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Interferenze farmacologiche e ambientali sull’omeostasi endocrina
Generalità sui disruptors
Marco Faustini Fustini
Endocrinologia, Ospedale Bellaria, Bologna
I “disruptors” sono sostanze introdotte dall’uomo nell’ambiente, in grado di interferire con i normali processi di sviluppo, crescita e omeostasi degli organi e dei tessuti animali.
Il termine “endocrine disruptors” fu coniato nel 1991 in una conferenza intitolata ”Chemically Induced Alterations in Sexual Development: The Wildlife/Human Connection”, in cui furono discusse le conclusioni di alcuni studi che mostravano alterazioni nella progenie di animali sani che vivevano nella regione dei Grandi Laghi e in altri ecosistemi. In anni più recenti, l’Agenzia statunitense di protezione ambientale (US Enviromental Protection Agency) ha definito i “disruptors” endocrini (Endocrine-Disrupting Chemicals, EDC) come “agenti esogeni che interferiscono con la sintesi, la secrezione, il trasporto, il metabolismo, il legame al recettore, o l’eliminazione di ormoni naturali circolanti, che sono presenti nel corpo e sono responsabili dell’omeostasi, della riproduzione e dei processi di sviluppo”.
Queste sostanze esogene possono agire legandosi ai recettori ormonali nucleari (ad esempio, degli androgeni, degli estrogeni, del progesterone, degli ormoni tiroidei, dei retinoidi) oppure ai recettori non-nucleari degli ormoni steroidei, ai recettori non steroidei (dopamina, serotonina, epinefrina), ai recettori orfani, a diversi sistemi enzimatici.
Molte sostanze chimiche sintetiche, usate come lubrificanti o solventi, plastiche, pesticidi, fungicidi, compaiono nell’elenco, in continua crescita, degli EDC. Tuttavia, anche sostanze farmaceutiche (dietil-stilbestrolo) e naturali (fito-estrogeni) possono essere considerate, per certi versi, potenziali EDC. Si stima che circa 80.000 sostanze chimiche siano comunemente impiegate negli USA e che ogni anno ne siano immesse in commercio per la prima volta da 1000 a 2000, ma che la US Enviromental Protection Agency non sia in grado di valutarne completamente la sicurezza. Non raramente, le segnalazioni giungono nella fase di post-marketing a distanza di molti anni. Peraltro, il danno potenziale all’organismo esposto a EDC spesso non è dose-correlato e non raramente dipende dalla finestra temporale di esposizione, che, nel caso avvenga nella vita fetale o neonatale, può creare le basi di sviluppo di malattie che compaiono poi nell’età adulta.
Nel 2012, la World Health Organization (WHO) indicava circa 800 sostanze xenobiotiche (sostanze naturali o sintetiche che si trovano all’interno di un organismo, ma che non sono da questo prodotte) sicuramente o potenzialmente in grado di interferire con le funzioni del sistema endocrino. Tali sostanze, definite interferenti endocrini (“endocrine disruptors” o "endocrine disrupting chemicals: EDCs)", sono di natura quanto mai eterogenea e comprendono composti di derivazione industriale, agricola o domestica e metalli pesanti. Alcuni di questi hanno emivita breve ma sono molto diffusi, altri hanno emivita molto lunga e persistono a lungo nell'ambiente.
L’esempio più noto - ma probabilmente anche uno dei più controversi - di EDC è rappresentato dal bisfenolo A, una plastica utilizzata per molti decenni nella costruzione di bottiglie per biberon e altri oggetti usati nell’alimentazione (da alcuni anni il suo impiego è stato vietato in Europa e in USA). È stato dimostrato che il bisfenolo A, legandosi ai recettori degli estrogeni, svolge attività estrogenica, pur avendo una struttura chimica diversa dagli estrogeni naturali. Inoltre, sopprime l’attività aromatasica e funge da antagonista del recettore degli androgeni in molti modelli animali. Infine, sembra in grado di svolgere effetti biologici negativi anche sullo sviluppo delle ß-cellule pancreatiche.
