccesso di adipe viscerale, quale si osserva nella sindrome metabolica, si associa ad un aumentato rischio cardiovascolare.
A conferire al tessuto adiposo la dignità di “organo” contribuisce la capacità della sua componente bianca di produrre un elevato numero di ormoni e altre molecole biologicamente attive (adipochine), tanto da poter essere considerato un organo endocrino.
Di recente è stato ipotizzato che in caso di iperalimentazione avrebbe luogo un’espansione del compartimento adiposo sottocutaneo, che assorbirebbe l’eccesso di energia introdotta, limitando la neoformazione di adipe viscerale. Tale espansione si verificherebbe per ingrossamento degli adipociti bianchi pre-esistenti, per neo-formazione di nuovi adipociti a partire da cellule progenitrici e anche per trans-differenziazione di adipociti bruni in adipociti bianchi. Ben si comprende come una disfunzione dell’adipe sottocutaneo, con inceppamento di questo meccanismo, possa contribuire all’instaurarsi dell’obesità viscerale con le conseguenti ripercussioni cliniche.
Queste nuove acquisizioni anatomo-funzionali sul tessuto adiposo possiedono un forte potenziale terapeutico, stimolando la ricerca di nuovi farmaci (es. agonisti selettivi dei recettori β3-aderenergici) per il trattamento dell’obesità.
Bibliografia
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Le adipochine
Francesco Cavagnini, Massimo Scacchi
Istituto Auxologico Italiano, Università di Milano
(aggiornato al 9 gennaio 2020)
Generalità
Vengono definite adipochine o adipocitochine numerose (oltre 600) sostanze biologicamente attive (enzimi, ormoni, citochine, fattori di crescita), prodotte dall’adipocita e dalla componente stromale-vascolare del tessuto adiposo, soprattutto sotto-cutaneo, nella sua qualità di organo endocrino e paracrino.
Queste sostanze svolgono una funzione di enorme portata nella regolazione del metabolismo. Esse, infatti, influenzano la sensibilità insulinica oltre che il trofismo della cellula β-pancreatica, lo stato di infiammazione cronica associato alla sindrome metabolica, il comportamento alimentare e il dispendio energetico; infine, stabiliscono una relazione funzionale tra il tessuto adiposo e l’attività di diversi organi ed apparati (cardio-vascolare, riproduttivo, scheletrico, uro-poietico, sistema endocrino e autoimmune, sistema della coagulazione, ecc). Nell’obesità, a causa dello stato infiammatorio cronico e della disfunzione del tessuto adiposo, la produzione di adipochine è orientata in senso diabetogeno e aterogeno (1-5).
Alcune di queste sostanze meritano una menzione particolare.
Azioni delle adipochine | |
Regolazione della risposta infiammatoria | Interleukina 1, 6, 8, 10 Tumor necrosis factor alfa (TNFα) Transforming growth factor β (TGFβ) Interferon γ Chemerina Proteina C-reattiva Inibitore-1-dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) |
Insulino-resistenza ed epato-steatosi | Vaspina Resistina Visfatina Fetuina-A Chemerina Proteina-4 legante il retinolo (RBP4) Proteina-4 legante gli acidi grassi |
Ipertensione arteriosa | Angiotensinogeno |
Emostasi | Fibrinogeno |
Miglioramento della funzione endoteliale | Nesfatina Apelina Omentina |
Leptina
Identificata nel 1994, inibisce la secrezione ipotalamica di peptidi che stimolano l’appetito (NPY, AGRP, MCH, ecc.) e promuove quella di peptidi anoressanti (CRH, POMC, MC, ecc). Contemporaneamente incrementa il dispendio energetico, esercitando in definitiva un effetto catabolico. Coerentemente con queste azioni, i suoi livelli circolanti risultano elevati dopo il pasto e negli stati di ipernutrizione e soppressi nel digiuno e negli stati di iponutrizione.
Mutazioni del gene o del recettore della leptina si accompagnano allo sviluppo precoce di obesità massiva. Nell’obesità di origine non genetica i livelli plasmatici di leptina sono elevati e correlati positivamente con la massa del tessuto adiposo bianco. La mancanza del suo effetto anoressante in questo caso viene attribuita a una resistenza alla sua azione nel sistema nervoso centrale. A causa di questa resistenza, la somministrazione di leptina esogena non si è rivelata in grado di modificare consumo calorico e peso corporeo in pazienti obesi. Più efficace sembrerebbe la somministrazione combinata di leptina e amilina, peptide prevalentemente prodotto dalle cellule β-pancreatiche e in grado di ripristinare la sensibilità alla leptina.
