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Dominique Van Doorne
Roma

 

CHE COSA È L’IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO?

È una condizione patologica caratterizzata dall’eccessiva produzione di ormone paratiroideo (PTH). Il PTH serve a mantenere il livello di calcio costante nel sangue (vedi paratiroidi e metabolismo calcio-fosforico). L’aumento della secrezione di PTH provoca un aumento della calcemia attraverso un maggior assorbimento intestinale di calcio, una ridotta eliminazione di calcio con le urine e un maggior riassorbimento di calcio dall’osso. Nella popolazione generale la malattia compare in circa 3-5 persone ogni 1000 abitanti. La malattia può insorgere a qualunque età, ma è rara prima dei 50 anni, ed è tre volte più frequente nel sesso femminile. Talvolta, in particolare quando si manifesta in giovane età, si associa ad altri tumori endocrini nel corpo in una sindrome chiamata MEN (neoplasie endocrine multiple).
In passato l’iperparatiroidismo primitivo veniva diagnosticato solo tardivamente per le complicanze che compaiono dopo diversi anni di malattia. Oggi, nei paesi in cui gli esami di laboratorio vengono effettuati in modo periodico a partire dai 40-50 anni, la diagnosi è più precoce, spesso in una fase completamente asintomatica della malattia.

 

QUALI SONO LE CAUSE DELL’IPERPARATIROIDISMO?

L’iperparatiroidismo si divide in primitivo (la malattia nasce nelle ghiandole paratiroidee) o secondario, quando l’aumento del PTH è la risposta del corpo alla riduzione della calcemia dovuta a varie malattie.

Iperparatiroidismo primitivo
Le forme primitive possono essere causate da:

  • adenoma paratiroideo (tumore benigno di una paratiroide) nell’80-85% dei casi. Abitualmente l’adenoma è unico, ma talvolta può coinvolgere due o più paratiroidi (adenoma multiplo);
  • iperplasia diffusa del tessuto paratiroideo con iperfunzione di tutte le ghiandole paratiroidee (15-20% dei casi);
  • carcinoma paratiroideo (tumore maligno rarissimo).

 

Iperparatiroidismo secondario
Le forme secondarie, sempre caratterizzate da un’iperplasia diffusa compensatoria delle ghiandole paratiroidee, sono dovute a quelle condizioni che riducono la calcemia come:

  • insufficienza renale (per eccessiva perdita di calcio dal rene);
  • ridotta introduzione di calcio nell’organismo (per malnutrizione o malassorbimento intestinale);
  • carenza cronica di vitamina D (da malnutrizione o da malassorbimento intestinale). È importante dire che la carenza di vitamina D è molto frequente, raggiungendo la quasi totalità della popolazione oltre 70 anni. Le cause sono alimentari (riduzione nella dieta del grasso animale, dove si trova la pro-vitamina D), minor esposizione al sole (la pro-vitamina D è attivata nella pelle sotto lo stimolo dei raggi solari), obesità (per intrappolamento della vitamina D nel tessuto grasso). In altri paesi diversi cibi sono addizionati con vitamina D per superare la carenza alimentare.

 

QUALI SONO I SINTOMI DELL’IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO?

Solo l’iperparatiroidismo primitivo provoca ipercalcemia. Mentre un aumento lieve di calcio nel sangue non provoca abitualmente sintomi, le ipercalcemie acute e gravi (superiori a 12.5 mg/100 mL) si accompagnano a nausea, vomito, con talvolta grave disidratazione che può arrivare fino al coma.
L’ipercalcemia prolungata provoca, negli anni, danni renali, ossei e vascolari:

  • a livello renale l’eccesso di calcio provoca la formazione di calcoli, che si manifestano spesso con coliche renali; nei casi protratti l’ipercalcemia può provocare anche un danno al glomerulo renale, cioè il filtro renale, con conseguente insufficienza renale cronica;
  • a livello osseo l’eccesso di PTH provoca un aumento del riassorbimento osseo, in particolare della zona esterna o corticale dell’osso. L’osteoporosi che ne consegue, di per sè asintomatica, può provocare fratture spontanee delle vertebre (comparsa improvvisa di dolore acuto, localizzato alla schiena) e delle ossa lunghe (femore);
  • a livello vascolare, l’ipercalcemia può causare, sul lungo termine, calcificazioni delle pareti delle arterie di tutto il corpo e i sintomi dipendono dalle sedi colpite (cervello, cute, reni, ecc).

 

COME SI FA LA DIAGNOSI DI IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO?