Date queste premesse, non stupisce che sia stato lanciato un allarme per quanto concerne il potenziale effetto favorente di malformazioni uro-genitali maschili, infertilità, pubertà precoce femminile, obesità infantile e in età adulta, neoplasie correlate al sistema endocrino, come il cancro mammario e quello prostatico. Da alcuni anni il bisfenolo A è stato sostituito nell’industria di preparati plastici per l’alimentazione con il bisfenolo S, che tuttavia presenta numerose analogie di struttura con il bisfenolo A, sollevando alcune perplessità da parte di ricercatori che ne avevano valutate le caratteristiche in linee cellulari umane e in colture di cellule ipofisarie di ratto, assai sensibili a concentrazioni molto basse di estrogeni.
Bibliografia
- Anway MD, Skinner MK. Epigenetic transgenerational actions of endocrine disruptors. Endocrinology 2006, 147: S43-9.
- Diamanti-Kandarakis E, Bourguignon J-P, Giudice LC, et al. Endocrine-disrupting chemicals: an Endocrine Society scientific statement. Endocr Rev 2009, 30: 293-342.
- Gore AC, Balthazart J, Bikle D, et al. Policy decisions on endocrine disruptions should be based on science across disciplines: a response to Dietrich et al. Endocrinology 2013, 154: 3957-60.
- Melzer MB. Bisphenol A and adult disease: making sense of fragmentary data and competing inferences. Ann Intern Med 2011, 155: 392-4.
- Soto AM, Sonnenschein C. Shining a light on sunscreens. Endocrinology 2005, 146: 2127-9.
- Vandenberg LN, Maffini MV, Sonnenschein C, et al. Bisphenol A and the great divide: a review of controversies in the field of endocrine disruption. Endocr Rev 2009, 30: 75-95.
Disruptors e ipofisi
Ernesto de Menis
Medicina Interna, Montebelluna
I fattori ambientali legati agli Endocrine Disrupting Chemicals (EDC) sono stati studiati soprattutto per i loro effetti sulle ghiandole periferiche; tuttavia, possono essere influenzati anche i sistemi di regolazione ipotalamo-ipofisari. A questo livello gli EDC agiscono non solo attraverso i classici bersagli endocrinologici (recettoriali e post-recettoriali), ma anche attraverso un’azione sui neuro-modulatori.
L’organismo risulta molto sensibile agli EDC, soprattutto nel periodo di sviluppo e differenziazione dell’ipotalamo/ipofisi, quindi durante la vita fetale e neonatale precoce. Anche a livello neuroendocrino l’effetto dei disruptor può essere trasmesso alle generazioni successive attraverso effetti non genomici, per un effetto epigenetico dovuto ad esempio a processi di metilazione del DNA.
Il sistema più studiato è quello gonadotropo. Gli EDC agiscono sui neuroni GnRH-secernenti e anche su kisspeptin, determinando alterazioni dei fisiologici differenti pattern di secrezione di gonadotropine di maschi e femmine. Inoltre gli EDC alterano lo sviluppo delle aree cerebrali dimorfe, cioè differenti nei maschi e nelle femmine, alterando i normali comportamenti sessuali e riproduttivi. Infatti, l’esposizione dell’animale a specifici disruptor durante la vita fetale o neonatale ha dimostrato che possono venire alterate l’età di insorgenza della pubertà, la capacità riproduttiva e i comportamenti sessuali.
Riguardo la tiroide, sono stati studiati soprattutto gli effetti periferici dei disruptor; in realtà può venire alterata anche la secrezione tireotropa ipofisaria.
Esistono invece dati limitati riguardanti disruptor e secrezione di GH e prolattina, dove è stato però dimostrato che AHR (Aryl Hydrocarbon Receptor, recettore per diversi EDC, il cui tipico ligando è la diossina) interviene nella secrezione di PRL e GH in vitro.