A livello vascolare, la leptina aumenta lo stress ossidativo, promuove la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce nonché la deposizione di calcio, producendo una disfunzione endoteliale; queste azioni, insieme ad una azione pro-infiammatoria e pro-trombotica, forniscono alla leptina un distinto profilo aterogeno. Di fatto, animali privi del gene della leptina o del recettore di questa sono resistenti all’aterosclerosi, pur sviluppando una grave obesità. Questi effetti della leptina, insieme all’insulino-resistenza, anch’essa favorita dall’ormone, si riscontrano nella sindrome metabolica, anche se restano ancora da definire i rapporti tra obesità, livelli di leptina ed eventi cardio-vascolari. La leptina, infatti, prodotta anche a livello del miocardio, svolgerebbe un’azione locale cardio-protettiva. Nell’uomo, elevati livelli sierici di leptina sarebbero associati ad aumentato rischio di infarto miocardico ed ictus cerebrale, indipendentemente dalla presenza di obesità.
Ancora, la leptina potrebbe agire direttamente a livello articolare, favorendo la comparsa dell’osteo-artrosi associata all’obesità: di fatto, questa complicanza non compare nell’obesità dell’animale privato del gene della leptina.
La leptina favorirebbe l’attività del sistema immune, come testimoniato dallo stato di immuno-deficienza di topi privati del gene della leptina o del suo recettore. La somministrazione di leptina esogena potrebbe dare adito ad un effetto nel complesso pro-infiammatorio e quindi potenzialmente deleterio. Il trattamento con antagonisti della leptina potrebbe quindi essere efficace non solo nei casi di cachessia ma anche in quelli di patologie immuno-mediate.
Considerate le interazioni di recente dimostrate tra sistema scheletrico e metabolismo energetico, non sorprende che la leptina, squisita espressione della massa adiposa e quindi dello stato nutrizionale, possa influenzare il metabolismo dell’osso. Infatti, attraverso interazioni con diversi peptidi ipotalamici e con il sistema adrenergico, essa regola negativamente la neoformazione ossea da parte degli osteoblasti.
Infine questa adipochina, oltre ad interagire con i sistemi immunitario ed emopoietico, svolge un ruolo cruciale nel legame funzionale tra stato nutrizionale e sistema riproduttivo (6): stimola la secrezione ipotalamica di GnRH, sensibilizza l’ipofisi alla sua azione, amplificando la liberazione di gonadotropine, e interviene infine nel regolare la produzione di steroidi gonadici. La leptina esercita, pertanto, una funzione importante nell’avvio della pubertà ed è responsabile dell’amenorrea, e quindi del blocco della capacità riproduttiva, quando l’organismo è denutrito come nel caso paradigmatico dell’anoressia nervosa. In questa condizione clinica è stata riportata la ripresa del ciclo mestruale con la somministrazione di leptina.
Adiponectina
Identificata un anno dopo la scoperta della leptina, è abbondantemente presente nel plasma, soprattutto nella sua forma multimerica ad alto peso molecolare, e la sua produzione è regolata negativamente dal sistema endo-cannabinoide. Recettori per l’adiponectina sono espressi nel muscolo (AdipoR1) e nel fegato (AdipoR2). I suoi livelli circolanti sono diminuiti nell’obesità e inversamente proporzionali al grado di sovrappeso e di insulino-resistenza; essi sono altresì diminuiti nel diabete di tipo 2 e nelle malattie cardio-vascolari, come probabile conseguenza dell’aumentato stress ossidativo e dello stato infiammatorio cronico presenti in queste condizioni. L’adiponectina è il probabile mediatore dell’effetto dei farmaci insulino-sensibilizzanti che, attraverso il PPARγ, inducono l’espressione del suo gene. Infatti, la somministrazione di questi farmaci aumenta i livelli circolanti di adiponectina, che risultano invece diminuiti dalle citochine pro-infiammatorie. Questa adipochina sembra anche dotata di una azione protettiva sulla cellula β-pancreatica; la sua somministrazione stimola la secrezione di insulina, riduce la produzione epatica di glucosio e favorisce l’ossidazione dei grassi.
L’adiponectina possiede squisite proprietà anti-ossidanti, anti-infiammatorie e anti-aterogene. Essa regola positivamente l’enzima responsabile della produzione di ossido nitrico nell’endotelio e riduce la proliferazione delle cellule muscolari lisce nella parete vascolare. Un deficit di adiponectina si accompagna a disfunzione endoteliale, con diminuita capacità di vaso-dilatazione, aumentato spessore dell’intima-media, insorgenza di ipertensione arteriosa e scompenso cardiaco, aumentato rischio di infarto miocardico e malattia coronarica in pazienti diabetici. All’adiponectina viene pertanto riconosciuta un’azione cardio-protettiva.