La diagnosi biochimica di iperparatiroidismo primitivo si fa quando l’aumento di calcemia si accompagna a valori elevati sia di calcio urinario che di PTH nel sangue.
Una carenza di vitamina D può ritardare la diagnosi di iperparatiroidismo primitivo, perché la calcemia è normale e non elevata, in particolare nelle fasi iniziali della malattia.

 

È POSSIBILE INDIVIDUARE LE GHIANDOLE PARATIROIDEE DOVE SI LOCALIZZA LA MALATTIA?

Le paratiroidi sono abitualmente ghiandole piccolissime, ma se sono sede di un adenoma diventano “visibili” con tecniche quali l’ecografia del collo, la RMN o la TAC del collo-mediastino.
La maggior parte delle volte le paratiroidi ingrandite si trovano nel collo, ma non sempre in punti visibili all’ecografia. In tal caso, oppure quando le paratiroidi patologiche sono situate nel torace, è necessario fare una RMN o una TAC del collo e torace, sempre con l’uso del contrasto appropriato.
Per completare la diagnosi, si esegue una scintigrafia con doppio contrasto, cioè con Tecnezio e SestaMIBI, che permette di confermare la sede e di valutare se si tratta di una unica paratiroide patologica oppure di una forma multipla o ancora di iperplasia delle 4 ghiandole.
In casi più rari, nessuno degli esami elencati sopra permette di trovare la/le ghiandole responsabili e in tal caso si procede all’intervento chirurgico esplorativo del collo e del mediastino superiore. È importante ribadire che l’esperienza del chirurgo è cruciale per trovare le ghiandole patologiche non visualizzate in sede pre-operatoria.

 

COME SI CURA L’IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO?

Intervento chirurgico
L’endocrinologo valuta l’indicazione all’intervento chirurgico secondo la gravità del quadro e l’età del paziente. Se l’iperparatiroidismo causa ipercalcemia franca (più di 1 mg/dL sopra il livello massimo della calcemia normale) oppure osteoporosi o calcolosi renale, oppure il/la paziente ha meno di 50 anni, è necessario asportare la/e ghiandola/e paratiroidea/e ammalata/e.
L’esperienza del chirurgo, nella chirurgia paratiroidea, aumenta notevolmente le probabilità del successo e limita considerevolmente le complicanze chirurgiche che sono le stesse della chirurgia tiroidea (ipocalcemia se si asportano o ledono le 4 ghiandole paratiroidee, lesione del nervo ricorrente con alterazioni della voce, o emorragia nell’immediato periodo post-chirurgico). Inoltre, nei centri di eccellenza è possibile utilizzare il dosaggio intra-operatorio del PTH (si fa un prelievo di sangue pochi minuti dopo l’asportazione della ghiandola paratiroidea ritenuta ammalata): un dimezzamento dei livelli di PTH intra-operatorio rispetto al controllo pre-operatorio è la prova che è stato asportato tutto il tessuto paratiroideo patologico e che ci sono poche probabilità di aver lasciato una paratiroide iperfunzionante. Se la riduzione del PTH è inferiore (non si dimezza), il chirurgo deve cercare altre ghiandole paratiroidee iperfunzionanti (forme multi-ghiandolari) per evitare che, dopo l’intervento, la malattia sia ancora attiva. Un chirurgo esperto è in grado di guarire oltre il 95% dei casi.

 

Terapia medica dell’iperparatiroidismo primitivo
Poiché l’ipercalcemia si accompagna ad aumento della produzione di urine con perdita di acqua, è importante evitare la disidratazione. Per questo motivo, è importante bere acqua a sufficienza, almeno 2 litri al giorno secondo il livello di calcemia.
Se il paziente sintomatico rifiuta l’intervento chirurgico o non può essere operato per controindicazioni all’intervento o ancora è in attesa dell’intervento e la sua calcemia è nettamente aumentata (supera di 1 mg/d il valore massimo della normalità), è possibile abbassare i livelli della calcemia con un farmaco, il Cinacalcet. Questo è in grado di dare una buona riduzione dei livelli di calcemia (e una parziale riduzione del PTH), ma non ha alcun effetto sull’osteoporosi.
Per il trattamento dell’osteoporosi l’endocrinologo ha oggi diverse categorie di farmaci, tra cui i bisfosfonati e il Denosumab.
Il trattamento della calcolosi renale è compito dell’urologo.

 

Terapia dell’ipercalcemia acuta
Se la calcemia supera 12 mg/dL, si possono manifestare nausea, vomito, disidratazione, confusione fino al coma. Di fronte a questi sintomi è opportuno recarsi in un PS per una idratazione per via endovenosa e la somministrazione endovenosa di farmaci per abbassare la calcemia.