Infine, è stato ipotizzato che l’esposizione a disruptor durante lo sviluppo fetale possa influenzare per azione a livello ipotalamico il metabolismo basale e il rischio di sviluppo di obesità nell’adulto.
Importante sottolineare che esistono differenze specie-specifiche negli effetti dei disruptor; inoltre, esiste anche una suscettibilità individuale all’interno della stessa specie, per esempio legata a polimorfismi di recettori per i disruptor come dimostrato per AHR.
I dati sperimentali in vitro e in vivo nell’animale sono molto numerosi, tuttavia non possono essere trasferiti direttamente nell’uomo. Nell’uomo, in assenza di evidenze certe, un possibile ruolo degli EDC è stato ipotizzato soprattutto sulla funzione riproduttiva, in particolare una correlazione con alterazione dell’età di insorgenza della pubertà e menopausa (1).
Ha ricevuto molta attenzione la possibilità che i disruptor intervengano anche nello sviluppo dei tumori ipofisari. AIP è un gene responsabile di alcune forme familiari di tumori ipofisari (FIPA, Familial Isolated Pituitary Adenoma). La proteina codificata da AIP interagisce con AHR (vedi sopra). I dati attuali indicano che lo sviluppo degli adenomi ipofisari nei soggetti con mutazioni inattivanti di AIP risulta verosimilmente legato a meccanismi diversi dall’interazione di AIP con AHR, ma esistono altri dati epidemiologici che non escludono un ruolo dei disruptor nella patogenesi degli adenomi ipofisari. Sebbene l’incidenza di tumori ipofisari non risulti apparentemente aumentata dopo la massiva esposizione alla diossina dopo l’incidente di Seveso (2), i dati epidemiologici nella provincia di Messina hanno dimostrato che la prevalenza di acromegalia risulta strettamente correlata all’inquinamento ambientale industriale (3). Inoltre, i polimorfismi di AHR sono risultati associati a maggior rischio di sviluppo di alcuni tumori in generale. Specificamente, nel caso degli adenomi è stato osservato che un particolare polimorfismo di AHR risulta più frequente nei pazienti acromegalici rispetto alla popolazione di controllo, e risulta anche correlare con le concentrazioni di IGF-I e con l’invasione del seno cavernoso (4).
Bibliografia
- Gore AC, et al. Neuroendocrine targets of endocrine disruptors. Hormones (Athens) 2010, 9: 16-27.
- Pesatori AC, et al. Aryl hydrocarbon receptor-interacting protein and pituitary adenomas: a population-based study on subjects exposed to dioxin after the Seveso, Italy, accident. Eur J Endocrinol 2008, 159: 699-703.
- Cannavò S, et. al. Increased prevalence of acromegaly in a highly polluted area. Eur J Endocrinol 2010, 163: 509-13.
- Cannavò S, et. al. Increased frequency of the rs2066853 variant of aryl hydrocarbon receptor gene in patients with acromegaly. Clin Endocrinol 2014, 81: 249-53.
Disruptors e tiroide
Maurizio Merico
UOS Endocrinologia - Ospedale S. Giacomo - Castelfranco Veneto (TV) - ULSS 8
I disruptor tiroidei interferiscono con sintesi, metabolismo, distribuzione, azione e meccanismi di feed-back degli ormoni tiroidei, sia nei modelli animali che nell'uomo (1).
Nell'uomo esistono diversi campi di studio relativi all’effetto dei disruptor tiroidei.
Modificazione della funzione (ipotiroidismo e ipertiroidismo)
I dati più consistenti nell'uomo riguardano i policloro-bifenili (PCB), che riducono i livelli circolanti degli ormoni tiroidei (T3 e/o T4) e possono interferire direttamente con il recettore per gli ormoni tiroidei o con la sua espressione.