Bassi livelli di adiponectina si accompagnano a maggiore accumulo di grasso nel fegato e a maggiore progressione della epato-steatosi non alcolica a steato-epatite.
Nel sistema nervoso centrale l’adiponectina aumenta il dispendio energetico, favorendo così la diminuzione del peso corporeo. Per ragioni non del tutto chiarite, elevati livelli di adiponectina sono predittivi di aumentata mortalità nell’insufficienza renale cronica (7).
Un agonista dei recettori dell’adiponectina, somministrabile oralmente e conosciuto come AdipoRon, si è dimostrato in grado di ridurre l’insulino-resistenza e di migliorare il compenso glico-metabolico in topi obesi, prolungandone l’aspettativa di vita. Lo sviluppo di farmaci agonisti dell’adiponectina sembra promettente, poiché tale adipochina unisce agli effetti insulino-sensibilizzanti quelli anti-infiammatori, che possono essere utili nel trattamento dell’infiammazione del tessuto adiposo del paziente obeso.
Altre adipochine
Nesfatina. Si sta rivelando uno dei più potenti peptidi con azione anoressante. Oltre che nell’ipotalamo e in altre aree del sistema nervoso centrale, è prodotta nello stomaco, nel pancreas e nel tessuto adiposo. Questa adipochina presenta un profilo di attività simile all’adiponectina: come questa è dotata di azione anti-infiammatoria, riduce la produzione epatica di glucosio e ne aumenta l’utilizzazione (8). I suoi livelli circolanti sono aumentati nell’uomo obeso, dove correlano positivamente con il BMI (9).
Vaspina. Prodotta prevalentemente dal tessuto adiposo viscerale (il nome è un acronimo di visceral adipose tissue-derived serine protease inhibitor), riduce l’assunzione di cibo, inibendo a livello ipotalamico l’espressione del peptide oressigeno NPY e stimolando quella del peptide anoressante POMC. È anch’essa aumentata nel sangue dell’uomo obeso e possiede attività insulino-sensibilizzante.
Visfatina. Espressa prevalentemente nel tessuto adiposo bianco, favorisce la maturazione della cellula β-pancreatica e la secrezione di insulina, oltre a svolgere azioni insulino-simili. Per contro, è dotata di azione pro-infiammatoria e influenza negativamente la funzione endoteliale. Nell’animale da esperimento, l’antagonista della visfatina conosciuto con la sigla FK866 riduce il danno polmonare e intestinale, inibendo la produzione di citochine pro-infiammatorie.
Apelina. È prodotta e secreta da diversi tessuti (cuore, parete vascolare) oltre che dal tessuto adiposo. Il suo contenuto nel grasso e i suoi livelli sierici sono aumentati nell’obesità e si riducono con la riduzione ponderale. Ha azione cardio-protettiva, ipoglicemizzante e favorente l’utilizzo del glucosio da parte del muscolo. In modelli animali, esercita azione vaso-dilatatoria e anti-aterogena (10).
Resistina. Nel topo, ma con minore certezza nell’uomo, questa adipochina induce insulino-resistenza e dislipidemia, probabilmente a seguito dei suoi effetti pro-infiammatori. I suoi livelli circolanti sono aumentati nell’obesità. Sembra esistere una modulazione negativa reciproca tra gli effetti della resistina da un lato e quelli della leptina e dell’adiponectina dall’altro.
Angiotensina. Nel tessuto adiposo sono espressi angiotensinogeno, renina e angiotensin-converting enzyme e pertanto vi è produzione locale di angiotensina II. L’azione di questa nel tessuto adiposo tramite i suoi due specifici recettori è complessa e imperfettamente nota. L’attivazione del recettore A1 promuove lo sviluppo di insulino-resistenza e di diabete tipo 2. Il tessuto adiposo esprime anche recettori per i mineral-corticoidi, che mediano l’azione dei mineralo- e dei glico-corticoidi nel controllo dell’adipogenesi e nell’espansione della massa adiposa, con i relativi effetti pro-infiammatori e di insulino-resistenza.
TNFα. Questa citochina è prodotta in maggiore misura dalle cellule stromali del tessuto adiposo, essenzialmente i macrofagi, piuttosto che dagli adipociti, e maggiormente nel grasso viscerale che in quello sotto-cutaneo. I suoi livelli circolanti sono aumentati nel soggetto obeso e diminuiscono con la riduzione ponderale. Attraverso il suo recettore di tipo 1, il TNFα svolge una azione pro-infiammatoria e pro-aterogena, determinando inoltre insulino-resistenza. Va peraltro sottolineato che in pazienti obesi diabetici trattati con farmaci biologici anti-TNF non si osservano nè un significativo aumento della sensibilità insulinica nè un calo ponderale di qualche rilievo.