Numerosi altri disruptor endocrini, a cui l'uomo è peraltro cronicamente esposto in modo combinato, hanno effetto sulla funzione tiroidea, con diversi meccanismi (2,3):
- gli eteri di difenile polibromurato (PDBE) inibiscono il legame dell'ormone tiroideo alle proteine leganti, si legano direttamente al recettore per l'ormone tiroideo e diminuiscono l'emivita della T4 (attraverso l'induzione della glucoronidazione epatica della T4);
- il perclorato è un inibitore competitivo della captazione dello iodio da parte del symporter Na/Iodio e viene usato come terapia delle forme di ipertiroidismo iodio-indotto;
- il bisfenolo A si lega al recettore dell'ormone tiroideo;
- alcuni alchil-fenoli (4-nonil-fenoli, 4-octil-fenoli) e alcuni pesticidi (prochloraz, iprodion) interferiscono con la proliferazione delle cellule ipofisarie mediata dagli ormoni tiroidei;
- altri disruptor (il 4-nonil-fenolo, l'octil-metossi-cinnamato e il 4-metil-benzil-idenecanfora) inibiscono la 5'-deiodinasi di tipo I.
L'effetto di PCB e PDBE in termini di diminuzione di fT3 ed fT4 è documentato anche in gravidanza (4).
Tumorigenesi
Uno studio svedese ha documentato la tumorigenesi tiroidea per esposizione diretta a solventi in un gruppo di lavoratrici di scarpe (5).
La tumorigenesi si potrebbe espletare anche attraverso alterazione dei meccanismi di detossificazione dei disruptor: sono stati identificati alcuni polimorfismi dei geni della famiglia del citocromo (epossido-idrossilasi e glutatione-idrossilasi) che determinano alterazione nei meccanismi di detossificazione di PBDE e altri idrocarburi aromatici poli-alogenati.
Secondo alcuni studi, infine, la presenza della mutazione BRAF V600E nel tumore differenziato della tiroide potrebbe essere correlata all'esposizione ad alcuni agenti ambientali (2).
Alterazioni epigenetiche trasmissibili alla progenie
I dati sulle mamme esposte durante la vita fertile a 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina nell'incidente di Seveso del 1976 dimostrano un'aumentata incidenza di tireopatie nella progenie, postulando un effetto epigenetico indotto dai disruptor endocrini (6).
Ruolo nell'autoimmunitá
La patogenesi dell'autoimmunità tiroidea è legata per il 70% ai polimorfismi dei geni tiroidei e dei geni immuno-regolatori e per il 30% a fattori ambientali (iodio, fumo, infezioni, parità). Il ruolo eventuale dei disruptor endocrini è ancora argomento di discussione. Secondo alcuni autori, PCB e altri disruptor potrebbero avere un ruolo come co-fattore dello iodio nella patogenesi dell'autoimmunità tiroidea in soggetti predisposti (7).
Bibliografia
- WHO. State of the science of endocrine disrupting chemicals. 2012.
- Marcelo MA, et al. The influence of the environment on the development of thyroid tumors: a new appraisal. Endocr Related Cancer 2014, 21: T235-54.
- Schmutzler C, et al. Endocrine disruptors and the thyroid gland—A combined in vitro and in vivo analysis of potential new biomarkers. Environm Health Persp 2007, 115 suppl 1: 77-83.
- Abdelouahab N, et al. Maternal and cord-blood thyroid hormone levels and exposure to polybrominated diphenyl ethers and polychlorinated biphenyls during early pregnancy. Am J Epidemiol 2013, 178: 701-13.
- Lope V, et al. Occupational exposure to chemicals and risk of thyroid cancer in Sweden. Int Arch Occup Environ Health 2009, 82: 267-74.
- Baccarelli A, et al. Neonatal thyroid function in Seveso 25 years after maternal exposure to dioxin. PLOS Med 2008, 5: e161.
- Langer P, et al. Thyroid volume, iodine intake, autoimmune thyroid disorders, inborn factors, and endocrine disruptors: twenty-year studies of multiple effects puzzle in Slovakia. Endocr Regul 2012, 46: 191-203.