Interleuchina-1β. A questa citochina infiammatoria, espressa da tessuto adiposo, monociti e macrofagi, è riconosciuto un ruolo fondamentale nella fisiopatologia di numerose malattie infiammatorie. In un gruppo di pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 l’antagonista del recettore di IL-1β noto come Anakinra si è dimostrato non solo in grado di ridurre i fattori pro-infiammatori circolanti, ma anche di migliorare glicemia e funzione β-cellulare.
Retinol Binding Protein 4. Prodotta da tessuto adiposo e fegato, è in grado di determinare insulino-resistenza sistemica. Nell’uomo i livelli circolanti di RBP-4 correlano con varie componenti della sindrome metabolica, vale a dire ipertensione arteriosa, dislipidemia, malattia cardio-vascolare e massa del grasso intra-addominale. Il trattamento di obesità e diabete mediante calo ponderale, esercizio fisico, chirurgia bariatrica e somministrazione di glitazonici, riduce i livelli circolanti di RBP-4.
Omentina. Nota anche come intelectina e prodotta maggiormente nel grasso viscerale, è caratterizzata da attività insulino-sensibilizzante, anti-infiammatoria e anti-aterosclerotica. I suoi livelli circolanti sono ridotti nell’obesità e aumentano dopo calo ponderale, allenamento aerobico e trattamento con farmaci quali atorvastatina, metformina, pioglitazone ed exenatide.
Chemerina. Prodotta prevalentemente dal tessuto adiposo, gioca un ruolo chiave nell’adipogenesi, promuovendo sia la vascolarizzazione del tessuto adiposo stesso sia il reclutamento di macrofagi, contribuendo così verosimilmente allo stato infiammatorio di basso grado presente nella gran parte dei pazienti obesi. In questi ultimi si osservano elevati livelli circolanti di chemerina, che si riducono dopo calo ponderale.
Epcidina. Originariamente descritta come importante regolatore dell’omeostasi del ferro prodotta dal fegato, è stata successivamente caratterizzata come adipochina. Se da un lato tale peptide sembra giocare un ruolo di rilievo nell’anemia delle malattie croniche, dall’altro la sua produzione è stimolata dalla leptina, cosicchè i livelli circolanti di epcidina potrebbero aumentare in caso di obesità.
Fibroblast growth factor-21. Prodotto a livello di pancreas, fegato e tessuto adiposo, nei roditori e nei primati è in grado di migliorare tolleranza glucidica, sensibilità insulinica e profilo lipidico. Inoltre, riduce la secrezione di glucagone, induce l’espressione del gene dell’insulina e protegge le β-cellule del pancreas dall’apoptosi. FGF-21 favorisce la liberazione da parte del tessuto adiposo di adiponectina, adipochina che potrebbe mediarne alcune azioni. Nell’uomo sono stati riscontrati livelli elevati di FGF-21 in caso di obesità e diabete mellito tipo 2, e ridotti in caso di anoressia nervosa e diabete mellito tipo 1. La somministrazione per quattro settimane dell’analogo di FGF-21 contraddistinto dalla sigla LY2405319 ha determinato in pazienti obesi e diabetici calo ponderale, riduzione di colesterolo LDL e trigliceridi, aumento del colesterolo HDL e miglioramento della sensibilità all’insulina.
Neuroregulina-4. Secreta prevalentemente dal tessuto adiposo bruno dopo esposizione al freddo, riduce efficacemente la lipogenesi epatica. Topi caratterizzati da sovra-espressione di Nrg-4 vanno incontro a un minor incremento ponderale se sottoposti ad una dieta ad alto contenuto di grassi; presentano inoltre una riduzione della trigliceridemia e del grado di epato-steatosi, nonché un miglioramento di sensibilità all’insulina e tolleranza al glucosio. Nell’uomo l’espressione di Nrg-4 da parte del tessuto adiposo è inversamente correlata a BMI e a contenuto epatico di lipidi; è inoltre inferiore in caso di ridotta tolleranza glucidica o diabete mellito tipo 2 (11,12).
Irisina. Sebbene sia stata originariamente considerata una miochina, è ora nota la sua espressione anche da parte del tessuto adiposo, dove promuove, in risposta all’esercizio fisico, la trasformazione del grasso bianco in grasso bruno. Inoltre, irisina facilita la captazione di glucosio da parte del muscolo scheletrico, riduce l’insulino-resistenza e migliora la sopravvivenza delle β-cellule pancreatiche. A livello dello scheletro, riduce il numero degli osteoclasti e aumenta massa e forza dell’osso corticale (13).
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